Karl Kraus e la Prima Guerra Mondiale
In qualunque momento tu voglia uscire di casa,
in qualsiasi luogo tu sbuchi da un portone,
ovunque tu vada o ti fermi,
il grido ti raggiunge e lì ad afferrarti,
ti tiene stretto e ti insidia
e tu sei costretto ad ascoltare
le stazioni di questa discesa negli inferi,
e sapere di volta in volta come gira il mondo.
Karl Kraus
1. K. Kraus, Worte in Versen, Frankfurt-Main, 1959, 23.
Così scrive Karl Kraus in Eeextraaausgabeeel (Eeedizionestraaordinariaa!),
la poesia in cui l'urlo deformato e deformante degli strilloni agli angoli delle strade di Vienna stigmatizza l'ossessiva presenza della stampa, la sua inarrestabile, incontenibile penetrazione nella vita quotidiana ed il generale stravolgimento e pervertimento della realtà che ne deriva.
Negli anni del primo conflitto mondiale giunge a compimento un fenomeno che era iniziato molto prima e che Kraus aveva denunciato per anni dalle pagine della sua rivista, la Fackel, che con la rossa copertina invadeva periodicamente la città: la sostituzione della carta stampata alla realtà, quel che gli aveva fatto sentenziare «Am Anfang war die Presse und dann erschien die Welt»2 («All'inizio era la Stampa e poi apparve il mondo»). Per anni Kraus, con la sua Fackel, combatte una battaglia impari, persa in partenza, denunciando senza posa le storture quotidiane, i refusi, gli errori di stampa, le più o meno palesi e consapevoli falsificazioni della realtà, indici di una cattiva coscienza che la lingua «vendica», suscitando negli scriventi, pennivendoli di mestiere o idioti appassionati, il passo falso dell'errore, il trabocchetto della svista sintattica, grammaticale e perciò metafisica. E' quel progressivo sostituirsi della sfera della Meinung politica (Opinione) a quella del Gedanke (pensiero) che prelude alla falsificazione sistematica della realtà ad opera della parola, quel che ai nostri giorni avviene attraverso la manipolazione dell'immagine. Negli anni della Guerra la Fackel -la rivista che Kraus scrive
2. Kraus, Worte in Versen, op. cit, 57.
file:///C:/Users/SIA_01/Downloads/3102-3380-1-PB.pdf
Karl Kraus, Essere uomini è uno sbaglio.
Quando mi faccio tagliare i capelli,
ho paura che il parrucchiere mi tagli vìa anche un pensiero.
Aforisma, p. 64.
GLI ULTIMI GIORNI DELL’UMANITÀ.
Ho scritto una tragedia il cui eroe soccombente è l’umanità; il cui conflitto tragico, essendo quello tra mondo e natura, finisce con la morte. Ahimè, poiché non ha altro eroe che l’umanità, questo dramma non ha nemmeno altro ascoltatore!
Karl Kraus
La libertà di pensiero ce l'abbiamo.
Adesso ci vorrebbe il pensiero.
Karl Kraus
Gli allievi mangiano ciò che i professori hanno digerito
Karl Kraus
Ha anche detto questa, cattivissima ma forse anche vera:
“La cosmetica è la scienza del cosmo della donna".
Karl Kraus
I giornali hanno con la vita all'incirca
lo stesso rapporto che hanno le cartomanti con la metafisica.
Karl Kraus
Come cominciano le guerre?
I diplomatici raccontano bugie ai giornalisti,
poi credono a quello che leggono.
Karl Kraus
Nel 1915, Kraus annunciava
«Nonostante tutto, il soldato che torna a casa non si lascerà facilmente reintegrare nella vita civile. Tenterà uno sfondamento nell’interno del suo territorio e solo lì comincerà la guerra.
Si impossesserà dei successi negatigli, e la guerra sarà stata un gioco da bambini se confrontata alla pace che si sta per scatenare».
...e le persone hanno con la realtà lo stesso rapporto che una chiromante ha con la storia
Karl Kraus
"Il compito della religione: consolare l'umanità che va al patibolo; il compito della politica: disgustare l'umanità della vita; il compito dello spirito umanitario: abbreviare all'umanità l'attesa del patibolo e al tempo stesso avvelenarle l'ultimo pasto."
Karl Kraus,1874 - 1936
Ma dove troverò mai il tempo per non leggere tante cose?
Karl Kraus
Dove asservivano la vita alla menzogna
sono stato rivoluzionario.
Dove ripetevano regole contro natura
sono stato rivoluzionario.
Ho sofferto, insieme ai vivi che soffrivano.
Dove facevano della libertà uno slogan
sono stato reazionario.
Dove offendevano l'arte con il loro mestiere
sono stato reazionario.
Sono risalito fino all'origine di tutto.
Karl Kraus
Confessiamo una buona volta a noi stessi
che da quando l'umanità ha introdotto i diritti dell'uomo,
si fa una vita da cani.
Karl Kraus, Aforismi in forma di diario
Ben venga il caos, poiché l’ordine non ha funzionato
Karl Kraus
Una delle malattie più diffuse è la diagnosi
Karl Kraus
Cultura è quella cosa che i più ricevono,
molti trasmettono e pochi hanno.
Karl Kraus
ma ciò che proprio grazie al loro abbraccio diventa bello.
Karl Kraus
Il linguaggio è la madre, non l'ancella del pensiero
Karl Kraus
Il lavoro di Sisifo è uno scherzo di fronte
alla pena di descrivere l'epoca che stiamo
vivendo partendo dall'esperienza d'ogni giorno.
Karl Kraus, La terza notte di Valpurga, p.216
Quando il sole della cultura è basso....
i nani hanno l'aspetto di giganti.
Karl Kraus
E così lui la costrinse
a fare quello che voleva lei.
Karl Kraus
Le religioni contano sul fatto che credere vuol dire non sapere niente.
«Die Fackel», 2 luglio 1907.
Una testa che non si offra in qualsiasi situazione come un capace spazio vuoto non avrà vita facile nel mondo.
Nulla di più incomprensibile dei discorsi della gente a cui il linguaggio non serve a nient'altro che a farsi capire.
E che? L'umanità istupidisce per favorire il progresso meccanico e noi non dovremmo almeno trarne vantaggio? Dovremmo dialogare con la stupidità, quando è possibile sfuggirle con un'automobile?
La politica sociale è la disperata decisione di operare i calli di un malato di cancro.
Il parlamentarismo è l'incasermamento della prostituzione politica.
Il segreto dell'agitatore è di rendersi stupido quanto i suoi ascoltatori, in modo che questi credano di essere intelligenti come lui.
Una vasta cultura è una farmacia ben fornita: ma non c'è modo di avere la sicurezza che non ci venga porto del cianuro per curare un raffreddore.
Un tempo le scene erano di cartone e gli attori erano veri.
Oggi le scene sono al di là di ogni possibile dubbio e gli attori sono di cartone.
Ci sono certi scrittori che riescono a esprimere già in venti pagine cose per cui talvolta mi ci vogliono addirittura due righe.
La prova più forte contro una teoria è la sua applicabilità.
Io e il mio pubblico ci capiamo benissimo:
lui non sente ciò che io dico e io non dico ciò che lui vorrebbe sentire.
Col passare degli anni mi sono visto diventare un ambizioso di svantaggi sociali.
Sto in agguato, fiuto, vado in caccia, appena ho la possibilità di rompere un rapporto,
di perdere una conoscenza influente. E così forse finirò per farmi una posizione!
Oggi un originale è chi ha rubato per primo.
La libertà è necessaria per arrivare alla conoscenza.
Ma poi ci troviamo rinchiusi dentro questa ancora più che nel dogma.
C'è un'idea che un giorno scatenerà la vera guerra mondiale:
che Dio non ha creato l'uomo come consumatore e produttore.
Che i viveri non sono il fine della vita.
Che lo stomaco non ha da crescere sulla testa della testa.
Che la vita non si fonda esclusivamente sul profitto.
Che l'uomo è posto nel tempo per avere tempo
e non per arrivare con le gambe da una qualche parte prima che col cuore.
Come è governato il mondo e come cominciano le guerre?
I diplomatici raccontano bugie ai giornalisti e poi credono a ciò che leggono.
Karl Kraus
È ben nota la pretesa di avere un posto al sole.
Meno noto è che il sole tramonta appena il posto è raggiunto.
Karl Kraus, Detti e contraddetti. Adelphi, 1993
Tutta l'arte mi sembra soltanto arte per l'oggi, se non è arte contro l'oggi.
Fa passare il tempo - non lo caccia via! Il vero nemico del tempo è il linguaggio.
Esso vive in una linea immediata con lo spirito indignato del proprio tempo.
Qui può nascere quella congiura che è l'arte. La compiacenza, che ruba le parole del linguaggio, è nelle grazie del tempo. L'arte può venire soltanto dal rifiuto. Solo dal grido, non dalla rassicurazione.
L'arte, chiamata a consolare, abbandona con una maledizione la stanza dove l'umanità è morta. Il suo compimento è là dove non c'è più speranza.
Karl Kraus, Detti e contraddetti - Adelphi
Quando sono per strada vedo molli imbecilli, ma resto serio.
Anzi, divento sempre più serio quanto più numerosi sono gli imbecilli che vedo.
Invece gli imbecilli sorridono,
quando mi vedono mentre camminano per strada.
E siccome tanti sono gli imbecilli che mi vedono quanti gli imbecilli che vedo io,
molti sono gli imbecilli che ridono mentre io cammino per strada.
Si fermano, pronunciano il mio nome, mi indicano con vari segni,
in modo che io non solo li noti
ma venga anche a sapere come mi chiamo e che si sta parlando di me.
Contro di ciò non posso difendermi,
perché tutto questo accade in uno Stato fondato sull'opinione che solo l'onore possa venir offeso,
e che lascia impunito un imbecille, ma punisce me se gli do dell'imbecille, in modo che cosi sappia
come sì chiama e che si sta parlando di lui."
