martedì 27 settembre 2016

Esiodo. La giusta scelta è in tutte le cose, il fattore più importante.

Esiodo (in greco antico Ἡσίοδος / Hesiodos, in latino Hesiodus; VIII secolo a.C. – VII secolo a.C.) è stato un poeta greco antico, le cui opere sono fatte risalire al periodo tra la fine dell'VIII secolo e l'inizio del VII secolo a.C.

Ebbene oggi, miei stimati concittadini, io vi chiedo di avere il coraggio di aiutare i nostri giovani a prendere scudo e lancia per difendere la propria città.
Esiodo

SPESSO UN'INTERA CITTÀ PAGA LE COLPE DI UN SOLO MALVAGIO.
Esiodo


IL POCO E' POCO, ma se aggiungi il poco al poco e lo fai di frequente,
presto il poco diventerà molto.
Esiodo


“FACILE E AGEVOLE È SCEGLIERE IL MALE, una via piana a noi molto vicina; ma GLI DEI HANNO POSTO IL SUDORE DAVANTI ALLA VIRTÙ; LUNGA E DIFFICILE È INFATTI LA STRADA e, AL PRINCIPIO, ASPRA, ma QUANDO SI GIUNGE ALLA VETTA DIVENTA AGEVOLE CIÒ CHE PRIMA ERA DIFFICILE”.
Esiodo


La giusta scelta è in tutte le cose, il fattore più importante.
Esiodo.



Esiodo, Teogonia
Aristotele stesso (Met., 1, 4; 984 b, 29) dice che Esiodo fu probabilmente il primo a cercare un principio delle cose quando disse: «primissimo fu il caos, poi fu la terra dall'ampio seno... e l'amore che eccelle fra gli dèi immortali» (Teog., 116 sgg.).



La creazione della Terra
All'inizio fu il Caos, e subito dopo la Terra dal largo petto, sede sicura di tutti gli immortali che possiedono la cima nevosa dell'Olimpo e il Tartaro oscuro, e poi Amore, il più bello degli immortali, colui che scioglie le membra e doma la mente e il saggio volere di tutti, dèi e uomini. Dal Caos nacquero l'Erebo e la Notte nera, e dalla Notte nacquero l'Etere e il Gorno, che essa concepì unendosi con l'Erebo. La Terra generò Urano, il cielo stellato che tutta l'avvolge; generò gli alti monti e il Ponto, il mare infecondo e furioso, e poi generò Oceano e... l'amabile Teti. Nacque infine il più giovane di tutti, Crono, il figlio più terribile, che odiava il suo splendido padre.
Esiodo


Esiodo. Pandora. Fino ad allora viveva sulla terra lontana dai mali, la stirpe mortale,.
Il padre degli uomini e degli dei comandò all’inclito Efesto che subito impastasse terra con acqua e vi infondesse voce umana e vigore, e che il tutto fosse d’aspetto simile alle dee immortali, e di bella, virginea, amabile presenza; e quindi che Atena le insegnasse le arti: il saper tessere trame ben ordite. Comandò all’aurea Afrodite di spargerle sopra il capo grazia, tormentosi desideri e le pene che struggono le membra; e a Ermes, messaggero Argifonte, di dargli un’anima di cagna e indole ingannatrice. Così parlo, e quelli obbedirono ai voleri del Cronide Zeus. (…) Questa donna fu chiamata Pandora, perché tutti gli abitanti dell’Olimpo le fecero dei doni, rovina per gli uomini operosi. (…) Fino ad allora, infatti, viveva sulla terra lontana dai mali, la stirpe mortale, senza la sfibrante fatica e senza il morbo crudele che trae gli umani alla morte: ché rapidamente invecchiano gli uomini nel dolore. Ma la donna, levando di sua mano il grande coperchio dell’orcio, disperse i mali, preparando agli uomini affanni luttuosi. Soltanto la Speranza rimase là dentro, nell’intatta dimora sotto i labbri dell’orcio: non volò fuori, perché prima Pandora rimise il coperchio sull’orcio, secondo il volere dell’egoico Zeus, adunatore di nembi. Ma gli altri, i mali infiniti errano in mezzo agli umani: piena, infatti, di mali è la terra, pieno ne è il mare, e le malattie, a loro piacere, si aggirano in silenzio di notte e di giorno fra gli uomini, portando dolore ai mortali; e questo perché l’accorto Zeus tolse loro la voce. Non si può evitare l’intendimento di Zeus. 
Esiodo. Le opere e i giorni 


