martedì 29 gennaio 2013

Gunther Anders. L’uomo è antiquato. Autore rimosso, ostico, che richiede a noi lettori una grande disponibilità ad affrontare un pensiero che azzera le abitudini mentali con cui solitamente riflettiamo sui quotidiani rapporti che intratteniamo con la sterminata strumentazione tecnica di cui dispone il mondo contemporaneo

L'uomo dell'avvenire dovrà nascere fornito di un cervello e di un sistema nervoso del tutto diversi da quelli di cui disponiamo noi, esseri ancora tradizionali, copernicani, classici.
Eugenio Montale



"Il problema della nostra specie, come diceva Bion, è quello di uno sviluppo ancora rudimentale della mente. (( ... )) E' l'esistenza di una mente che non ha potuto svilupparsi che crea le condotte antisociali, violente ... la violenza non è nell'istinto ... è una mente sofferente che disturba il comportamento armonicamente funzionante della bestia-uomo: l'uomo se non avesse la mente sarebbe un primate funzionante. Una mente disfunzionante porta alla violenza, alla distruttività come unico modo di alleggerirsi da tensioni  intollerabili."
Antonino Ferro, Dalla tirannide del Super io alla democrazia degli affetti, Rivista di Psicoanalisi XLVII, 2001, 3 pag.460.




Grazie Ivano, ho letto volentieri questa recensione, non ho letto Anders e in genere ho letto poco di filosofia, comunque mi pare di essere d'accordo: Anders già allora aveva saputo vedere lontano. Mi sto chiedendo se anche Asimov si possa accostare a Orwell e a Huxley (Lem non lo conosco), e mi rispondo che Asimov ha in mente i riflessi della tecnica sulla vita individuale più che sulla vita collettiva e politica, e inoltre non c'è in lui, o è meno accentuata, l'idea del controllo e della persecuzione. Tu che ne dici?




Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo cambiamento avviene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche d'interpretarlo. E ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinché il mondo non continui a cambiare senza di noi. E, alla fine, non si cambi in un mondo senza di noi.
Gunther Anders, L'uomo è antiquato.



Gunther Anders è l’autore di libri - Essere o non essere. 
Diario di Hiroshima e Nagasaki (1961); L’uomo è antiquato ( 1963) e Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale (II. 1992) – che hanno fatto riflettere diverse generazioni sulla svolta epocale segnata dallo scoppio della prima bomba atomica. Anders, fin da giovane, ebbe rapporti difficili con il maestro Heidegger. L’uomo che ha dedicato una vita intera a parlare e a scrivere su Hiroshima e dintorni è stato più volte accusato di essersi fissato su un unico problema. Ai suoi critici Anders ha replicato osservando che la sua “fissazione” serviva soltanto a destare dal sonno quanti non coglievano la portata simbolica dell’evento atomico, frutto estremo di quella “tecnicizzazione dell’esistenza” che ha trasformato gli uomini in rotelle inconsapevoli di un meccanismo infernale.


[...] sto leggendo da alcuni giorni 'L'uomo è antiquato' e credo che scombussolerà non poco la mia visione del mondo tecnologico, improntata dall'idea che ciò che conta è ''l'uso che ne fai''





L'umanità che tratta il mondo come un "mondo da buttar via", tratta anche se stessa come "un'umanità da buttar via".
Günther Anders (12 luglio 1902 – 17 dicembre 1992)



"Una generazione non abdica quando si mettono in discussione le sue risposte, ma quando sono considerate irrilevanti".
Günther Anders







Come dice Silvano Agosti, il vero schiavo non è quello che sta in catene.
Ha le catene perché altrimenti fuggirebbe.
Il vero schiavo è quello che difende la sua schiavitù.
È quello che difende il posto di lavoro, è quello che non prova neanche a pensare ad una alternativa, è quello che dice "tanto è così, non puoi farci nulla".
È quello che dice. ..."ormai".....



"La tecnica può segnare quel punto assolutamente nuovo nella storia, forse irreversibile, dove la domanda non é più: ”Cosa possiamo fare noi con la tecnica?", ma: "Che cosa la tecnica può fare di noi?"
Gunter Anders
citato da Umberto Galimberti in "D" del 26 luglio 2014


L' uomo è antiquato. Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale
di Günther Anders


Se la prima rivoluzione industriale è consistita nell'introduzione del macchinismo, se la seconda si riferisce alla produzione dei bisogni, la terza rivoluzione industriale è per Anders quella che produce l'alterazione irreversibile dell'ambiente e compromette la sopravvivenza stessa dell'umanitàIn un mondo in cui la macchina è diventata soggetto della storia, l'uomo risulta superato, "antiquato", appunto. In venticinque saggi su temi che vanno da L'apparenza a Il male, passando per La massa, Il lavoro, Le macchine, L'individuo, Le ideologie, Il conformismo, Il privato, La morte, La realtà, La libertà, La storia, La fantasia, Lo spazio e il tempo, Anders pratica un filosofare senza sistema precostituito. Eppure la sua "filosofia di occasione" o, come pure egli dice, en plein air, ha saputo cogliere per tempo i prodromi della trasformazione che sarà detta impropriamente postmoderna e che per Anders altro non è che il frutto della riduzione di tutto, del mondo e dell'uomo, a "materia prima" indefinitamente manipolata da una tecnica sfuggita a ogni controllo.


