giovedì 30 agosto 2012

Okakura Kakuzo. Il tè è un’opera d’arte, e solo la mano di un maestro può renderne manifeste le qualità più nobili. Esiste un tè buono e uno cattivo, così come esistono dipinti belli a altri brutti – questi ultimi più frequenti. Non esiste ricetta per preparare il tè ideale, così come non ci sono regole che consentano di creare un Tiziano o un Sesson. Ogni modo di preparare le foglie ha una propria individualità, una particolare affinità con l’acqua e il calore, un patrimonio ereditario di ricordi da rievocare, un modo tipico di raccontare. Ma in esso la vera bellezza deve essere sempre presente.

Okakura Kakuzo 1862-1913, 
nacque da una famiglia di samurai in Giappone. 
Ancora giovanissimo si trasferì negli Stati Uniti come membro della Commissione Imperiale Giapponese per lo studio dell’arte moderna. Tornato in Giappone, venne nominato direttore della scuola d’arte di Tokyo. Le sue opere principali, pubblicate tutte in lingua inglese, sono: 
The Ideals of the East (1903), The Awakening of Japan (1904), The Heart of Heaven, pubblicato postumo nel 1922.


Non vediamo la malvagità negli altri, 
perché tramite il nostro comportamento la conosciamo.
Non perdoniamo mai coloro che ci feriscono, 
perché riteniamo che mai saremo perdonati.
Diciamo la dura verità agli altri, 
perché la vogliamo nascondere a noi stessi.
Mostriamo la nostra forza, 
affinché nessuno possa vedere la nostra fragilità.
Okakura Kakuzo


"Bevi il tuo tè lentamente e con riverenza, 
come se fosse l'asse su cui ruota la terra, lentamente, 
in modo uniforme, senza fretta verso il futuro."
Thích Nhất Hạnh


"Oriente e Occidente, come due draghi scagliati in un mare agitato, 
lottano invano per riconquistare il gioiello della vita... 
Beviamo, nel frattempo, un sorso di tè. 
Lo splendore del meriggio illumina i bambù, 
le sorgenti gorgogliano lievemente, 
e nella nostra teiera risuona il mormorio dei pini. 
Abbandoniamoci al sogno dell’effimero, 
lasciandoci trasportare dalla meravigliosa insensatezza delle cose."
Okakura Kakuzō


La via del tè nel Giappone di un secolo fa!
Di Enrico Ferraris, 14 giugno 2015
Il tè come bevanda, il tè come filosofia, il tè come religione estetica, passando dal Taoismo allo Zen: il Teismo. Okakura Kazuko, nato nella seconda metà dell'Ottocento da una famiglia di samurai, cresce nel pieno di quel movimento politico e culturale voluto dal governo giapponese per trasformare la società è la cultura feudali in una società di stampo occidentale nel giro di pochi decenni, con lo scopo dichiarato di far diventare il Giappone una potenza economico militare in grado competere con le grandi potenze straniere. Studiò a Tokio e viaggiò in occidente per conoscere la cultura Americana ed Europea. Comprese che la cultura orientale era l'unica in grado di contrastare la follia imperialista occidentale e, quando si trasferì a Bistin, scrisse alcuni trattati tra cui, appunto, la cultura del tè. Fu scritto in lingua inglese per un pubblico occidentale.
Okakura Kazuko voleva illustrare agli Americani la via del tè (la tcha-do), con lo scopo ultimo non di insegnare la cerimonia, ma di spiegare invece un mondo e una filosofia in pericolo e ultimo baluardo contro l'imperialismo occidentale.
Nel libro la cerimonia non viene dettagliata. 
Viene raccontata la storia del tè, l'ambiente e gli strumenti utilizzati. 
La cerimonia del tè non come momento di consumazione della bevanda 
o per il tè in quando bevanda essa stessa, ma la cerimonia in quanto cerimonia tucul. 
Cerimonia in cui il fine ultimo è l'uomo e la sua filosofia di vita.
Un frammento di storia? Un documento antropologico? 
Un trattato di filosofia? Tutto questo e molto di più!
Attenzione: pubblicato anche col titolo "Lo Zen e la cerimonia del tè"
La lettura incontra il tè. 
Le regole del tè e dell'amore.





Il tè è un’opera d’arte, e solo la mano di un maestro può renderne manifeste le qualità più nobili. Esiste un tè buono e uno cattivo, così come esistono dipinti belli a altri brutti – questi ultimi più frequenti. Non esiste ricetta per preparare il tè ideale, così come non ci sono regole che consentano di creare un Tiziano o un Sesson. Ogni modo di preparare le foglie ha una propria individualità, una particolare affinità con l’acqua e il calore, un patrimonio ereditario di ricordi da rievocare, un modo tipico di raccontare. Ma in esso la vera bellezza deve essere sempre presente.
Okakura Kakuzo


"... Elisa avvicinò la tazza alle labbra e ispirò il profumo di bosco. 
Era davvero ottimo. Era uno di quei tè che riescono a farti sentire diversa fin dal primo sorso.
Se avesse chiuso gli occhi, le sarebbe sembrato di essere in Cina, 
in qualche piantagione misteriosa ad alta quota, fra la nebbia, in un mondo lontano...
La musica si interruppe di colpo, insieme al vociare..."
L'amore è come una tazza di tè
il segreto sta nel trovare la miscela perfetta.


