giovedì 15 settembre 2016

Rivoluzione Francese. H. Taine, uno storico dell’800, usa la metafora dell’uomo che guada un fiume con l’acqua che gli arriva costantemente alla bocca; se incontra una buca o un lieve abbassamento del fondo, comincia a bere, perde la testa e affoga: questa era la condizione del 90% dei francesi nelle annate di carestia, nei periodi di disoccupazione e del rincaro dei prezzi dei prodotti di prima necessità.

LA VIOLENZA NELLA RIVOLUZIONE FRANCESE
 Questa lezione è stata tenuta alle classi quarte del liceo scientifico e linguistico dello “Stefanini” di Venezia-Mestre nel maggio del 1987.


La violenza dei gruppi dirigenti, la violenza delle masse popolari nella rivoluzione francese:
un problema di interpretazione

Introduzione
È necessario richiamare preliminarmente tre brevi riflessioni:
·      sul concetto di rivoluzione
·      sul concetto di violenza
·      sul dibattito storiografico sulla rivoluzione francese

1.    Nel concetto di “rivoluzione” io penso che vivano insieme due elementi importanti: 
l’idea di una violenza popolare che fuoriesce dalla legalità preesistente e l’idea di ri-creare, di re-istituire, di ri-fondare la legittimità del sociale, di una vita collettiva secondo regole nuove. In questo la rivoluzione di Francia si distingue profondamente dagli esempi precedenti inglesi ed americano: è o pretende di essere universale; è il primo tentativo di voler re-istituire il sociale a partire da se stesso, cioè senza alcun ricorso ad una legittimità trascendente, divina. La rivoluzione francese è l’atto attraverso il quale il popolo decide di non avere altre istituzioni che a partire dalla propria sovranità.

2.    In questa breve lezione noi insisteremo solo sul primo punto, quello della violenza, e cercheremo di chiarirlo da un punto di vista rigorosamente storico e non politico. Non ci interesserà perciò parlare della violenza in senso diacronico, dalle rivoluzioni d’ancien régime alle rivoluzioni superideologizzate del ‘900, e pensare a quanto la storia sia debitrice agli avvenimenti traumatici, sanguinari, brutalmente sovversivi come mezzi per trasformare il mondo. È questo un tema importante e delicato ma non è il punto che noi approfondiremo. Magari ci ritorneremo con gli studi del prossimo anno, alla luce dei mutamenti culturali e strutturali che l’800 e il ‘900 apporteranno a queste vicende. Ci interessa, invece, parlare degli avvenimenti intercorsi tra il 1789 e il 1796 e capirne alcuni aspetti particolari, cronologicamente e geograficamente delimitati.

3. Il contesto è quello delle rivoluzioni di Francia. 
Conoscete le linee essenziali del dibattito storiografico che si è sviluppato al riguardo: essere quella di Francia una rivoluzione borghese che proclamando e realizzando le libertà (di parola, di stampa, di partecipazione politica, di impresa, di commercio) apre la strada al capitalismo e alla democrazia moderna, o invece – poiché la borghesia francese era in larghissima parte precapitalista (fatta di avvocati, legisti, funzionari), più matura intellettualmente che economicamente – sostenere che in Francia ci furono tre rivoluzioni autonome e simultanee: quella dei deputati del Terzo agli Stati Generali, quella delle municipalità cittadine, quella dei contadini. E sapete anche quanto è ricco e controverso questo dibattito, e come è ancora aperto in sede di ricerca. In un saggio del 1968, Ordinamento politico e mutamento sociale, il politologo Samuel Huntington osservava che le rivoluzioni non vengono mai fatte dai poveri ma da militanti dei ceti medi urbani in ascesa sociale, le cui speranze e aspettative sono frustrate dal sistema istituzionale e politico esistente. Questo tipo di esponenti della classe media non riesce mai a portare a termine la rivoluzione se non stabilisce un collegamento con le masse proletarie cittadine (in questo caso i sanculotti) e con i contadini.