Omero ed Esiodo hanno ascritto agli dei tutto ciò che costituisce fra i mortali una vergogna ed una disgrazia; ruberie, adulteri, reciproci inganni... I mortali ritengono che gli dei siano stati generati come loro, abbiano vestiti come i loro e voce e forma... sì, e se i buoi ed i cavalli e i leoni avessero le mani e dipingessero ed eseguissero opere d’arte come gli uomini, i cavalli dipingerebbero gli deì come cavalli ed i buoi come buoi, rappresenterebbero i loro corpi secondo i loro vari aspetti... Gli Etiopi fanno i loro dei neri e con il naso schiacciato; i Traci dicono che i loro hanno occhi azzurri e capelli rossi». Senofane crede in un Dio, diverso dagli uomini come forma e pensiero, che «senza sforzo dirige tutte le cose con la sola intelligenza. 
Senofane e gli Dei. 

Tratto da: Bertrand Russell, Storia della filosofia occidentale, Vol. I, Pag. 122 - 123





Φilo-soφia - IN PRINCIPIO ERA IL SUONO.
1. L’idea che il cosmo sia nato da un suono originario appartiene al patrimonio concettuale più antico dell’umanità. In molti racconti sulle origini il suono precede l’uomo; in tutti gli esseri, animati e no, rimane qualcosa del suono originale: la voce dei mari, alberi, fiumi, valli e animali e infine la voce degli uomini, e del poeta, che ripaga con il canto lo sforzo cosmogonico.

Il canto delle Muse in ESIODO, THEOGONIA, 28-29 (dal Proemio):
Cominci il canto mio dalle Muse Elicònie che sopra /
l'eccelse d'Elicóna santissime vette han soggiorno /
e con i molli pie' d'intorno alla cerula fonte /
danzano intorno all'ara del figlio possente di Crono. /
(...) Di qui balzando poi nascoste entro veli di nebbie /
muovon di notte attorno spargendo la morbida voce /
per esaltar nell'inno l'Egíoco Giove e Giunone /
la venerabile Dea (...) e tutta la stirpe dei Numi immortali.
μουσάων Ἑλικωνιάδων ἀρχώμεθ᾽ ἀείδειν,
αἵθ᾽ Ἑλικῶνος ἔχουσιν ὄρος μέγα τε ζάθεόν τε
καί τε περὶ κρήνην ἰοειδέα πόσσ᾽ ἁπαλοῖσιν
ὀρχεῦνται καὶ βωμὸν ἐρισθενέος Κρονίωνος.
(...) ἔνθεν ἀπορνύμεναι, κεκαλυμμέναι ἠέρι πολλῇ,
ἐννύχιαι στεῖχον περικαλλέα ὄσσαν ἱεῖσαι,
ὑμνεῦσαι Δία τ᾽ αἰγίοχον καὶ πότνιαν Ἥρην
Ἀργεΐην (...) ἄλλων τ᾽ ἀθανάτων ἱερὸν γένος αἰὲν ἐόντων.


2. La parola cantata è inseparabile dalla memoria:
"Nella tradizione esiodea le Muse sono figlie di Mnemosyne;
a Chio portano il nome di "rimembranze" (μνεíαι), loro che inducono il poeta a "ricordarsi".

Qual è il significato della memoria?
Quali sono i suoi rapporti con la parola cantata?
In primo luogo, lo statuto religioso della memoria,
il suo culto negli ambienti di aedi,
la sua importanza nel pensiero poetico
non possono comprendersi se si dimentica che dal XII al IX secolo la civiltà greca fu fondata non sulla scrittura, ma sulle tradizioni orali (...).

Ma la memoria divinizzata dei Greci non corrisponde affatto agli stessi fini della nostra; essa non tende a ricostruire il passato secondo una prospettiva temporale.

