“Della” politica come professione vive colui che cerca di trarre da essa una fonte durevole di guadagno; “per” la politica, invece, colui per il quale ciò non accade. Affinché qualcuno possa vivere “per“ la politica in questo senso economico, devono darsi alcuni presupposti se volete assai banali: egli dev’essere, in condizioni normali, economicamente indipendente rispetto ai proventi che la politica può procurargli.
Max Weber
Il potere non è altro che la capacità di predire, con la massima precisione, i comportamenti altrui.
Max Weber
Max Weber
Un esperto è una persona che sa sempre di più su sempre di meno, fino a sapere tutto di nulla.
Max Weber
Sono gli interessi (materiali e ideali), e non le idee, a dominare immediatamente l'agire dell'uomo. Ma le "concezioni del mondo", create dalle "idee", hanno spesso determinato – come chi aziona uno scambio ferroviario – i binari lungo i quali la dinamica degli interessi ha mosso tale attività.
Max Weber
Gli antichi dei, disincantati e perciò trasformati in potenze impersonali, sorgono dalle loro tombe e riprendono la lotta fra di loro aspirando a conquistare il dominio sulla vita.
Max Weber
Gli dei di una volta, perso l'incanto e assunte le sembianze di potenze impersonali, escono dai loro sepolcri, aspirano a dominare sulla nostra vita e riprendono la loro lotta eterna.
Max Weber
“Max Weber è uno dei filosofi che può spiegarci meglio il particolare sistema economico in cui viviamo, il capitalismo”, dice Alain de Botton. Per Weber il capitalismo è nato dalla morale calvinista, e quindi dalla religione. L’importanza delle idee e della cultura è quindi centrale nel suo pensiero, sia per capire il mondo che per cambiarlo.
http://www.internazionale.it/video/2016/01/08/max-weber-capitalismo
Max Weber. L'etica
protestante e lo spirito del capitalismo.
Solo in Occidente.
“I problemi della storia
universale si presenteranno, inevitabilmente, al figlio della moderna civiltà
europea sotto il seguente punto di vista, del resto giustificabile: «Per quale concatenamento
di circostanze è avvenuto che proprio sul suolo occidentale, e qui soltanto, la civiltà si è espressa con
manifestazioni, le quali - almeno secondo quanto noi amiamo immaginarci - si
sono inserite in uno svolgimento, che
ha valore e significato universale?». Solo in Occidente vi è una
«scienza» con quello sviluppo che noi
oggi riconosciamo «valido». Conoscenze empiriche, riflessioni su problemi del
cosmo e della vita, sapienza filosofica e teologica profondissime - di cui si
trovano accenni nell’Islam e in alcune sette indiane, sebbene il perfetto svolgimento di una teologia sistematica sia
particolare del Cristianesimo
influenzato dall’Ellenismo - scienza ed
osservazione di straordinaria finezza, ce ne furono anche altrove; soprattutto
in India, in Cina, in Babilonia e in Egitto. Ma all’astronomia
babilonese e ad ogni altra astronomia antica MANCA
IL FONDAMENTO MATEMATICO, che le dettero per primi gli Elleni e
la cui assenza rende ancor più stupefacente lo sviluppo del1a scienza degli
astri presso i Babilonesi. Alla geometria indiana
mancò un altro prodotto
dello spirito ellenico, la
«DIMOSTRAZIONE »,
cioè, razionale, la quale ha creato per prima la meccanica e la fisica. Alle scienze naturali indiane,
straordinariamente progredite nel senso dell’osservazione,
mancò l’ESPERIMENTO RAZIONALE,
che è, essenzialmente, un prodotto del Rinascimento dietro i tentativi
dell'antichità classica, e mancò quindi il LABORATORIO
MODERNO; la MEDICINA,
che proprio in India raggiunse un alto sviluppo empirico-tecnico, non ebbe
fondamento biologico e, specialmente, biochimico. LA
CHIMICA È IGNOTA A TUTTE LE CIVILTÀ TRANNE CHE ALL’OCCIDENTALE.
