venerdì 13 giugno 2014

Canetti - Socrate. “Ciò che più mi ripugna dei filosofi è il processo di evacuazione del loro pensiero. Quanto più frequentemente e abilmente usano i loro termini fondamentali, tanto meno rimane del mondo intorno a loro. Sono come barbari in un nobile e vasto palazzo pieno di opere meravigliose. Se ne stanno là, in maniche di camicia e gettano tutto dalla finestra, metodici e irremovibili: poltrone, quadri, piatti, animali, bambini finchè non rimane altro che stanza vuote. Talvolta, alla fine, vengono scaraventate fuori anche le porte e le finestre. Rimane la casa nuda e si immaginano che queste devastazioni abbiano portato un miglioramento”.








Pillole di filosofia: lo schizofrenico che faceva troppe domande

Atene, giugno 410 a.C.. E’ sera, ma il sole rimbalza sulle case bianche e sulle strade lastricate ancora roventi. In fondo ai gradini che state scendendo c’è un uomo, basso e tarchiato, bruttino, con il naso a patata e un odore non propriamente piacevole. Il suo aspetto è trasandato ma i suoi occhi brillano. Lo potreste definire un bizzarro barbone graziato da una qualche luce carismatica.
Quest’uomo pone domande, incessantemente, continuamente. Sembra una macchinetta inceppata che ripete sempre all’infinito “Che cos’è?”. I più lo squadrano infastiditi e lo scacciano come si fa con un insetto. Con un tafano, per la precisione. L’uomo che sta per diventare il padre del pensiero razionalista occidentale e il primo grande martire della filosofia è un attempato e strambo signore che passa il suo tempo ciondolando al mercato e facendo ai passanti domande imbarazzanti. Tutto qui.
Socrate (470 a.C./469 a.C. – 399 a.C.)
Socrate (470 a.C./469 a.C. – 399 a.C.)
Beh, più o meno. Prima di tutto c’è da dire che queste domande erano veramente acute e perfettamente, paradigmaticamente, filosoficheLe domande di Socrate atomizzavano il pensiero. Analiticamente sminuzzava le frasi per ridurle in primitive particelle linguistiche e poter così, procedendo come un riduzionista ante litteram, smascherare le false verità. Non crearne di nuove, sia ben chiaro. Sin dai suoi albori la filosofia si mostra come la scienza che non può e non vuole sviscerare nuovi elementi dalla realtà ma come la disciplina preposta a sbugiardare in pubblica piazza, e spesso in modo poco cortese, le fallacie logiche, i pregiudizi dogmatici e le illusioni mendaci.
E’ questo suo lavoro puramente in negativo che la renderà spesso malvista, maltrattata e malmenata e che farà dire al poeta Bulgaro Canetti circa 2400 anni dopo “Ciò che più mi ripugna dei filosofi è il processo di evacuazione del loro pensiero. Quanto più frequentemente e abilmente usano i loro termini fondamentali, tanto meno rimane del mondo intorno a loro. Sono come barbari in un nobile e vasto palazzo pieno di opere meravigliose. Se ne stanno là, in maniche di camicia e gettano tutto dalla finestra, metodici e irremovibili: poltrone, quadri, piatti, animali, bambini finchè non rimane altro che stanza vuote. Talvolta, alla fine, vengono scaraventate fuori anche le porte e le finestre. Rimane la casa nuda e si immaginano che queste devastazioni abbiano portato un miglioramento”.
Vicoli ciechi, assurdi logici e autocontraddizioni. Finire nel vortice delle domande di Socrate doveva essere un’esperienza poco piacevole e decisamente sconfortante. Il filosofo sentiva che la sua vocazione era quella di svelare i limiti di tutto quelle che le persone davano per scontato e mettere in discussione le fondamenta stesse delle credenze su cui avevano basato la loro vita. Non si sarebbe fermato finché il malcapitato non avesse ammesso in realtà di non sapere un bel niente. Quest’idea di Socrate è più che opinabile, in molti hanno sostenuto che nell’ottica di una vita serena e felice abbiamo bisogno di una corazza di illusioni e di certezze più o meno auto costruite. Ma il filosofo era convinto che fosse molto meglio non sapere nulla piuttosto che continuare a credere di sapere qualcosa che in realtà si ignora. La vita, sosteneva, vale la pena di essere vissuta solo se si pensa a ciò che si sta facendo.
Oggi Socrate sarebbe stato probabilmente diagnosticato come schizofrenico, se non altro per la sua convinzione di convivere con un dàimon, un demone interiore che stimolava la sua ragione e lo dissuadeva dal prendere decisioni sbagliate. Ma anche ai suoi tempi non se la passava troppo bene e in molti lo ritenevano un vero e proprio problema di ordine pubblico. Testimoniando e predicando l’uso della ragione senza riserve, Socrate induceva le menti dei giovani ateniesi a mettere in dubbio lo stato politico attuale e soprattutto la religione tradizionale con tutto lo schema comportamentale e morale che essa implicava.
"Morte di Socrate" di Jacques-Louis David
“Morte di Socrate” di Jacques-Louis David
Nel 399 a.C., quando aveva ormai settant’anni, un cittadino di nome Mileto lo denunciò, accusandolo di empietà e corruzione dei giovani. Il primo filosofo morì come era vissuto. Coerentemente con la sua figura di personaggio scomodo, non tentò neanche di difendersi o di accattivarsi la giuria che doveva deliberare sulla sua condanna. Indorare e deformare i fatti era proprio dei sofisti, i retori persuasori bistrattatori della verità, non certo di Socrate che accettò di bere la cicuta e andò serenamente incontro alla morte.
A questo personaggio a dir poco pittoresco, che preferì morire piuttosto che smettere di pensare alla vera natura delle cose, dobbiamo moltissimo. Non ha debellato malattie, non ha inventato niente di direttamente utile, non ha scritto poesie meravigliose, eppure possiamo dire che ha fatto molto di più. Ha spronato gli uomini del suo tempo e tutti quelli che sono venuti dopo a conoscere a non fermarsi all’apparenza delle cose e a diffidare delle facili soluzioni. A non accettare questo labirinto intricato del mondo come un dato di fatto ma a avventurarcisi senza pregiudizi o illusioni, sempre accompagnati dall’uso spregiudicato della razionalità. In una parola, ci ha insegnato la Filosofia. Ed è da quella che, poi, scende tutto il resto.

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