Questa raccolta è stata scritta a più mani, molte mani, in complicità tra un genio universale della letteratura - il conte Lev Nikolaevic Tolstoj - e i piccoli scolari figli dei muzik, i contadini russi, da sempre analfabeti e che, ancora a quel tempo, tra il 1870 e il 1875, appartenevano corpo e anima al padrone, allo stesso modo degli animali.
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Il cieco e il sordo.
Un cieco e un sordo andarono in un campo a rubare i piselli.
Il sordo disse al cieco: – Tu tieni ben dritte le orecchie, e dì a me tutto quello che senti; io baderò a guardare, e ti dirò tutto quello che vedo. Così entrarono in quella piantagione di piselli, e ci si accoccolarono in mezzo. Il cieco tastò i piselli e disse: – Che bei baccelli pieni! – Il sordo rispose: – Che cosa, i carabinieri? – Il cieco inciampo’ in un fossetto, e cadde. – Che c’è? – domandò il sordo. Il cieco rispose: – C’è un fosso! – Il sordo disse: – Ci vengono addosso? – e via a gambe levate. E il cieco, dietro.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Primo libro di lettura
La testa e la coda del serpente. (Favola).
La coda del serpente si mise a litigare con la testa, a chi delle due toccasse andare innanzi per prima. La testa diceva: — Tu non puoi andare innanzi per prima: non hai occhi e non hai orecchie! — La coda diceva: — In compenso, però, la forza sta in me: sono io che ti muovo; se mi viene il capriccio di arrotolarmi intorno a un albero, tu non ti sposti più! Disse la testa: — Dunque, dividiamoci! E la coda si staccò dalla testa, e incominciò a strisciare in avanti. Ma, appena si fu scostata dalla testa, s’imbatté in un crepaccio, e là dentro sprofondò.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
La pietra. (Racconto dal vero).
Un povero giunse alla casa d’un ricco, e si mise a chiedere l’elemosina.
Il ricco non gli diede nulla, e gli disse: — Va via! — Ma il povero non se ne andava. Allora il ricco s’infuriò, raccolse una pietra e la gettò addosso al povero. Il povero raccolse la pietra, la mise nella bisaccia e disse: — Porterò questa pietra fino a tanto che non venga anche per me il momento di gettarla addosso a lui. E quel momento venne. Il ricco commise una mala azione; gli fu tolto tutto ciò che possedeva, e fu condotto in prigione. Mentre lo conduceva‐ no in prigione, il povero gli s’avvicinò, cavò fuori dalla bisaccia la pietra, e fece per tirarla: poi rifletté, lasciò cadere la pietra, e disse: — Inutilmente ho portato per tanto tempo questa pietra: quando era ricco e potente, io lo temevo; ma ora, mi fa pietà.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Gli Eschimesi. (Descrizione).
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Il cieco e il sordo.
Un cieco e un sordo andarono in un campo a rubare i piselli.
Il sordo disse al cieco: – Tu tieni ben dritte le orecchie, e dì a me tutto quello che senti; io baderò a guardare, e ti dirò tutto quello che vedo. Così entrarono in quella piantagione di piselli, e ci si accoccolarono in mezzo. Il cieco tastò i piselli e disse: – Che bei baccelli pieni! – Il sordo rispose: – Che cosa, i carabinieri? – Il cieco inciampo’ in un fossetto, e cadde. – Che c’è? – domandò il sordo. Il cieco rispose: – C’è un fosso! – Il sordo disse: – Ci vengono addosso? – e via a gambe levate. E il cieco, dietro.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Primo libro di lettura
La testa e la coda del serpente. (Favola).