Karl Kraus, Detti e contraddetti - Adelphi
I nemici delle vaccinazioni – anche questa è una professione – hanno detto che a Vienna non è scoppiato il vaiolo, ma un'epidemia da vaccino. Ora, anche loro sanno valutare il valore della profilassi, ma la loro prudenza è un po' esagerata: si prendono il vaiolo per proteggersi dal vaccino. (16 ottobre 1907)
Fra i massimi scrittori di questo secolo Karl Kraus è finora il meno noto, fuori dai paesi germanici, soprattutto per l’enorme difficoltà che pone la lingua di ogni sua opera. Il volume che qui si presenta contiene in traduzione, per la prima volta al mondo, un’ampia scelta da suoi testi fondamentali. Kraus nacque a Jicin, in Boemia, nel 1874, e fin dalla prima infanzia visse a Vienna, dove morì nel 1936. Dopo un brillante inizio come critico ebbe l’offerta di scrivere feuilletons, noi diremmo elzeviri, per la «Neue Freie Presse», il grande quotidiano liberale di Vienna. Rifiutò l’offerta e stabilì una cesura definitiva fra sé e la società fondando subito dopo, nel 1899, una rivista, «Die Fackel», che è un unicum sotto tutti gli aspetti. Per trentasette anni, all’inizio con pochi collaboratori, e dal 1911 in poi interamente da solo, Kraus pubblicò le più che trentamila pagine di questa rivista, dove comparve la maggior parte degli scritti che poi raccolse, ogni volta lievemente modificati, nei vari volumi delle sue opere. Sulla «Fackel» Kraus scriveva della più trascurabile notizia di cronaca come dei più gravi fatti del mondo, attaccava le grandi potenze della stampa – prima fra tutte la «Neue Freie Presse» che lo aveva corteggiato – e della politica, riconosceva la rovina incombente nella regolata vita dell’Impero absburgico, ridicolizzava false glorie letterarie, ‘recitava’ satire trascinanti sulle mostruosità quotidiane – e in particolare sullo scandaloso intervento della giustizia nella vita sessuale –, si opponeva a grandi talenti di cui coglieva l’influenza nefasta – come Reinhardt –, scopriva e difendeva grandi scrittori – come Trakl e la Lasker-Schüler –, affrontava i classici con analisi sconvolgenti – come quella distruttiva su Heine e quella esaltatrice su Nestroy –, osava dire in tempo di guerra cose che pochi altri hanno osato e che nessun altro ha saputo dire come lui, svergognava capi di polizia responsabili di assassinio e finanzieri criminali, componeva poesie seguendo intatti canoni classici e una pièce di quasi ottocento pagine, Gli ultimi giorni dell’umanità, che rivela una concezione formale di grande audacia – e Brecht se ne è servito non poco –, trattava con orecchio infallibile ogni questione di lingua, citava con arte tale da rendere superfluo il commento. Tutta questa disparata attività, di cui qui si sono dati solo gli esempi più ovvi, forma un’opera compatta: c’è come un carattere Kraus che riconosciamo in ogni sua riga – e ciò è dovuto anche alla sua esigenza fortissima, che ha anche un aspetto segretamente demoniaco, di assolutezza della persona e della parola. Fra i suoi scritti una delle zone più ricche è quella degli aforismi, pubblicati in tre raccolte fra il 1909 e il 1918, che qui si presentano in una larghissima scelta. Sono il più naturale accesso all’opera di Kraus, in quanto immettono subito nel cuore del suo pensiero e della sua arte del linguaggio – e perciò varranno anche a preparare il lettore italiano agli altri suoi scritti, la cui pubblicazione è prevista in un prossimo futuro.
Trentasette anni, dall'aprile del 1899 al febbraio del 1936. 922 numeri - spesso accorpati - scritti quasi interamente dal solo Kraus, salvo un breve periodo tra il 1910 e il novembre del 1911 durante il quale egli "tollerò" la presenza di collaboratori quali Peter Altenberg, Adolf Loos e Frank Wedekind. In totale, 25.000 pagine stampate di dimensioni 12,5 x 19 cm, una più una meno. La folle, grandiosa impresa della rivista «Die Fackel» rappresenta un caso forse unico nella storia della letteratura occidentale, non solo per mole, durata e successo, ma anche per la figura carismatica del suo autore, fumantino one man band dalla lingua dirompente. Una lingua che Kraus amava mettere in pratica anche a voce, tanto da diventare un conferenziere conteso in mezza Europa. Spesso, e malvolentieri, Kraus abbandonava Vienna per tenere discorsi a
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"Quando a Vienna, nel 1896, venne chiuso il famoso Caffè Griensteidl, Karl Kraus scrisse un articolo, ironico e appassionato, dal titolo La letteratura demolita, perché un pezzo di quest'ultima moriva con quel luogo, pubblico e insieme familiare e individuale, in cui essa era fiorita. Quel Caffè — come altri, sempre più rari — era anche letteratura, ma non solo perché frequentato da scrittori che ai suoi tavolini avevano scritto pagine memorabili o perché era stato il teatro di discussioni artistiche e aveva visto progettare, nascere e morire riviste e movimenti culturali. Il Caffè era ed è un potenziale grembo di letteratura, un terreno fecondo per la sua gestazione, perché unisce solitudine e socievolezza, quella interiorità raccolta, ma immersa nel mondo e aperta ad esso che è condizione essenziale per la scrittura e per ogni creazione.
Al Caffè — diceva un altro grande scrittore viennese, Peter Altenberg — si è soli, al proprio tavolino isolato come una zattera nel fluire delle cose, ma anche in compagnia, circondati daaltri e dal sommesso brusio dell'esistenza. Non è male non essere disturbati, ma è ancor più
importante rompere ogni tanto le ragnatele dei propri fantasmi e delle proprie parole e venire corretti e ridimensionati, in quel delirio di onnipotenza latente nella scrittura, dalla cordiale indifferenza di chi sta intorno, né troppo vicino né troppo lontano.
La civiltà letteraria dei Caffè è fiorita nei più diversi Paesi e nelle più diverse culture, da Vienna a Praga, dalla Francia al Sudamerica; in alcuni famosi Caffè di Parigi come di Buenos Aires sono nati grandi movimenti artistici e opere fondamentali. Il Caffè, si è detto, è stato la moderna agorà, la piazza greca in cui, nella quotidianità del mercato, si discuteva sulla verità e sull'opinione; il Caffè è un salutare antidoto al collettivo assembleare o all'anonimato interscambiabile della società, in cui si spengono le diversità individuali, come alle narcisistiche torri d'avorio e alla soggettività egocentrica che vede solo se stessa. Non è un teatro del sociale né dell'ipertrofia dell'io, bensì della riservatezza e della socievolezza. Per questo è stato ed è così propizio all'arte.
Anche Trieste ha avuto i suoi Caffè che fanno parte della storia del mondo, frequentati da Svevo o da Saba come da altri artisti, ma soprattutto espressione di uno stile di vita, ben più importante di ogni pagina letteraria. Ci sono ancora certi Caffè — ad esempio gli Specchi, il Tommaseo — ma di Caffè nel senso proprio, antico e non solo antico del termine, è rimasto uno solo, il San Marco (forse, ma solo in parte, lo Stella Polare). Un luogo dove si sta in pace, si legge, si scrive, si chiacchiera, si presentano libri. Un cuore della città; un cuore robusto dai battiti tranquilli. Noto in tutto il mondo, meta dei visitatori stranieri che vanno a vederlo come vanno a San Giusto, il Caffè San Marco, alcuni mesi dopo la morte del suo titolare Franco Filippi, rischia ora la chiusura o una trasformazione che sarebbe comunque una chiusura, perché lo altererebbe per farne un'altra cosa, poco importa se bar, ristorante o libreria, in cui si
comprano, ma non si leggono libri.
Il suo destino dipende dalle Assicurazioni Generali, proprietarie dei locali. Sono certo che la mitica Compagnia triestina capirà che l'utile di un Caffè — in base al quale calcolare l'affitto — non può essere immediatamente economico, bensì anche economico, ma in un senso più ampio. Un Caffè in cui si può stare ore prendendo una sola consumazione non può offrire lauti guadagni; può solo sopravvivere. Ma i grandi imprenditori hanno sempre compreso che un'impresa non solo incassa, ma anche spende, quando per incassare è necessario investire, e che ci sono investimenti la cui ricaduta sul profitto è solo indiretta, ma non per questo meno importante per un'impresa, la cui immagine concorre, alla fine, pure al profitto.
Carnegie non era un ingenuo benefattore, quando ha costruito la Carnegie Hall, spendendo una grande somma di cui non sembra essersi pentito; era appunto un grande uomo d'affari. Le sale dei Musei americani sono intitolate non agli artisti di cui espongono le opere, bensì ai magnati che hanno loro donato quelle opere e non solo per beneficenza, ma perché capivano che quella spesa era pure nel loro interesse, mentre è difficile che un taccagno restio a sborsare pochi centesimi divenga un protagonista dell'economia. Sono certo che le Assicurazioni Generali capiranno che il San Marco, anche nel loro complessivo interesse, è da sponsorizzare, per farsene un fiore all'occhiello, non da sfruttare contando i centesimi. Un altro scrittore viennese, Polgar, lavorava per ore al Caffè e, quando era stanco, usciva e andava al Caffè per distrarsi."
CLAUDIO MAGRIS,"Corriere della Sera", 29 Maggio 2013.
A Trieste le Assicurazioni Generali decidono le sorti dello storico San Marco
Gli ultimi giorni dell’umanità stanno al centro dell’opera di Karl Kraus, come il Minotauro nel labirinto. Tutti i suoi saggi, i suoi aforismi, i suoi pamphlets, le sue liriche convergono verso questo testo di teatro irrappresentabile, che accoglie in sé tutti i generi e gli stili letterari, così come la realtà di cui parla – quell’irrappresentabile evento che fu la prima guerra mondiale – racchiudeva in sé le più sottili e inedite varietà dell’orrore. Per Kraus, fin dall’inizio, la guerra fu un intreccio allucinatorio di voci, dal «quotidiano, ineludibile, orrendo grido: Edizione straordinaria!» alle chiacchiere dei capannelli, dalle dichiarazioni tronfie e ignare dei Potenti ai ‘pezzi di colore’ della stampa, sino all’inarticolato lamento delle vittime. «Non c’è una sola voce che Kraus abbia lasciato perdere, era invasato da ogni specifico accento della guerra e lo riproduceva con forza stringente», ha scritto Elias Canetti, che a Vienna ascoltò molte volte Kraus mentre leggeva in teatro scene degli Ultimi giorni. Così, mentre i più illustri scrittori del tempo, salvo rarissime eccezioni, davano una prova miserevole di sé, partecipando baldanzosi, da una parte o dall’altra, all’esaltazione bellica, Kraus fu l’unico che riuscì a catturare quell’evento immane in tutti i suoi aspetti, e nel momento stesso in cui accadeva, sulla pagina scritta: «La guerra mondiale è entrata completamente negli Ultimi giorni dell’umanità, senza consolazioni e senza riguardi, senza abbellimenti, edulcoramenti, e soprattutto, questo è il punto più importante, senza assuefazione» (Canetti). Per giungere a tanto, Kraus dovette abbandonarsi a un rovente delirio, a una perenne peregrinazione sciamanica attraverso le voci, sui mille teatri della guerra, dalle trincee ai Quartier Generali, dai luoghi di villeggiatura ai palazzi imperiali, dagli interni borghesi ai caffè. Il risultato si presenta come un imponente «masso erratico» nella letteratura del Novecento e spezza ogni categoria: prima fra tutte quella della «tragedia», a cui allude il sottotitolo con dolorosa ironia. Perché la tragedia presuppone almeno la coscienza della colpa: mentre qui centinaia di personaggi – fra i quali incontriamo i due imperatori, Francesco Giuseppe e Guglielmo II e vari Potenti maligni, ma anche una loquace giornalista e tanti di quei liberi lettori di giornali che compongono la voce delle masse – in un solo carattere concordano: una spaventosa comicità, data dalla loro comune inconsapevolezza di ciò che provocano e che subiscono, paghi come sono di trasmettersi frasi fatte e di «portare la loro pietruzza» sull’altare dove si attendono le sacre nozze fra la Stupidità e la Potenza. Come Kraus aveva già visto tutte le atrocità della guerra nella affabile vita viennese dei primi anni del Novecento, così nella prima guerra mondiale vide con perfetta chiarezza non solo il nazismo (che qui appare mirabilmente descritto prima ancora che il nome esistesse), ma gli anni in cui viviamo: l’età del massacro. Perciò a noi, come ai lettori di allora, si rivolgono le parole con cui Kraus introduceva gli Ultimi giorni: «I frequentatori dei teatri di questo mondo non saprebbero reggervi. Perché è sangue del loro sangue e sostanza della sostanza di quegli anni irreali, inconcepibili, irraggiungibili da qualsiasi vigile intelletto, inaccessibili a qualsiasi ricordo e conservati soltanto in un sogno cruento, di quegli anni in cui personaggi da operetta recitarono la tragedia dell’umanità».