ANDERS, GÜNTHER, L'UOMO È ANTIQUATO
Die Antiquiertheit des Menschen [lett. L'ANTIQUATEZZA DELL'UOMO] […] Questo, benché largamente ignorato, È UN TESTO FONDAMENTALE DELLA FILOSOFIA DEL NOVECENTO. L'attualità di molte delle sue pagine gli fa meritare il titolo di classico del pensiero contemporaneo, e fa pensare a esso come al CONTROCANTO TECNOLOGICO E ULTRARADICALIZZATO DEGLI STUDI SUL TOTALITARISMO COMPIUTI DALLA EX MOGLIE DELL'AUTORE, ANNAH ARENDT. PER ANDERS LA NOSTRA ETÀ DELLA TECNICA CI PORTA A VIVERE IN UN "TOTALITARISMO MORBIDO" GLOBALE. […] la critica di Anders alla "retorica della modernizzazione" da un lato e la "critica alla retorica della complessità" dall'altro, fanno di lui un filosofo insopportabile che l'establishment accademico preferisce ignorare […]

ANDERS DESCRIVE UN MONDO IN CUI LA MACCHINA E GLI OGGETTI PRODOTTI IN SERIE SONO DIVENTATI I PROTAGONISTI DELLA STORIA, IL LUOGO IN CUI OGNI ESSERE UMANO È 'GETTATO' E COSTRETTO A VIVERE IN QUALITÀ DI ESSERE TOTALMENTE INADEGUATO AI NUOVI TEMPI. Non stupisce quindi che ANDERS ANNOVERI TRA I MAGGIORI FILOSOFI DEL NOSTRO SECOLO AUTORI DI NARRATIVA COME HUXLEY, ORWELL O LEM, TRA I POCHI SCRITTORI IN GRADO DI INTRAVEDERE IL PROBLEMA POSTO DALL'ETÀ DELLA TECNICA. SE LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE È CONSISTITA NELL'INTRODUZIONE DEL MACCHINISMO, SE LA SECONDA SI RIFERISCE ALLA PRODUZIONE DEI BISOGNI, LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE È PER ANDERS QUELLA CHE PRODUCE L'ALTERAZIONE IRREVERSIBILE DELL'AMBIENTE E COMPROMETTE LA SOPRAVVIVENZA STESSA DELL'UMANITÀ. Questi sconvolgenti cambiamenti hanno coinvolto la vita dell'uomo nella sua complessità, tanto che i contorni di tre ambiti come quelli morale, estetico e politico si sono fatti evanescenti. Per Anders non è possibile più affrontare questi temi secondo le categorie che abbiamo ereditato dalla grande tradizione filosofica, religiosa, letteraria, o scientifica. Per esempio, NON È PIÙ POSSIBILE PARLARE DI LIBERTÀ SENZA TENER CONTO DELLA SILENZIOSA, E PARADOSSALMENTE INVISIBILE, IRRUZIONE DEL PUBBLICO NELLA NOSTRA VITA A DISCAPITO DI OGNI RESIDUO ANGOLO DI PRIVATEZZA. IL NOSTRO DIVENTARE UN PUBBLICO TELEVISIVO DOMESTICO EQUIVALE ALLA SCOMPARSA DELLA VITA PRIVATA. ANDERS DESCRIVE LA NOSTRA IMPOSSIBILITÀ DI AVERE UN'ESPERIENZA DIRETTA DEL MONDO, CHE SIA PRIVA DEI FANTASMI CHE GIUNGONO NELLE NOSTRE CASE ATTRAVERSO LA TELEVISIONE. IL VERO PROBLEMA MORALE CONCERNE IL RISCHIO DEL SOFFOCAMENTO DI OGNI IMPULSO MORALE A OPERA DELLA TECNICA e dei suoi connotati particolari: "le nostre stesse azioni 'morali' e 'immorali', che lo vogliamo o no, vagano prive di radici nell'oceano dell'essere, moralmente indifferente, per così dire sotto forma di 'fiori metafisici recisi'" (v. I, p. 77). "Ancor oggi nelle etiche accademiche gli impianti di sterminio sono un oggetto del futuro non ancora scoperto" (v. I, p. 249). "L'ADDETTO AL CAMPO DI STERMINIO NON HA "AGITO", MA, PER QUANTO ORRENDO CIÒ POSSA APPARIRE, HA LAVORATO. E DATO CHE SCOPO E RISULTATO DEL SUO LAVORO NON LO RIGUARDANO, DATO CHE IL SUO LAVORO IN QUANTO LAVORO È CONSIDERATO SEMPRE 'MORALMENTE NEUTRALE', HA SBRIGATO UNA FACCENDA 'MORALMENTE NEUTRALE'" (ivi, p. 299). VIVIAMO IN UN'EPOCA IN CUI È NEUTRALIZZATA LA DIFFERENZA TRA AGIRE VIOLENTO E MANSUETUDINE, UN'EPOCA CHE CI PRECLUDE IL "DIRITTO ALLA CATTIVA COSCIENZA" E CHE ATROFIZZA LA NOSTRA CAPACITÀ DI PROVARE IL SENSO DI COLPA (v. II, p. 60). L'UOMO È ORMAI TROPPO ANTIQUATO PER POTERE, ANCHE SOLO POTENZIALMENTE E IPOTETICAMENTE, CONDURRE UN'AUTENTICA VITA ETICO-MORALE, E GLI STESSI FILOSOFI SONO TROPPO "ANTIQUATI" PER COMPRENDERE APPIENO QUELLO CHE CI STA ACCADENDO. I NOSTRI APPARATI TESTUALI E CONCETTUALI, IL NOSTRO VOCABOLARIO, SONO INADEGUATI. Di qui il tono provocatorio, spesso "eccessivo" di Anders (come ha detto Pier Paolo Portinaro, "quello della deformazione, dell'esagerazione è anche il metodo di Anders"), e di qui i suoi frequenti riferimenti al suo fondamentale scritto, erede "tecnologico" delle satira swiftiana: il romanzo filosofico Die molussiche Katakombe, pubblicato solo nel 1992 a Monaco.