La coda del serpente si mise a litigare con la testa, a chi delle due toccasse andare innanzi per prima. La testa diceva: — Tu non puoi andare innanzi per prima: non hai occhi e non hai orecchie! — La coda diceva: — In compenso, però, la forza sta in me: sono io che ti muovo; se mi viene il capriccio di arrotolarmi intorno a un albero, tu non ti sposti più! Disse la testa: — Dunque, dividiamoci! E la coda si staccò dalla testa, e incominciò a strisciare in avanti. Ma, appena si fu scostata dalla testa, s’imbatté in un crepaccio, e là dentro sprofondò.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Primo libro di lettura
La pietra. (Racconto dal vero).
Un povero giunse alla casa d’un ricco, e si mise a chiedere l’elemosina.
Il ricco non gli diede nulla, e gli disse: — Va via! — Ma il povero non se ne andava. Allora il ricco s’infuriò, raccolse una pietra e la gettò addosso al povero. Il povero raccolse la pietra, la mise nella bisaccia e disse: — Porterò questa pietra fino a tanto che non venga anche per me il momento di gettarla addosso a lui. E quel momento venne. Il ricco commise una mala azione; gli fu tolto tutto ciò che possedeva, e fu condotto in prigione. Mentre lo conduceva‐ no in prigione, il povero gli s’avvicinò, cavò fuori dalla bisaccia la pietra, e fece per tirarla: poi rifletté, lasciò cadere la pietra, e disse: — Inutilmente ho portato per tanto tempo questa pietra: quando era ricco e potente, io lo temevo; ma ora, mi fa pietà.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Primo libro di lettura
Gli Eschimesi. (Descrizione).
Al mondo c’è una terra, dove per tre mesi soltanto fa estate, e tutto il resto dell’anno fa inverno. D’inverno le giornate sono così corte, che appena il sole s’affaccia, subito tramonta. E per tre mesi, proprio nel cuore dell’inverno, il sole non si leva affatto, e per quei tre mesi è sempre buio. In questa terra vivono degli uomini: essi si chiamano Eschimesi. […] Gli Eschimesi abitano in case di neve. Essi le costruiscono così: tagliano nella neve tanti blocchi, e con questi compongono la casa, come quando si monta una stufa. Al posto dei vetri incastrano nei muri lastre di ghiaccio, e al posto della porta fanno una lunga galleria sotto la neve, e per questa galleria strisciano fin dentro alla casa. Quando sopravviene l’inverno, le loro case restano seppellite interamente dalla neve, e dentro ci fa un bel caldo. Gli Eschimesi man‐ giano, come le bestie, la carne cruda. Essi non hanno né lino né canapa, da farci camicie e corde, e nemmeno la lana, da farci le stoffe: le corde se le fanno coi nervi delle bestie, e i vestiti con le pelli. Accostano insieme due pelli col pelo all’indentro, ci fanno i buchi con una lisca di pesce, e le cuciono coi nervi. In questo modo fanno camicie, calzoni e stivali. Non conoscono nemmeno il ferro. Per fare le lance e le frecce adoperano gli ossi. Preferiscono a ogni altra cosa mangiare il grasso delle bestie e dei pesci. Donne e uomini vanno vestiti nello stesso modo; le donne, però, portano certi stivaloni larghissimi. Nei larghi gambali di questi stivaloni esse infilano i figliolini da latte, e così li portano. Nel cuore dell’inverno gli Eschimesi hanno tre mesi di buio. Ma quando viene l’estate, il sole non ci tramonta mai, e non fa mai notte.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura, , p. 7
Primo libro di lettura
La volpe. (Favola).
Una volpe cascò in una tagliola: con uno strappo si staccò la coda, e scappo’.
Allora cominciò a pensare in che modo poteva nascondere la sua vergogna.
Chiamò a raccolta le altre volpi, e cercò di persuaderle che anche loro si mozzassero la coda.
– La coda, – diceva, – non serve a un bel niente: non si sa proprio perché ci trasciniamo dietro questo peso inutile –. Ma una volpe rispose: – Oh, tu non avresti detto così, se non fossi stata senza coda!
La volpe scodata non parlò più, e filò via.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
Il cervo. (Favola).