Karl Kraus (1874-1936) scrisse la maggior parte del testo di Gli ultimi giorni dell’umanità durante la prima guerra mondiale e continuò a lavorarci fino al 1922, quando ne apparve l’edizione definitiva.
Abbiamo avuto infatti un nano ignorante che si credeva il padreterno, ma forse è più genio di quello che pensiamo, visto che paghiamo ancora adesso le conseguenze di vent'anni con lui al comando...e non riusciamo a togliercelo di torno!
Daniela, il nano ignorante è gemello del brano di De André: è una carogna di sicuro perché a il cuore troppo troppo vicino al buco del culo!
Di Kraus consiglio anche "La terza notte di Valpurga"
Kraus, non essendo un eroe, morì
nel 1936 per cause naturali.
Sarebbe, infatti, stato eliminato fisicamente, se nel 1933, quando lo scrisse, non avesse tenuto nel cassetto e si fosse invece attenuto al progetto iniziale, di pubblicare come un quaderno della RIVISTA VIENNESE "LA FIACCOLA" - 922 NUMERI, DAL 1899 AL 1936, scritti quasi interamente da lui - questo FEROCE ATTACCO, USCITO POSTUMO NEL 1952, AL NAZISMO; portato, sfruttando la forza della citazione:
Sarebbe, infatti, stato eliminato fisicamente, se nel 1933, quando lo scrisse, non avesse tenuto nel cassetto e si fosse invece attenuto al progetto iniziale, di pubblicare come un quaderno della RIVISTA VIENNESE "LA FIACCOLA" - 922 NUMERI, DAL 1899 AL 1936, scritti quasi interamente da lui - questo FEROCE ATTACCO, USCITO POSTUMO NEL 1952, AL NAZISMO; portato, sfruttando la forza della citazione:
"..Nella satrapia di quello
Streicher [Julius Streicher, gerarca della Franconia, ndc.] dal cui cervello è
sorta l'idea di boicottaggi [il 1° aprile 1933 fu la giornata del boicottaggio
contro gli ebrei: aziende, negozi, insegnanti, studenti e professionisti, ndc.]
più ampi, una ragazza con la testa rasata è stata condotta da sei uomini in
uniforme in tutti i locali in modo che il pubblico potesse sputarle addosso; e
il Times dice anche che le è stato appeso un cartello al collo con le trecce
tagliate sopra e le seguenti parole:
Mi sono data a un ebreo.
[citazione giornalistica]
Uomini delle Sa le stavano
attorno sul palcoscenico della balera ripetendo fra imprecazioni il testo del
cartello. La ragazza, 'magra, fragile e molto carina nonostante la testa
rasata', è stata condotta in giro davanti a tutti gli hotel internazionali.
È inciampata più di una volta ed
è stata rimessa in piedi dagli uomini delle Sa e anche sollevata in aria
affinché la potessero vedere da lontano. Intanto il pubblico la ingiuriava, e
per scherno la invitava a tenere un discorso [citazione giornalistica].
QUALCHE GIORNO DOPO HANNO
COMUNICATO CHE LA RAGAZZA ERA DIVENTATA PAZZA. TUTTO LO SPIRITO DI VENDETTA DI
UN'UMANITÀ DISONORATA DOVREBBE IMPIETRIRSI ALLA VISTA DEL FANTASMA SANGUINARIO
CHE L'ASSEDIA - DI FRONTE A QUESTA AZIONE, A QUESTO DESTINO, LO SPIRITO DI
VENDETTA DIVENTA UNA FIAMMA CHE BRUCIA!": p.176; e quella dell'aforisma:
"..SI ARRIVA AD AFFERMARE
CHE QUESTO 1933 'HA PROCLAMATO DI NUOVO UNA PARTE DEI DIRITTI UMANI'. Cosa
senza dubbio degna di credito nella misura in cui QUESTA PARTE PERMETTE
L'ANNIENTAMENTO DELL'ALTRA PARTE.": p.100; "..E' vero che si poteva
sostenere la versione che a nessun ebreo è stato torto un capello' perché
questa è l'unica forma d'azione mai realmente esercitata; mentre invece è vero
che ad alcuni è stato strappato il cuoio capelluto, e altri sono stati rapati
al fine di imprimere a fuoco il marchio nel cui segno l'idea ha vinto.":
p.106.
http://www.ventrotto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=488:karl-kraus-la-terza-notte-di-valpurga&catid=3:letteratura
Karl Kraus il dinamitardo.
Questo omino dalla testa
bellissima e dagli occhi cattivi e insicuri dietro le lenti tonde nasce in
Boemia, a Jicin, nel 1874. E' figlio d' un fabbricante di carta, ed è ebreo.
Ancora bambino viene portato a Vienna: la città che idolatrò segretamente e di
cui non poteva fare a meno, ma che fustigò con la lucida rabbia che avrebbe
messo in ogni cosa. Vorrebbe far l' attore. E fallisce clamorosamente, in
teatro. Ma ci riuscirà sul podio del conferenziere, dove SARÀ UNO SPLENDIDO,
SCATENATO E SCATENANTE SHOWMAN, LEGGENDO SHAKESPEARE, NESTROY, OFFENBACH: in
maniera tale che ancora oggi qualche vecchio superstite ne porta i segni (ad
esempio, Elias Canetti). DECIDE POI DI FARE IL GIORNALISTA. UN PO' CI PROVA
SULLE TESTATE ALTRUI, MA SICCOME NON TOLLERA MUSERUOLE, NEL 1899 FONDA UNA RIVISTA
TUTTA SUA, DIE FACKEL (LA FIACCOLA) e la porta avanti fino all' anno
della sua morte (1936). PIÙ CHE UNA RIVISTA,
È UN PENSATOIO ALLA DINAMITE, UN GIUDIZIO UNIVERSALE, UN CORSO ACCELERATO E
SENZA ESAMI DI RIPARAZIONE PER CHIUNQUE VOGLIA VEDERE E GIUDICARE CON
SPREGIUDICATA INTELLIGENZA. Per qualche anno vi collaborano firme
prestigiose (Strindberg, Wedekind, Trakl, Werfel), poi KRAUS DECIDE DI FAR
TUTTO DA SOLO, E OGNI NUMERO DELLA FACKEL DIVENTA UN' OPERA SUA, CHE LO
RAPPRESENTA SOTTO OGNI ASPETTO. CHI E CHE COSA NON ATTACCA KRAUS IN QUELLA
RIVISTA CHE A VOLTE HA LO SPESSORE DI UN VOLUME? Uomini come Stefan George e l'
ex amico Werfel, il regista Reinhardt e l' attore Moissi, Richard Strauss e il
critico Kerr, l' altro ex amico Hofmannsthal e Max Brod, il regista Piscator e
Hermann Bahr, il politico Schober e il giornalista Bekessy, contro il quale
vince un processo. Più in generale, CE L' HA COL
SIONISMO E IL FREUDISMO, LA MORALE BORGHESE E I DIFENSORI DI DREYFUS, IL GRANDE
HEINRICH HEINE E LA SUA CREATURA PIÙ ODIATA: IL GIORNALISMO, PESTE E MAGIA
NERA, PER KRAUS, DEL NOSTRO TEMPO. Quando invece si tratta di Hauptmann,
di Wedekind, di Brecht, della Lasker-Schuler, di Altenberg, Kraus si ammansisce
e fa le fusa, ammirato. Oltre alla stesura della Fackel, COMPONE UN' INFINITÀ
DI POESIE che ancora attendono una valutazione equa, e UN GRAN NUMERO DI
AFORISMI (in parte a noi noti sotto il titolo di Detti e contraddetti), di
saggi e di interventi critici. Iroso, umorale, contraddittorio, LASCIA LA
RELIGIONE EBRAICA PER FARSI CATTOLICO, PADRINO IL GRANDE ARCHITETTO ADOLF LOOS.
MA QUALCHE ANNO DOPO ABIURA LA CHIESA ROMANA PER ADORARE DIO A MODO SUO. Quanto
alle donne, ama con tutto il cuore un'attrice che muore giovanissima; poi ha
una lunga passione per una gentildonna. Anche in politica non sopporta freni,
per anni è vicino al socialismo, e attacca politici reazionari e capi della
polizia. Ma all' avanzare del nazismo sostiene il conservatore Dollfuss, in cui
ravvisa l'unica salvezza possibile. LA PRIMA GUERRA
MONDIALE È UNO SHOCK CHE LO PARALIZZA. POSSIBILE CHE, DOPO TANTO PREDICARE DI
TOLLERANZA E DI CIVILTÀ, SI TORNA AGLI SCANNAMENTI TRIBALI, PER DI PIÙ CON ARMI
E TECNOLOGIA MODERNI? Appena la morsa di gelo gli si allenta, comincia a scrivere l' opera drammatica più sterminata,
acentrica, ex lege di tutta la letteratura mondiale. Sono quegli ULTIMI GIORNI
DELL' UMANITÀ che pubblica nel 1919 e che ritiene unicamente adatti
a un teatro di Marte. Infatti, anche se il librone viene letto avidamente e
suscita scandalo, il teatro non riesce ad appropriarsene prima di Luca Ronconi
se non con qualche misero lacerto adattato alla scena. Ma è un' opera rivoluzionaria, dove la tecnica della
citazione testuale (di cui Kraus era sempre stato maestro) raggiunge il
diapason, mentre l'esigenza del bello, che abbiamo ereditato dai Greci
anche per i drammi più efferati e corali, viene del tutto ignorata più che
contraddetta, nell'INTENTO DI SOSTITUIRVI IL VERO, L'
URTANTE, LO SCANDALOSO. KRAUS AVEVA SEMPRE
PREDETTO LA DECADENZA DELL' UMANITÀ E L'APOCALISSE. Quando ne ha un
primo assaggio, durante la GUERRA 1914-18, stenta a crederci e ci mette un pò
prima di rispondere ad una così mostruosa provocazione. Col NAZISMO gli succede
lo stesso. DAPPRIMA RESTA ANNICHILITO. POI, RACCOGLIENDO MATERIALE CON FURIA
METICOLOSA, BOLLA TUTTI GLI ASPETTI DI QUELL' EMPIA BARBARIE IN UN NUMERO DELLA
DIE FACKEL CHE POTREBBE APRIRE GLI OCCHI AL MONDO. Tuttavia quel numero non
esce. Kraus teme di consegnare al carnefice troppi amici rimasti in Germania.