Fin dall'inizio la memoria sacralizzata è privilegio di alcuni gruppi di uomini organizzati in confraternite; come tale si differenzia radicalmente dal potere di ricordarsi degli altri individui. In questi ambienti di poeti ispirati la memoria è un'onniscienza di carattere divinatorio: si definisce attraverso la formula:
"ciò che è, ciò che sarà, ciò che fu".

Con la sua memoria il poeta accede direttamente,
in una visione personale, agli avvenimenti che evoca;
ha il privilegio di entrare in contatto con l'altro mondo.
La sua memoria gli permette di "decifrare l'invisibile".
Dunque non è solo il supporto materiale della parola cantata,
la funzione psicologica che sostiene la tecnica formulare,
è anche e soprattutto la potenza religiosa
che conferisce al verbo poetico il suo statuto di parola magico-religiosa.

M. Detienne, I maestri di verità nella Grecia arcaica, Laterza, Bari 1983
Firenze, Palazzo Pitti, Danza di Apollo con le Muse






Hēsíodos
LE OPERE E I GIORNI - Le Érga kaì Hēmérai

Teodicea
Nel corso della sua descrizione del monte Helikṓn, l'infaticabile periegeta Pausanías riferisce che i Beoti attribuivano a Hēsíodos un'unica opera, le Érga kaì Hēmérai, dimostrando di preferire il canto della sapienza umana all'opera filosofica e teologica delle origini della mondo, estranea ai loro interessi pratici. Pausanías testimonia anche di aver veduto il poema esiodeo inciso su una lastra di piombo, resa ormai illeggibile dal tempo, deposta presso la sacra sorgente dell'Hippokrḗnē. (Periḗgēsis [IX: 31, ])

Gli Érga kaì Hēmérai, di solito tradotti come «Le opere e i giorni» (érgon vuol dire «opera, lavoro, fatica, impresa»), costituiscono un poema didascalico pervenutoci in 828 esametri. Fu composto da Hēsíodos alla fine dell'VIII secolo, o forse agli inizi del VII; Aristide Colonna ne colloca la composizione tra il 710 e il 700 a.C., quando il poeta era ormai tornato nella natia Boiōtía, dopo aver trionfato all'agṓn poetico organizzato per le gare funebri di Amphidámas, nell'isola di Eúboia (Colonna 1977). Letto, ammirato, citato in ogni epoca, il poema illustra la necessità del lavoro dell'uomo e fornisce precetti pratici per gli agricoltori, ordinati cronologicamente secondo le stagioni. L'opera riporta alcuni miti e apologhi, e anche degli importanti dettagli autobiografici.

Negli Érga kaì Hēmérai l'elemento autobiografico diviene occasione per investigare la condizione umana, proporre una meditata, profonda etica del lavoro, e innalzare infine una personalissima teodicea, dove Zeús viene invocato quale garante del trionfo della Díkē, la giustizia, nel mondo.

STRUTTURA DELL'OPERA
Meno denso e convulso della Theogonía, meno complesso dal punto di vista formale, le Érga kaì Hēmérai appaiono essere un'opera più compatta e personale, forse più semplice nell'individuazione di una struttura interna:

[-] Proemio, costituito da un'invocazione alle Moûsai. I Beoti – i quali attribuivano a Hēsíodos soltanto le Érga kaì Hēmérai –– consideravano apocrifi questi primi dieci versi, forse perché le Moûsai invocate erano quelle della Piería, non quelle dell'Helikṓn.

Introduzione autobiografica:
[-] Mito delle due Éris. Parabola della «contesa» buona, elemento indispensabile al progresso umano, opposta alla «contesa» distruttiva, responsabile delle lotte tra gli esseri umani.
[-] La cattiva Éris ha diviso Hēsíodos e suo fratello Pérsē sulla questione dell'eredità paterna; esortazione a definire la lite secondo la retta giustizia, proveniente da Zeús, e non secondo quella dei magistrati corrotti da Pérsē. Vantaggi morali delle sostanze ottenute con un onesto lavoro, in contrasto con la ricchezza trafugata disonestamente.