Esiste un tè buono e uno cattivo, così come esistono dipinti belli a altri brutti 
questi ultimi più frequenti. Non esiste ricetta per preparare il tè ideale
così come non ci sono regole che consentano di creare un Tiziano o un Sesson.
Okakura Kakuzo




 "...Non ci si dovrà stupire dell'importanza che diamo a una tazza di tè": 

"La filosofia del tè è igiene perché richiede la più rigorosa pulizia; 
è economia perché dimostra che il benessere risiede nella semplicità 
piuttosto che nel complicato e pretenzioso; 
è geometria morale, in quanto definisce il rapporto tra i nostri sentimenti e l'universo."
Okakura Kakuzõ 


se consideriamo quanto sia piccola, in ultima analisi, 
la coppa della gioia umana, come fa presto a riempirsi di lacrime, 
come si vuoti facilmente per la nostra inestinguibile sete di infinito, 
non ci si dovrà stupire dell’importanza che diamo a una tazza di tè.
Okakura Kakuzo, "Il libro del tè"


Il tè non ha l’arroganza del vino, 
né la supponenza del caffè 
e neppure la leziosa innocenza del cacao.
Okakura Kakuzo


Mantenere il senso delle proporzioni fra le cose 
e lasciare spazio agli altri senza perdere il proprio;
è questo il segreto del successo nel dramma terreno.
Kakuzo Okakura, Lo Zen e la cerimonia del tè




Esiste un tè buono e uno cattivo, così come esistono dipinti belli a altri brutti questi ultimi più frequenti. Non esiste ricetta per preparare il tè ideale, così come non ci sono regole che consentano di creare un Tiziano o un Sesson.
Okakura Kakuzo


Il tè non ha l’arroganza del vino, né la supponenza del caffè e neppure la leziosa innocenza del cacao.
Okakura Kakuzo


Il tè è un’opera d’arte, e solo la mano di un maestro può renderne manifeste le qualità più nobili.
Okakura Kakuzo


La filosofia del tè è igiene perché richiede la più rigorosa pulizia; è economia perché dimostra che il benessere risiede nella semplicità piuttosto che nel complicato e pretenzioso; è geometria morale, in quanto definisce il rapporto tra i nostri sentimenti e l’universo.


Okakura Kakuzo









Dalla traduzione tedesca (1919) 
Heidegger trasse non pochi spunti, anche linguistici.



«Il Buddha paragonò le persone a quattro tipi di vasi di coccio. Il primo tipo ha dei buchi sul fondo. Per quanta acqua ci si metta, viene sempre fuori. Quando una persona del genere viene a conoscenza del Dharma, gli entra da un orecchio ed esce dall'altro. Il secondo tipo di vaso è crepato. Se ci si versa dentro il Dhamma, ne vien fuori lentamente, finché non si svuota del tutto. Il terzo tipo è pieno fino all'orlo d'acqua stagnante: convinzioni e opinioni. Non vi si può versare nulla di nuovo dentro, perché sanno già tutto. L'unico recipiente utile è quello del quarto tipo, senza buchi né crepe e completamente vuoto»
Ayya Khema, "Sii un'isola"



Una tazza di tè Nan-in, un maestro giapponese dell'era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. 
 Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare. 
 Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. 
«È ricolma. Non ce n'entra più!». «Come questa tazza,» 
disse Nan-in «tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. 
Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?». 
da 101 Storie Zen - Ed Adelphi


La tazzina da Tè. Un filosofo si recò un giorno da un maestro Zen e gli dichiarò: 
"Sono venuto a informarmi sullo Zen, su quali siano i suoi principi ed i suoi scopi". 
"Posso offrirti una tazza di tè?" gli domandò il maestro. 
E incominciò a versare il tè da una teiera. 
Quando la tazza fu colma, il maestro continuò a versare il liquido, che traboccò.
"Ma che cosa fai?" sbottò il filosofo. 
"Non vedi che la tazza è piena?" 
"Come questa tazza" disse il maestro "anche la tua mente è troppo piena di opinioni e di congetture perché le si possa versare dentro qualcos’altro.. 
Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?"
 La mente non può che fare riferimento al passato ed a quanto le è noto.
Tutto ciò che riceve, lo interpreta alla luce delle precedenti esperienze ed opinioni. 
In tal modo, però, impedisce un approccio diretto e fresco verso la realtà. 
 Se non liberiamo la mente, non c’è modo quindi, di apprendere nulla di veramente nuovo.