Perciò, facendosi giudicar male (ma a lui non importava un fico di come lo si
giudicasse) si calunnia con la celebre frase: Hitler non mi suggerisce proprio
niente. Non è vero, e lo si vedrà quando, nel 1952, quel testo verrà alla luce
col titolo LA TERZA NOTTE DI VALPURGA (ora
ne è uscita la traduzione italiana). Ma ormai, passata la sessantina, Karl
Kraus è un rottame. Gli fa da madre, più che da amica, una donna tutta
abnegazione: Helene Kann. Fatto cadere in strada da un ciclista, Kraus vegeta
ancora un pò di tempo, poi muore per attacco cardiaco il 12 luglio 1936. Ci
vorrà il crollo del nazismo e il clima nuovo del dopoguerra per rilanciarlo in
tutto il mondo, facendone quasi un classico, ma con nessun pericolo che lo si
possa fossilizzare e normalizzare. Quest' UOMO
INTELLIGENTISSIMO E PASSIONALE, CON LA VOCAZIONE DEL GIUSTIZIERE MA SPESSO
ATROCEMENTE INGIUSTO, DI ENORME CULTURA MA TUTTO IMMERSO NELL' IMMEDIATO E NEL
VITALE, ODIATORE DEL GIORNALISMO MA GIORNALISTA PRINCIPE, tutto proteso
all'effetto concreto e insieme stilista di macerata perfezione non c' è alcun
modo di adattarlo ad una norma e ad una misura, di vincolarlo ad uno stile e ad
un' ideologia, di recidergli le unghie e i denti velenosi ma adamantini. Una
volta l' ho definito DRACULA IDEALISTA.
Forse non ho avuto tutti i torti.
di ITALO A. CHIUSANO
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/12/02/karl-kraus-il-dinamitardo.html
Kraus, un gigante di genio e coraggio che con un piccolo giornale (stampato in proprio e scritto tutto da sé) smascherò vizi e ipocrisie della stampa filistea (perbenista e conformista), moralmente dormiente e politicamente asservita. “Mise all’indice coloro che mettono all’indice” (Bourdieu)
Se egli lottò tutta la vita contro la stampa, per lui responsabile delle più grandi catastrofi del secolo compresa la prima guerra mondiale, è perché ne colse per primo il potere di condizionamento sulle masse: un potere nefasto perché improntato a una morale filistea e borghese; perché, con l’uso continuo di una pubblicità palese o mascherata, operava un progressivo rincretinimento dei cervelli.
Paradossalmente, contro la stampa Karl Kraus usò la stampa, ossia la rivista Die Fackel da lui fondata, diretta e quasi interamente scritta che uscì ininterrottamente per 37 anni, dal 1899 al 1936, anno della morte dello scrittore. Implacabile accusatrice dei quotidiani viennesi e delle riviste berlinesi, dei loro direttori, della loro ignoranza, della loro disinvolta ipocrisia fino ad allora universalmente e passivamente accettata, Die Fackel rappresentò l’unico mezzo efficace per combattere «il male del secolo».
Questa è solo una delle tante apparenti contraddizioni di Karl Kraus, ebreo che odia gli ebrei, giornalista che condanna i giornalisti, nemico di Vienna che da Vienna non si staccò mai: in realtà Die Fackel più che un giornale si può definire un «antigiornale», espressione in presa diretta di un uomo eccezionalmente lucido e geniale nella sua analisi della società e del mondo.
E questo provocò tutta una serie di situazioni paradossali, come quella del «silenzio stampa» che i giornalisti di Vienna osservarono accuratamente, per rappresaglia, sulla produzione artistica di una delle personalità più importanti del loro Paese e del mondo (arrivarono addirittura ad omettere l’annuncio delle trasmissioni radiofoniche a cui Karl Kraus partecipava). L’ordine era di non nominarlo. Forse perché il terribile direttore di Die Fackel rappresentava la cattiva coscienza di Vienna…
Le inserzioni «Massaggiatrice offresi» che apparivano sulle pagine dei quotidiani di Vienna già all’inizio del nostro secolo, suscitarono sempre vivaci proteste da parte di Karl Kraus: dietro la stessa formula usata oggi si nascondevano infatti le offerte di prostitute occasionali, di omosessuali e di bordelli di lusso come quello ormai leggendario di Sachs e Riehl, frequentato addirittura da membri della famiglia imperiale. Ma Kraus non era certo mosso da sdegno puritano: considerava le giovani e graziose «massaggiatrici» creature molto più utili alla società dei vecchi e barbosi giornalisti e letterati che dominavano la scena politica e culturale del tempo. In realtà ciò che provocava la sua ira era la scoperta della palese contraddizione esistente, in uno stesso giornale, fra parte redazionale e parte pubblicitaria: nella prima si salutava con enfasi «lo snidamento di un covo di vizi» da parte della polizia — quasi fosse una vittoria militare di cui in Austria si sentiva la mancanza, osservava Kraus con sarcasmo —, nella seconda si pubblicavano, dietro compenso, inserzioni che invitavano quello stesso pubblico di lettori ad andare nei «covi del vizio».
Dalle pagine della sua rivista Kraus denunciò un sistema dotato di una capacità quasi illimitata di corrompere l’opinione pubblica; fece nomi di personaggi, dipartiti, di gruppi industriali e finanziari complici del sistema; presagì la catastrofe della guerra; avvertì gli effetti negativi del progresso che «celebra la vittoria di Pirro sulla natura»; disperse con la sua «fiaccola» la nebbia mistificatoria che avvolgeva la città; ne grattò via la splendida vernice. La Vienna asburgica appariva una città incantata, sempre in festa: città dalle smaglianti uniformi, dai colletti inamidati, dai cappelli a cilindro, ricca di caffè dove si riuniva il gruppo dello Jung-wien. Il pubblico andava in delirio per lo Zingaro barone di Johann Strauss, Gustav Mahler dirigeva l’Opera di Corte. L’imperatore, che era sul trono dal 1848, sembrava dovesse vivere in eterno, i sontuosi palazzi del Ring davano l’illusione del benessere e della sicurezza. In realtà era una città arretrata che soffocava nelle decorazioni dello Jugendstil, squassata dall’antisemitismo, in cui viveva una società in declino che Freud analizzava, che Georg Trakl cantava nei suoi versi, che Kraus smascherava.
Con la guerra la monarchia del Danubio sparì dalla carta geografica: Vienna cadde in mano a trafficanti e speculatori: all’Impero degli Asburgo si era sostituito un impero di carta, un impero editoriale dominato da Imre Bekessy, creatore di giornali scandalistici e dal «faccendiere» Castiglioni. Dopo aver usato la sua Fackel come strumento di propaganda contro la guerra che «trasforma ì mercati in campi di battaglia affinché questi possano ridiventare mercati» e contro quell’euforia bellica che aveva convertito i canti d’amore in inni sanguinari, Kraus ingaggiò una lotta senza precedenti contro gli speculatori di Vienna riuscendo ad allontanare dalla città il famigerato Bekessy. È questo uno dei pochi successi concreti ottenuti dalla rivista: nelle altre battaglie Kraus fu eternamente perdente. Le sue speranze nella Prima Repubblica in cui si doveva realizzare il sogno democratico dell’Austria fallirono di fronte a una corruzione dilagante; a nulla valse tappezzare Vienna di manifesti in cui si invitava il capo della polizia Schober, che nel ’27 aveva fatto sparare contro la folla di dimostranti provocando morti e feriti, a dimettersi: lo stesso Schober pochi anni dopo fu eletto addirittura cancelliere. Anche la socialdemocrazia con i suoi atteggiamenti pavidi deluse Kraus profondamente. Ma egli continuò a combattere con l’unica arma che aveva in dotazione: la parola. Con la parola demoliva le facciate verbali in cui la civiltà soffocava. Il suo linguaggio, unico e irripetibile, era un concentrato di verità folgoranti, a volte altamente profetiche.
La fede di Kraus nella parola è assoluta: alla forza della parola scritta si aggiungeva, nelle letture pubbliche tenute davanti ad una folla partecipe ed entusiasta, il carisma personale dello scrittore che con queste «recite» — oltre settecento — realizzava in maniera in consueta il suo antico sogno di calcare le scene e al tempo stesso sperimentava al vivo la forza di suggestione delle sue parole. Quando la parola non ha più effetto, quando non riesce più a dominare la realtà e le lotte verbali si mostrano senza senso, per un autore satirico è la fine: la fine del mondo e della civiltà, l’inizio della barbarie. Fu ciò che avvenne con l’avvento del nazismo e che Kraus visse in pieno negli ultimi anni della sua esistenza. Nel suo saggio più sconvolgente, ardente e desolato al tempo stesso, scritto a pochi mesi dalla presa di potere di Hitler, La terza notte di Valpurga, c’è tutta la disperazione di fronte alla parola resa impotente dai fatti, da una violenza che riduce l’artista al silenzio. « Tutto, tranne Hitler» è l’ultimo accorato appello che ricorre in tutto il libro che non uscì per timore di rappresaglie naziste contro gli amici tedeschi di Kraus. Allo scrittore non restò che il silenzio. Un silenzio che lo portò alla malattia e alla morte. Gli aforismi di questa raccolta sono presi direttamente dalle pagine di Die Fackel e sono inediti. Alcuni di essi sono estrapolati dal testo di un saggio o di una lunga glossa: l’operazione non apparirà arbitraria se si tiene conto del fatto che molti lavori di Karl Kraus si possono considerare vere e proprie «costellazioni» di aforismi, di battute imprevedibili e lapidarie che in poche righe illuminano la realtà del tempo, ma anche e soprattutto la natura del loro autore.
Non è possibile infatti comprendere Kraus, le sue posizioni politiche — che vanno paradossalmente dal sogno aristocratico di una«rivolta dall’alto» alle successive simpatie per il movimento operaio e infine alla lotta contro la socialdemocrazia —, le sue convinzioni religiose e soprattutto la sua concezione del mondo, senza conoscere gli aforismi che lo hanno reso famoso. Questi aforismi in forma di diario sono un piccolo assaggio delle capacità di Karl Kraus di commentare, stigmatizzandoli, i fatti di varia umanità che più di altri ci sono sembrati attuali. Nelle pagine di Die Fackel si trovano in realtà gli stessi scandali, la stessa ipocrisia, la stessa corruzione di oggi: visti con gli occhi di Kraus acquistano una nuova più profonda dimensione. Invitano a riflettere su questa nostra desolata fine del secondo millennio.
(Paola Sorge, introduzione a “Aforismi in forma di diario”, Tascabili Economici Newton, 1993)
Karl Kraus. La terza notte di Valpurga.
[…] Arguto scrittore e giornalista, direttore del giornale satirico austriaco “La fiaccola” per oltre tre decenni, AUTORE DI AFORISMI PUNGENTI DIRETTI A COLPIRE GLI UOMINI DI POTERE E I VIZI UMANI, alcuni dei quali raccolti in “ESSERE UOMINI È UNO SBAGLIO”, Karl Kraus scrisse “LA TERZA NOTTE DI VALPURGA” tra il maggio e il settembre del 1933, soli tre anni prima di morire. IL TITOLO DEL LIBRO FA RIFERIMENTO AL “FAUST” DI GOETHE, ma com’è intuibile dalle date, GLI ATROCI PROTAGONISTI DI QUESTA NARRAZIONE NON SONO IMMAGINARI DIAVOLI, BENSÌ FEROCI CRIMINALI REALMENTE ESISTITI; il libro, infatti, RIGUARDA LA PRESA DEL POTERE DA PARTE DI HITLER E DEL NAZISMO. Leggendolo, non è difficile capire perché non fu pubblicato in quegli anni, ma solo nel 1952.
