IL NOUMENO KANTIANO: DA PLATONE A SCHOPENHAUER
Con il termine “noumeno” si vuole indicare qualcosa che viene pensata, una specie intellegibile, un’idea. Il termine deriva dal greco “νοούμενoν “, [noumènon], participio presente di forma passiva del verbo “noein”, ( percepire con la mente, pensare) ed indica quindi ciò che è frutto della nostra elaborazione intellettiva, qualcosa che viene pensata.
Il primo ad utilizzare questo vocabolo è Platone; egli vuole indicare una specie intellegibile. Il noumeno, infatti, indica tutto ciò che non può essere soggetto a percezione nella sfera del tangibile, ma a cui si può arrivare solamente in seguito a ragionamento. Questo concetto è alla base della “metafisica” di Platone, la parte di filosofia che si occupa degli aspetti costituenti un fondamento per la realtà, che vanno oltre gli elementi dell’esperienza dei sensi.
Questo termine viene poi ripreso, anche se in chiave diversa, da Immanuel Kant, che ne parla nella Critica della Ragion Pura. Per il filosofo del XVIII secolo, l’ambito della conoscenza umana è limitato al fenomeno, (ovvero l’apparenza sensibile), dal momento che, la cosa in sé non può divenire oggetto di un’esperienza possibile.
Nella filosofia kantiana non vi è però una totale sovrapposizione fra “noumeno” e “cosa in sé”.
Il primo indica una rappresentazione della ragione, risiedente nella mente umana; il pensiero cerca, infatti, di trascendere la capacità di conoscere. Nel caso della “ Ding an sich”, (cosa in sé), è un riferimento del noumeno: è la realtà esterna al soggetto.
Nella globale visione legata a questo termine, di origine classica, si può attribuire allo stesso un’ambivalenza di significato. Dal punto di vista negativo, lo si vede come il concetto di un’incognita, che non potrà mai entrare in un rapporto di conoscenza con noi stessi e che si limiterà, di conseguenza, ad essere semplice intuizione. Positivamente si vede il noumeno kantiano, come “ oggetto di un’intuizione non sensibile”, cioè di una conoscenza propria di un intelletto divino, dotato di un’intuizione superiore alla nostra; questa conoscenza è, infatti, preclusa all’uomo.
Nella teoria del filosofo di Konigsberg grazie all’esperienza dei sensi, possiamo raccogliere i dati relativi alla nostra sfera visiva e possiamo, dunque, con l’aiuto dell’intelletto, rielaborarli sotto forma di giudizi, non avendo però, la possibilità di andare oltre l’esperienza (qui si radica il concetto di noumeno). Possibile è pensare solo le cose in sé; per esempio, le idee di “anima” e “Dio” non sono dimostrabili se non in campo metafisico.
Il concetto di noumeno verrà ripreso dopo Kant da Arthur Schopenhauer, per il quale, la rappresentazione non è costruita con le forme a priori, ma le precede, ponendosi, come fenomeno originario, dal quale si delineano spazio, tempo e causalità. Per il filosofo di Danzica, al “fenomeno” è assegnato il significato di rappresentazione, mentre alla “Ding an sich” quello di volontà, a cui si accede attraverso il corpo.
Il discorso legato al noumeno, è insomma da secoli alla base degli interrogativi umani: esiste o no la sfera dell’intellegibile puro, non influenzato dalla realtà esterna o dai sensi? L’uomo è dotato di intuizione sentimentale?
A questi, molti, da Platone a Kant, hanno tentato di dare risposta, anche se poco chiaro è il sottile confine tra lo scibile assoluto, puro, privo di condizionamenti esterni e il sapere, colmo di legami con l’esperienza e con la sfera sensoriale.
Forse il noumeno non esiste, o forse, l’eccessiva influenza da parte della sfera sensoriale ce ne impedisce la ricerca; di certo però, questo è un dubbio che perdurerà ancora a lungo nell’uomo e che senza freni, quest’ultimo vorrà di sicuro provare a sciogliere.
Paolo Cammarota
https://nautilussperimentale.wordpress.com/2013/11/09/il-noumeno-kantiano-da-platone-a-schopenhauer/
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