La storiografia cinese, altamente progredita, non conobbe il pragma tucididèo.
Machiavelli ha precursori in India. Ma tutta la scienza politica dell’Asia è priva di uno
schema simile a quello aristotelico e soprattutto è priva dei concetti
razionali. Per una dottrina razionale del diritto mancano altrove,
nonostante tutti i tentativi indiani (scuola di Mimamsa), nonostante le ampie
codificazioni, in particolare dell’Asia Minore, e nonostante tutti i libri
giuridici dell’India e di altri paesi, i severi schemi giuridici e la FORMA MENTALE RIGOROSAMENTE GIURIDICA DEL
DIRITTO ROMANO E DEL DIRITTO OCCIDENTALE che ne deriva. Solo l’Occidente
conosce una creazione come quella del diritto canonico.
Similmente nell’ARTE. L’orecchio musicale sembra essere stato
presso altri popoli più sottilmente sviluppato di quel che non sia oggi da noi;
in ogni caso non lo fu meno. Polifonia di diversa specie fu diffusa largamente
in tutto il mondo; ed anche il discanto si trova in altri paesi. Anche in altri
paesi si conoscono e si calcolano tutti i nostri intervalli sonori razionali.
Ma la musica armonica razionale, tanto contrappuntistica quanto armonica in
senso stretto; la struttura del materiale sonoro sulla base dei tre accordi
perfetti coll'integrazione armonica della terza; il nostro cromatismo e la
nostra armonia, espresse dal Rinascimento in poi, non quale misura di distanza
ma in forma razionalmente armonica; la nostra orchestra col quartetto ad archi
come nucleo centrale, e colla sua organizzazione dell’insieme degli strumenti a
fiato; il basso d'accompagnamento, la nostra notazione musicale (che sola rende
possibile la composizione e l’esecuzione delle opere musicali moderne, cioè la
loro durata nel tempo); le nostre suonate, sinfonie ed opere, quantunque nelle
musiche più diverse esistessero come mezzi d'espressione la musica a programma,
la musica descrittiva, l’alterazione dei toni e la modificazione, e come mezzi
per esse i nostri strumenti fondamentali, organo, piano, violino; tutto questo ci fu
soltanto in Occidente.”
MAX WEBER (1864 - 1920), “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo”
(1904 – 1905), Sansoni, Firenze 1965 (II ed., I ed. 1945), introd. di Ernesto
Sestan, trad. di Pietro Burresi, , ‘Osservazione preliminare’, pp. 63 – 65.
Max Weber. Si vive in una mescolanza di valori mortalmente nemici.
“Una considerazione non più empirica, ma interpretativa, cioè una genuina filosofia dei valori non potrebbe poi dimenticare, procedendo innanzi, che uno schema concettuale dei «valori», per quanto bene ordinato, sarebbe incapace di render conto proprio del punto cruciale della questione. Tra i valori, cioè, si tratta in ultima analisi ovunque e sempre, non già di semplici alternative, ma di una lotta mortale senza possibilità di conciliazione, come tra «dio» e il «demonio». Tra di loro non è possibile nessuna relativizzazione e nessun compromesso. Beninteso, non è possibile secondo il loro ‹senso›. Poiché, come ognuno ha provato nella vita, ve ne sono sempre di fatto, e quindi secondo l’apparenza esterna, a ogni passo. In quasi ognuna delle importanti prese di posizione particolari di uomini reali, infatti, le sfere di valori si incrociano e si intrecciano. La superficialità della «vita quotidiana», in questo senso più appropriato del termine, consiste appunto in ciò, che l’uomo il quale vive entro di essa non diventa consapevole, e neppure ‹vuole› diventarlo, di questa mescolanza di valori mortalmente nemici, condizionata in parte psicologicamente e in parte pragmaticamente; ed egli si sottrae piuttosto alla scelta tra «dio» e il «demonio», evitando di decidere quale dei valori in collisione sia dominato dall’uno, e quale invece dall’altro. Il frutto dell’albero della conoscenza, frutto inevitabile anche se molesto per la comodità umana, non consiste in nient’altro che nel dover conoscere quell’antitesi e nel dover quindi considerare che ogni importante azione singola, e anzi la vita come un tutto – se essa non deve procedere da sé come un evento naturale, bensì essere condotta consapevolmente – rappresenta una concatenazione di ultime decisioni, mediante cui l’anima (come per Platone) ‹sceglie› il suo proprio destino – e cioè il senso del suo agire e del suo essere. Non a caso il più grosso fraintendimento, a cui sempre, in ogni occasione, vanno incontro i sostenitori della collisione tra i valori, è rappresentato quindi dall’interpretazione di questo punto di vista come «relativismo» – cioè come un’intuizione della vita la quale poggia appunto sulla visione, radicalmente contrapposta, del rapporto reciproco delle sfere di valore, e può essere realizzata in maniera dotata di senso (ed in forma conseguente) soltanto sul terreno di una metafisica configurata in modo molto particolare (cioè di una metafisica «organica»).”