Un cervo venne a un fiumicello per abbeverarsi: vide se stesso nell’acqua, e si rallegrò tutto delle sue corna, che erano tanto grandi e ramose; poi si guardò le zampe, e disse: – Peccato che le mie zampe siano così malfatte e meschine! – D’improvviso salta fuori un leone e s’avventa sul cervo. Il cervo si lanciò di galoppo per l’aperta pianura. Esso guadagnava terreno: ma quando giunse al bosco, s’impigliò con le corna fra i rami, e il leone lo acchiappò. Vedendo che stava per morire, il cervo disse: – Ero davvero sciocco! Quelle che mi parevano malfatte e meschine, mi hanno salvato; e quelle che mi davano tanta soddisfazione, sono state la mia rovina.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
Il cane e il lupo. (Favola).
Un cane s’addormentò fuori del suo cortile. Arrivò un lupo affamato e fece per mangiarlo.
Il cane gli disse: — Lupo! Aspetta a mangiarmi: adesso io sono magro, tutt’ossa.
Ma se dai tempo al tempo, i miei padroni stanno per fare uno sposalizio, e anch’io avrò da mangiare a volontà, e diventerò ben grasso: allora si che ci sarà gusto a mangiarmi! Il lupo gli credette, e se ne andò. Ecco che ritorna un’altra volta, e che cosa vede? Il cane sta coricato sul tetto.
Allora il lupo gli fa: — Ebbene, è stato fatto questo sposalizio?
Gli rispose il cane: — Senti, lupo mio: un’altra volta che mi trovi a dormire davanti al cortile, non stare più ad aspettare gli sposalizi.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
I fratelli del re. (Leggenda).
Un re stava camminando per la strada.
Un mendicante gli s’avvicinò e gli chiese l’elemosina. Il re non gli diede niente.
Il mendicante disse: — Re, si vede che tu ti sei scordato che tutti quanti abbiamo un padre solo, Dio: noi siamo tutti fratelli, e tutti dobbiamo dividere la nostra roba con gli altri. A queste parole, il re si fermò, e disse: — Hai ragione: noi siamo fratelli, e dobbiamo dividere ogni cosa fra noi —; e diede al mendicante una moneta d’oro. Il mendicante prese la moneta d’oro, e disse: — Tu mi dai poco: è questo il modo di dividere le proprie cose coi fratelli? Bisogna dividere in parti uguali. Tu hai un milione di queste monete, e qui me ne hai data una sola. Allora il re rispose: — È vero che io ho un milione di monete, e che a te ne ho data una sola; ma anche di fratelli io ne ho tanti, quante sono le mie monete.
Il leone e la volpe. (Favola).
Un leone, dalla gran vecchiaia, non era più capace d’acchiappare le bestie selvatiche, e allora pensò di campare con la furberia: si ritirò in una grotta, e finse d’essere malato. Le bestie selvatiche vennero a fargli visita, e lui, tutte quelle che mettevano piede nella sua grotta, se le mangiava. La volpe subodorò la faccenda: si fermò sull’entrata della grotta, e disse: — Bè, caro il mio leone, come te la passi? Il leone rispose: — Male. Ma tu, perché non vieni dentro? Gli ribatté la volpe: — Sai perché non vengo dentro? Perché, dalle tracce di fuori, vedo che ad entrare sono stati in molti, ma nessuno è uscito.
Il cervo e la vigna. (Favola).
Un cervo si nascose ai cacciatori dentro una vigna.
Quando i cacciato‐ ri furono passati oltre, il cervo si mise a brucare le grandi foglie dell’uva.
I cacciatori notarono che le foglie si muovevano, e pensarono:
«Non ci sarà qualche bestia selvatica laggiù sotto le foglie?»
Spararono, e ferirono il cervo. Allora il cervo disse, già in punto di morte:
— Me lo sono meritato: ho voluto mangiare proprio quelle foglie, che mi avevano salvato la vita.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
due compagni. (Favola).
Andavano due compagni per un bosco: sbucò fuori un orso, e li assalí.
