venerdì 18 gennaio 2013

Richard Dawkins. L'illusione di dio. Il Dio dell'Antico Testamento è forse il personaggio più sgradevole di tutta la letteratura: geloso e fiero di esserlo, è un castigamatti, meschino, iniquo e spietato

Il Dio dell'Antico Testamento è forse il personaggio più sgradevole di tutta la letteratura:
geloso e fiero di esserlo, è un castigamatti, meschino, iniquo e spietato; sanguinario istigatore della pulizia etnica; un bullo misogino, omofobo, razzista, infanticida, genocida, figlicida, pestilenziale, megalomane, sadomasochista e maligno secondo il suo capriccio. Quelli di noi che si sono familiarizzati con i suoi metodi fin dall'infanzia hanno finito per non accorgersi più di quanto siano orrendi.
Richard Dawkins. L'illusione di dio, 2006


"A quanto mi pare di capire, la religione cristiana è stata ed è una rivelazione.
Ma com'è potuto accadere che milioni di favole, storielle, leggende si siano mescolate con le rivelazioni ebraica e cristiana, trasformandosi nella più sanguinaria religione mai esistita."
John Adams
cit. Richard Dawkins. L'illusione di dio, 2006


"Quasi rabbrividisco al pensiero di dover alludere all'esempio più fatale di abuso del dolore che la storia dell'umanità abbia conosciuto: la Croce. Pensa a quali calamità quella generatrice di dolore ha prodotto!"
John Adams in una lettera a Thomas Jefferson
cit. Richard Dawkins. L'illusione di dio, 2006


La natura non è crudele, è solo spietatamente indifferente.
Questa è una delle più dure lezioni che un essere umano debba imparare.
Richard Dawkins. Il Fiume della Vita


Un ateo è semplicemente qualcuno che pensa a Jahvè nello stesso modo in cui un buon cristiano pensa a Thor, a Baal, o al Vitello d'oro. Siamo tutti atei rispetto alla maggior parte degli dei cui l'umanità abbia mai creduto. Alcuni di noi vanno semplicemente un dio più in là.
Richard Dawkins


In un pugno di terra à sono circa 25 miliardi di batteri. Quattro volte l'intera popolazione umana del pianeta. Noi uomini e gli animali che possiamo effettivamente guardare siamo solo una minuscola frazione della vita sulla Terra. Nella prospettiva dell'universo e del tempo geologico noi siamo insignificanti. Alcune persone vivono questo pensiero inquietante, perfino spaventoso. Come Darwin, io trovo la realtà eccitante.
Richard Dawkins



"L'evoluzione non ha un obiettivo a lungo termine. Non c'è un bersaglio lontano, nessuna perfezione finale funge da criterio per la selezione, anche se la vanità umana accarezza la nozione assurda che obiettivo finale dell'evoluzione sia la nostra specie. La selezione naturale è l'orologiaio cieco, cieco perché non vede dinanzi a sé, non pianifica conseguenze, non ha in vista alcun fine. Eppure, i risultati viventi della selezione naturale ci danno un'impressione molto efficace dell'esistenza di un disegno intenzionale di un maestro orologiaio; che alla base della complessità della natura vivente ci sia un disegno intenzionale, è però solo un'illusione. La natura non è crudele, è solo spietatamente indifferente. Questa è una delle più dure lezioni che un essere umano debba imparare. Noi non riusciamo ad ammettere che gli eventi della vita possano essere né positivi né negativi, né spietati né compassionevoli, ma semplicemente indifferenti alla sofferenza, mancanti di scopo."
Richard Dawkins






già, indifferente. La Natura, nel suo incessante processo di produzione e distruzione, non si cura dell'infelicità umana.




I geni all'interno del nostro DNA determinano come siamo fatti. Al punto che una teoria sostiene che siano loro a servirsi di noi, come "macchine" che ne assicurano la sopravvivenza. Saremmo quindi solo delle marionette al loro servizio. Ma c'è chi la pensa diversamente...


Richard Dawkins, “Il gene egoista”.
Genetica ed evoluzione: siamo uomini o marionette?
Di Giuditta Mitidieri in gennaio 2014, HP, Scienza, Scienza e Tecnologia
DNA Strands

Breve storia dei crolli d’autostima del genere umano con un’inaspettata possibilità di ripresa. 
Questa storia comincia dalla bella pensata di Copernico che da padroni dell’Universo che ci credevamo ci aveva relegati ad insignificanti e magari pure mal vestiti abitanti di uno dei tanti scialbi pianetucoli più o meno gassosi orbitanti attorno al Sole.

Cartesio aveva provato a rassicurarci: non importa dove siamo o quello che ci sta attorno perchè noi pensiamo, noi siamo uomini, e questo ci rende speciali e diversi da tutto e da tutti. Ma un paio di secoli dopo un signore barbuto di nome Charles ci fece notare che siamo animali tra gli animali e che siamo arrivati dove siamo arrivati solo perché, fondamentalmente, abbiamo avuto culo.