MAX WEBER (1864 – 1920), “Il significato dell’«avalutatività» delle scienze sociologiche e economiche”, in Id., “Scienza come vocazione e altri testi di etica e scienza sociale”, trad. tratta da “Il metodo delle scienze storico-sociali” a cura di P. Rossi, Einaudi, Torino 1958 (I ed.), cura di Pietro L. Di Giorgi, presentazione di Angelo Scivoletto, Franco Angeli, Milano 1996, Antologia 11. ‘Il conflitto tra sfere di valore’, p. 164.
“ Eine nicht empirische, sondern sinndeutende Betrachtung: eine echte Wertphilosophie also, würde ferner, darüber hinausgehend, nicht verkennen dürfen, daß ein noch so wohlgeordnetes Begriffsschema der «Werte» gerade dem entscheidendsten Punkt des Tatbestandes nicht gerecht würde. Es handelt sich nämlich zwischen den Werten letztlich überall und immer wieder nicht nur um Alternativen, sondern um unüberbrückbar tödlichen Kampf, so wie zwischen «Gott» und «Teufel». Zwischen diesen gibt es keine Relativierungen und Kompromisse. Wohlgemerkt: dem Sinn nach nicht. Denn es gibt sie, wie jedermann im Leben erfährt, der Tatsache und folglich dem äußeren Schein nach, und zwar auf Schritt und Tritt. In fast jeder einzelnen wichtigen Stellungnahme realer Menschen kreuzen und verschlingen sich ja die Wertsphären. Das Verflachende des «Alltags» in diesem eigentlichsten Sinn des Wortes besteht ja gerade darin: daß der in ihm dahinlebende Mensch sich dieser teils psychologisch, teils pragmatisch bedingten Vermengung todfeindlicher Werte nicht bewußt wird und vor allem: auch gar nicht bewußt werden will, daß er sich vielmehr der Wahl zwischen «Gott» und «Teufel» und der eigenen letzten Entscheidung darüber: welcher der kollidierenden Werte von dem Einen und welcher von dem Andern regiert werde, entzieht. Die aller menschlichen Bequemlichkeit unwillkommene, aber unvermeidliche Frucht vom Baum der Erkenntnis ist gar keine andere als eben die: um jene Gegensätze wissen und also sehen zu müssen, daß jede einzelne wichtige Handlung und daß vollends das Leben als Ganzes, wenn es nicht wie ein Naturereignis dahingleiten, sondern bewußt geführt werden soll, eine Kette letzter Entscheidungen
bedeutet, durch welche die Seele, wie bei Platon, ihr eigenes Schicksal: – den Sinn ihres Tuns und Seins heißt das – wählt. Wohl das gröblichste Mißverständnis, welches den Absichten der Vertreter der Wertkollision gelegentlich immer wieder zuteil geworden ist, enthält daher die Deutung dieses Standpunkts als «Relativismus», – als einer Lebensanschauung also, die gerade auf der radikal entgegengesetzten Ansicht vom Verhältnis der Wertsphären zueinander beruht und (in konsequenter Form) nur auf dem Boden einer sehr besonders gearteten («organischen») Metaphysik sinnvoll durchführbar ist. –ˮ
MAX WEBER, “Der Sinn der «Wertfreiheit» der soziologischen und ökonomischen Wissenschaftenˮ (Umarbeitung eines für eine interne Diskussion im Ausschuß «Vereins für Sozialpolitik» 1913 erstatteten, als Manuskript gedruckten Gutachtens. 1917 in «Logos. Internationale Zeitschrift für Philosophie der Kultur», 7, 1), in Id., “Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehreˮ, Mohr, Tübingen 1922, [S. 451 – 502], S. 469 – 470.