Quelli di Anders sono gli eccessi di CHI CERCA UNA VISUALE ESTERNA A UN MONDO CAPILLARMENTE TECNICIZZATO anche nelle diramazioni culturali considerate più "elevate" e immuni dalla tendenza fondamentale del tempo. NELLA VISIONE ANDERSIANA, L'UMANITÀ, COME GREGOR SAMSA, SI È LENTAMENTE ADATTATA ALLA MOSTRUOSITÀ DI UN'ALIENAZIONE CHE LA INVESTE IN OGNI ISTANTE E IN OGNI PARTICOLARE DELLA SUA VITA. QUELLA DI ANDERS APPARE UNA DESCRIZIONE "KAFKIANA AL CONTRARIO" NEL SUO INTENTO DI MOSTRARE LA COMPLETA ALIENAZIONE DELLA VITA NELLA NOSTRA QUOTIDIANA "NORMALITÀ". Il metodo di Anders, corrispondente a quella che egli chiama la sua "filosofia d'occasione", è un mirabile TENTATIVO DI SCOPRIRE, A PARTIRE DAI DETTAGLI DEL NOSTRO STILE DI VITA DI OGNI GIORNO, IL PROCESSO SOTTOSTANTE: UNA DISUMANIZZAZIONE IN FASE TALMENTE AVANZATA DA COINVOLGERCI TOTALMENTE E DA IMPEDIRCI DI ESSERNE CONSAPEVOLI (la nostra "cecità all'apocalisse"). A questo proposito è eloquente l'estrema scarsità di traduzioni e studi relativi a Anders in lingua inglese e quindi negli Stati Uniti (il paese in cui Anders ha vissuto a lungo, facendo i lavori più disparati compreso naturalmente l'operaio ai nastri), e che servono per lui da modello principe in cui può essere letto più chiaramente il libro dell'avvenire (tanto che talora sorge il dubbio: in quali passi del testo Anders sta parlando della cultura dell'età della tecnica, e dove invece egli sta parlando degli aspetti più deteriori della cultura e della società statunitense? È possibile una distinzione?). PARLARE DI ANTIQUATEZZA DELL'UOMO E DISUMANIZZAZIONE non è certo espressione di un moralismo superficiale. QUESTA DISUMANIZZAZIONE APPARE UNA REALTÀ RICONOSCIBILE NELLA VITA DI CIASCUNO DI NOI, SENZA ECCEZIONE. Anders propone in quest'opera il controcanto concreto e pratico-morale della filosofia della tecnica di Heidegger, il cui rifiuto di affrontare direttamente il problema morale del nostro tempo è presentato da Anders come la conseguenza (e non come la critica) di un atteggiamento moralistico (v. II, p. 6). La tensione morale sottesa a quest'opera è lontano dal confondersi, come talora in Heidegger, con un atteggiamento da semi-esteta, sebbene presenti diversi punti deboli ed esagerazioni che avrebbero richiesto una maggiore accuratezza.