L’incipit è una TERRIBILE DICHIARAZIONE D’IMPOTENZA DA PARTE DI KRAUS, consapevole che DI FRONTE A CERTI ORRORI NON SOLO È IMPENSABILE QUALSIASI TIPO DI SATIRA DIVERTITA E DIVERTENTE, ma riesce difficile anche trovare le parole, vanificate dagli eventi, da UNA “COMMOZIONE CEREBRALE EPIDEMICA” CHE HA RESO UN INTERO POPOLO ADORATORE DELLA FORZA BRUTA. “SU HITLER NON MI VIENE IN MENTE NIENTE”, DUNQUE, L’ESORDIO DISARMATO DI KRAUS, che aveva fino allora sempre castigato le istituzioni, con la sua penna mordente e piglio battagliero. LA GRANDEZZA DELL’ORRORE CHE STA MONTANDO DINANZI AI SUOI OCCHI GLI IMPEDISCE, PER ALCUNI MESI, DI SCRIVERE AFORISMI SUL TEMA, ma poi, anche stimolato da un’indegna stampa scandalistica che cercò di annettere agli ideali del regime il suo “Letteratura demolita” (risalente al 1894), proprio come farà con il pensiero di Nietzsche, Kraus reagisce e scrive questa che sarà la sua ultima opera, una LUCIDA, SARCASTICA, AMARA E TOCCANTE RIFLESSIONE SUL NAZISMO, nelle sue manifestazioni più evidenti, quali quelle degli esponenti del regime, ma anche in quelle più subdole e complici.
Sul PERCHÉ IL NAZISMO POSSA AVER ATTECCHITO IN UN’INTERA NAZIONE sono stati scritti saggi storici e filosofici, a me viene in mente “LA BANALITÀ DEL MALE” perché l’ho letto recentemente, ma questo di Kraus è un volume molto particolare, perché l’autore non è uno storico, che guarda gli eventi dalla distanza e quindi ha la pretesa di fornirci un quadro d’insieme delle genesi e dello sviluppo del nazismo, ma È UN UOMO IMMERSO NEGLI EVENTI, con UNO SGUARDO ACUTO SPECIE ALL’USO DELLE PAROLE E QUINDI AL RUOLO CHE LA MANIPOLAZIONE DELLE STESSE AVEVA NEL TRAVISARE I FATTI, NEL MANIPOLARE LE COSCIENZE, NEL FORMARE UNA CULTURA POPOLARE IMPRONTATA AGLI ORRIBILI VALORI CHE UN MANIPOLO DI CRIMINALI ERA RIUSCITO A FAR DIVENTARE QUELLI DI UN INTERO STATO. L’invettiva di Kraus SI SERVE DELLE STESSE PAROLE CHE UOMINI DI POTERE, GIORNALISTI, POETI, MAGISTRATI, GENTE COMUNE USAVANO PER GIUSTIFICARE LE LORO TREMENDE AZIONI; in tutto il libro, infatti, ci sono NUMEROSISSIME CITAZIONI, CON TANTO DI RIFERIMENTO ALLA FONTE, CHE CI DANNO I BRIVIDI ANCHE SOLO A RAPPORTARLE A ODIERNI INCITATORI DELL’ODIO, categoria purtroppo sempre presente. KRAUS HA VISSUTO I GIORNI DEL ROGO DEI LIBRI E DEL BOICOTTAGGIO AI COMMERCIANTI EBREI, SA DEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO, MA NON AVRÀ MODO, PER SUA FORTUNA, DI RENDERSI CONTO CHE DIVENTERANNO CAMPI DI STERMINIO. Leggendolo, si percepisce in maniera potente il DOLORE DI UN UOMO COSTRETTO AD ASSISTERE, PRESSOCHÉ IMPOTENTE, ALLA FOLLIA COLLETTIVA CHE HA INVASO UNA NAZIONE che, anche a causa delle colpevole sottovalutazione del resto dell’Europa, di lì a pochi anni sommergerà tutto il continente in una spirale di violenza orrenda.
Come anticipato, i bersagli delle amare ma pungenti considerazioni di Kraus sono diversi. Innanzitutto, LA STAMPA TEDESCA E QUELLA AUSTRIACA CONNIVENTE, CHE DESCRIVONO HITLER COME UN UOMO MANDATO DA DIO, osannato dai lavoratori come colui che libererà la Germania dal giogo delle potenze vincitrici della prima guerra mondiale, che FOMENTA L’ODIO SOCIALE CONTRO GLI EBREI, che SPACCIA PER “RINNOVAMENTO SPIRITUALE PUBBLICO E PRIVATO” GLI IDEALI NAZISTI, che, RICORRENDO A CITAZIONI DI POETI, SCRITTORI E FILOSOFI, AMMANTA IL TUTTO CON ESPRESSIONI GENERICHE E DOLCI QUALI “FORMAZIONE DELLA VOLONTÀ”, “UNIONE CULTURALE”, nel tentativo di nascondere le nefandezze che ci sono dietro il sogno di una grande unificazione (che poi è un’annessione) tra Austria e Germania. LA MISERA DELLA STAMPA ASSERVITA si rivela sia nel fomentare l’animo belligerante della massa, all’inizio in maniera subdola e poi sempre più esplicita, sia nel minimizzare di fronte all’opinione pubblica estera, già dormiente di suo, le violenze.
Ovviamente GOEBBELS, IL MINISTRO PER LA PROPAGANDA DEL REICH, HA UN RUOLO ENORME IN TUTTA QUESTA CAMPAGNA MISTIFICATORIA e Kraus non lesina parole al suo riguardo, ma la sua attenzione è molto viva anche per poeti, scrittori e filosofi. KRAUS RIDICOLIZZA LE POESIE E QUELLO CHE LUI DEFINISCE IL “ROMANTICISMO D’ACCIAIO”. Davvero ci sarebbe sa ridere delle ambizioni poetiche di costoro, se non fosse che quelle poesie erano pubblicate sui giornali per indorare al pubblico la pillola, con i loro MISTICI RICHIAMI A UN MONDO GERMANICO ANTICO DA RIFONDARE CON VIGORE E PARTECIPAZIONE. Circa la filosofia, poi, KRAUS RIGETTA IL MESCHINO TENTATIVO DI ANNETTERE NIETZSCHE AL NAZISMO, mentre PUNGE HEIDEGGER E LA SUA ADESIONE ALLO STESSO.
Ciò che VIENE FUORI È UNA MILITARIZZAZIONE DI TUTTA LA SOCIETÀ CIVILE, UN CULTO DELLA FORZA FISICA, UNA FOLLIA CHE ARRIVA ADDIRITTURA A COGLIERE ANCHE COLORO CHE NON SI ACCORGONO DI ESSERE LE VITTIME. Kraus si riferisce alla schiera, minoritaria ma presente, degli EBREI NAZIONALSOCIALISTI. Intanto, LA PROPAGANDA DEL REGIME, CAPOVOLGENDO LA REALTÀ, PARLA DI “PROPAGANDA DEGLI ORRORI”, NEGA CHE NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO STIA SUCCEDENDO QUALCOSA DI EPOCALE E SPACCIA GLI STESSI PER LUOGHI DI RIEDUCAZIONE PER COLORO CHE HANNO DEVIATO DALLA RETTA VIA. Kraus è maestro nel suo sarcasmo feroce e ci mostra anche come LA STAMPA, COLLUSA, MINIMIZZAVA LE PERSECUZIONI DEGLI EBREI, SPACCIANDOLE PER DISCUSSIONI TRA PRIVATI CITTADINI. Quando poi la situazione diventa più palese e l’opinione pubblica è ormai addormentata e pronta al peggio, SI COMINCIA A “SUGGERIRE” ALLE DONNE TEDESCHE DI NON ACCOPPIARSI CON UOMINI EBREI. Chi sgarra, e a quel punto ormai tutto sta degenerando, è esposto alla pubblica gogna e prenota un viaggio nell’inferno del lager. Inutile dire che TUTTO L’APPARATO DELLO STATO È CORROTTO E NEANCHE LA MAGISTRATURA PUÒ SALVAGUARDARE LE VITTIME DAL LORO INFAME DESTINO. SUL FRONTE ESTERNO, POI, LA STAMPA DEVE CREARSI UN NEMICO, spacciare la Germania per le vittime delle mire espansionistiche altrui, paventare il pericolo comunista, addirittura ribadire più volte che non c’è nessuna intenzione di invadere l’Austria, ma anzi, che la Germania si sta adoperando con tutti i mezzi per favorire una pacifica convivenza tra i due popoli fratelli, nel rispetto dei confini reciproci. L’Anschluss del 1938 dimostrerà che non era proprio così. Intanto l’Europa dorme. La penna di Kraus si scaglia anche contro il partito socialdemocratico austriaco, incapace di agire, preda delle proprie vuote ciance, ostinato in un ormai anacronistico approccio diplomatico con chi fa dell’azione violenta la sua unica parola.
“LA TERZA NOTTE DI VALPURGA” NON È UN TESTO SEMPLICE DA LEGGERE, oltre che per l’argomento, anche per i molti richiami a personaggi a noi sconosciuti (ma le note a fondo pagina colmano questa lacuna) e per lo stile in cui è scritto. I ragionamenti sarcastici e paradossali con i quali Kraus stigmatizza gli eventi e le parole cui ha dovuto assistere, spesso sono molto sottili, provocatori, e soprattutto bisogna tenere sempre presente la DISTINZIONE TRA LE PAROLE SUE E QUELLE ALTRUI CHE EGLI RIPORTA PER POTENZIARE IL PROPRIO DISCORSO, MA CHE APPARTENGONO A MISTIFICATORI DELLA REALTÀ. “KARL KRAUS AVEVA IL DONO DI CONDANNARE GLI UOMINI USANDO LE LORO STESSE PAROLE”, AFFERMAVA ELIAS CANETTI, mentre WALTER BENJAMIN DEFINIVA LE OPERE DI KRAUS UN “SILENZIO ROVESCIATO”. Questo libro andrebbe letto soprattutto da coloro contro i quali è scritto, anzi, come sottolinea la curatrice del volume, Paola Sorge, “la lettura di questo straordinario saggio di Karl Kraus pone un altro inquietante interrogativo. Se fosse stato stampato allora, nel 1933, magari in Olanda o negli Stati Uniti, se fosse stato letto dai capi di Stato e ne avesse turbato la coscienza, SE FOSSE STATO PROPAGANDATO AL PUNTO DA FAR CONOSCERE ALL’OPINIONE PUBBLICA EUROPEA E MONDIALE TUTTA LA MISERIA MORALE DI HITLER E DEI SUOI COMPLICI, MESSA PER DI PIÙ MAGISTRALMENTE IN RIDICOLO, QUESTO LIBRO AVREBBE POTUTO CAMBIARE IL CORSO DELLA STORIA?”. Domanda lecita, risposta inutile, visto che, purtroppo, la storia è andata com’è andata.
