sabato 17 giugno 2017

Automobile. I primi manifesti del Novecento hanno inneggiato al nuovo mezzo di trasporto, sostitutivo di cavalli e carrozze, dopo che il motore a scoppio si è concretizzato in un congegno a disposizione dell’uomo per sfidare i limiti del tempo e dello spazio, accorciare le distanze, velocizzare i ritmi della nostra esistenza: L'ebbrezza delle grandi velocità in automobile non è che la gioia di sentirsi fusi con l'unica divinità. Gli sportsmen sono i primi catecumeni di questa religione, scrive Filippo Tommaso Marinetti in un manifesto del maggio 1916, in cui la velocità è definita la nuova religione morale.

L'automobile suicida di Dino Buzzati 2001
di Lydia Pavan

Da quando è nata e si è imposta come oggetto di consumo, di desiderio e di gratificazione sociale, non solo a livello di vip (very important person), ma anche di uomo della strada, l’automobile è diventata una presenza costante del nostro vissuto quotidiano, del contesto produttivo, finanziario, pubblicitario, massmediatico.

I primi manifesti del Novecento hanno inneggiato al nuovo mezzo di trasporto, sostitutivo di cavalli e carrozze, dopo che il motore a scoppio si è concretizzato in un congegno a disposizione dell’uomo per sfidare i limiti del tempo e dello spazio, accorciare le distanze, velocizzare i ritmi della nostra esistenza: L'ebbrezza delle grandi velocità in automobile non è che la gioia di sentirsi fusi con l'unica divinità. Gli sportsmen sono i primi catecumeni di questa religione, scrive Filippo Tommaso Marinetti in un manifesto del maggio 1916, in cui la velocità è definita la nuova religione morale.  
Per i Futuristi l’automobile è un tipico mezzo inventato dal genio dell’uomo antipassatista, ovvero futurista, che è avanguardia della modernità, per dimostrare a sé e agli altri quanto ci si può arricchire intellettualmente e materialmente pilotando un trasporto meccanico eccezionale.
L’automobile dunque, in quanto mito positivo e progressista; un mito che ancora oggi è ben presente nella scala dei valori del terzo millennio, ma che talvolta nel secolo appena trascorso ha subito ridimensionamenti ed è destinato a subirne ancora, finché si trova qualcuno che ogni tanto solleva il manto della sua carrozzeria luccicante, dei suoi ammiccanti fanali, della sua linea invitante e ne svela le potenzialità disumanizzanti, alienanti.

Proprio in base a quest’ultima considerazione, propongo la lettura di un racconto di Dino Buzzati (nato nel Bellunese nel 1906, morto a Milano nel 1972), scrittore e pittore affascinato dalle atmosfere fantastiche e surreali, ma anche molto attento alle realtà del mondo circostante, coadiuvato in ciò dal ruolo di giornalista e cronista al “Corriere della Sera”, dal 1928. Attraversando il secolo, Buzzati, come altri intellettuali (Luciano Bianciardi, Italo Calvino, Paolo Volponi, per citarne alcuni), ha avuto modo di considerare, soprattutto dall’osservatorio della città di Milano, il fenomeno del boom economico degli anni Sessanta, di rifletterci sopra, evidenziando con crudezza, amarezza, sarcasmo ed ironia i miti e le illusioni, le conseguenze e gli esiti sulla qualità della vita dell’individuo.

Tra i miti che hanno suggestionato l’uomo di quegli anni si può annoverare l’automobile, agognata non solo come comodo mezzo di trasporto, ma anche come emblema di status symbol. L’automobile è motivo centrale in diversi racconti di Buzzati, legato al tema della città e della sua nevrosi, in opposizione agli spazi elevati, come la montagna (le Dolomiti sono un motivo biografico, oltre che letterario e metaforico).

Il racconto che viene preso in considerazione fa parte della raccolta Il Colombre (1966), si intitola Suicidio al parco e narra la storia di una coppia, Stefano e Faustina, apparentemente felice nel suo ménage piccolo-borghese, finché in Stefano non insorge una terribile malattia, quella di possedere un’automobile di élite, tanto bella da attirare gli sguardi dei miliardari, da poter competere con loro, in modo da raggiungere il posto al sole costituito dai bar di moda, dagli abbronzati figli di papà, dal successo degli industrialini. Stefano ossessiona tanto Faustina con le foto pubblicitarie delle Ferrari, delle Maserati, delle Jaguar che ad un certo punto, come racconta l’amico testimone del dramma familiare, la moglie, esausta, scompare mediante una tragicomica metamorfosi: una notte, tra le braccia del marito trema, si irrigidisce, si gonfia tanto che a stento il suo corpo esce dalla porta... e si fa trovare trasformata in autovettura sul marciapiede davanti a casa, pronto oggetto a disposizione dei sogni di Stefano: un’automobile nuova e fiammeggiante, azzurra, elastica, sinuosa, tutta protesa in avanti […] una marca quasi segreta […] una diramazione della Daimler.
Il rapporto tra l’automobile e Stefano ha dei connotati sensuali: mandava dei respiri atletici e deliziosi a udirsi, Stefano stringeva voluttuosamente il cerchio del volante, accarezzava la turgida pelle della leva del cambio, il piede sull'acceleratore andava su e giù con la tenerezza di chi preme amate carni.

Ad un certo punto interviene un motivo diffuso nella narrativa di Buzzati, quella del tempo che corre a precipizio, operando inesorabilmente corrosione e deterioramento. Il tempo non risparmia la bella Faustina, perché, come gli esseri umani, anche le automobili si usurano, cominciano prima o poi a denunciare la loro età, tanto che i proprietari, insoddisfatti e non più innamorati, decidono di sostituire il vecchio amore con uno nuovo. E’ quello che decide di fare Stefano, solo che l’auto, in realtà un’auto-persona, si ribella e reagisce, mettendosi in moto da sola, correndo a zig-zag per la città ed andandosi a sfasciare contro l'antico rudere sforzesco che sorge ai limiti del Parco incendiandosi e andando distrutta (la città di riferimento è Milano).

L’articolo di giornale, che riporta il fatto con il titolo Strana fuga di un'auto, commenta che non sembrava un’auto abbandonata a se stessa, ma guidata con grande abilità e decisione dalla povera Faustina, che il marito aveva deciso di vendere per centocinquantamila lire: un marito tanto accecato dai miti imperanti dei tempi moderni da personalizzare una vettura, con la conseguenza di sacrificare l’amore per la moglie, la quale lo ricambia fondendosi con il nuovo oggetto del desiderio.

Con particolare abilità lo scrittore settentrionale (spesso confrontato, nonostante le riserve ed i distinguo, con Franz Kafka, per la tematica dell’assurdo inquietante che ci coinvolge e ci attende inaspettatamente al varco) conduce il lettore in un mondo segnato dall’ambiguità, in cui reale e fantastico si confondono, in cui angoscia della vita e angoscia della morte convivono.

Come ha detto Emilio Cecchi, che di Buzzati si è occupato in parecchi articoli, la materia prima della sua arte consiste in quel senso di mistero, d’angoscia e d’orrore immanente alla realtà, che è così compenetrato nella coscienza contemporanea. 
Lydia Pavan

Futurismo e automobile In automobile con Bontempelli 
Letteratura fantastica Sul fantastico e dintorni Dino Buzzati



21 Dicembre 2001
La Repubblica Letteraria Italiana. Letteratura e Lingua Italiana online. www.repubblicaletteraria.it

http://www.repubblicaletteraria.it/DinoBuzzati_automobile.html


https://youtu.be/AFXxl7BiPV4

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