QUESTO TESTO È UNA TRATTAZIONE SUI LIMITI DI TUTTE LE FACOLTÀ DELL'UOMO ALLA LUCE DELL'ETÀ DELLA TECNICA; sono riconoscibili, espressi in termini assai simili, ma con esempi illuminanti e con meno tecnicismi, quasi tutti i temi di PSICHE E TECHNE, (1999), UN TESTO IN LARGHISSIMA MISURA DEBITORE DELL'OPERA DI ANDERS, COME HA RICONOSCIUTO L'AUTORE GALIMBERTI.
I LIMITI SONO INTERPRETATI COME UNA MOLTEPLICITÀ DI DISLIVELLI TRA L'ANIMA DELL'UOMO E LE FORME DELLA SUA PRASSI: TRA IMMAGINARE E FARE, TRA SENTIRE E AGIRE, TRA COSCIENZA E CONOSCENZA. Questa serie di dislivelli conduce non solo alla totale impossibilità di una personalità armoniosa (v. I, p. 50-52), ma ad UNA SITUAZIONE IN CUI "NESSUNO DI NOI 'SA' IN UN SENSO REALMENTE ADEGUATO ALL'EFFETTIVA REALIZZAZIONE: IL COMANDANTE IN CAPO NÉ PIÙ NÉ MENO DELL'ULTIMO FANTOCCINO, IL PRESIDENTE NÉ PIÙ NÉ MENO DELL'ULTIMO OPERAIO" (v. I, p. 279).
La parte del testo che appare la meno convincente e che fatico a fare combaciare con la mia esperienza personale, stranamente, è la lunga parte prima, che presenta, con un'argomentazione accurata ma tendenziosa, la TESI DEL SOPRAGGIUNGERE DI UNA NUOVA VARIETÀ DI VERGOGNA (la "vergogna prometeica"), LA VERGOGNA DELL'UOMO DI FRONTE AI SUOI STESSI PRODOTTI. Questa tesi dovrebbe costituire uno dei capisaldi del libro. Non sempre convincente appare poi l'associazione diretta tra conformismo ed età della tecnica (non è il conformismo qualcosa di co-originario all'essere umano in quanto tale e alla struttura mimetica del suo sviluppo cognitivo-affettivo?). Ma queste parti non compromettono la solida e coerente struttura interna del testo, che è una ricerca esemplare, che offre un notevole numero di scottanti intuizioni, molte immagini originali e genuinamente provocatorie di noi stessi. UNO SPECCHIO DEFORMANTE, MOLTI DIREBBERO, MA LEONARDO CI HA INSEGNATO CHE UNA CARICATURA PUÒ ESSERE PIÙ VERITIERA DI UN RITRATTO REALISTICO. Quest'opera apre ulteriormente gli spazi problematici esplorati dai precedenti filosofi della tecnica, e lo fa in un linguaggio il più delle volte concretissimo e accessibile anche a un pubblico di non specialisti (quindi è maggiormente triste pensare che quest'opera probabilmente continuerà a restare abbastanza estranea a un pubblico diverso da quello specialistico, per la scarsa attenzione dei media oltre che in ragione del prezzo elevato). Fare tesoro delle intuizioni in essa contenute, potrebbe permetterci di stabilire letteralmente un nuovo quadro della situazione (non solo in filosofia, ma anche in discipline che vanno dalla sociologia alla psicologia alla teologia) una visuale senza precedenti sullo stato degli esseri umani e di ciò che chiamiamo la nostra umanità.

ANDERS, GÜNTHER, L'UOMO È ANTIQUATO

Torino, Bollati Boringhieri, 2003, vol. I, pp. 348, Euro 26,00, ISBN 88-339-1454-2; vol. II, pp. 191, Euro 28,00, ISBN 88-339-1455-0.

(vol. I: Considerazioni sull'anima nell'epoca della seconda rivoluzione industriale, trad. it. di L. Dallapiccola, con saggio introduttivo di C. Preve; vol. II: Sulla distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale, trad. it. di M. Adelaide Mori.)

Recensione di Beniamino Soressi - 07/07/2003

Filosofia teoretica (filosofia della tecnica)