Max Weber. Si vive in una mescolanza di valori mortalmente nemici.
“Una considerazione non più empirica, ma interpretativa, cioè una genuina filosofia dei valori non potrebbe poi dimenticare, procedendo innanzi, che uno schema concettuale dei «valori», per quanto bene ordinato, sarebbe incapace di render conto proprio del punto cruciale della questione. Tra i valori, cioè, si tratta in ultima analisi ovunque e sempre, non già di semplici alternative, ma di una lotta mortale senza possibilità di conciliazione, come tra «dio» e il «demonio». Tra di loro non è possibile nessuna relativizzazione e nessun compromesso. Beninteso, non è possibile secondo il loro ‹senso›. Poiché, come ognuno ha provato nella vita, ve ne sono sempre di fatto, e quindi secondo l’apparenza esterna, a ogni passo. In quasi ognuna delle importanti prese di posizione particolari di uomini reali, infatti, le sfere di valori si incrociano e si intrecciano. La superficialità della «vita quotidiana», in questo senso più appropriato del termine, consiste appunto in ciò, che l’uomo il quale vive entro di essa non diventa consapevole, e neppure ‹vuole› diventarlo, di questa mescolanza di valori mortalmente nemici, condizionata in parte psicologicamente e in parte pragmaticamente; ed egli si sottrae piuttosto alla scelta tra «dio» e il «demonio», evitando di decidere quale dei valori in collisione sia dominato dall’uno, e quale invece dall’altro. Il frutto dell’albero della conoscenza, frutto inevitabile anche se molesto per la comodità umana, non consiste in nient’altro che nel dover conoscere quell’antitesi e nel dover quindi considerare che ogni importante azione singola, e anzi la vita come un tutto – se essa non deve procedere da sé come un evento naturale, bensì essere condotta consapevolmente – rappresenta una concatenazione di ultime decisioni, mediante cui l’anima (come per Platone) ‹sceglie› il suo proprio destino – e cioè il senso del suo agire e del suo essere. Non a caso il più grosso fraintendimento, a cui sempre, in ogni occasione, vanno incontro i sostenitori della collisione tra i valori, è rappresentato quindi dall’interpretazione di questo punto di vista come «relativismo» – cioè come un’intuizione della vita la quale poggia appunto sulla visione, radicalmente contrapposta, del rapporto reciproco delle sfere di valore, e può essere realizzata in maniera dotata di senso (ed in forma conseguente) soltanto sul terreno di una metafisica configurata in modo molto particolare (cioè di una metafisica «organica»).”
MAX WEBER (1864 – 1920), “Il significato dell’«avalutatività» delle scienze sociologiche e economiche”, in Id., “Scienza come vocazione e altri testi di etica e scienza sociale”, trad. tratta da “Il metodo delle scienze storico-sociali” a cura di P. Rossi, Einaudi, Torino 1958 (I ed.), cura di Pietro L. Di Giorgi, presentazione di Angelo Scivoletto, Franco Angeli, Milano 1996, Antologia 11. ‘Il conflitto tra sfere di valore’, p. 164.