Ho letto un libro di filosofia cognitiva di Alberoni o Coleman l'arte di ricordare in cui si affermava che il cervello umano ha dei meccanismi che cancellano ciò che non serve per metterci qualcosa di nuovo.Un matematico russo era carente in questo meccanismo e non riusciva a dimenticare le formule che usava, con gravi conseguenti emicranie e disturbi del sonno.










La Cerimonia del Tè, CHA-NO-YU in giapponese, è un modo di preparare e prendere questa bevanda. L'intero complesso degli atti della Cerimonia costituisce l'elemento indispensabile per poter creare uno stato di calma e serenità tra tutti coloro che partecipano al rito. Fedele allo spirito dello Zen, la CHA-NO-YU non è un'esperienza estetizzante ma una profonda tecnica psicofisica il cui scopo è quello di aiutare chi la pratica a trovare un equilibrio interiore da realizzare nella vita quotidiana. Il principio della Cerimonia del Tè si può sintetizzare in quattro parole: WA (armonia), KE1 (rispetto), SEI (purezza), JAKU (tranquillità).

WA sta a significare l'armonia tra gli ospiti, 
tra gli ospiti e il padrone di casa, 
tra gli oggetti, tra i suoni, tra tutto l'esistente. 

KEI indica il rispetto, la cortese attenzione verso le persone e gli oggetti, 
è un sentimento di gratitudine profonda per tutto quanto esiste. 

SEI vuol dire purezza e si riferisce sia alla pulizia degli utensili usati nella CHA-NO-YU 
e della stanza in cui si svolge la Cerimonia, come anche alla purezza dello spirito. 

JAKU, infine, indica lo stato di serena distensione dello spirito, 
una distensione che non è mero relax, bensì uno stato di attenzione calma e serena 
che permette di comprendere nel suo significato più vero quanto avviene intorno a noi.

Gli elementi che costituiscono l'ambiente e l'arredo per la Cerimonia sono: 
il giardino, la stanza, gli oggetti e gli utensili necessari allo svolgimento della CHA-NO-YU. 

L'ambiente che circonda la Stanza del Tè è il giardino, e percorrendone il sentiero si giunge nella stanza in cui si svolge la Cerimonia. Il giardino non è un luogo vivace o sgargiante, ma al contrario deve possedere una tranquilla sobrietà il più aderente possibile alla natura, e il suo compito è quello di preparare gli ospiti alla cerimonia

La Stanza del Tè è un locale solitamente molto piccolo e semplice, quasi privo di arredamento all'interno. I pochi oggetti che vi si trovano vengono scelti di volta in volta a seconda delle circostanze. Posti sul tokonoma, una sorta di piccolo "altare", vi sono una scrittura e un fiore

Nessuno dei due deve turbare l'armonia dell'ambiente; 
la scrittura suggerisce il comportamento e il fiore richiama la presenza della natura nella stanza. Anche gli utensili usati nella CHA-NO-YU devono essere in sintonia con il luogo, e non è importante che siano belli esteriormente ma che si armonizzino con gli altri elementi e i principi della Cerimonia.

Anche da questi brevi accenni allo spirito della Cerimonia del Tè appare chiaro come essa si muova tutta dentro l'orizzonte dell'esperienza Zen. Dello Zen, la Via del Tè ha conservato il medesimo gusto per la semplice perfezione della vita, la volontà di realizzare l'intima e vera natura dell'uomo e il rifiuto per gli stereotipi e i formalismi

Come per quelle che sono in vigore nei monasteri Zen, anche le regole che i Maestri del Tè hanno fissato per la Cerimonia non sono vuoti dogmi ma strumenti attraverso i quali il praticante viene aiutato nel suo cammino. Come la strada che indicano i Maestri del Tè non è una fuga dalla vita ma la capacità di penetrarla nei suoi aspetti più profondi, così per l'uomo la ricerca di sé vuol dire conoscere e realizzare la sua più vera natura. 

La Via dello Zen e quella del Tè, complementari l'una all'altra, tendono a condurre l'essere umano a raggiungere una autentica calma e serenità interiore, a ritrovare nel suo lavoro e nella sua esistenza un gusto e uno spessore reali.