http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2003-11/anders.htm


Gunther Anders: L’uomo è antiquato.
Autore rimosso, ostico, che richiede a noi lettori una grande disponibilità ad affrontare un pensiero che azzera le abitudini mentali con cui solitamente riflettiamo sui quotidiani rapporti che intratteniamo con la sterminata strumentazione tecnica di cui dispone il mondo contemporaneo. I punti fermi dei nostri processi di affidamento e di sintonia con l’universo tecnologico subiscono, nell’opera di Anders, una specie di crollo, di rovinosa catastrofe intellettuale ed etica. Nelle pagine dei due volumi de “L’uomo è antiquato” cogliamo una ostinata disposizione teorica alla controversia con i quadri concettuali dominanti e un rifiuto radicale, che rasenta il settarismo ideologico, verso ogni principio di conciliazione tra “conditio humana” e “techne”. Una lettura della nostra epoca certamente scomoda e indignata contro l’apocalisse che ci sovrasta, eretica e provocatoria negli accostamenti tra le più gravi infamie compiute nel Novecento, sarcastica verso tutte le forme di filosofia dell’armonia e del progresso : “Neoilluministi e neopositivisti di ogni colore- scrive Pier Paolo Portinaro, autore dell’unico studio apparso in Italia su Anders- avranno buon gioco a considerarlo un guastafeste che ha fatto dell’apocalisse nucleare la sua bandiera e il suo slogan agitatorio”. Gunther Anders (il cui vero cognome è Stern) nasce a Breslavia nel 1902, figlio di un docente universitario di psicologia infantile appartenente alla comunità ebraico-tedesca. La famiglia è di orientamento laico e si considera pienamente assimilata nella Germania del primo Novecento. Anders racconterà in un testo intitolato “Il mio ebraismo” e in una lunga intervista concessa nel 1979, e pubblicata in Italia nel 1981 con il titolo “Opinioni di un eretico”, l’atmosfera di tolleranza, di agiatezza e gli stimoli intellettuali che la famiglia gli aveva dischiuso e indicherà in quella educazione liberale e aliena da ogni dogmatismo religioso la prima fonte della sua disposizione filosofica. Nel 1919 inizia gli studi universitari con Cassirer e con Panofsky e li prosegue poi frequentando diverse università tedesche ed entrando in contatto con Tillich e soprattutto con Heidegger e Hans Jonas con il quale stringe legami di amicizia. Si laurea con Husserl nel 1925 e, a Marburgo, segue i corsi di Heidegger e conosce Hannah Arendt che, nel 29, diverrà sua moglie. Tenta invano la carriera accademica e, dopo avere interrotto l’abilitazione, lavora come giornalista a Berlino. Siamo nel 1930 e da questo momento comincerà a firmarsi con lo pseudonimo di Anders (l'altro, in tedesco). Allarga il giro delle sue conoscenze e frequenta Bloch, Doblin, Brecht con il quale manterrà a lungo rapporti di amicizia. I suoi interessi filosofici sono circoscritti nell’orizzonte della riflessione di Heidegger del quale subisce (come ricorda in “Opinioni di un eretico”) lo “spell”: “ Quello che ha affascinato me -e probabilmente ciò vale anche per Marcuse- e che di Heidegger certamente rimarrà, è, dopo più di duemila anni, l’apertura non solo alla metafisica ma anche all’ontologia”. Nel 1933 lascia la Germania e si rifugia a Parigi dove più tardi lo raggiunge Hannah Arendt. Si dedica alla composizione di testi letterari (poesie, racconti ed un romanzo), tiene qualche conferenza, approfondisce la lettura di Kafka e riflette sulla sua condizione di esiliato la cui esistenza è sempre più precaria: privato dei documenti, avverte la propria situazione simile a quella descritta dallo scrittore praghese. Nel 36, dopo la separazione dalla moglie, parte per gli Stati Uniti. Sopravviverà in America per quattordici anni, tra New York e Los Angeles, sostenendosi con i lavori più occasionali (odd jobs). In fabbrica come operaio sperimenta il taylorismo e la produzione industriale di massaSenza il periodo in fabbrica, in effetti, non sarei mai stato in grado di scrivere la mia critica dell’era della tecnica, ossia il mio libro L’uomo è antiquato”. Cerca collaborazioni con l’industria cinematografica e finisce per lavorare per l’Office for War Information: “Dalla California fui poi richiamato a New York per lavorare all’Office for War Information. Era un ufficio statale nel quale si raccoglievano e si redigevano, in molte lingue, quelle notizie che poi venivano trasmesse ai tedeschi e ai popoli che Hitler aveva sottomesso. Accettai subito la chiamata ma poi lasciai il lavoro, già dopo alcuni mesi, perché il vento politico che tirava là dentro si era fatto gelido”. Scrive qualche articolo di filosofia per la rivista diretta da Horkheimer anch’egli, insieme ad Adorno e Marcuse, emigrato negli Stati Uniti. I suoi rapporti con i “francofortesi” tuttavia sono di sostanziale estraneità o di latente conflitto. La sua condizione di sradicato migliora solo nel 48 quando gli viene affidato un corso di estetica alla New School for Social Research di New York. Due anni dopo lascia gli Stati Uniti, rientra in Europa e si stabilisce a Vienna. L’esperienza americana ha fornito ad Anders alcuni exempla delle ricadute individuali e sociali della tecnologia e del consumismo di massa: i suoi successivi studi sul conformismo, sul potere dei mass media, sul totalitarismo dei prodotti, sulle trasformazioni del lavoro nella fabbrica automatizzata hanno la loro origine proprio nella sua esperienza americana. Stabilitosi in Europa, pubblica un testo su Kafka e fonda, nel 54, il movimento antinucleare. E’ la nuova svolta nel pensiero ma anche nella attività e nel ruolo intellettuale di Anders. La “ scoperta” di Hiroshima segna la quarta cesura nel percorso del filosofo tedesco dopo la giovanile esperienza della Grande guerra, dopo la presa di potere da