Uno dei due fece in tempo a fuggire: s’arrampicò su un albero, e lassù si nascose; l’altro rimase lì sulla strada. Non c’era nulla da fare, per lui: si buttò lungo per terra, e fece finta d’essere morto. L’orso gli si accostò e incominciò a fiutarlo: lui smise perfino di respirare. L’orso gli diede una fiutata alla faccia, credette che fosse morto davvero, e se ne andò. Quando l’orso fu scomparso, l’altro compagno scese dall’albero, e si mise a ridere: — Bè, — gli diceva, — cosa aveva da dirti l’orso nell’orecchio? — Sai che mi ha detto? Che sono gente da nulla quelli che, nel pericolo, fuggono via e lasciano soli i compagni.
Il peso specifico. (Racconto storico).
Il re greco Ierone di Siracusa ordinò al suo orefice Demetrio una corona d’oro per la statua di Giove, e gli consegnò dodici libbre d’oro. Demetrio fabbricò la corona: e quando il re la pesò, ritrovò nella corona le dodici libbre esatte. Ma venne all’orecchio del re la voce che Demetrio aveva rubato gran parte dell’oro, e che nella corona ci aveva mescolato dell’argento. Il re volle sincerarsi se ci fosse davvero molto argento mescolato nella corona, e ordinò che la stritolassero in mille pezzi, per vedere com’era all’interno. C’era lì un uomo di grande intelligenza e dottrina, parente del re, di nome Archimede. Egli disse al re: – Non farla rompere, quella corona: è peccato mandare a male tanto lavoro! Io, senza rompere la corona, so il modo di verificare quanto argento c’è dentro e quanto oro. Il re acconsentì alla richiesta di Archimede, ed ecco Archimede come fece. Prese una libbra d’oro e una d’argento, e le pesò con una bilancia; poi le pesò di nuovo, tenendo la bilancia nell’acqua. La libbra d’oro, dentro all’acqua, sollevò un piombino in meno di prima; la libbra d’argento sollevò due piombini in meno. Poi Archimede pesò tutta la corona nell’acqua; chiamò il re, e gli disse: – Se una libbra d’oro si pesa nell’acqua, avanza un piombino; se si pesa nell’acqua l’argento, avanzano per ogni libbra due piombini: dunque, se la corona fosse tutta d’oro puro, e ne contenesse dodici libbre, bisognerebbe togliere dalla bilancia dodici piombini. Ora guarda! Pose sulla bilancia un contrappeso di dodici libbre, e pesò la corona nell’acqua. La corona non sollevò dodici libbre meno dodici piombini, ma un peso minore. Bisognò togliere ancora degli altri piombini. E Archimede disse: – Ecco, quanto è il peso di quest’altri piombini che si sono dovuti togliere, tanto è l’oro che Demetrio ti ha frodato. In questo modo Archimede aveva saputo con sicurezza quanto argento era stato mescolato di nascosto nella corona.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Il leone, il lupo e la volpe. (Favola).
Un vecchio leone malato stava sdraiato dentro una grotta.
Tutti gli animali venivano a far visita al loro re: soltanto la volpe non si faceva vedere.
Il lupo, tutto contento, ne approfittò per dir male della volpe dinanzi al leone. — Quella, — diceva il lupo, — non ti stima un soldo: nemmeno una volta è venuta a visitare il suo re! Proprio mentre diceva così, sopravvenne la volpe. Essa sentì le parole del lupo, e pensò: «Aspetta, lupo: mi vendicherò di te». Il leone si voltò alla volpe con un ruggito. Allora lei gli disse: — Non farmi punire, o leone: permetti che io dica una parola. Se non sono mai venuta fino a oggi, la ragione è che non ho avuto tempo. E non ho avuto tempo per la ragione che sono corsa di qua e di là, da un medico all’altro, a chiedere una medicina per te. Soltanto ora l’ho trovata, e subito mi sono affrettata qua. Domandò il leone: — E di quale medicina si tratta? — Ecco di che si tratta: se tu scorticherai un lupo vivo, e ti metterai indosso la sua pelle calduccia calduccia... Non appena il leone ebbe steso il lupo a terra, la volpe si mise a ridere, e disse: — Impara, fratello: ai signori non bisogna mai suggerire il male, ma il bene!