http://antoniodileta.wordpress.com/2013/12/12/la-terza-notte-di-valpurga-karl-kraus/
Luca Ronconi
GLI ULTIMI GIORNI DELL'UMANITÀ. Autore Karl Kraus
scenografo : Daniele Spisa
costumista : Gabriella Pescucci
traduzione: Ernesto Braun, Diego Carpitella
suono: Hubert Westkemper
luci: Sergio Rossi
regista collaboratore: Angelo Corti
con ( in ordine alfabetico ): Roberto Accornero, Mauro Avogadro, Francesco Benedetto, Paola Bigatto, Riccardo Bini, Francesco Biscione, Giuseppe Bisogno, Davide Bracco, Matteo Brunazzo, Simona Caramelli, Emanuele Carucci Viterbi, Martino D'Amico, Massimo De Francovich, Luca Della Bianca, Piero Di Iorio, Nicola Donalisio, Marisa Fabbri, Roberto Freddi, Patrizia Frini, Ivo Garrani, Claudia Giannotti, Filippo Gili, Anna Gualdo, Annamaria Guarnieri, Lucia Iozzi, Antonino Iuorio, Antonio Latella, Valter Malosti, Luciano Melchionna, Franco Mezzera, Carlo Montagna, Franco Olivero, Enrico Pallini, Lucia Panaro, Franco Passatore, Pino Patti, Carlo Pedron, Ulderico Pesce, Massimo Popolizio, Antonio Puntillo, Galatea Ranzi, Alvia Reale, Massimo Sarchielli, Fernando Scarpa, Edoardo Scatà, Francesco Siciliano, Massimiliano Speziani, Giuliano Tenisci, Nanni Tormen, Massimo Tradori, Lino Troisi, Massimo Verdastro, Luciano Virgilio, Gabriella Zamparini, Virgilio Zernit, Roberto Zibetti, Luca Zingaretti, Giacomo Zito, Paolo Zuccari
Produzione Teatro Stabile di Torino in collaborazione con Lingotto S.r.l.
Torino, Ex Sala Presse del Lingotto 29/11/1990
Leggi l' intervista a Luca Ronconi dal programma di sala:
http://www.lucaronconi.it/ronconi/interviste_torino/ultimi_giorni.pdf
Leggi la nota di Luca Ronconi sullo spettacolo:
http://www.lucaronconi.it/ronconi/ultime_sito/umanita009.pdf
dal "Patalogo 14" (Ubulibri, Milano, 1991)
per gentile concessione della Associazione Ubu per Franco Quadri
GLI ULTIMI GIORNI DELL'UMANITA’
Nel 1990 per la rassegna teatrale di Rai2 "Palcoscenico", Ronconi cura la riduzione per il piccolo schermo dell'allestimento de Gli ultimi giorni dell'umanità, dall'omonima opera di Karl Kraus, messo in scena al Lingotto di Torino. Uno spettacolo monstre che coinvolge 60 attori che interpretano centinaia di ruoli differenti in una sorta di enorme set chiematografico, attraversato da ottocento metri di binari su cui scorrono locomotive, auto depoca, letti d'ospedale, cannoni e persino il Ring di Vienna con i suoi caffè. La simultanietà delle azioni sceniche e la forza delle immagini, che sono il segno distintivo dello spettacolo teatrale, hanno conferito anche all'adattamento televisivo una sua specifica autonomia.)
AL TEATRO CHE ESISTE OGGI MANCA IL CARATTERE DI AVVENIMENTO. Andando a teatro noi VEDIAMO SOLO CIÒ CHE STA AVVENENDO SUL PALCOSCENICO. A me non basta. Per questo motivo HO AMATO IL TESTO DI KRAUS, PERCHÉ NON PUÒ ESSERE RAPPRESENTATO SU DI UN PALCOSCENICO. Gli occorre un rituale differente di visione e di ascolto. Proprio ciò che manca alla drammaturgia contemporanea. Così VORREI CHE GLI SPETTATORI DEGLI ULTIMI GIORNI DELL'UMANITÀ LO VEDESSERO COME UN 'TEATRO D'OPERA'; appassionandosi, chiacchierando, rincorrendo una ragazza. Cioè con l'atteggiamento di andare a vedere una cosa artistica, ma COSTITUENDO, ESSO, IL PUBBLICO, QUELL'EVENTO. Il testo di Kraus inonderà il pubblico, è l'effetto che ha dato a noi. È UN TESTO CHE VIENE ADDOSSO. Siamo abituati a filtri culturali fra noi e un testo. Questa volta non ci saranno. CI SARÀ BRUSIO, CAOS, NESSUNA DESCRIZIONE DI DECORO ASBURGICO, VIENNESE, CLIMI DA FINIS AUSTRIAE. LA PERCEZIONE DEGLI SPETTATORI DOVRÀ RACCOGLIERE IN QUEL CAOS DEI SEGNALI SEMPLICI, ELEMENTARI".
Luca Ronconi ( Tuttolibri - La Stampa - 1 dicembre 1990)
Assistere a questo spettacolo vuol dire provare al massimo grado il gusto del teatro. QUI NON SI GUARDA UNA RAPPRESENTAZIONE: LA SI VISITA, O MEGLIO, LA SÌ ATTRAVERSA. Come un evento, come una processione, una manifestazione di piazza, una mostra d'arte. QUI NON CI SONO NÉ IL COMFORT NÉ I MODI USUALI DEL TEATRO TRADIZIONALE, PLATEA DI QUA, PALCOSCENICO LÀ. Del resto il testo stesso, frammentario e centrifugo, non consentiva un allestimento classico. È UN'OPERA FIUME, DILAGANTE E MAGMATICA, DOVE NON C'È PSICOLOGIA DEI PERSONAGGI NÉ UNA DRAMMATURGIA ORGANICA. Un testo al confine tra la tragedia e l'operetta dove LA GUERRA È VISTA ATTRAVERSO LO SGUARDO DI UNA STAMPA DISSENNATA, FAZIOSA E UBRIACA DI SLOGAN E DI DELIRIO BIBLICO. I personaggi di Kraus sono quegli stessi viennesi che vivevano la guerra come un fatto estetico, 'UOMINI SENZA QUALITÀ', INETTI E CIECHI, SOLDATI IN ABITO DA SERA, DAMERINI IN ELMETTO E FUCILE. Kraus stesso, che non concesse né a Max Reinhardt né a Erwin Piscator l'autorizzazione a rappresentarlo, sosteneva l'improbabilità scenica del suo testo a causa della lunghezza spropositata: 156 ore dì rappresentazione in circa 10 giorni. Un'impresa impossibile. Ho fatto dei tagli riducendo il materiale di un terzo. E ho spezzato l'unità d'azione e di tempo. Ne sono venute fuori 'solo' 18 ore di spettacolo che la simultaneità dei vari quadri, consente di rendere in tre ore. LO SPETTATORE CHE SARÀ AL CENTRO DELL'AZIONE, PASSEGGIANDO TRA LE DIVERSE RIBALTE SCENICHE, POTRÀ TROVARSI DI VOLTA IN VOLTA SULL'ISONZO O SUL FRONTE DI GALIZIA, AL CAPEZZALE DI SOLDATI FERITI O AL CAFFÈ GREINSTEIDL, PREDILETTO DAGLI INTELLETTUALI VIENNESI, IN UNA PIAZZA VOCIFERANTE DI STRILLONI O NELLE REDAZIONI DI UN QUOTIDIANO FAZIOSO.
Luca Ronconi (Intervista di Fiona Diwan, Grazia - 29 novembre 1990)
La fabbrica ornata torna a essere fabbrica, l'edificio torna a rappresentare la sua funzione all'emergere del volto del capitalismo di guerra, con gli operai militarizzati dalla riconversione bellica. In controcampo alle scene di pedagogia patriottica che mostrano i fanciulli balzare a cavalcioni dei cannoni. La guerra diventa allora lo stadio finale, e l'elemento rivelatore, di un modo di produzione che degrada l'umanità a 'materiale umano'. E questa immagine si coniuga poi visivamente a quella delle linotype che non hanno smesso di funzionare, fabbriche anch'esse di un prodotto industriale di frasi fatte contro cui si scaglia Kraus. SE LA GUERRA È CONNESSA ALLA LINGUA, NELLA SUA CAPACITÀ DI AUTOLEGITTIMARSI, QUESTA A SUA VOLTA LO È ALLA MACCHINA. MACCHINA È DIVENTATA LA LINGUA, PRODUTTRICE DI IMMAGINI CONGELATE E TUTTE UGUALI COME LE FOTOGRAFIE DEI MORTI SENZA NOME SCATTATE A CENTINAIE DALLA CORRISPONDENTE DI GUERRA. Armi ugualmente micidiali che si rivoltano contro chi le ha create e ora ha perso il senso del loro uso. Geloso fidanzato della lingua, Kraus ce lo dice con un ghigno beffardo, una sorta di allegra irrisione.
Gianni Manzella ( Il manifesto - 2 dicembre 1990)
Le azioni si svolgono a vari livelli, su praticabili mobili, affiancati ai lati della zona rettangolare, dove è sistemato il pubblico, ma anche tra il pubblico stesso che, in piedi e deambulante, viene solcato da carrelli sospinti a mano, sui quali sono ricostruiti ambienti in miniatura o che servono, puramente e semplicemente, da tribuna per la coppia dialettica costituita dal CRITICONE (che è Kraus medesimo) e dal suo interlocutore, l'OTTIMISTA: un compendio, costui, di tutti i luoghi comuni patriottici, imperiali, bellicistici, razzisti, che, disseminati poi in innumerevoli altre voci e figure, offrono una specie di enciclopedia della stupidità nazionale e universale, da far invidia al famoso Dizionario delle idee correnti di Flaubert.
Aggeo Savioli ( L'Unità - 2 dicembre 1990)
L'OGGETTO DELL'ATTACCO È ALLORA 'LA PAROLA STAMPATA CHE HA INDOTTO UNA UMANITÀ SVUOTATA A PERPETRARE ORRORI CHE NON È PIÙ IN GRADO DI IMMAGINARE E IL TERRIBILE FLAGELLO DELLA RIPRODUZIONE LI RICONSEGNA ALLA PAROLA': IL RISULTATO È IL RIBOLLIRE DI BANALITÀ, FRASI FATTE, NONSENSI, LOCUZIONI CHE SI SVUOTANO MANGIANDOSI LA CODA, incanalate in sketch, mentre LA TRAGEDIA DIVIENE MOSTRUOSA FARSA, il vaniloquio un delirio spaventosamente presago. C'è l'avvento dei media, la guerra batteriologica, LA MERCIFICAZIONE DELL'UOMO, e una guerra che si rigenererà senza possibile salvezza nello scoppio della pace, NEI COMMENTI CICLICAMENTE RITORNANTI DEL CRITICONE, PERSONIFICAZIONE DELL'AUTORE INCARNATO MAGISTRALMENTE DA UNO STRAORDINARIO MASSIMO DE FRANCOVICH, spietato accusatore e pietoso corresponsabile, sospeso tra angoscia e sarcasmo, AL QUALE RISPONDE L'IMPECCABILE LUCIANO VIRGILIO IN VESTE DI OTTIMISTA. E C'È PRECISAMENTE DELINEATO LO SPETTRO DEL NAZISMO QUOTIDIANO NELL'INTOLLERANZA DEI FATTI E DELLE PAROLE CHE LI COLORANO.