parte di Hitler, dopo l’olocausto: “Sì, è incontrovertibile che il 6 agosto 1945, vale a dire Hiroshima, abbia significato per me una frattura. E’ stata la cesura più profonda della mia vita ma non certo la prima”. Dopo la scoperta dei Auschwitz, altre terribili rovine sembrano chiudere il cerchio delle infamie del Novecento. Il bombardamento delle città giapponesi è un evento che, come scrive Portinaro, segna una svolta nella storia universale: ”una cesura che non resta senza conseguenze per la definizione della stessa conditio humana. Se un qualche senso si doveva attribuire alla categoria heideggeriana di essere-per-la morte, certo è che ora quella determinazione acquista rilevanza in riferimento non all’esistenza del singolo ma alla sopravvivenza del genere umano”. E’ a questo punto, dopo il riconoscimento della apocalisse atomica, che la filosofia di Anders assume il suo inconfondibile profilo. Nel filosofo tedesco si compie una rivoluzione copernicana: la speranza (il non-ancora) lascia il posto al vivere senza speranza (il non-più). La minaccia nucleare prospetta un “mondo senza uomo”, evidenzia la radicale contingenza della vita umana che ora si definisce come “dilazione”: “siamo quelli che esistono-ancora. L’umanità intera è eliminabile”. La battaglia antiatomica porta Anders al meeting di Tokyo del 58 e in quella occasione tiene un seminario sul tema: “La morale nell’era atomica”. Come i campi di sterminio, la bomba atomica è uno strumento di annientamento che va al di là delle ragioni della guerra. Ad Auschwitz e ad Hiroshima è stata eliminati, con l’ausilio della tecnica, una moltitudine di persone per la quale era preclusa ogni possibilità di resistenza. Anders sostiene dunque una tesi dirompente e controversa: l’equivalenza tra i due mostruosi crimini del XX secolo. Durante il meeting antinucleare di Tokyo Anders visita le due città bombardate e a questa esperienza dedica un libro pubblicato in Italia nel 1961 ed intitolato: “Essere o non essere: Diario di Hiroshima e Nagasaki”. “ E’ andato a Hiroshima- scrive Costanzo Preve nella Introduzione a “L’uomo è antiquato”-, Ha visto i leucemici, i moribondi, verificandone con sgomento la rimozione generalizzata: la vittima è socialmente considerata un colpevole, viene nascosta, relegata, ignorata”. Il filo di continuità tra i due grandi crimini, ripetutamente ribadito da Anders, denuncia il rischio sul possibile ripetersi di analoghe pulsioni distruttive e, al tempo stesso, richiama la mancata coscienza dell’enormità del crimine compiuto dagli uomini che hanno fabbricato Auschwitz e Hiroshima. Anders richiama una drammatica coincidenza: la bomba atomica è stata sganciata sulle città giapponesi in coincidenza con l’istituzione del Tribunale militare internazionale incaricato di giudicare i crimini contro l’umanità compiuti dal nazismo. Sulla questione Auschwitz/Hiroshima si soffermano sia Preve nella sua Introduzione, intitolata “Un filosofo controvoglia”, sia Portinaro nel suo importante libro. Preve afferma che tra i due grandi crimini non solo c’è continuità sostanziale ma che essi hanno un diverso peso nella coscienza occidentale nel senso che il bombardamento delle due città giapponesi è stato in qualche modo giustificato e si è permesso “che non venisse neppure chiesto scusa”. Una asimmetria assolutamente scandalosa- scrive Preve- che finisce per legittimare tutti i bombardamenti futuri: “più esattamente del Bombardamento come azione legittima contrapposta al Campo di sterminio come Azione Illegittima”. Portinaro concentra le sue riflessioni sul revisionismo storico di Anders e, come vedremo, egli riconosce che la tesi Auschwitz/Hiroshima infrange apertamente una verità storiografica, un canone universalmente accettato. Verso la fine degli anni cinquanta, Anders avvia uno scambio epistolare con Claude Eartherly, il pilota americano che il 6 agosto del 45 aveva sganciato la bomba e che si trovava allora internato in un ospedale militare per disturbi mentali. Il carteggio viene reso pubblico e stampato, nel 62, anche in Italia con il titolo “La coscienza al bando”. Nel 64, proseguendo la sua ricerca sugli aspetti tecnici, burocratici e apparentemente neutri delle mostruosità del XX secolo, invia una lettera aperta a Klaus Eichmann il cui padre era stato processato e giustiziato a Gerusalemme due anni prima. Il carteggio con il pilota americano nasce da una notizia letta per caso da Anders su una rivista americana relativa a recenti disturbi psichici sofferti da Eartherly e che lo hanno spinto sino a tentare il suicidio. Il filosofo tedesco intuisce una relazione tra lo stato psichico dell’ex pilota ed il suo senso di colpa: “Il caso di questo giovane americano illustra perfettamente il paradosso dei massacri tecnologici i cui esecutori possono essere a volte dei colpevoli innocenti”. Il carteggio tra il filosofo militante del pacifismo e del rifiuto del nucleare e l’ex pilota, in cui affiorano lettera dopo lettera i sentimenti di comprensione, di rispetto, di amicizia tra due uomini agli antipodi, ebbe probabilmente un effetto terapeutico e liberatorio su Eartherly ma anche sulla evoluzione del pensiero di Anders: ”Tu ed Eichmann -gli scrive Anders- siete due figure emblematiche della nostra epoca. Se non ci fossero di fronte ad Eichmann (che non ha mostrato segni di pentimento), uomini come te, avremmo ben motivo di disperare”. Anche la guerra del Vietnam vede Anders in prima fila: diventa membro del Tribunale Russell contro i crimini di guerra e denuncia le atrocità di quel conflitto. Dopo la pubblicazione del secondo volume de “L’uomo è antiquato” (1980), raccoglie in un libro pubblicato anche in Italia i suoi scritti sulla questione atomica; nel 1982 rompe i rapporti con la comunità ebraica di