È stato detto che: "Se si ha lo Zen nella propria vita, non si ha più nessuna paura, nessun dubbio, nessun desiderio superfluo, nessuna emozione estrema. Non si è turbati né da atteggiamenti ingenerosi né da azioni egoistiche. Si serve l'umanità umilmente, attuando con misericordia la propria presenza in questo mondo e osservando la propria fine come un petalo che cada da un fiore. Sereni, si gode la vita in beata tranquillità"3.
Questo è l'identico traguardo proposto anche da tutti i Maestri del Tè. La medesima indicazione che si ritrova nei precetti di Takeno Jood ai suoi discepoli: "Nel fare CHA-NO-YU è importante avere un contatto umano più profondo. E male fare CHA-NO-YU dando importanza agli oggetti. Trovare la bellezza degli oggetti semplici e utilizzarli". La medesima poetica capacità di vedere l'arte nelle cose più semplici è espressa magistralmente in questo aforisma di Murata Juko: "La luna e più bella, se appare tra le nuvole".
E infine il rapporto tra Zen e la Via del Tè è mostrato chiaramente proprio nelle pagine del libro di Okakura Kakuzo che, insieme alla semplice ed elegante descrizione di uno degli aspetti più affascinanti di una tradizione orientale, ci propone anche un modo diverso di porsi nei confronti della vita. La proposta complessiva che emerse dal Libro del Tè è infatti un invito a cercare momenti di autentica comunicazione tra gli esseri umani, il mondo che li circonda e i loro universi interiori. Un invito a realizzare l'intima Unità dell'esistenza e a coglierne l'interiore bellezza.
Il sorriso del filosofo comunica all'uomo che egli può non piegarsi di fronte a una disumana concezione della vita e della società, ma può cercare e trovare dentro di sé l'energia e gli strumenti per la propria liberazione.
Piero Verni, 1978


La cerimonia del té: di gusto impeccabile, semplice, arcaico godimento puro della vita

Okakura Kakuzo, intellettuale (militante) giapponese dell'era Meiji, pubblica Il libro del té (The Book of Tea) a New York, nel 1906.
Si tratta di un testo offerto al lettore: come un tè molto denso, ricco di sfumature, carico di tutta l'abilità di generazioni di uomini e della sensibilità individuale del Maestro.

Iniziamo con un piccolo libro, così particolare, la nostra serie di recensioni dedicate al Giappone (sezione che chiamiamoŌyashima, 'Grande Terra dalle molte isole', nome poetico e mitico del Giappone), sia attraverso i romanzi che la saggistica.

Scegliamo di partire da qui perchè si tratta di un primo passo (ideale, a nostro avviso) in alcune atmosfere, essenziali per cogliere pienamente lo spirito della penna giapponese. 


Il libro del tè presenta la Cerimonia del tè, così come era praticata, vissuta, venerata nel Giappone della tradizione.
Chanoyu: via di realizzazione, estetica ed esistenziale.

"Da noi il tè divenne più che una idealizzazione della forma del bere una vera religione dell'arte della vita"


Un testo prezioso, poco adatto ai semplici appassionati di orientalismi di facile digestione. Il libro infatti non lascia spazio a fraintendimenti: non è propaganda, non è profumo affogato nell'acqua. Dentro c'è tutto l'amore per il proprio Paese, da parte di un uomo di cultura intransigente ed esigente. Un amore che se si permette delle critiche all'Occidente è, soprattutto, perchè intende difendere il Giappone dagli stessi giapponesi che vorrebbero svendere completamente il loro mondo, a favore di un altro. Se Okakura insomma viene meno all'eleganza orientale, che preferisce prendere le cose dai lati e in modo indiretto, è perchè il suo testo si assume il compito di prendere una posizione.
Si era nei primi anni del Novecento e i cambiamenti avevano già sconvolto profondamente molti aspetti della vita quotidiana in Giappone.

Dopo aver vissuto personalmente in Occidente, dopo aver a lungo studiato le sue teorie e letterature, Okakura vedeva coi propri occhi la ferita drammatica, nella vita culturale e mentale del Giappone, inferta dai cambiamenti successivi al venir meno del sakoku(isolamento completo del Giappone dal resto del mondo, 1633-1853).
Come lettori, si è chiamati a coltivare un approccio attento, di fronte all'esposizione dei presupposti religiosi, filosofici, psicologici del Chanoyu, e dei suoi componenti umani e materiali. Si stia in guardia, insomma, dalle troppo facili assimilazioni, ci si assuma il piacere di una lettura simile con coscienza della difficoltà, con voglia di lasciarsi toccaredall'argomento.

Non invano infatti l'autore stesso nota che i giapponesi, di fronte all'Occidente, si sono posti come studenti e studiosi attenti di paradigmi mentali così differenti dai loro (noi pensiamo, per inciso, alla scuola filosofica di Kyoto), mentre gli occidentali in Giappone si sono posti con scherno, senso di superiorità, quasi mai rispetto. Al di là del complesso discorso della situazione storica dell'estremo oriente e delle trasformazioni del Giappone moderno, cogliamo il rimprovero di Okakura, che oggi sarebbe forse ancora più aspro di fronte ad eclettismi troppo rapidi e filosofemi a buon mercato.

La chiarezza dell'esposizione, la brevità del testo, non inganni dunque un lettore alla ricerca di facili stranezze in salsa d'Oriente.
Incoraggi invece il lettore che cerca un approccio serio e consapevole al vivere giapponese.