Nel 1895, gli ultimi impavidi fiduciosi antropocentrici e specisti che si erano ancorati all’estrema convinzione di avere il pieno controllo delle loro azioni e rimanevano aggrappati al concetto di sé come un bambino piagnucoloso alle gonne della madre, lessero “L’interpretazione dei sogni” e si dettero al nichilismo.

Se tutto questo non ci fosse bastato, come molti di voi sapranno, e avranno letto qui su L’Undici, l’ultima batosta al nostro ego ormai striminzito è arrivata nel 1976 quando Richard Dawkins, brillante biologo inglese, ha scritto il libro “Il gene egoista” in cui espone la sua tanto geniale quanto deprimente teoria. Riassumendo in poche parole, per Dawkins non solo siamo frutto di un’evoluzione caotica e di una selezione spietata, ma non siamo neanche l’unità base di questa evoluzione. Quest’unità sarebbe invece corrispondente ai geni, i segmenti che compongono il nostro DNA. Dalla notte dei tempi fino ad oggi queste prime macromolecole si sono replicate, ingegnate e fortificate fino a costruirsi delle gigantesche macchine protettive, che manipolano a distanza e grazie alle quali possono riprodursi e perpetuarsi all’infinito. Non serve specificare che queste grandi marionette siamo noi e che in pratica i geni se ne stanno in panciolle mentre noi facciamo il lavoro sporco per loro.

Ammettiamo che come prospettiva non sia così esaltante, insomma è una di quelle cose che ti fa venir voglia di non alzarti dal letto la mattina e di far bruciare il soffritto sul fuoco. Del resto che senso ha continuare a lavorare per questi astuti signori fatti di gruppi fosfati, zuccheri pentosi e basi azotate che non ci danno neanche uno stipendio decente? Ma visto che uno degli aspetti più esaltanti della scienza è che questa è in grado di mettersi continuamente in discussione e autocorreggersi, anche contro l’apparentemente definitiva tesi di Dawkins sono state avanzate critiche e perplessità.

Denis Noble, professore di fisiologia cardiovascolare a Oxford, ci propone nel suo “La musica della vita” una visione più ampia e anche più ottimista della scienza della vita. Prima di tutto, da un punto di vista di genealogia dell’esistenza, è più probabile pensare che geni e altre molecole si siano evoluti insieme e non che i geni abbiamo puramente fabbricato tutto il resto. Così per esempio è accaduto per i geni e le proteine che permettono la loro replicazione. Se Dawkins affermava che i geni dentro di noi se ne stanno “fuori dal contatto col mondo esterno” e ci determinano senza subire alcuna modifica, Noble ci ricorda invece che le ultime scoperte della biologia dicono il contrario. L’organismo è determinato non solo dai geni ma anche dal modo in cui questi geni si esprimono, i cosiddetti schemi di espressione genica, che sono profondamente influenzati dal mondo esterno. Basti pensare al fatto che cellule contenenti lo stesso identico DNA diventano quello che sono (ovvero ossee, nervose, epiteliali etc.) a seconda di dove si trovano.

La visione semplicistica secondo cui il gene è progetto e costruttore del nostro organismo è per Noble non solo limitata ma anche decisamente sciocca. Se è vero che i geni sono necessari (anche se non sufficienti) per creare le proteine che ci compongono, occorre ricordare che un organismo non è una scatola piena di proteine sparse. Le proteine hanno senso in quanto si legano tra loro per formare altro, e questo è possibile grazie all’acqua, ai lipidi e a molte altre molecole totalmente svincolate dal “dominio” dei geni. Quello che ereditiamo realmente e che ci rende organismi unitari quindi non è solo la doppia elica che molti hanno eccessivamente idolatrato e idealizzato ma anche il contesto in cui questa si trova.

Durante il nostro concepimento riceviamo mitocondri, ribosomi, citoplasma della cellula uovo di nostra madre e, in una piccola e straordinaria parte, il mondo: la particolare chimica dell’acqua e dei lipidi che permetterà ai “mattoncini” proteici di unirsi e le cui forme e proprietà non dipendono dal DNA. Il gene è come una parola isolata da un contesto linguistico. È certo basilare per formare una frase di senso ma perde di significato se non è inserita in una cornice semantica e se non si conoscono le leggi di quella precisa lingua.

In definitiva Noble non demonizza la tesi genecentrica ma ci invita a mantenere una prospettiva più ampia, a non cedere alle eccessive semplificazioni e a non precipitare nel vorticoso processo che ci ha scomposti e frammentati nella disperata ricerca di un rassicurante “atomo della vita”. Quindi tiriamo un respiro di sollievo e, almeno per ora, teniamo d’occhio quel soffritto mentre riguadagniamo un briciolo di autonomia e dignità in quanto esseri umani perchè, per nostra fortuna, la realtà è sempre più complessa di come la immaginiamo.
http://www.lundici.it/2014/01/genetica-ed-evoluzione-siamo-uomini-o-marionette/







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