Vienna che sostiene l’invasione del Libano e trascorre l’ultimo decennio della sua vita (Anders si spegnerà a Vienna nel dicembre del 92) scrivendo e pubblicando raccolte di saggi e difendendo il suo punto di vista personale ed anticonformista. “Come definirlo in conclusione? - si chiede Costanzo Preve- Non disperato, nonostante la sua propensione a coltivare la categoria della disperazione. E neppure profetico. Certo, veniva dalla tradizione ebraica della voce-sale-della-terra, un ebraismo lontano dal sionismo, cui non si è mai veramente interessato sia dall’assimilazionismo. E allora chi è Anders? Suo malgrado, e indipendentemente dallo stile che non ha nulla da spartire con l’andamento classico della filosofia dell’università, Anders è stato un filosofo, uno dei più grandi del Novecento e se i manuali di storia della filosofia non se ne sono accorti, tanto peggio per loro”. Il primo volume de “L’uomo è antiquato” (1956) comprende quattro saggi di notevole ampiezza, il primo è intitolato “Della vergogna prometeica” ; ad esso segue “Il mondo come fantama e come matrice” dedicato alla radio, alla televisione; il terzo saggio è dedicato a Beckett e si intitola “Essere senza tempo”; il quarto saggio, infine, è dedicato alla bomba atomica: “Della bomba e delle sue radici. Della nostra cecità all’Apocalisse”. Il secondo volume (1980) ha, rispetto al primo, una struttura completamente diversa in quanto è costituito da una importante introduzione intitolata “Le tre rivoluzioni” e da ventotto saggi di diversa lunghezza che affrontano numerosi temi: il lavoro, le macchine, l’individuo, la libertà, la storia. Sostanzialmente si tratta di un’opera unitaria poiché tra i due volumi, sul piano filosofico, intervengono solo delle correzioni di tiro la più importante delle quali riguarda il riconoscimento da parte dell’autore della forzatura da lui stesso impressa al concetto di “vergogna prometeica” ampiamente discusso nel primo volume. Perché l’uomo è antiquato? La risposta dell’autore a questa domanda capitale mette in campo le questioni fondamentali affrontate nell’opera. L’uomo è antiquato- risponde Anders- rispetto alla perfezione dei prodotti della tecnica che lo pone in una condizione di inferiorità in cui egli avverte tutta la sua inadeguatezza e il dislivello tra la sua natura di essere finito e precario e l’infinita progressione e potenza dell’apparato tecnologico mondiale. Lo scarto è avvertito anche come divaricazione tra due facoltà dell’uomo: la sua capacità limitata di immaginare (vorstellen) e la sua capacità illimitata di produrre (herstellen); detto in altre parole, c’è uno squilibrio tra la condizione umana e la perfezione della macchina, squilibrio che si risolve nel dominio dell’apparato tecnologico sull’uomo. Ma c’è anche uno squilibrio all’interno dell’uomo tra la sua limitata capacità di prevedere e di interpretare le ricadute dei processi tecnologici avviati e quindi di assumerne la piena responsabilità. In questa prospettiva si cela il rischio, gravissimo, della ininfluenza dell’uomo rispetto a ciò che lui stesso produce. Per restare ancora nell’ambito del titolo, dobbiamo qualche cenno al significato di seconda e di terza rivoluzione industriale. Ciò a cui si riferisce l’autore ha solo una vaga attinenza ai termini storicamente accettati delle fasi della rivoluzione industriale. La prima rivoluzione industriale coincide, per Anders, con il macchinismo ossia con la produzione di macchine per mezzo di macchine, una rivoluzione che non mette ancora al centro del suo programma la manipolazione dei bisogni; la seconda rivoluzione industriale è quella in cui anche i bisogni vengono prodotti mentre la terza rivoluzione industriale è quella dell’uomo-massa che vive in un mondo in cui il lavoro sta perdendo la sua centralità ed evolve verso la robotica. Anders è un autore radicale, con qualche cosa di estremo; la sua filosofia della tecnica va ben al di là delle posizioni critiche espresse nel Novecento da filosofi che hanno denunciato l'ambiguità della tecnica, i rischi della riduzione della vita ad una evento meccanico e strumentale, il suo potere soverchiante. Egli si allontana di molto da tutte quelle forme di pensiero, che vanno dal senso comune alla filosofia e alla scienza, che riconoscono alla tecnica un esclusivo significato strumentale. Per il filosofo tedesco la strumentalità è una caratteristica della tecnica elementare, della tecnica artigianale non certo della tecnica della seconda e delle tre rivoluzioni industriali. C’è la massima lontananza tra il senso classico di “techne” e quello andersiano che si è formato ed è cresciuto non sulle pagine di qualche testo di filosofia ma, lo abbiamo visto, sul terreno del capitalismo americano. Il mondo greco-romano ha trasmesso una concezione della tecnica come dotazione strumentale utile alla sopravvivenza dell’uomo; l’età moderna eredita questo quadro concettuale ed enfatizza il carattere strumentale e progressivo della tecnica: per Bacone essa realizza il “regnum hominis”. Solo nel corso del Novecento viene avvertito il rischio di scivolamento della tecnica verso il non-umano, e la sottomissione della natura a principi e metodi di sfruttamento intenso e squilibrato; anche il carattere “totalitario” della macchina viene chiaramente intuito e segnalato da una composita corrente di pensiero che va da Spengler ad Heidegger, dai “francofortesi” agli esistenzialisti atei e cattolici. Il mondo delle macchine viene avvertito da costoro come responsabile di una eterogenesi dei fini in quanto, andato perso il carattere liberatorio e progressivo della tecnica, altro non rimane se non l’impoverimento spirituale ed intellettuale e il predominio dell’artificiale e del meccanico. L’uomo è minacciato, essi