4.    Il nostro contributo è molto più piccolo. 
Parleremo della violenza, la violenza dei gruppi dirigenti – colti ed intellettuali – che nasce da matrice illuministica, che s’affida all’uso privilegiato della ragione e all’abilità oratoria del discorso, che razionalmente critica e distrugge la vecchia società, che intellettualmente progetta un nuovo mondo, che ideologicamente usa lo Stato e il suo potere per eliminare i nemici, far trionfare il bene e difendere la rivoluzione.

E parleremo della violenza delle masse popolari – analfabete e con istruzione primitiva – che nasce da matrici religiose antiche e da tradizioni ancestrali, che s’affida alla spontaneità e alle spinte immediate, che emotivamente vuol fare tabula rasa della vecchia società, che sogna un nuovo mondo fatto di speranze, di illusioni, di sfruttamenti finalmente finiti, di fami antiche ora saziate, che usa il potere sia per vendicarsi delle ingiustizie subite per secoli, sia per illudersi che è possibile cambiare.

Nelle rivoluzioni di Francia questi due movimenti profondi della società si incontrano e si alleano per un breve tempo e producono un’accelerazione trascinante della storia.

Ecco, la violenza si presenta con questo duplice aspetto:
·      intellettuale, si lega alla filosofia dei Lumi e della Ragione
·      popolare, si lega a matrici di millenarismo cristiano, a simbologie religiose e a tradizioni popolari.

Partiamo da un dato documentato che ci evita ipocrite sorprese.
Era il ‘700 un secolo profondamente contraddittorio: si leggeva Diderot, Voltaire, l’Enciclopedia, Rousseau (in pochissimi) ma nelle città gli impiccati restavano esposti per mesi a titolo d’esempio, e a Parigi nel 1757 un regicida mancato (una pugnalata a Luigi XV) era stato squartato in quattro parti in piazza. La vita quotidiana era tutta violenta: nei romanzi è descritto il sangue per le strade, gli omicidi, le risse, i passanti schiacciati dalle carrozze, le torture e le pubbliche esecuzioni. La violenza aveva perciò, inconfondibilmente, un doppio aspetto: era repressione dello Stato e della società dominante e privilegiata nei confronti delle minacce dei criminali e dei ceti poveri; era sovversione dei ceti esclusi contro una società ricca, arrogante e chiusa nei suoi privilegi. E non dimentichiamo, infine, il contesto di un’economia precaria e povera per le grandi masse affamate. H. Taine, uno storico dell’800, usa la metafora dell’uomo che guada un fiume con l’acqua che gli arriva costantemente alla bocca; se incontra una buca o un lieve abbassamento del fondo, comincia a bere, perde la testa e affoga: questa era la condizione del 90% dei francesi nelle annate di carestia, nei periodi di disoccupazione e del rincaro dei prezzi dei prodotti di prima necessità.

Franca Zanoni ci parlerà della violenza dei gruppi dirigenti (F. Furet). 
Michela Carraro analizzerà il fenomeno nell’immaginario e nella pratica delle masse popolari (M. Vovelle)

Conclusione

1.     Il ruolo centrale degli intellettuali nel processo di modernizzazione.
Essi hanno un doppio orizzonte di riferimento: il contesto mondiale dello sviluppo (la rivoluzione atlantica), il cosmopolitismo, le tipologie del giornalista-filosofo-capo politico, la società nazionale, il popolo, che solo attraverso la loro mediazione riesce ad esprimere tutto il peso delle tradizioni localistiche, il folk.
La violenza ha matrice colta, la ragione critica, il tribunale della ragione.

