venerdì 9 settembre 2016

9 – 11 SETTEMBRE 9 d.C. CLADES VARIANA: LA TRAPPOLA DI ARMINIO. La Clades Variana e l'imperatore Augusto disperato che batte la testa contro la porta gridando"Varo,rendimi le mie legioni".



La Clades Variana o Varusschlacht e l'imperatore Augusto disperato che batte la testa contro la porta gridando"Varo,rendimi le mie legioni".

9 – 11 SETTEMBRE 9 d.C. CLADES VARIANA: LA TRAPPOLA DI ARMINIO.

All'indomani di quella mattanza l'imperatore Augusto eliminò dalla sua scorta personale qualsiasi componente germanica e cadde in preda a violente crisi isteriche. Non solo aveva perso 3 delle sue migliori legioni ma era consapevole che la sua parentela con Varo avrebbe gettato una macchia sul buon nome della casata.

Accadde che Augusto, volendo mantenere fede agli impegni sottoscritti nei trattati con le varie etnìe locali, intese dedicarsi alla definitiva pacificazione della Germania ormai soggiogata, implementando le attività sociali e civili della nuova provincia. Nel fare ciò volle anche dimostrarsi conciliante con i germani, che sempre avevano mal digerito la presenza di governatori militari. Quindi, decise di affidare questo non facile compito ad un burocrate più che ad un generale, Publio Quintilio Varo, mettendo a disposizione tre legioni.

Varo conobbe Arminio (Hermann), figlio del capo cherusco Segimero, che ottenne onori militari collaborando con i romani nella veste di luogotenente dei reparti di cavalleria nell'Illiria, dove guidò un contingente di truppe ausiliarie cherusce. Per i suoi servigi ottenne anche l'ambita cittadinanza romana e la loro piena e incondizionata fiducia.

Nel settembre dell'anno 9, con l'approssimarsi dell'inverno, Varo decise di far svernare le sue 3 legioni , la XVII^, XVIII^ e XIX^, tre squadre di cavalleria, sei coorti di ausiliari e altre migliaia di civili tra tecnici, mercanti e familiari, negli appositi e più confortevoli campi invernali presenti lungo il corso del Reno. Arminio, che da tempo meditava di unire sotto il suo comando tutte le tribù germaniche ostili a Roma, ritenne giunto il momento di colpire. Convinse Varo, che era in marcia con circa 25 mila uomini, a deviare temporaneamente dal percorso ed inoltrarsi nella foresta di Teutoburgo .

Varo che ignorava la morfologia di quelle regioni si avvalse ingenuamente di alcune guide locali che lo inoltrarono in una regione paludosa e boscosa, mai prima di allora esplorata dagli stessi eserciti romani. Sembra certo che Varo fu avvisato da Segeste, principe cherusco ostile ad Arminio, circa le reali intenzioni di quest’ultimo, ma che non volle credergli.

Arminio, che si era nel frattempo distaccato con un pretesto assieme ad altri capi germanici, poté raggiungere il grosso delle sue forze in procinto di assalire i romani. Rimase in agguato dietro un terrapieno appositamente costruito mentre le legioni di Varo, inconsapevoli del tradimento, si stavano sempre più addentrando in un imbuto senza uscita, largo non più di 80–120 metri, che avrebbe reso impossibile schierare l’armata e predisporla per sferrare un contrattacco risolutivo.

Quando le prime schiere di germani uscirono dall’oscurità della foresta e si lanciarono fulminei all’attacco sotto una pioggia torrenziale, riuscirono nell'intento di scompaginare l’ordinata colonna romana.
Gli attacchi continuarono incessantemente alternati da repentine ritirate nella fitta boscaglia, con l’intento di sfiancare i legionari e non dar loro respiro utile per riorganizzarsi e contrattaccare. Nella notte Varo fece allestire un campo fortificato con tanto di palizzate, fossati, terrapieni, trincee e cavalli di Frisia, consapevole ormai dell'aperta ribellione dei suoi ex alleati e del grave pericolo incombente. Le perdite del primo giorno di battaglia furono contenute ma il peggio doveva ancora arrivare. Agevolati dalle intemperie orde di barbari sempre più numerosi, almeno 20-25 mila, massacrarono ben presto su un terreno a loro congeniale migliaia di romani in poco tempo.

Tutto durò fino all’’11 settembre: i pochi sopravvissuti cercarono di darsi alla fuga disperata: qualcuno scampò nella foresta di Alisio. La cavalleria, ultimo baluardo della disperata resistenza romana venne sopraffatta. I fuggiaschi furono inseguiti in ogni dove, quasi tutti catturati, torturati e martoriati: in migliaia subirono la decapitazione e le loro teste impalate in cima alle lance ed esposte per chilometri nella foresta. A Varo e ai suoi più stretti ufficiali non rimase che seguire la consolidata tradizione romana: suicidarsi per non consegnarsi e farsi cremare. Il suo corpo, consegnato ad Arminio semicarbonizzato, venne da questi decapitato e la testa inviata ad Augusto.

Nel frattempo, per rintuzzare questa catastrofe Lucio Asprenate, nipote di Varo e suo subordinato in Germania, mobilitò subito due legioni provenienti da Magonza, col fine di impedire una invasione della Gallia. La mossa si rivelò decisiva.
Per vendicare l’affronto subito, sei anni dopo questi tragici eventi Roma inviò sui luoghi del disastro Germanico, nipote dell'imperatore Tiberio, quale comandante di una vasta campagna militare punitiva ma, nonostante il folgorante successo iniziale quella parte della Germania compresa tra i fiumi Reno ed Elba non venne mai più trasformata in provincia romana. Riuscirono comunque a dare sepoltura ai resti delle legioni rimasti esposti agli animali della foresta recuperando anche due delle tre aquile-insegne perse da Varo.

La figura di Arminio venne mitizzata soprattutto nel '500 da Lutero che usò l'antico guerriero come simbolo dell'antagonismo fra il mondo tedesco e la "corrotta" Chiesa romana. Nel tardo 800, a Detmold fu eretto un gigantesco monumento a suo ricordo oggi mèta di circa 2 milioni di visitatori l'anno.

Antonio A.

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