venerdì 29 luglio 2016

Malinowski. Quando il dono diventò la base dell’economia. Chi fa regali alla fine ci guadagna sempre. E non solo in gratitudine. Perché il dono è un investimento sul futuro. Un contratto a lungo termine. E a insegnarcelo non è stato nessun guru dell’economia ma gli aborigeni delle isole Trobriand, che del dare a piene mani hanno fatto un’arte della convivenza, nonché la base della loro dottrina politica. Anticipando, e di fatto ispirando, le teorie contemporanee del convivialismo e dell’antiutilitarismo.

"I doni non hanno lo stesso scopo del commercio e dello scambio nelle nostre società più elevate. Lo scopo è prima di tutto morale, l'oggetto è quello di produrre un sentimento di amicizia tra le due persone interessate e se l'operazione non ottenesse questo effetto tutto verrebbe meno".
M. Mauss, Saggio sul dono, p. 183, cit. alla nt. 1



CENT’ANNI FA L’ANTROPOLOGO MALINOWSKI SCOPRI’ UNA SOCIETA’ ABORIGENA FONDATA SULLA GENEROSITA’.

Articolo di Marino Niola (Repubblica 17.12.15) “Quando il dono diventò la base dell’economia. L’ANTROPOLOGO Bronislaw Malinowski (1884- 1942) pubblicò il saggio Le isole Trobriand nel 1915 e nel 1922. La pubblicazione dello studio del 1915 ispirò le teorie contemporanee dell’antiutilitarismo. Per i trobriandesi ogni passaggio di mano in mano caricava il regalo fatto di prestigio”
“”Chi fa regali alla fine ci guadagna sempre. E non solo in gratitudine. Perché il dono è un investimento sul futuro. Un contratto a lungo termine. E a insegnarcelo non è stato nessun guru dell’economia ma gli aborigeni delle isole Trobriand, che del dare a piene mani hanno fatto un’arte della convivenza, nonché la base della loro dottrina politica. Anticipando, e di fatto ispirando, le teorie contemporanee del convivialismo e dell’antiutilitarismo. A scoprire i segreti di questa economia della generosità è stato, giusto un secolo fa, Bronislaw Malinowski, il celebre antropologo polacco, professore alla London School of Economics. Che, per uno scherzo del destino, si trovava in Australia per studiare gli aborigeni, quando scoppiò la prima guerra mondiale. Come suddito dell’impero austroungarico, e quindi cittadino di un paese nemico, gli sarebbe toccato l’internamento in un campo. Ma il giovane Bronislaw riuscì a convincere le autorità australiane a confinarlo nell’arcipelago delle Trobriand, oggi isole Kiriwina, dal quale non c’era pericolo che fuggisse. Ma in compenso avrebbe potuto continuare le sue ricerche sugli usi e costumi delle tribù di questi atolli corallini che si trovano nel Pacifico occidentale, tra la Nuova Guinea e le isole Salomone.
Il 1915 fu un annus horribilis per l’Europa, ma per l’antropologia fu un anno fortunato. Perché appena mise piede su quelle spiagge, dove il vento mormora tra le palme, Malinowski fu subito colpito da un’usanza che ai suoi occhi di occidentale nutrito di economia politica, sembrava priva di qualsiasi logica. Gli indigeni affrontavano traversate oceaniche lunghissime e piene di pericoli a bordo delle loro piroghe per portare doni agli abitanti di isole lontane. Una generosità incomprensibile e un coraggio ai limiti dell’incoscienza, visto che a viaggiare su quelle acque tempestose e infestate di squali era una bigiotteria senza valore. Collane e braccialetti di conchiglia. Cose futili e non beni necessari. E, come se non bastasse, questi monili da poveri venivano regolarmente rigirati da coloro che li avevano ricevuti agli abitanti dell’isola più vicina. Che a loro volta li indossavano un po’ di tempo per farsi belli e poi prendevano il mare per andare a farne omaggio agli abitanti di altre terre. Creando così un circuito di scambi che chiamavano kula. Apparentemente un circolo vizioso per cui il cadeau, prima o poi, finiva per tornare nelle mani del primo proprietario. Un po’ come certi regali, riciclati di Natale in Natale, che alla fine tornano al mittente come un boomerang. Ma per i Trobriandesi questa sorta di sbolognamento sistematico era un valore aggiunto. Perché ogni passaggio di mano in mano caricava il dono di prestigio. Per dirla con parole nostre, ne impreziosiva il pedigree. Che stava in buona parte in un plusvalore relazionale. Come certi diamanti leggendari di cui si sciorina sistematicamente la cronologia di coloro che li hanno posseduti.