Franco Quadri (cit.)
Una controprova che GLI ULTIMI GIORNI DELL'UMANITÀ DI RONCONI sia uno SPETTACOLO SUL TEMA DELLA FINE DELL'ETÀ INDUSTRIALE, è dato dal fatto che L'ELEMENTO VISIVO, FORTISSIMO, È SOVRASTATO DA QUELLO SONORO. ONDE DI RUMORI DISTRAGGONO LA NOSTRA ATTENZIONE. Nell'Orlamdo Furioso non era diverso: ma si correva da un'altra parte come dietro a un nuovo miraggio. OGGI SI AVVERTE IL DISAGIO: L'ATTENZIONE SI TRAMUTA IN DISTRAZIONE. E insomma: CON IL SUO TESTO (NEL QUALE IL CONTRASTO TRA IL CRITICONE E L'OTTIMISTA SULLA GRANDE GUERRA E SUI MEDIA non funziona affatto da contraltare al caos, ridotto com'è a un succedersi di contrapposti aforismi) lo stesso KRAUS PREANNUNCIA NON TANTO LA RIDUZIONE DELL'UOMO A COSA QUANTO DELLA COSA A NON-COSA. TUTTO, COSA E UOMO, SEMBRA PURO RUMORE, forse perfino musica, tutto è ormai immateriale. Le macchine, smembrate, si sono ricomposte in una Grande Macchina. Essa può diventare la 'nobile forma' (è il caso dello spettacolo di Ronconi).
Franco Cordelli ( Europeo - 21 dicembre 1990)
ANNAMARA GUARNIERI È STATA INTERPRETE GRANDISSIMA DELLA LIBIDO BELLICA CHE IMPAZZA NELLA SCHALEK QUANDO ASSALE AVIERI E SOMMERGIBILI PERCHÉ CONFESSINO EREZIONI ED EIACULAZIONI AL MOMENTO DELLO SGANCIO DELLA BOMBA O DEL LANCIO DEL SILURO: altro che la canzone dei sommergibili...E benché per lo più desiderino una licenza o addirittura la fine della guerra, anche perché soffrono di vari disturbi, FINALMENTE LEI RIESCE A ESTORCERE LA PROMESSA DI UN MOMENTO DI FOIA AERONAUTICA, PURCHÉ SI BOMBARDI PER LO MENO VENEZIA. (Ma la sua esaltazione femminista quando è la sola donna alle meravigliose colazioni all'Alto Comando, come SI TRASFORMA IN FURORE ANTIFEMMINILE NON APPENA SI APPRENDE CHE SONO IN ARRIVO ALTRE DUE CORRISPONDENTI DONNE...). Marisa Fabbri è attrice esorbitante, nella maniera ronconiana. Ma qui diventa puro Gadda, nel 'pendant' tedesco di quelle nostre massaie rurali che dopo aver donato l'oro e lo spasimo alla Patria si facevano forsennati ditalini intorno al Milite Ignoto non appena il Duce appariva al fatale balcone: ingorde di sacrari, ossari, Redipuglie... 'Pronte e spedite in gridi, a sospingere il sangue loro fraterno o filiale a la mortuaria medaglia. Barattando o figlio o fratello o marito, e propriamente la carnai persona di quelli, a tripinte fettucce, a tricolorati nastrucci, a un discolino di semil oro, o argentata festuca, o bottoncino, od altro pippolo da giuntare a camisce'... Quando si sente la Fabbri entusiasmarsi come una baccante per tutti gli spaventosi surrogati alimentari che con appropriati nomi civettuoli sostituiscono qualunque cibo naturale, o rammaricarsi come una contro-Medea che i suoi bimbi siano troppo piccini per combattere in nome del Kaiser, e nati troppo in tempo di pace per potersi chiamare Hindenburgo e Zeppelina, per chi suona la campana? Il nipote di Nonna Speranza, cosa ricorderà oltre al caffè di astragalo e ghiande, alle scarpe di sughero, alle tessiture autarchiche di fibre di ginestra misto-Lanital?....
Alberto Arbasino ( La Repubblica - 5 dicembre 1990)
Commenti.
Enrico Ghezzi (critico cinematografico): 'ATROCEMENTE BELLO. IN TV DOVREBBE ANDARE A RETI UNIFICATE'.
Furio Bordon, direttore dello Stabile del Friuli-Venezia Giulia: 'Inizialmente si rimane frastornati dai dialoghi. Poi si entra in un meccanismo straordinario, da accettare con le sue zone di incomprensione. Riuscitissimo e criticabilissimo sotto molti aspetti'.
A differenza delle soluzioni ingegnosissime quanto relativamente poco dispendiose adottate per il poema ariostesco, stavolta Ronconi s'è compiaciuto di UN RIGURGITO NEOBAROCCO ALL'INSEGNA DEL TECNICISMO, POPOLANDO IL LINGOTTO DI LOCOMOTIVE A VAPORE, VAGONI PASSEGGERI E CARRI MERCI, TRENI BLINDATI, CARRI GRU, UTILIZZANDO QUALCHE CHILOMETRO DI BINARI PER RIPRISTINARE IL VECCHIO TRONCO FERROVIARIO CHE ENTRAVA NELLA FABBRICA LEGGENDARIA. Come non bastasse, ha preteso AUTOBLINDO, BATTERIE DI CANNONI, MORTAI, OBICI, AMBULANZE, OSPEDALI DA CAMPO, AUTOMOBILI D'EPOCA, LA TORRETTA DI UN SOMMERGIBILE, IL PONTE DI COMANDO DI UNA NAVE DA GUERRA, OLTRE A UNA PROFUSIONE DI SACCHETTI DI SABBIA PER TRINCEE INTERMINABILI, NONCHÉ UN'INTERA TIPOGRAFIA PRIMO NOVECENTO CON VETUSTE MA ANCORA OPERANTI LINOTYPE, altrettante stampatrici 'piane', minirotative di antiquariato, tonnellate di pacchi di giornali, folla di redattori, inviati speciali, strilloni per ricreare l'universo giornalistico bollato a fuoco dal Criticone in cui s'incarna lo stesso autore. PER INTERPRETARE SE NON PROPRIO TUTTI ALMENO UNA GRAN PARTE DEI 500 PERSONAGGI DELL'OPERA TORRENZIALE, SONO STATI MOBILITATI 60 ATTORI, DUE DOZZINE DI FIGURANTI, 50 TECNICI, UN ESERCITO DI 'MASCHERE' incaricate di governare l'andirivieni di carrelli di ogni dimensione nello spazio centrale riservato a un pubblico itinerante rinserrato da un ligneo anello chilometrico arieggiante al Ring viennese cui si richiamano invariabilmente tutte le scene iniziali dei cinque atti originari. Sponsorizzato da Fiat, banche, enti vari, con il concorso di musei, comandi militari, Ferrovie dello Stato, lo spettacolo da Guinness dei primati è costato finora cinque miliardi, verosimilmente destinati a notevoli aumenti in sede consuntiva, sicché, considerando che sono ammessi soltanto 600 spettatori a sera per ciascuna delle venti repliche (più altre tre riservate alle riprese televisive), il costo del biglietto dovrebbe sfiorare il milione a testa, tenendo conto degli oneri molteplici che gravano sul 'borderò'. Se è vero che l'utilizzazione temporanea e precaria di un calciatore famoso può costare il doppio, e che in campo artistico si assiste impavidi a dispendi ancora maggiori di denaro pubblico, è legittimo tuttavia chiedersi se un tale coacervo di impegni è almeno approdato al porto del capolavoro.
Gastone Geron ( Il Giornale - 2 dicembre 1990)
GIORGIO PROSPERI (critico teatrale) È stata un'operazione assolutamente insensata, come la maggior parte del teatro di Ronconi. (...) L'ARTE NON HA PREZZO, QUINDI È INUTILE FARLA COSTARE QUATTRO MILIARDI. ED È UN MISTERO COME RONCONI RIESCA AD ALZARE UN MILIARDO OGNI VOLTA CHE ALZA IL SIPARIO. Non si tratta di megateatro bensì di Luna Park. L'ho sempre sostenuto, fin dall’Orlando Furioso. Vorrei che questi problemi non sorgessero nemmeno. La colpa non è solo di chi tira fuori i soldi ma di tutte le scimmie ammaestrate che dicono meraviglie del teatro di Ronconi.
http://www.lucaronconi.it/mostraronconi_scheda.asp?num=82
KARL KRAUS, L' INNAMORATO.
