sabato 14 giugno 2014

Le Moire. Igino ed Esiodo le dicono figlie della Notte, ne fissano il numero a tre (numero sacro), e ne danno anche i nomi: Cloto, la "filatrice" del filo della vita che si avvolge intorno alla conocchia; Lachesi, la "fissatrice", che dà a ciascuno quello che gli spetta in sorte; Atropo, l'"irremovibile", l'inevitabile fatalità della morte nel momento stabilito.


"(…) L’altro stringe fra le braccia Sonno, il fratello di Morte, e la malvagia notte, avvolta in una nuvola vaporosa. E là i figli della nera Notte hanno la loro dimora, Sonno e Morte, terribili dei."
Esiodo, Teogonia, 755


Diana Venanzi Hypnos e Thanatos trasportano il corpo di Sarpedonte, da una lekythos a fondo bianco del Pittore di Thanatos (ca. 460 a.C.) al British Museum, Londra




LE MOIRE
Dalla genitura molto controversa. Infatti, Igino ed Esiodo le dicono figlie della Notte, ne fissano il numero a tre (numero sacro), e ne danno anche i nomi: Cloto, la "filatrice" del filo della vita che si avvolge intorno alla conocchia; Lachesi, la "fissatrice", che dà a ciascuno quello che gli spetta in sorte; Atropo, l'"irremovibile", l'inevitabile fatalità della morte nel momento stabilito

Ma un'altra tradizione mitica molto antica, per riportarle al mondo divino di Zeus e inserirle nel quadro dell'Olimpo, le considera come figlie di Zeus e di Temi.
La teogonia orfica le dice figlie di Urano e di Gea.
Le Moire non ebbero mai un'esatta limitazione: ora appaiono sottoposte a Zeus, ora sono una forza incontrollabile, tenebrosa, che sovrasta tutti gli dèi, non eccettuato Zeus
Zeus che pesa sulla bilancia le vite degli uomini e informa le Moire delle sue decisioni, può, si dice, cambiar parere e intervenire in favore di chi vuole, anche se il filo della vita di costui, filato dal fuso di Cloto e misurato da Lachesi, sta per essere reciso dalle forbici di Atropo. 
Anzi, gli uomini sostengono addirittura di poter salvarsi, entro certi limiti, modificando il proprio destino grazie alla prudenza nell'evitare inutili rischi.

Ci dice HILLMAN nel "Codice dell'anima" :
"Il termine greco per indicare il FATO, MOIRA, significa <parte assegnata, porzione>.
Così come il fato ha solo una parte in ciò che succede, allo stesso modo il DAIMON, l'aspetto personale, interiorizzato della Moira, occupa solo una porzione della nostra vita, la chiama , ma non la possiede.
Moira deriva dalla radice indoeuropea SMER o MER , "ponderare, pensare, meditare, considerare, curare".
Ci chiede di analizzare da vicino gli eventi per determinare quale porzione viene dall' esterno ed é inspiegabile e quale mi appartiene , attiene a ciò che ho fatto io, avrei potuto fare, posso ancora fare.
La Moira non é in mano mia, é vero, ma é solo una porzione. 
Non posso abbandonare le mie azioni o le mie capacità e la loro realizzazione, nonché la loro frustrazione o fallimento, a loro, agli dei e dee o al volere della ghianda daimonica
Il fato non mi solleva dalla responsabilità; anzi me ne richiede molta di più".


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