Origini mitiche della necessità del lavoro
[-]. Mito di Promētheús e Pandṓra. La condizione umana viene esplorata con un primo apologo: si narra, in sintesi, la vicenda dell'inganno ordito da Promētheús a Zeús nell'episodio del sacrificio di Mēkṓnē (più diffusamente esposto in Theogonía [-]), quindi si espone dettagliatamente il mito di Pandṓra (in una versione lievemente più ampia e diversa in alcuni dettagli rispetto a Theogonía [-]). Quest'ultimo racconto viene completato con l'episodio del píthos dischiuso da Pandṓra, da cui fuoriescono i mali che si spargono sulla terra.
[-]. Mito delle età dell'uomo. Resoconto dalle cinque stirpi umane ciclicamente create e annientate dagli dèi nel corso della storia mitica: la generazione dell'oro, dell'argento, del bronzo, la stirpe eroica e quella del ferro. Questa storia esiodea dell'umanità disegna la parabola dallo stato di perfezione iniziale fino alla nostra età, dominata dalla violenza e dalla sopraffazione, per concludersi con la fosca visione escatologica della fine del mondo.

La giustizia
[-]. Apologo dell'usignolo e dello sparviero: uno sparviero cattura un usignolo e, legittimato dalla sua forza, ne ignora i lamenti e dichiara che deciderà del suo destino.
[-]. Così i giudici divoratori di doni amministrano la giustizia secondo il loro interesse. Hēsíodos confronta un mondo retto dalla giustizia, benedetto dagli dèi, a uno dove regnano prepotenza e ingiustizia, destinato al castigo divino. I giudici vengono ammoniti a comportarsi rettamente e a improntare i loro giudizi ai principi di equità e di giustizia: gli emissari di Zeús osservano tutto quello che accade tra i mortali e la dea Díkē denuncia ogni sopruso. All'occhio di Zeús non sfugge quale sia la giustizia amministrata sulla terra.
[-]. Hēsíodos torna quindi a rivolgersi al fratello, lo «stoltissimo» Pérsē, ammonendolo a perseguire la difficile via del bene, rifuggendo la facile disonestà. Lo esorta all'etica del lavoro, gli indica la soddisfazione di un sudato ma onesto guadagno, e depreca ogni tipo di furto e violenza.

Ammaestramenti
[-]. Ha inizio la parte normativa del poema. Hēsíodos spiega quale sia il corretto modo per onorare gli dèi nel corso della giornata, e quindi come comportarsi con amici e vicini.
[-]. Una lunga sezione fornisce istruzioni sul modo di compiere i lavori agricoli. Si parla di come arare, seminare, mietere, nelle varie stagioni dell'anno; ma anche come tenere in ordine gli attrezzi, cacciare, vestirsi, costruire capanne.
[-]. Hēsíodos fornisce consigli ai naviganti. Ma prevale qui la diffidenza, per via delle difficoltà e dei pericoli legate ai viaggi per mare. L'autore ricorda a Pérsē i rovesci del padre, il quale sognava una vita agiata ma non ebbe alcun guadagno dai suoi commerci e dovette ritirarsi a vivere ad Áskrē.
[-]. Segue una serie di consigli sul modo di condurre la vita quotidiana. Si parla del matrimonio, del rapporto con la moglie e gli amici. Si incita alla moderazione, alla misura. Al modo più consono di bere, orinare e lavarsi.
[-]. L'ultima parte del poema definisce una sorta di calendario religioso; i giorni vengono divisi in fausti e infausti. Si danno consigli sul come comportarsi in ogni periodo e quali attività convenga intraprendere.
LA TEODICEA
Il passaggio dalla vasta esposizione mitologica presentata nella Theogonía e nel Gynaikôn katálogon, al discorso etico, quotidiano, personale, presente nelle Érga kaì Hēmérai, non è facile da giustificare. È comprensibile la perplessità degli esegeti, in questo brusco passaggio dalle architetture cosmogoniche al duro lavoro dei campi, sempre che vi sia necessità di giustificare le scelte di un poeta nel corso della propria vita. Eppure sono proprio le Érga kaì Hēmérai a fornire una chiave di lettura per le due altre opere di Hēsíodos, permettendoci di indovinare una coerenza nella parabola artistica del poeta di Áskrē.