Il libro del tè mostra i sentimenti più intimi e filosofici di un modo di pensare, comportarsi, vivere. All'interno del testo si discute del pensar-praticare del Taoismo, dello Zen, fino a parlare di Teaism (in italiano teismo), traduzione inglese dell'espressione giapponese Chadao ("cha" il termine giapponese per "té" e "dao" per "via").
Cos'è il Teismo? Ascoltiamo le parole di Okakura:

"Perchè il Teismo è l'arte di nascondere la bellezza affinchè altri la possano scoprire e di suggerire quello che non si vuole rivelare. Il Teismo è il nobile segreto di saper sorridere interiormente, quietamente e quindi è l'essenza dell'umorismo stesso, il sorriso del filosofo."

In due frasi vengono accostate due sensibilità: nella prima, un riferimento al modo di fare orientale, indiretto, allusivo; nella seconda, un dichiarato appello alla filosofia occidentale, spogliata – naturalmente – di qualunque dimensione teoretica e colta nel suo aspetto sapienziale, più che sistematico. Non si tratta di una contraddizione in Okakura, o di un sincretismo inconsapevole. Infatti, lo stesso Okakura, trattando della storia del tè, fa notare che è nel segno del tè che Oriente e Occidente hanno trovato un elemento in comune: l'amore per il tè è l'unica cosa che, all'epoca di Okakura, fosse concretamente penetrata fino al sordo Occidente. Perché sulla base di un qualcosa di condiviso non si dovrebbe riconoscere una complementarità?
Parlando del Chanoyu, Okakura era consapevole di offrire agli Occidentali la visione di un'Arte della Vita, ben diversa dall'Arte della Morte giapponese, che in Occidente era rappresentata dalla rappresentazione del samurai. Un'affermazione non del tutto corretta, sicuramente, e contestabile (l'Hagakure è anche un libro del saper vivere fino in fondo l'esistenza), ma si deve anche ricordare che Okakura era di fronte a contingenze storiche: l'imprecisione e l'eccessivo contrasto di alcune posizioni sono motivati dagli interlocutori, nonché dall'obiettivo di Okakura, che era quello di ridestare l'orgoglio per le proprie tradizioni. E, in questo caso, Okakura cerca di mostrare all'Occidente un lato del suo Paese che, con la modernizzazione del Giappone, passava brutalmente in secondo piano.
A seguito di questa difesa dell'armonia e della pace, Okakura ricorda anche che le spade, simbolo dell'anima guerriera, venivano separate dai loro padroni e lasciate fuori nell'ingresso della sala da té.

Per dischiudersi al senso del Chanoyu non possiamo che seguire, blandamente (al lettore il piacere della lettura) l'ordine di Okakura.

Riguardo alle dottrine e alla spiritualità che ha ispirato la Cerimonia del té, si parte dal Taoismo cinese, si termina allo Zen. Si segue così uno sviluppo storico, soffermandosi sugli aspetti essenziali di queste scuole, esponendo con grande fascino e semplicità l'ispirazione che le guida. Senza lo zen, non sarebbe immaginabile il chadao così come è conosciuto oggi (parleremo più avanti del suo grande riformatore del XVI secolo, che era un monaco zen appunto).
Tra le prime frasi di apertura troviamo subito la cifra che ha destato l'attenzione e gli sforzi di Okakura, riversati nell'esposizione, all'Occidente, di qualcosa come il chadao:

"La filosofia del tè non è un banale estetismo, almeno nell'accezione in cui usiamo comunemente questo termine, poiché essa ci aiuta a esprimere, insieme all'etica e alla religione, il nostro modo di vedere l'uomo e la natura".

 Il Buddhismo Ch'an (in Cina trasposizione del termine dhyana indiano), che in Giappone si traduce a sua volta in Zen, assieme al Taoismo sono le correnti che hanno tessuto lo sfondo teorico pratico al Chanoyu, che l'hanno portato a essere tale quale era ancora vivo ai tempi di Okakura. Si tratta di vere e proprie espressioni speculative capaci di plasmare ogni aspetti del reale, del quotidiano. L'attenzione alla vita di tutti i giorni era una caratteristica tanto del taoismo quando del buddhismo cinese, portatori di una forma mentis molto distante da quella del lettore moderno occidentale.
Per noi, attualmente, l'importanza di questo libro è nella possibilità di scoprire un rito così altamente codificato che incarna appieno quei movimenti che hanno scolpito il volto sorridente e sereno di un Oriente, oggi più che mai, vicino e lontano.