“ Eine nicht empirische, sondern sinndeutende Betrachtung: eine echte Wertphilosophie also, würde ferner, darüber hinausgehend, nicht verkennen dürfen, daß ein noch so wohlgeordnetes Begriffsschema der «Werte» gerade dem entscheidendsten Punkt des Tatbestandes nicht gerecht würde. Es handelt sich nämlich zwischen den Werten letztlich überall und immer wieder nicht nur um Alternativen, sondern um unüberbrückbar tödlichen Kampf, so wie zwischen «Gott» und «Teufel». Zwischen diesen gibt es keine Relativierungen und Kompromisse. Wohlgemerkt: dem Sinn nach nicht. Denn es gibt sie, wie jedermann im Leben erfährt, der Tatsache und folglich dem äußeren Schein nach, und zwar auf Schritt und Tritt. In fast jeder einzelnen wichtigen Stellungnahme realer Menschen kreuzen und verschlingen sich ja die Wertsphären. Das Verflachende des «Alltags» in diesem eigentlichsten Sinn des Wortes besteht ja gerade darin: daß der in ihm dahinlebende Mensch sich dieser teils psychologisch, teils pragmatisch bedingten Vermengung todfeindlicher Werte nicht bewußt wird und vor allem: auch gar nicht bewußt werden will, daß er sich vielmehr der Wahl zwischen «Gott» und «Teufel» und der eigenen letzten Entscheidung darüber: welcher der kollidierenden Werte von dem Einen und welcher von dem Andern regiert werde, entzieht. Die aller menschlichen Bequemlichkeit unwillkommene, aber unvermeidliche Frucht vom Baum der Erkenntnis ist gar keine andere als eben die: um jene Gegensätze wissen und also sehen zu müssen, daß jede einzelne wichtige Handlung und daß vollends das Leben als Ganzes, wenn es nicht wie ein Naturereignis dahingleiten, sondern bewußt geführt werden soll, eine Kette letzter Entscheidungen
bedeutet, durch welche die Seele, wie bei Platon, ihr eigenes Schicksal: – den Sinn ihres Tuns und Seins heißt das – wählt. Wohl das gröblichste Mißverständnis, welches den Absichten der Vertreter der Wertkollision gelegentlich immer wieder zuteil geworden ist, enthält daher die Deutung dieses Standpunkts als «Relativismus», – als einer Lebensanschauung also, die gerade auf der radikal entgegengesetzten Ansicht vom Verhältnis der Wertsphären zueinander beruht und (in konsequenter Form) nur auf dem Boden einer sehr besonders gearteten («organischen») Metaphysik sinnvoll durchführbar ist. –ˮ
MAX WEBER, “Der Sinn der «Wertfreiheit» der soziologischen und ökonomischen Wissenschaftenˮ (Umarbeitung eines für eine interne Diskussion im Ausschuß «Vereins für Sozialpolitik» 1913 erstatteten, als Manuskript gedruckten Gutachtens. 1917 in «Logos. Internationale Zeitschrift für Philosophie der Kultur», 7, 1), in Id., “Gesammelte Aufsätze zur Wissenschaftslehreˮ, Mohr, Tübingen 1922, [S. 451 – 502], S. 469 – 470.
“
Universalgeschichtliche Probleme wird der Sohn der modernen europäischen
Kulturwelt unvermeidlicher-und berechtigterweise unter der Fragestellung
behandeln: welche Verkettung von Umständen hat dazu geführt, daß gerade auf dem
Boden des Okzidents, und nur hier, Kulturerscheinungen auftraten, welche doch –
wie wenigstens wir uns gern vorstellen – in einer Entwicklungsrichtung von
universeller Bedeutung und Gültigkeit lagen?