Il caso trobriandese, raccontato da Malinowski nel suo capolavoro Gli argonauti del Pacifico occidentale, divenne subito un rompicapo per gli economisti che non riuscivano a trovare senso in un comportamento tanto irrazionale. Così alla fine molti esponenti di questa scienza che noi moderni ci ostiniamo a ritenere esatta – e che i Greci, con maggior prudenza, definivano semplicemente “governo della casa” (da oikos abitazione e nomia regola) – conclusero che si trattava di un’assurdità. Un comportamento da tribù primitiva, economicamente immatura che, incapace di calcolare costi e benefici, sprecava il tempo a fare regali, per di più senza guadagnarci nulla. Ma l’imperturbabile polacco non fece una piega e restituì colpo su colpo, sbattendo in faccia agli scettici la soluzione del rebus, l’algoritmo segreto che governava quella strana giostra di regali e regalini. In realtà la ragione di quella fatica, apparentemente inutile, non stava nel valore d’uso degli oggetti, bensì nel loro valore di scambio. Che si fondava soprattutto sulle alleanze e partnership prodotte da quel circuito di reciprocità. Il dono insomma funzionava come un contratto sociale, facendo di tante popolazioni straniere, lontane e potenzialmente nemiche, un vero e proprio sistema. Ordinato e coordinato. Una federazione che metteva in moto una rete di relazioni sovralocale. Dalla quale non si usciva mai. Infatti i Trobriandesi dicevano con orgoglio che «l’appartenenza al kula è per sempre».
Questa sorta di mercato globale primitivo era insomma capace di connettere genti e paesi separati da migliaia chilometri di mare, a dispetto dei loro fragili mezzi. Basti pensare che nelle capanne dei cacciatori di teste della Nuova Guinea indonesiana e delle isole Molucche sono state trovate preziose porcellane cinesi d’epoca Ming. Insomma lo scambio di doni era una pensata geniale per fare uscire quelle isole dal loro isolamento e farne un solo grande arcipelago.
Il che in fondo vale anche per noi, utilitaristi disincantati, quelli che “nessuno ti regala niente per niente”. E si vede chiaramente in momenti come il Natale. Con la sua girandola di doni e controdoni, che non a caso gli americani chiamano
big swap, il grande scambio. Un circuito cerimoniale che tiene in equilibrio reciprocità e gratuità, generosità e socialità, obbligo e piacere. Col risultato di riaffermare il principio dell’utile, ma proiettandolo su un piano più generale, e soprattutto meno egocentrico. Perché quel che regaliamo oggi ci verrà restituito in qualche modo con gli interessi. E non necessariamente da chi ha ricevuto. Come dire che il dono è la forma più sottilmente disinteressata del profitto, perché è l’origine stessa del legame sociale, il gesto primario, incondizionato e gratuito che fa uscire l’individuo da se stesso e lo lega agli altri in una rete che assicura scambio protezione, solidarietà. E di conseguenza anche guadagno. Non è un caso che le religioni nascano tutte da un dono fatto al dio. E che il dio ricambia. Ecco perché, perfino il nostro Natale consumistico, continua ad essere animato da quell’energia collettiva messa in moto dallo spirito del dono. Che anche se per pochi giorni all’anno, fa di quelle isole che noi siamo un solo arcipelago.””

http://apocalisselaica.net/centanni-fa-lantropologo-malinowski-scopri-una-societa-aborigena-fondata-sulla-generosita-2/



Il concetto di reciprocità nasce in ambito antropologico per rispondere ad alcuni quesiti culturali: quali sono gli universali culturali? Quali sono i tratti comuni a tutte le culture?

Uno dei primi autori a parlarne è l’antropologo Westermarck (1908), la reciprocità in antropologia e in sociologia è vista soprattutto come una norma implicita che influenza i comportamenti e che include tre aspetti fondamentali: il dare, il ricevere, l’oggetto o il vantaggio da reciprocare. E’ stata ipotizzata una funzione filogenetica nella reciprocità: i nostri antenati che reciprocavano avrebbero creato una rete di scambi di risorse (cibo, utensili) funzionale alla loro sopravvivenza.

