8 luglio 1593.
Nasce a Roma Artemisia Gentileschi, pittrice, una degli artisti più importanti del suo tempo.
Formatasi nella bottega del padre Orazio, a 15 anni fu violentata da un amico di famiglia, il pittore Agostino Tassi, che aveva il doppio dei suoi anni. Ma il padre intentò causa contro di lui per stupro e durante il processo Artemisia dovette sottoporsi allo schiacciamento delle dita per provare quanto sosteneva.
«Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch'io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l'altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne »
(Eva Menzio (a cura di), Artemisia Gentileschi, Lettere precedute da Atti di un processo di stupro, Milano, 2004)
ARTEMISIA GENTILESCHI
« … che qui non v’è nulla di sadico, che anzi ciò che sorprende è l’impassibilità ferina di chi ha dipinto tutto questo ed è persino riescita a riscontrare che il sangue sprizzando con violenza può ornare di due bordi di gocciole a volo lo zampillo centrale! Incredibile vi dico! Eppoi date per carità alla Signora Schiattesi – questo è il nome coniugale di Artemisia – il tempo di scegliere l’elsa dello spadone che deve servire alla bisogna! Infine non vi pare che l’unico moto di Giuditta sia quello di scostarsi al possibile perché il sangue non le brutti il completo novissimo di seta gialla? Pensiamo ad ogni modo che si tratta di un abito di casa Gentileschi, il più fine guardaroba di sete del ‘600 europeo, dopo Van Dyck.»
(Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia, 1916)
[...] Basti pensare che, essendo una donna, la Gentileschi era impossibilitata dal padre a interrogare il ricchissimo patrimonio artistico romano e fu costretta a rimanere tra le mura domestiche e, anzi, le veniva spesso rimproverato di non dedicarsi alle attività domestiche, attese dalla quasi totalità delle ragazze del tempo. Nonostante ciò, la Gentileschi diede brillantemente prova della sua indole fiera e risoluta e seppe far fruttare il proprio versatile talento, riscuotendo in breve tempo un successo immediato e di altissimo prestigio. Questi «successi e riconoscimenti» osservano, infine, i critici Giorgio Cricco e Francesco Di Teodoro «proprio in quanto donna, le costarono molta più fatica di quanta ne sarebbe stata necessaria a un pittore maschio».
L'iniziale fortuna critica della Gentileschi fu fortemente allacciata anche alle vicende umane della pittrice, vittima - com'è tristemente noto - di un efferato stupro perpetrato da Agostino Tassi nel 1611. Questo fu indubbiamente un evento che lasciò un'impronta profonda nella vita e nell'arte della Gentileschi, la quale - animata da vergognosi rimorsi e da una profonda quanto ossessiva inquietudine creativa - arrivò a trasporre sulla tela le conseguenze psicologiche della violenza subita. Molto spesso, infatti, la pittrice si rivolse all'edificante tema delle eroine bibliche, quali Giuditta, Giaele, Betsabea o Ester, che - incuranti del pericolo e animate da un desiderio turbato e vendicativo - trionfano sul crudele nemico e, in un certo senso, affermano il proprio diritto all'interno della società. In questo modo Artemisia è divenuta già poco dopo la morte una sorta di femminista ante litteram, perennemente in guerra con l'altro sesso e capace di incarnare sublimemente il desiderio delle donne di affermarsi nella società. [...]
A Roma pochi mesi fa c'è stata una mostra molto ricca dell'Artemisia. Forse non tutti sanno che da bambina assistette assieme al padre (era presente anche Caravaggio) alla efferata esecuzione di Beatrice Cenci, del fratello e la matrigna Lucrezia. Questo evento impressionò molto la giovane che realisticamente ritrasse Giuditta e Salomè, con le teste sanguinanti di Oloferne e s. Giovanni. Per quanto concerne la violenza subita, A. andò incontro ad un processo molto raro per l'epoca, rischiò di non poter più dipingere in quanto fu sottoposta ad una tortura alle mani (per sapere se diceva la verità). Agostino ebbe come punizione l'esilio in un'altra città d'Italia
Grande ed eroica, per quei tempi...
Esperienza assai forte, che cercava forse di superare col l'ausilio della pittura...
Avrebbero dovuto schiacciare a lui i pollici per dimostrare il contrario non a lei poveretta....
Il suo violentatore fu poi condannato?
In realtà fu solo condannato all'esilio, ma lo evitò grazie alle sue amicizie in alto loco.
Come si vede, non è mai cambiato qualcosa nella storia dell'umanità.
Nel quadro qui sotto, "Giuditta che decapita Oloferne" (1620),
la pittrice dipinge se stessa e il suo violentatore nei ruoli principali...
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