Come l'explicit della Theogonía si agganciava idealmente al Gynaikôn katálogon, seguito ideale al disegno mitologico di Hēsíodos, possiamo trovare la raison d'être delle Érga kaì Hēmérai proprio nel Katálogon. Se la Theogonía trattava delle origini del mondo e degli dèi, il Katálogon si svolge quasi completamente durante l'epoca eroica (la quarta delle cinque età esiodee). Per quanto pervenuto mutilo, il lungo catalogo delle eroine amate dagli dèi risulta chiuso tra due episodi piuttosto significativi, i quali aprono e chiudono, rispettivamente, l'età dei semidei generati da tali connubi. All'inizio, troviamo un momento iniziale in cui dèi e uomini vivevano insieme, in concordia e letizia:

  Comuni in quel tempo erano infatti le mense, comuni le adunanze,
e per gli dèi immortali, e per gli uomini dal destino mortale.
Né invero la durata della vita era la stessa - come quella dei mortali di ora,
che nell'animo hanno sempre dinanzi la vecchiaia funesta - 
per quegli uomini e quelle donne, sia giovani che anziani;
 invece, fra loro, alcuni possedevano a lungo 
il fiore dell'amabile giovinezza, altri tratteneva subito la nera terra,
e per volere degli dèi erano simili agli immortali.
Gynaikôn katálogon [fr.1 > I, -]
Alla fine del Gynaikôn, trattando del matrimonio tra Helénē e Meneláos, Hēsíodos descrive il segreto progetto di Zeús di sterminare la stirpe eroica in quella che sarebbe stata la guerra di Troía.
  ...E infatti fu proprio in quel tempo 
che Zeús altitonante meditava un disegno portentoso, 
di mischiare sulla terra infinita tumulti e discordie; 
e così si affrettava ad annientare per buona parte la stirpe degli uomini mortali, 
con il pretesto di distruggere la schiatta dei semidèi...
[...]
[Zeús] scagliò dolori su dolori, ed annientò quella stirpe gloriosa.
[E ai mortali quindi versò mali infiniti, così che i piccoli]
alla mammella [non potessero suggere il latte], né alcuno degli uomini
avesse facile vita, né potesse salire sulle nere navi.
Gynaikôn katálogon [fr. 96b > V, -]
Questi due momenti – l'aprirsi e il chiudersi dell'età eroica – connettono la Theogonía, resoconto primordiale sugli esordi del dominio di Zeús, alle Érga kaì Hēmérai, incentrato sull'umanità presente, esposta alla vecchiaia, alla fame, alle malattie, e condannata alla violenza e all'ingiustizia. Il mito delle cinque età dell'uomo, nelle Érga, svela l'intero affresco, e Hēsíodos ci fa assistere al passaggio sulla terra di cinque stirpi umane, perlopiù create e distrutte da Zeús, che spostano l'asse ontologico dalla perfezione originaria fino alla situazione di estrema debolezza etica e fisica in cui versa l'umanità attuale. Il trapasso dalla perfezione originaria all'odierna condizione umana era suggerita nella Theogonía con il mito del sacrificio di Mēkṓnē, della ribellione di Promētheús e della creazione di Pandṓra. Tale episodio è ora ripreso nelle Érga kaì Hēmérai, adattato agli scopi peculiari del poema; vi si aggiunge anche il motivo del píthos aperto da Pandṓra, che offre una ragione alla presenza nel mondo di mali e dolori incessanti.

La sobria invocazione iniziale alle Moûsai della Piería, ora risolta in soli dieci versi (a dispetto del lunghissimo inno che apre la Theogonía), è una preghiera levata a Zeús, presentato come occulto giudice delle azioni umane, sempre pronto a esaltare gli umili e abbattere i superbi. È Zeús il centro del canto di Hēsíodos, il cui oggetto è la sapienza umana nei suoi moltissimi aspetti pratici.  Zeús viene ad essere l'oggetto dell'intera opera esiodea. Quello stesso Zeús che nella Theogonía debellava i Titânes per imporre un kósmos basato sulla ragione e sulla giustizia, e che nel Gynaikôn katálogon annientava la stirpe eroica e seminava la terra di mali affinché gli uomini non avessero vita facile, è lo stesso Zeús che Hēsíodos canta ora, nelle Érga kaì Hēmérai, come garante della giustizia nel mondo.
...hón te dià brotoì ándres homôs áphatoí te phatoí te,
rhētoí t' árrētoí te Diòs megáloio hékēti.
rhéa mèn gàr briáei, rhéa dè briáonta chaléptei,
rheîa d' arízēlon minýthei kaì ádēlon aéxei,
rheîa dé t' ithýnei skoliòn kaì agḗnora kárphei
Zeùs hypsibremétēs, hòs hypértata dṓmata naíei.