avvertono, nel suo tessuto di individuo e di persona plurale. Bisogna dunque porre dei limiti e valorizzare l’antropologia della persona o la liberazione delle classi sociali asservite alla logica della scienza e della tecnologia capitalista. Anders si discosta da questo orizzonte anche se recepisce alcune tematiche come quella dell’oltrepassamento dell’uomo da parte dell’apparato tecnico-scientifico e la sua riduzione a cosa priva di soggettività. Il suo quadro concettuale reste comunque distante. Basta pensare ai suoi temi: il dislivello prometeico, il totalitarismo dei prodotti, l’apocalisse atomica e il suo potere di “reductio ad nihil”, il carattere finale della nostra epoca, la dissociazione tra mezzo e fine, l’imperativo secondo cui tutto ciò che è tecnicamente realizzabile deve essere realizzato, la mutazione antropologica dell’uomo trasformato in ente plasmabile dai meccanismi del consumo e della informazione, il primato ontologico delle cose rispetto agli uomini. Prometeo ha riportato sull’uomo una vittoria troppo trionfale, sostiene Anders illustrando il tema della “vergogna prometeica”, e da questa vittoria degli apparati , delle funzioni, degli strumenti ne deriva una perdita del mondo da parte dell’uomo ed un più elevato livello ontologico delle cose rispetto agli uomini stessi. Da queste premesse discende, tra l’altro, la tesi della inversione mezzi-fini. Nessun mezzo è mai soltanto un mezzo. I cosiddetti strumenti in realtà sono “decisioni preliminari” che condizionano i cosiddetti fini. Non è vero, inoltre, che la tecnica dipende dall’uso che ne facciamo: questa tesi ottimistica è drasticamente respinta da Anders “La credenza- egli scrive- che esistano porzioni del nostro mondo che non sono altro che mezzi a cui si possono assegnare ad libitum scopi buoni è pura illusione… La nostra esistenza in cui la tecnica ha una parte tanto importante non si divide in tratti di strada ben delimitati e separati l’uno dall’altro, di cui gli uni sono contraddistinti dal cartello stradale “mezzi” e gli altri da quello “scopi”. Questa divisione è legittima solo per azioni singole e per procedure meccaniche isolate”. L’evento più esemplare di inversione mezzi/fini è la costruzione della bomba atomica: essa non è un mezzo perché se venisse impiegata il più piccolo dei suoi effetti supererebbe di gran lunga qualsiasi scopo. “effectus trascendit finem”. Il processo degenerativo della coppia mezzo/fine è approdato oggi al risultato che la fabbricazione dei mezzi è diventata lo scopo della nostra esistenza; mezzo e fine si sono scambiati le parti. Di grande interesse sono anche le riflessioni di Anders sulle trasformazioni del lavoro umano nella fabbrica robotizzata, sul decadere del “fabbricare” (ossia del lavoro delle manifatture) a “fare” e poi del “fare” in “servire” la macchina. Il libro di Pier Paolo Portinaro rimane ancora l’unica opera pubblicata in Italia sul pensiero di Anders. Ciò appare sbalorditivo a chiunque abbia letto qualche saggio del filosofo tedesco. Non si può non pensare ad un silenzio intenzionale attuato verso un pensatore che non è né di destra né di sinistra ma che ha sempre seguito una strada personalissima ed è stato un implacabile avversario dei sistemi di pensiero autoreferenziali. Il lavoro di Portinaro comunque è un ottimo strumento per avvicinare criticamente Anders poiché traccia una illuminante e acuta presentazione del filosofo tedesco nel primo dei tre saggi che costituiscono il libro e offre nei restanti due importanti spunti di approfondimento. Particolarmente importante è il terzo ed ultimo intervento intitolato: “Tecnica ed etica ad una dimensione” in cui l’autore esamina il pensiero di Anders in rapporto a Marx, ad Heidegger, ai “ francofortesi” e ad Hannah Arendt. Ma soprattutto è interessante in questo saggio la riflessione sulla convergenza tra la tesi andersiana della equivalenza tra Auschwitz ed Hiroshima e le tesi del revisionismo storico. Il pensiero di Anders è debitore nei confronti di Marx da cui deduce alcune importanti tesi quali il tema della alienazione, quello del feticismo delle merci (che in Anders diventa la priorità ontologica del prodotto), e il tema del dominio dei mezzi di produzione rispetto al lavoratore. Con il pensiero di Heidegger, Anders manterrà nel tempo un rapporto prevalentemente conflittuale. “Il suo rapporto con Heidegger va -scrive Portinaro- dalla identificazione al rigetto, passando attraverso la parodia”. Heideggeriana è la tesi sulla inversione mezzi/fini e sull’ oltrepassamento compiuto da Anders della concezione “strumentale” della tecnica. Portinaro riconosce l’estremizzazione e l’enfatizzazione che sono implicate e sottese alle analisi di Anders ma non sono pochi i meriti della antifilosofia andersiana che trovano nel saggio di Portinaro una adeguato riconoscimento. Su Anders anticipatore del revisionismo il giudizio di Portinaro tende a mettere in luce la rottura compiuta dal filosofo tedesco del canone storiografico impostosi quasi unanimemente nel secondo dopoguerra. L’accostamento Auschwitz-Hiroshima è destinato a sollevare scandalo, afferma Portinaro che riconosce comunque che l’intento del “revisionismo” andersiano “non è minimizzare le colpe dei totalitarismi storici quanto ingigantire quelle delle democrazie occidentali”.

Michele Del Vecchio sito web: delvecchiomichele.interfree.it

Gunther Anders : L’uomo è antiquato.

Vol.1.Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale. Pagg. 348, euro 26

Vol. 2. Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale. Pagg. 428, euro 28

Torino, Bollati Boringhieri, 2003


Pier Paolo Portinaro : Il principio disperazione, pagg. 179, euro 13

Torino, Bollati Boringhieri, 2003

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