2-L’autonomia delle masse popolari. La tipologia della folla. Giornate di miseria, a dominante socio-economica: 1789, incendio dei caselli del dazio e della fabbrica di carta da parati. 1792-1793, saccheggio di forni e drogherie; alta percentuale di salariati e garzoni di bottega, molte donne, 30 anni, 2/3 di alfabeti, scarsi i disoccupati e i pregiudicati.
Giornate in cui si afferma una prima coscienza politica:
1789, la Bastiglia. Artigiani e commercianti, 34 anni, 77% padri di famiglia.
1792, 10 agosto. Artigiani e commercianti (60%), dipendenti (40%); 37 anni, tutti alfabeti.
La frequenza sociale nelle sezioni parigine: 50% di commercianti e artigiani, 30% di borghesi, 20% di salariati; 40 anni, 65%di sposati e padri di famiglia.

3.     La forma-partito dei giacobini.
Partiamo da un giudizio di Gramsci: “Essi si imposero alla borghesia francese. Uomini energici e risoluti, essi spinsero a calci in avanti la borghesia riluttante, moderata, “corporativa”. Essi allargarono la politica di alleanze della borghesia alle classi popolari per creare un rapporto politico-militare favorevole alla rivoluzione, per salvarla dalla reazione. Essi fecero della borghesia la classe dominante, dirigente, egemone. Essi crearono lo Stato borghese, la compatta nazione moderna, l’unione fra Stato e popolo.
Essi fecero la rivoluzione “attiva”.

Alcuni dicono: lo spirito giacobino è stato un seme che ha fruttificato nell’800 e ‘900, tutte le volte che un partito politico si è organizzato sulla base dell’ideologia e, ritenendo di possedere la verità e di avere il dovere di farla prevalere, ha operato una tecnica di manipolazione politica capace di influenzare le masse e di conquistare il potere. v. le affinità, anche sbandierate, tra giacobinismo e bolscevismo…
È un tema d’analisi interessante. Ma la storia a noi è sembrata più complessa.
La società francese prima della rivoluzione era una polveriera. In Francia non c’erano state le riforme dell’assolutismo illuminato. La borghesia era cresciuta molto culturalmente e in ricchezza ma era compressa politicamente e socialmente.
L’azione di governo dei giacobini fu più moderata e realistica dei loro discorsi, e spesso fu obbligata dalle circostanze. È comunque un problema aperto e solcato da molte contraddizioni. La rivoluzione non è tanto la crisi in sé quanto piuttosto l’uscita dalla crisi, la risoluzione del conflitto tra la vecchia società e la nuova, una vecchia che non vuole morire, la nuova che stenta a nascere.
Nei giacobini quello che affascina, al di là di tutto, è il credere che fosse sufficiente la razionalità per ordinare e regolare la realtà di Francia. Una triade Ragione / Rivoluzione / Progetto di cambiamento. Ma poi il dover constatare che la società è più varia, contraddittoria, complessa, disgregata e vitale di quanto la ragione e l’ideologia possano concepire (v. le ultime parole di Robespierre alla Convenzione il 26 luglio 1794, il giorno prima del colpo di stato di Termidoro) (art. di L. Villari).


                                                                       Prof. Gennaro Cucciniello

Mestre, aprile 1987

http://www.gennarocucciniello.it/gc/la-violenza-nella-rivoluzione-francese/

Rivoluzione Francese


"Sola fra tutte le rivoluzioni contemporanee, quella francese fu una rivoluzione ecumenica. I suoi eserciti si levarono per rivoluzionare il mondo; le sue idee lo rivoluzionarono veramente. [...] La sua influenza indiretta è universale, perché fornì il modello a tutti i movimenti rivoluzionari successivi, e i suoi insegnamenti - interpretati da un punto di vista particolare - sono contenuti nel socialismo e nel comunismo moderno." 
E. J. Hobsbawm

Questa citazione riassume in poche righe, 10 anni di storia francese. Dal punto di vista cronologico è posteriore alle battaglie americane, ma è importante notare l'enorme influenza che ha esercitato sull'Europa intera. Nonostante il suo fallimento, è diventata il modello di riferimento per giudicare le rivoluzioni.