Seguono capitoli dedicati alla Stanza del tè, alla figura del Maestro del tè, alla sua sapienza letteraria, naturalistica. Perchè sia attraverso la sistemazione dei fiori all'interno della Stanza del tè, sia attraverso l'esposizione di una scrittura o di un dipinto nel tokonomo, il Maestro del tè suona la musica dell'arte, in modo che niente sia eccessivo, che tutto segua il corso della natura: il giardino, che conduce alla stanza, viene spazzato pochi minuti prima dell'arrivo degli ospiti e cosparso di foglie o altri elementi. La pulizia è meticolosa e intransigente, eppure l'ultimo tocco è quello che rimanda alla natura. La cultura è fortemente presente nei rotoli dipinti e negli strumenti utilizzati dal Maestro, spesso opere rare di enorme valore e pregio, verso le quali è prevista l'espressione di ammirazione secondo formule e modi formalizzati.
Il rapporto con l'ambiente e con gli oggetti è talmente profondo da essere vitale. E così come la materia passa ed è in continua trasformazione, la filosofia è quella del lasciar andare, del contemplare la caducità della vita, di ottenere una serenità che non può essere turbata. Semplicità. Purezza. Il gusto per l'istante, il singolare.

Attorno al tè si sono coagulate raffinatezza, armonia, naturalezza, per opera dello zen, che ha impregnato profondamente la saggezza di un approccio umano e non passionale:

"Si serve l'umanità umilmente, attuando con misericordia la propria presenza in questo mondo e osservando la propria fine come un petalo che cada da un fiore. Sereni, si gode la vita in beata tranquillità".

Negli spazi di un giardino, di una stanza di quattro tatami e mezzo (ogni tatami misura 182.88 cm x 91.44), in un rito che può durare fino a 4 ore, l'ospite e gli invitati partecipano a una comunione profondamente umana. Okakura presenta il Chanoyu come occasione di un contatto autentico tra le persone, anche se la cerimonia viene officiata quasi completamente in silenzio, per non disturbare l'atmosfera raccolta.

Due elementi risultano particolarmente interessanti, nell'esposizione di Okakura. Il Chanoyu viene infatti presentato, a più riprese, come occasione di superamento della divisionesociale, di fronte alla pura contemplazione della bellezza, nonchè come occasione diespressione dei gusti individuali del Maestro e dei suoi ospiti. L'attenzione al presente, ai dettagli, al concreto, infatti comporta che la scelta delle opere da mostrare, l'arredamento (scarno e mai stabile all'interno della Stanza), sia a discrezione del gusto del Maestro. Okakura critica l'ammirazione inconsapevole e ipocrita tanto di ciò che ha la patina dell'antico, quanto di ciò che è ammirato dalle maggioranze.
La Stanza viene costruita e creata dal Maestro perchè è per lui che essa esiste, al suo gusto risponde.

Riguardo alla figura del Maestro del té, viene narrata la vicenda di Sen no Rikyū, monaco zen che con la sua vita e con la sua morte fu testimonianza di quella serenità e vita nella bellezza che, secondo Okakura, il Chanoyu in generale infuse all'interno dello spirito giapponese (non a caso Rikyū fu il grande riformatore del Chanoyu).

Immagine tratta da
Hime-tachi no Sengoku
(sceneggiato)
Rikyū fu il Maestro del tè di personaggi come Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, importante ruolo che gli costò la vita.
Le cause che portarono al seppuku di Rikyū sono legate, secondo Okakura, alla fermezza con cui il Maestro del té si sarebbe opposto verbalmente ad alcune decisioni del daimyō Hideyoshi.
[Di fatto, Hideyoshi aveva unificato il Giappone e iniziato una serie di riforme culturali, nonché una guerra di invasione della Corea. Le cause dei dissidi tra i due uomini sono state indagate a fondo dagli storici, ipotizzando ora un invaghimento di Hideyoshi per la figlia di Rikyū, ora l'opposizione di quest'ultimo alla guerra coreana, ora un avvicinamento del monaco zen al clan dei Tokugawa (che nel 1600 avrebbe definitivamente unito il Giappone per poi inaugurare il sakoku). 
Un altro elemento che mise Rikyū in una posizione pericolosa, fu l'importanza che Hideyoshi attribuì alla cerimonia del té come momento di ostentazione di potere, ricchezza e raffinatezza. Infatti il daimyō promosse grandi eventi dedicati al culto dell'eleganza, patrocinò fortemente la cerimonia del té e riportò, dalle guerre in Corea, numerosi suppellettili di fattura fine, nonché molti artigiani capaci di produrne altri. 
Per dare misura dell'importanza di Hideyoshi, al lettore ricordiamo che il bellissimo Castello di Osaka fu portato a termine proprio da lui. 
Il suo interesse per l'ostentazione del potere e della ricchezza si declinò, anche, nella costruzione di una sala da tè portatile, rivestita da lamine d'oro all'esterno e garza rossa all'interno, chiamata kigame no zashiki, su modello del famoso Kinkakuji (il padiglione d'oro) di Kyoto. 
Concludiamo questo rapidissimo excursus ricordando anche che fu Hideyoshi a iniziare l'opera di riforma sociale che portò alla demilitarizzazione dei contadini e dunque all'affermazione dei samurai come unica classe in diritto di portare armi].