...per opera sua gli uomini sono illustri e oscuri,
noti e ignoti, per volere del grande Zeús.
Facilmente, infatti, egli dona la forza, abbatte chi è forte, 
facilmente umilia chi è grande ed esalta l'umile,
facilmente raddrizza chi è iniquo ed abbatte il superbo,
Zeús che tuona profondo ed abita le eccelse dimore.
Érga kaì Hēmérai [-]

Il potere assoluto di Zeús, già al centro delle precedenti opere di Hēsíodos, viene ora illustrato esplicitamente. Ma l'onnipotenza di Zeús diviene adesso una sorta di teodicea, la garanzia del dominio della giustizia sulla terra, e il volere di Díkē si applica attraverso il rispetto della consuetudini sociali degli esseri umani.

L'invocazione a Zeús ha però, questa volta, un sapore più intimo: «tu emetti le sentenze con giustizia e io esporrò il vero a Pérsē» [díkēi d' íthyne thémistas týnē: egṑ dé ke Pérsēi etḗtyma mythēsaímēn] (Érga kaì Hēmérai [-]). È il messaggio che il poeta vuole lanciare al fratello che lo ha tradito, corrompendo i magistrati, e svelargli le cose che sgorgano sinceramente dal suo cuore, e pertanto schiette e veraci. L'inserimento del dettaglio autobiografico fa sì che l'opera acquisti, accanto al valore religioso ed etico, anche un carattere parenetico. L'opera passa infatti, in maniera continuativa, dall'esposizione generale a quella particolare: le ingiustizie subite da Hēsíodos per colpa di Pérsē divengono paradigmatiche della condizione umana, ma anche una profonda occasione di riflessione morale.

Punto di partenza è la constatazione del profondo stato di ingiustizia in cui si dibattono gli uomini, presentato da Hēsíodos con una storia di animali, di fatto la prima favola dell'intera letteratura occidentale: uno sparviero cattura un usignolo e, legittimato dalla sua forza, dichiara che può farne quello che vuole. È a fronte di questa visione pessimistica di una società dominata dal male e dalla sopraffazione che Hēsíodos afferma il suo ideale: due quadri contrapposti, di dieci versi ciascuno, mostrano la città della giustizia, benedetta dagli dèi, e quella dell'ingiustizia. Ad essi segue la necessaria conclusione: l'ordine cosmico garantito da Zeús deve riflettersi, necessariamente, nel comportamento dei mortali. E questa giustizia risulta essere, per Hēsíodos, insita nei costumi della società tradizionale, che egli ben conosce, nell'etica del lavoro e dei corretti rapporti sociali.

Così, mentre il cantore omerico celebrava il mondo aristocratico ed eroico, Hēsíodos è il poeta degli umili. Il mondo di Hēsíodos non è più un mondo di guerrieri pronti a dimostrare l'eccellenza del loro valore sul campo di battaglia, ma un ambiente prevalentemente agricolo e rurale, abitato da piccoli proprietari terrieri (contadini e pastori), artigiani (fabbri, carpentieri, vasai) e piccoli commercianti, anche marittimi, e basato su una primitiva economia di produzione e scambio. Quello di Hēsíodos è un mondo arretrato, povero, conservatore (il motto hŷs Boiōtía «porca Beozia» scherniva la durezza d'ingegno della popolazione). Eppure egli si fa banditore di questo ambiente, dei suoi valori, della sua dignità, e la sua ispirazione trova forza nella religiosità, nell'esigenza morale della giustizia, nell'etica del lavoro.

https://bifrost.it/ELLENI/Fonti/Hesiodos_Ergakaihemerai.html

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