Cause
Prima del 1789, la Francia era una monarchia assoluta legata alla tradizione medioevale. 
Il Re, fiancheggiato dal clero e dalla ricca nobiltà, deteneva i tre poteri. Lo stato era incapace di adeguarsi ai mutamenti in atto e opprimeva le masse, ormai vessate da sgravi fiscali. L'invio di truppe e rifornimenti per sostenere gli Americani in lotta contro gli Inglesi aggravò la pesante situazione economica francese già in crisi perché vincolata all'agricoltura. La tassazione nei confronti dei contadini aveva raggiunto il limite di sopportazione, già minato dagli esosi oneri signorili ricollegati ad un antico sistema feudale. Il peggioramento inesorabile della condizione contadina fu anche dovuto alla crisi che sconvolse la produzione cerealicola del 1787 a causa di disastri meteorologici. I tenui tentativi del sovrano Luigi XVI di riformare il sistema fiscale, altamente squilibrato, vennero contrastati dal clero e dai nobili in quanto avrebbero dovuto rinunciare a buona parte delle loro ricchezze e dei loro privilegi. Le proposte del ministro delle finanze Necker puntavano infatti a limitare la classe dirigente e ciò gli costò la carica. Egli aveva tentato di attuare un prelievo fiscale più equo coinvolgendo le classi ricche e una riduzione degli sprechi attraverso tagli delle spese. Inoltre, le idee illuministiche si erano ormai diffuse in tutta Europa proponendo un atteggiamento fortemente antitradizionalista, nutrito dalla convinzione che il passato, in particolare il Medioevo, coincidesse con l'età dell'ingiustizia, del sopruso, della superstizione e dell'ignoranza. [...]

Obiettivi
La rivoluzione francese è stata guidata dalla media borghesia che sfruttò la forza delle masse contadine, prive di grandi obiettivi rivoluzionari, per raggiungere i propri scopi. Il principale obiettivo della borghesia era l'ammodernamento attraverso il passaggio dalla monarchia alla repubblica. Un passaggio verso uno stato formato da classi determinate in base al patrimonio e non in base alla nascita.  [...] 
Fin dall'Assemblea Nazionale, poi costituente con l'aggiunta di membri aristocratici, venne stilata la "Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" che fissò gli ideali rivoluzionari nel motto: "Libertè, Egalitè, Fraternitè". [...]
Per raggiungere ciò, l'Assemblea abolì il regime feudale eliminando le corvèes e le decime, in un processo atto a colpire l'aristocrazia ed il clero.
Gli "assegnati" sono stati una soluzione al problema economico perché, oltre a limitare direttamente la ricchezza della Chiesa, hanno portato altro denaro nelle bisognose casse dello stato. Perciò, come scopo troviamo una lotta, spinta anche da uno spirito illuminista basato sulla razionalità, contro lo strapotere della Chiesa francese. [...] La genesi di una monarchia costituzionale sembrò porre termine alla rivoluzione, ma non fu così perché sia il sovrano insoddisfatto dei poteri limitati, sia i radicali giacobini desiderosi di partecipare attivamente alla politica minarono la precaria stabilità ottenuta dalla borghesia. [...]
La rivoluzione ha anche come obiettivo la rivoluzione stessa. Nella costituzione del 1793, verrà fissato uno dei principi che la legittimerà pienamente. L'Articolo 35 recita: "Quando il governo viola i diritti del popolo, l'insurrezione è, per il popolo e per ogni frazione del popolo, il più sacro e il più imprescindibile dovere". Questo articolo rappresenta la volontà dei francesi di ribellarsi a ogni forma di oppressione e quindi giustificare gli sconvolgimenti rivoluzionari. [...]
o. Il terrore risulta allora come la conseguenza di un potere che in nome di obbiettivi elevati non riconosce limite legittimo al proprio operato. Perché si possano giustificare atti di grande violenza sono necessarie condizioni gravissime. Torniamo allora al paradosso che da buoni propositi si possa giungere ad azioni delittuose. 

http://historica.altervista.org/pagine/rivfra.html


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