L'amicizia di un tempo non poté salvare Rikyū da delatori senza scrupoli, che lo accusarono di attentato contro il daimyō: partecipando a una congiura, avrebbe messo del potente veleno nella tazza destinata a Hideyoshi. Nonostante la mancanaza di prove, il sospetto e il dubbio erano più che sufficienti, per il daimyō, a decretare la condanna a morte di Rikyū.
Il Maestro del té ubbidisce al proprio signore, mostrando di essere superiore al dramma umano.

Celebra la sua ultima cerimonia, con i propri discepoli, affida loro i preziosi tesori cerimoniali. Unica eccezione, la propria tazza, bagnata dalle labbra della sventura: la rompe. Si toglie gli abiti scuri della cerimonia, resta con le vesti bianche della morte, in compagnia del discepolo più caro.
Recita la poesia:

Che tu sia la benvenuta,
Spada dell'Eternità!
Attraverso il Buddha
E attraverso il Dharma
Ti sei aperta la via. 






Tutt'oggi il libro per cui Okakura è maggiormente ricordato è proprio "Il libro del tè".
Nato nel 1862, fu non solo un intellettuale e scrittore: laureatosi all'Università imperiale di Tokyo nel 1880, fece numerosi viaggi in America e in Europa, così come ci si aspettava dagli intellettuali della sua epoca, spinti a studiare e assimilare il più possibile dall'Occidente. Dai primi viaggi tornò con la ferma convinzione della superiorità della propria cultura in quanto a raffinatezza e saper vivere.
Venne nominato a capo della Scuola d'Arte di Tokyo (Tokyo School of Fine Arts), di cui era stato tra i fondatori, ma si dimise poco dopo tempo, per protesta contro l'acritica occidentalizzazione che veniva incoraggiata. Fondò in un quartiere periferico della capitale giapponese l'Istituto d'Arte Giapponese (Nihon Bijutsuin), che catalizzò la presenza e l'attivismo di 39 artisti che difendevano un sentire giapponese da tutte le correnti che, in patria, si orientavano invece verso posizioni moderniste e filo-occidentali. Poichè l'Istituto non ebbe sovvenzioni governative, fu chiuso.
L'amarezza spinza Okakura ad andare in America, dove nel 1911 divenne Direttore della sezione cino-giapponese del Museum of fine Arts di Boston. Fu in America che pubblicò molte delle sue opere.
Nel 1913 tornò in Giappone, dove morirà nello stesso anno.
Una stanza gli è dedicata nel Tenshin Memorial Museum of Art.

Segnaliamo The Book of Tea disponibile gratuitamente online (gloria al Project Gutenberg), ovviamente in lingua inglese.


AutoreOkakura Kakuzo.
TitoloIl libro del tè.
Editore: SugarcoEdizioni (oppure per l'editore SE, "Lo zen e la cerimonia del té", edizione molto più facile da reperire, di basso prezzo e ottima qualità per introduzione, commenti e traduzione, come d'altronde tutti i testi curati dalla SE).
Pagine: 97.
Prezzo: 6,20 euro.


@ Carla Righetti, Dita di Inchiostro.

http://ditadinchiostro.blogspot.it/2012/07/la-stanza-del-te-di-gusto-impeccabile.html