Nur
im Okzident gibt es «Wissenschaft» in dem Entwicklungsstadium, welches wir
heute als «gültig» anerkennen. Empirische Kenntnisse, Nachdenken über Welt- und
Lebensprobleme, philosophische und auch – obwohl die Vollentwicklung einer
systematischen Theologie dem hellenistisch beeinflußten Christentum eignet
(Ansätze nur im Islam und bei einigen indischen Sekten) – theologische
Lebensweisheit tiefster Art, Wissen und Beobachtung von außerordentlicher
Sublimierung hat es auch anderwärts, vor allem: in Indien, China, Babylon,
Aegypten, gegeben. Aber: der babylonischen und jeder anderen Astronomie fehlte
– was ja die Entwicklung namentlich der babylonischen Sternkunde nur um so
erstaunlicher macht – die mathematische Fundamentierung, die erst die Hellenen
ihr gaben. Der indischen Geometrie fehlte der rationale «Beweis»: wiederum ein
Produkt hellenischen Geistes, der auch die Mechanik und Physik zuerst
geschaffen hat. Den nach der Seite der Beobachtung überaus entwickelten
indischen Naturwissenschaften fehlte das rationale Experiment: nach antiken
Ansätzen wesentlich ein Produkt der Renaissance, und das moderne Laboratorium,
daher der namentlich in Indien empirisch-technisch hochentwickelten Medizin die
biologische und insbesondere biochemische Grundlage. Eine rationale Chemie
fehlt allen Kulturgebieten außer dem Okzident. Der hochentwickelten
chinesischen Geschichtsschreibung fehlt das thukydideische Pragma. Macchiavelli
hat Vorläufer in Indien. Aber aller asiatischen Staatslehre fehlt eine der
aristotelischen gleichartigen Systematik und die rationalen Begriffe überhaupt.
Für eine rationale Rechtslehre fehlen anderwärts trotz aller Ansätze in Indien
(Mimamsa-Schule), trotz umfassender Kodifikationen besonders in Vorderasien und
trotz aller indischen und sonstigen Rechtsbücher, die streng juristischen
Schemata und Denkformen des römischen und des daran geschulten okzidentalen
Rechtes. Ein Gebilde ferner wie das kanonische Recht kennt nur der Okzident.
Aehnlich
in der Kunst. Das musikalische Gehör war bei anderen Völkern anscheinend eher
feiner entwickelt als heute bei uns; jedenfalls nicht minder fein. Polyphonie
verschiedener Art war weithin über die Erde verbreitet, Zusammenwirken einer
Mehrheit von Instrumenten und auch das Diskantieren findet sich anderwärts.
Alle unsere rationalen Tonintervalle waren auch anderwärts berechnet und
bekannt. Aber rationale harmonische Musik: – sowohl Kontrapunktik wie
Akkordharmonik, – Bildung des Tonmaterials auf der Basis der drei Dreiklänge
mit der harmonischen Terz, unsre, nicht distanzmäßig, sondern in rationaler
Form seit der Renaissance harmonisch gedeutete Chromatik und Enharmonik, unser
Orchester mit seinem Streichquartett als Kern und der Organisation des
Ensembles der Bläser, der Generalbaß, unsre Notenschrift (die erst das
Komponieren und Ueben moderner Tonwerke, also ihre ganze Dauerexistenz
überhaupt, ermöglicht), unsre Sonaten, Symphonien, Opern, – obwohl es
Programmusik, Tonmalerei, Tonalteration und Chromatik als Ausdrucksmittel in
den verschiedensten Musiken gab, – und als Mittel zu dem alle unsre
Grundinstrumente: Orgel, Klavier, Violine: dies alles gab es nur im Okzident.”
MAX
WEBER, “Vorbemerkung zu den «Gesammelten Aufsätzen zur Religionssoziologie»” -
“Die protestantische Ethik und der Geist der Kapitalismus”, in Id., “Gesammelte
Aufsätze zur Religionssoziologie”, Mohr, Tübingen 1934, Band. 1 (3. Aufl., I
Aufl. im “Archiv für Sozialwissenschaften und Sozialpolitik”, Bd. XX, 1904 und
XXI, 1905), S. 1 - 2.
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