La norma di reciprocità è inoltre considerata un universale culturale, ovvero una norma comune a tutte le culture.

Marcel Mauss formula nel testo “Saggio sul dono”, la teoria dell’economia del dono. Questa teoria nasce a partire da alcune ricerche etnografiche come lo studio del rituale potlach di Franz Boas e del Kula di Malinowski. La grande intuizione di Mauss non sta nel fatto che abbia intuito una sorta di economia basata sullo scambio di beni. La vera rivoluzione dell’economia sta nel fatto che Mauss aveva intuito quanto l’economia del dono non fosse solamente basata su oggetti intrinsecamente d’alto valore, o di oggetti necessari alla sopravvivenza, ma che nello scambio del dono fosse fondamentale il valore simbolico del dono. Lo scambio dei beni è per Mauss, uno dei modi principali per creare relazioni umane, o per creare ponti col divino se si considerano atti come il sacrificio o all’economia data dallo scambio di reliquie nell’Ottocento . Secondo l’autore il meccanismo del dono si articola in tre momenti fondamentali: il dare, il ricevere (l’oggetto deve essere accettato) e il ricambiare. Il dono sebbene implichi una sorta di debito, l’obbligo di reciprocare, non ha modi e tempi rigidi di reciprocazione.

La pervasività di questa norma ha permesso ad alcuni di parlare addirittura di uomo-in-reciprocità o di homo reciprocus (Becker, 1950, p.1).

Gouldner scrive: “può essere ipotizzato che la norma di reciprocità è universale […] credo, che la norma di reciprocità non sia meno universale del tabù dell’incesto, sebbene, similarmente ad esso, può variare in base al contesto culturale e al periodo storico” (Gouldner, 1960, p.171).

Infine alla reliquia nell’Ottocento si attribuiva la capacità di produrre un contatto con le divinità. Alcuni storici notano come si sia verificato nell’Ottocento un curioso legame semantico tra religione e politica, Mengozzi osserva quanto il popolo nell’Ottocento consideri spesso simili il papa Pio IX e a Giuseppe Garibaldi, e così come c’era uno scambio di relique legate a personaggi religiosi, similmente accadeva nella politica del tempo, Mengozzi legge una sorta di economia del dono anche in relique di Garibaldi (Mengozzi, 2008). E’ questo un esempio di economia del dono a forte componente simbolica. Differentemente dalla preistoria, in cui il bisogno di procacciarsi del cibo era saliente, oggi è la componente simbolica ad avere la meglio nelle economie del dono. ( dal web)




l'argomento che hai posto è bellissimo e anche a me ha ricordato gli studi giovanili ..ma è bello soprattutto perchè in un epoca come la nostra dove lo scambio simbolico è stato soppiantato da quello commerciale e dove tutte le relazioni sono divenute solo merce compreso l'amore materno allora ricordare che un tempo gli uomini tessevano una trama invisibile come quella tra le isole di un arcipelago per colmare l'illusione dell'assenza con il dono è stato davvero rinfrescante.




E infatti sono le persone più povere quelle che aiutano di più, quelle che comprendono maggiormente l'altro. Durante la guerra erano le famiglie umili che non lesinavano un piatto di minestra o una coperta nel fienile. Oggi ci aspettiamo sempre qualcosa in cambio e la generosità passa attraverso un ritorno economico. Sicuramente c'era uno scopo nel dono d'un tempo ma era uno scopo di tranquillità, di stare bene al mondo. Ora tutti si dicono generosi ma sono spesso solo approfittatori anche se in grande stile e con l'approvazione del mondo. Sicuramente ho inteso il passo a modo mio ma l'ho apprezzato molto. In fondo è quello che facciamo tutti i giorni nelle nostre piccole comunità familiari. Ci scambiamo attenzioni e tenerezze non per un vantaggio ma per il piacere di vivere gioiosamente sotto lo stesso cielo.



Ultimamente regalo molti oggetti e servizi.....credo faccia parte di una maturità sociale questa mia tendenza...... Per gli oggetti, che ho raccolto con passione negli anni, credo sia un modo per lasciarli e infatti li fino a chi me li apprezza e so che rendo felice...... Per i servizi invece il percorso è la consapevolezza che le relazioni umane sono una parte fondamentale della mia vita e desidero vedere altri felici insieme a me

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