Okakura Kakuzōla tradizione asiatica come antidoto alla follia della società occidentale.
Nato nel 1862 da una famiglia di samurai trasferitisi dalla provincia di Fukui a Yokohama, 
Kakuzō compì i suoi studi a Tokyo, presso l’Università Imperiale, dove si laureò nel 1880.
Nel 1886, ancora giovanissimo, fu inviato in qualità di membro della Commissione Imperiale Giapponese in Europa e in America per studiare l’arte e il movimento artistico moderno. Questo viaggio non fece che confermare la convinzione del giovane sulla fondamentale bontà della propria cultura tradizionale e sulla bruttezza della cultura occidentale moderna.
Tornato in Giappone, fu nominato direttore della Scuola d’Arte di Tokyo, dove raccolse intorno a sé un nutrito gruppo di intellettuali e artisti che cercavano di tenere in vita le antiche tradizioni culturali e di difenderle dagli attacchi delle correnti moderniste e filo – occidentali.
Infatti, nella seconda metà del 1800, il governo giapponese aveva deciso che bisognava imprimere al paese una svolta radicale che lo mettesse in grado di competere militarmente e politicamente con l’aggressivo imperialismo delle nazioni occidentali. Il mezzo per potersi difendere e rimanere in vita come nazione indipendente fu individuato in una vera e propria rivoluzione culturale che consentisse al Giappone di modernizzarsi e industrializzarsi nel minor tempo possibile.
Il Paese del Sol Levante conobbe quindi un processo di occidentalizzazione culturale e sociale che forse non ha uguali nella storia delle nazioni. Studenti giapponesi vennero inviati nelle migliori università europee per impadronirsi degli strumenti e delle tecniche più moderne della civiltà occidentale. Professori, ricercatori, scienziati americani ed europei vennero fatti affluire in Giappone per insegnare in scuole e università.
L’intera struttura sociale giapponese fu investita da questo nuovo corso, contadini e famiglie di antica nobiltà, samurai e popolo. Ma questa brusca occidentalizzazione, imposta dal governo al Giappone, creò anche delle notevoli sacche di resistenza tra coloro che rifiutavano di abbandonare la propria cultura, temendo le conseguenze di tale scelta. Un diffuso malumore nei confronti delle indicazioni del governo coinvolse esponenti di ogni ceto sociale, che diedero vita a delle sacche di resistenza che si espressero anche in una serie di rivolte di piazza che vennero però duramente represse dall’esercito. Il dissenso più duraturo fu però quello che si organizzò in campo artistico e culturale e che trovò in Okakura Kakuzō uno dei più dinamici animatori.
Ma la spinta verso l’occidentalizzazione era ormai troppo forte per essere fermata e lo stesso Kakuzō se ne accorse e diede, poco tempo dopo la sua nomina, le dimissioni da direttore della Scuola d’Arte di Tokyo, per protestare contro la politica culturale del governo.
Per poter continuare la sua battaglia, Okakura Kakuzō fondò, in un sobborgo di Tokyo, 
l’Istituto d’Arte Giapponese, con la collaborazione di trentanove artisti, per lo più giovani, che ne condividevano le idee. La vita di questa iniziativa fu però di breve durata; il governo negò qualsiasi tipo di aiuto e l’istituto dovette ben presto chiudere per mancanza di fondi.
Amareggiato dalle sue personali vicende, Kakuzō decise di visitare gli Stati Uniti e a Boston divenne prima consulente e quindi, nel 1911, direttore della sezione artistica sino-giapponese del locale Museum of Fine Arts.
Grazie a uno dei paradossi della vita, questo giapponese così legato alle tradizioni del suo paese, e così timoroso dell’invasione culturale dell’Occidente, trovò proprio negli Stati Uniti quella possibilità di studiare e approfondire la sua cultura, che la sua patria gli aveva negato
Grazie all’amicizia che lo legava a Ernest Fenollosa e ad altri intellettuali occidentali che aveva conosciuto in Giappone, l’inserimento di Okakura Kakuzō nella vita culturale americana fu denso di frutti e sicuramente più ricco di soddisfazioni di quanto non fosse stata la sua esperienza giapponese.
Durante la permanenza in America scrisse e pubblicò in inglese: The Ideals of the East (1903), The Awakening of Japan (1904) e The Book of Tea (1906) che è forse il suo libro più conosciuto. Un quarto testo, The Heart of Heaven, apparve postumo nel 1922, nove anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1913.
L’idea che animava il suo lavoro culturale e che viene espressa sia nel The Book of Tea (1906) che negli altri suoi libri, era quella di una grande tradizione asiatica concepita come unico valido antidoto alla follia della società occidentale che, con il suo imperialismo aggressivo stava per trascinare nella sua drammatica esperienza il mondo intero.
L’autore de Il Libro del Tè vedeva nell’universo delle culture tradizionali asiatiche l’unica possibilità di salvezza, l’unica risposta efficace e positiva a una visione del mondo che riteneva assai pericolosa per l’uomo e per la società. L’industrializzazione selvaggia del Giappone e dell’intero Oriente costituiva, ai suoi occhi, il massimo dell’imbarbarimento mentre riteneva che il suo paese, in particolare, stesse imboccando una strada tanto più pericolosa in quanto non sarebbe stato più possibile tornare indietro.
Paradossalmente, proprio nel suo attaccamento alle tradizioni, nella sua critica radicale alla società moderna risiede l’attualità di Okakura Kakuzō. Infatti mai come oggi, forse, può apparire evidente la bontà della sua analisi del mondo occidentale e della cultura che esso esprime. Anche se spesso in maniera ingenua, questo intellettuale giapponese aveva però intuito quanto carica di conseguenze drammatiche fosse l’ideologia della società moderna così sbilanciata verso la sfera dell’avere a discapito di quella dell’essere.
Sin dai primi anni del Novecento, Okakura Kakuzō aveva compreso come un rapporto alienato nei confronti del mondo naturale sia causa di drammi e tragedie per l’essere umano e l’ambiente in cui viveQuando parla del rapporto che il vero Maestro del Tè deve avere con la natura, l’ambiente e tutti gli esseri viventi che vi abitano, egli parla con la stessa attualissima lingua dei movimenti ecologisti che, ai nostri giorni, cercano di porre rimedio alla sistematica distruzione di questo pianeta. [...]
Written by Alberto Rossignoli

http://oubliettemagazine.com/2014/01/22/okakura-kakuzo-la-tradizione-asiatica-come-antidoto-alla-follia-della-societa-occidentale/


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