Lei era bella giovane aristocratica e sportiva. Lui era un intellettuale quarantenne famoso per i suoi scritti satirici, per l' impietoso sarcasmo con cui inchiodava stupidi, arroganti e disonesti quasi fossero coleotteri da collezione in un immaginario album o da esporre sottovetro in un suo personale museo degli orrori intellettuali Die Fackel "La fiaccola", la rivista che ha diretto, e scritto da solo, per trentasette anni era un repertorio illustrato della stupidità umana. Con sublime ferocia, Kraus era capace di distruggere chiunque solo citandone le parole fra virgolette. L' allegra, sventata Vienna asburgica, con i suoi estetismi e i suoi edonismi, i suoi George e i suoi Hofmannsthal, veniva maltrattata senza riguardo, nel tentativo, vano, di spiegare che tutti, senza accorgersene, stavano vivendo "gli ultimi giorni dell' umanità". Come è stato possibile che una delicata e nobile creatura come Sidonie Nadherny von Borutin fosse irresistibilmente attratta dall' "uomo più malvagio di Vienna"? Questo, più o meno, pensava Rainer Maria Rilke (che di nobildonne se ne intendeva), e infatti, in una lettera del 21 febbraio del 1914, le scriveva - erano amici - che una persona come Karl Kraus "non poteva che esserle estranea". Ma lei rispondeva indirettamente, nel diario: "Non posso farci nulla, non riesco a dimenticarlo". Non abbiamo le lettere di Sidonie, solo uno scritto successivo alla morte del suo famoso innamorato, ma abbiamo quelle di Karl Kraus (Lettere d' amore, Lucarini 1991, pagg. 114, lire 18.000, a cura di Paola Sorge). Si trattò di un amore a prima vista. Era l' 8 settembre del 1913: presentazione al Café Imperial di Vienna e corsa in macchina nella notte nel paesaggio lunare del Prater ormai deserto. Una passione immediata che andrà avanti per ventitré anni con intermittenze e tormenti. Lei lo ama ma resiste, lui la insegue e non la molla. Lei lo ferisce e lui incassa. Lui vuole il bene di lei anche quando lei fugge ciò che desidera, cioè il suo Karl. Lei si concede, ma poi sposa un altro (si tratta con sottile perfidia, del cugino che li aveva fatti incontrare, il conte Max Thun). Ma il matrimonio fra Sidonie e il conte dura pochi mesi perché - ovviamente - lei ama Karl Kraus. Il fatto è che Sidonie vive in una tenuta nei pressi di Praga, con il fratello gemello, che non vuole vedere Karl Kraus, magari perché non è nobile, è un intellettuale e per giunta ebreo. O forse solo perché è geloso. Insomma, lei lo ama, ma non riesce ad amarlo e lui l' ama con la costanza e la dedizione metafisica che metteva nel suo apocalittico "moralismo", l' ama con la determinazione con cui fustiga la società. Se il suo sadismo prende la forma letteraria dei pezzi della Fackel, il contrappeso masochista è tutto esistenziale, dedicato a Sidonie. Arriva fino a firmarsi con il nome del cane di lei. Da qualche parte doveva espiare, pagare un prezzo per la sua "cattiveria". Il boia degli imbecilli, e dei potenti per farla breve, deponeva la scure e si lasciava torturare dalla baronessa e - come da copione - la idealizzava. "La tua decisione non era, nonostante tutto, all' altezza cui il mio amore ti ha elevato, no: ma a quella cui il mio amore ti ha trovato. Ma tutto quello che fai deve essere alla tua altezza, hai capito, deve! Sii giusta verso di me". Eccolo umile ai suoi piedi: "Comprendimi ora, finalmente: io non voglio nulla per me. Sono strafelice se prendi la decisione di anteporre la tua salute all' amore". In casi come questo, viene da chiedersi se sia giusto pubblicare le lettere privatissime di un grande scrittore, se sia giusto mettere in pubblico le viscere del genio. Come ne esce Karl Kraus? Per paradossale, che possa apparire ne esce bene, perché la forza e la costanza del suo amore, alla distanza, diventano un valore in sé, il senso della sua vita intima, come la scrittura, la lingua, erano la ragione della sua vita sociale, pubblica. Ha saputo amare con la stessa forza. Quindi, nel bene e nel male, ha avuto ragione: lei, infatti, negli ultimi nove anni, gli si è dedicata senza riserve. Forse si può dire che anche l' amore per Sidonie entra a far parte dei suoi capolavori. Come testimoniano queste lettere, ha prodotto anch' essa, "oggetti scritti". Com' è Kraus scrittore privato? Le lettere degli innamorati fanno molta, di ciò che oggi si chiama "metacomunicazione". Mi è arrivato il tuo telegramma, non mi è arrivata la tua lettera, spero che arrivi, ecco arriva, sta arrivando, ecc. La scrittura è veloce, nervosa, spezzata. Ma quando si distende nelle lettere più drammatiche, lo scrittore viene fuori a propria insaputa. Sono momenti altissimi perché non c' è fra lo scrittore e la sua materia, lo schermo della letteratura, non c' è lavoro sulla lingua: c' è solo il bisogno di esprimere amore e sofferenza. Ma, almeno in questa scelta italiana, non sono moltissimi i passi di grande intensità, spesso il testo è triturato dalla quotidianità, e non dico che questo non abbia anche il suo fascino, ma c' è il problema di entrare nel codice privato dei due amanti, un codice fatto di allusioni, metafore, simboli e feticci noti solo a loro due. E tuttavia queste lettere parlano anche, qua e là, di altri scrittori (Peter Altenberg, Georg Trakl, Rainer Maria Rilke) e delle opere di Kraus (La fine del mondo a causa della magia nera. Gli ultimi giorni dell' umanità ecc.), delle sue letture pubbliche di testi propri ed altrui (letture che avevano un incredibile successo, in parte spiegabile con il fatto che aveva cominciato, da giovane, come attore), del modo di lavorare di Kraus. "Sotto l' influsso del tuo invito telegrafico", comunica all' amata, "in tre ore ho scritto quaranta pagine". E, quattro giorni dopo, "Le quaranta pagine, sono diventate già duecento". Ma una simile produttività, così intensa, era anche il frutto di una ferrea disciplina: "Non vedo quasi nessuno e lavoro dalle tre alle otto e tutta la notte". Questo scambio del giorno con la notte la dice lunga su Karl Kraus:
"E' il sano principio della vita a rovescio in un mondo che funziona a rovescio".
La notte di lavoro finiva con l' attesa del dolce tonfo della lettera di Sidonie nella cassetta della posta. Karl Kraus poteva andare a dormire contento o disperato. Erano le otto di mattina."
Repubblica-GIORGIO MANACORDA - 5 ottobre 1991
KARL KRAUS, L' INNAMORATO.
Lei era bella giovane aristocratica e sportiva. Lui era un intellettuale quarantenne famoso per i suoi scritti satirici, per l' impietoso sarcasmo con cui inchiodava stupidi, arroganti e disonesti quasi fossero coleotteri da collezione in un immaginario album o da esporre sottovetro in un suo personale museo degli orrori intellettuali Die Fackel "La fiaccola", la rivista che ha diretto, e scritto da solo, per trentasette anni era un repertorio illustrato della stupidità umana. Con sublime ferocia, Kraus era capace di distruggere chiunque solo citandone le parole fra virgolette. L' allegra, sventata Vienna asburgica, con i suoi estetismi e i suoi edonismi, i suoi George e i suoi Hofmannsthal, veniva maltrattata senza riguardo, nel tentativo, vano, di spiegare che tutti, senza accorgersene, stavano vivendo "gli ultimi giorni dell' umanità". Come è stato possibile che una delicata e nobile creatura come Sidonie Nadherny von Borutin fosse irresistibilmente attratta dall' "uomo più malvagio di Vienna"? Questo, più o meno, pensava Rainer Maria Rilke (che di nobildonne se ne intendeva), e infatti, in una lettera del 21 febbraio del 1914, le scriveva - erano amici - che una persona come Karl Kraus "non poteva che esserle estranea". Ma lei rispondeva indirettamente, nel diario: "Non posso farci nulla, non riesco a dimenticarlo". Non abbiamo le lettere di Sidonie, solo uno scritto successivo alla morte del suo famoso innamorato, ma abbiamo quelle di Karl Kraus (Lettere d' amore, Lucarini 1991, pagg. 114, lire 18.000, a cura di Paola Sorge). Si trattò di un amore a prima vista. Era l' 8 settembre del 1913: presentazione al Café Imperial di Vienna e corsa in macchina nella notte nel paesaggio lunare del Prater ormai deserto. Una passione immediata che andrà avanti per ventitré anni con intermittenze e tormenti. Lei lo ama ma resiste, lui la insegue e non la molla. Lei lo ferisce e lui incassa. Lui vuole il bene di lei anche quando lei fugge ciò che desidera, cioè il suo Karl. Lei si concede, ma poi sposa un altro (si tratta con sottile perfidia, del cugino che li aveva fatti incontrare, il conte Max Thun). Ma il matrimonio fra Sidonie e il conte dura pochi mesi perché - ovviamente - lei ama Karl Kraus. Il fatto è che Sidonie vive in una tenuta nei pressi di Praga, con il fratello gemello, che non vuole vedere Karl Kraus, magari perché non è nobile, è un intellettuale e per giunta ebreo. O forse solo perché è geloso. Insomma, lei lo ama, ma non riesce ad amarlo e lui l' ama con la costanza e la dedizione metafisica che metteva nel suo apocalittico "moralismo", l' ama con la determinazione con cui fustiga la società. Se il suo sadismo prende la forma letteraria dei pezzi della Fackel, il contrappeso masochista è tutto esistenziale, dedicato a Sidonie. Arriva fino a firmarsi con il nome del cane di lei. Da qualche parte doveva espiare, pagare un prezzo per la sua "cattiveria". Il boia degli imbecilli, e dei potenti per farla breve, deponeva la scure e si lasciava torturare dalla baronessa e - come da copione - la idealizzava. "La tua decisione non era, nonostante tutto, all' altezza cui il mio amore ti ha elevato, no: ma a quella cui il mio amore ti ha trovato. Ma tutto quello che fai deve essere alla tua altezza, hai capito, deve! Sii giusta verso di me". Eccolo umile ai suoi piedi: "Comprendimi ora, finalmente: io non voglio nulla per me. Sono strafelice se prendi la decisione di anteporre la tua salute all' amore". In casi come questo, viene da chiedersi se sia giusto pubblicare le lettere privatissime di un grande scrittore, se sia giusto mettere in pubblico le viscere del genio. Come ne esce Karl Kraus? Per paradossale, che possa apparire ne esce bene, perché la forza e la costanza del suo amore, alla distanza, diventano un valore in sé, il senso della sua vita intima, come la scrittura, la lingua, erano la ragione della sua vita sociale, pubblica. Ha saputo amare con la stessa forza. Quindi, nel bene e nel male, ha avuto ragione: lei, infatti, negli ultimi nove anni, gli si è dedicata senza riserve. Forse si può dire che anche l' amore per Sidonie entra a far parte dei suoi capolavori. Come testimoniano queste lettere, ha prodotto anch' essa, "oggetti scritti". Com' è Kraus scrittore privato? Le lettere degli innamorati fanno molta, di ciò che oggi si chiama "metacomunicazione". Mi è arrivato il tuo telegramma, non mi è arrivata la tua lettera, spero che arrivi, ecco arriva, sta arrivando, ecc. La scrittura è veloce, nervosa, spezzata. Ma quando si distende nelle lettere più drammatiche, lo scrittore viene fuori a propria insaputa. Sono momenti altissimi perché non c' è fra lo scrittore e la sua materia, lo schermo della letteratura, non c' è lavoro sulla lingua: c' è solo il bisogno di esprimere amore e sofferenza. Ma, almeno in questa scelta italiana, non sono moltissimi i passi di grande intensità, spesso il testo è triturato dalla quotidianità, e non dico che questo non abbia anche il suo fascino, ma c' è il problema di entrare nel codice privato dei due amanti, un codice fatto di allusioni, metafore, simboli e feticci noti solo a loro due. E tuttavia queste lettere parlano anche, qua e là, di altri scrittori (Peter Altenberg, Georg Trakl, Rainer Maria Rilke) e delle opere di Kraus (La fine del mondo a causa della magia nera. Gli ultimi giorni dell' umanità ecc.), delle sue letture pubbliche di testi propri ed altrui (letture che avevano un incredibile successo, in parte spiegabile con il fatto che aveva cominciato, da giovane, come attore), del modo di lavorare di Kraus. "Sotto l' influsso del tuo invito telegrafico", comunica all' amata, "in tre ore ho scritto quaranta pagine". E, quattro giorni dopo, "Le quaranta pagine, sono diventate già duecento". Ma una simile produttività, così intensa, era anche il frutto di una ferrea disciplina: "Non vedo quasi nessuno e lavoro dalle tre alle otto e tutta la notte". Questo scambio del giorno con la notte la dice lunga su Karl Kraus:
"E' il sano principio della vita a rovescio in un mondo che funziona a rovescio".
La notte di lavoro finiva con l' attesa del dolce tonfo della lettera di Sidonie nella cassetta della posta. Karl Kraus poteva andare a dormire contento o disperato. Erano le otto di mattina."
Repubblica-GIORGIO MANACORDA - 5 ottobre 1991
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