Il Golem della comunicazione
"Il Faust e il Golem sono probabilmente le uniche due mitografie moderne ed entrambe sottendono il rapporto fra l'uomo e la hybris della conoscenza, del sapere. La leggenda del Golem si forma nell'ambito della mistica ebraica ed è ormai inscindibilmente legata alla Praga magica di Rodolfo d'Asburgo, ma proietta la sua inquietante presenza fino alla Praga di Meyrink e di Kafka, per arrivare fino a noi anche attraverso la letteratura a fumetti più intrigante e colta. Chi è il Golem o, per meglio dire, cosa è un Golem? Si tratta di robot, un umanoide impastato nell'argilla come Adàm, il primo uomo della Bibbia a cui la vita fu insufflata dall’ "alito" divino e che prima di diventare un essere umano, fu un Golem. Nel caso del Golem della tradizione mistica, la vita gli è suscitata attraverso arti cabalistiche la cui fonte è il sefer hayetziràh, il libro della creazione e che culminano con l'apposizione di un cartiglio su cui è vergata la parola ebraica emet, verità, sulla fronte o a all’altezza del cuore. La creazione del Golem più celebre della storia, è attribuita al grande rabbino praghese Yehudà ben Bezalel, noto anche come Rabbi Yehudà Löv, il Maharal. Il Golem è insieme potentissimo e fragile. Può prestarsi ad essere un umile servitore per i lavori più ingrati, ma può trasformarsi in un formidabile difensore contro le persecuzioni grazie alla sua tremenda forza. La sua natura di materia manipolata, lo porta tuttavia ad essere instabile, sofferente e confuso ed è necessario disattivarlo il Sabato, giorno della santità, perché non diventi distruttivo verso coloro che dovrebbe proteggere. Questo mito mistico, allude all'intera problematica del rapporto fra l'umano e il sapere che può manipolare la materia e gli habitat in ciascuna delle loro forme.
Ho ripensato angosciosamente a questa leggenda mitografica, riflettendo sull'immenso ed ipertrofico Golem comunicativo che abbiamo generato per servirci e per difenderci, come straordinario mezzo di informazione e come formidabile strumento di democrazia, ma non ci siamo preoccupati di contemperarlo con la pietas sabbatica, con il tempo del ricongiungimento a noi stessi, dell'uguaglianza e di quel senso primo che è l'integrità della vita per ció che essa è per sé. Senso di relazione con l'altro che passa per l'accoglienza, per il rispetto, per la contemplazione del suo splendore senza che venga sfregiato dalla pletoricità egocentrica della grafomania, della sua aggressività talora violenta, irresponsabile, perché protetta dalla pretesa neutralità del medium. Impariamo a frenare la bulimia autoreferenziale dell'esserci a tutti i costi hic et nunc, a lasciare spazio al silenzio, alla riflessione interiore, alla percezione dell'esistenza intima che ci circonda. Facciamolo prima che la nostra vita diventi solo sopraffazione".
Moni Ovadia
L'Unità - Voce d'Autore del 14 giugno 2014
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