Il leone, l’asino e la volpe. (Favola).
Un leone, un asino e una volpe uscirono in cerca di preda. Acchiapparono molte bestie selvatiche, e il leone ordinò all’asino di fare le parti. L’asino fece tre parti uguali, e disse: — E ora, prendete! Il leone andò in collera, mangiò l’asino, e ordinò alla volpe di rifare lei le parti. La volpe raccolse tutto in un mucchio solo, lasciando per sé soltanto poche briciole. Quarto libro di lettura 211 Il leone diede un’occhiata alla roba così spartita, e disse: – Tu si che hai il cervello fino! Ma chi ti ha insegnato a fare tanto bene, le parti? Rispose la volpe: – E dell’asino, scusa, che ne è stato?
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Gli uccelli e la rete. (Favola).
Un cacciatore tese la rete presso un lago, e la richiuse su una gran quantità d’uccelli.
Gli uccelli erano grossi: sollevarono la rete da terra e volarono via insieme con essa.
Il cacciatore si mise a correre dietro agli uccelli.
Un contadino vide li cacciatore che correva, e gli disse:
— E dove corri, tu? Si può mai, a piedi, raggiungere un uccello?
Il cacciatore rispose: — Se fosse stato un uccello solo, non lo avrei mai raggiunto:
ma questi, ora, li raggiungerò. E così avvenne. Quando fu sera, gli uccelli vollero ritornare ai luoghi dove pernottavano sempre, e ciascuno tirava dalla parte sua: uno verso il bosco, un altro verso la palude, un terzo verso i campi. E così, tutti quanti insieme, precipitarono a terra, e il cacciatore li catturò.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Il vecchio pioppo. (Racconto).
Per cinque anni il nostro giardino era rimasto abbandonato.
Io presi degli operai a giornata, con accette e con zappe, e mi misi a lavorare anch’io insieme con loro intorno al giardino. Sradicammo e mondammo il seccume e il selvaticume, e tutto il dippiú di cespugli e d’alberi che ci era cresciuto. Soprattutto i pioppi e i maraschi avevano avuto un grande sviluppo, e soffocavano le altre piante. Il pioppo spunta su direttamente da tutte le diramazioni delle radici, e quindi non può essere sradicato d’un colpo: bisogna tagliare le radici sotto terra. Accanto al laghetto sorgeva un pioppo enorme, da volerci due persone per abbracciarlo. Intorno si stendeva una piccola radura. Questa piccola radura s’era tutta riempita di polloni di pioppo. Io dissi agli uomini di tagliarli: volevo che il posto diventasse più allegro, e soprattutto volevo dare sollievo a quel vecchio pioppo, giacché pensavo che tutti quegli alberelli giovani, venendo su dalle sue radici, gli succhiassero la linfa. Mentre noi tagliavamo i giovani pioppetti, mi faceva pena, a momenti, veder tagliare sotto terra le loro radici piene di linfa, e poi doverci mettere in quattro a tirare, senza riuscire a svellere il piccolo pioppo già intaccato dalle accette. L’alberello resisteva con tutte le forze, e non voleva a nessun costo morire. Allora mi venne il pensiero: si vede che sarà necessario che vivano, se con tanta tenacia difendono la loro vita! Ma bisognava tagliarli, e io li feci tagliare. Soltanto in seguito, quando era troppo tardi, capii che non si sarebbe dovuto distruggerli. Io avevo creduto che i polloni succhiassero la linfa al vecchio pioppo; e invece era accaduto il contrario. Al momento che li tagliai, il vecchio pioppo stava già per morire. Quando sbocciarono le foglie, mi avvidi che uno dei suoi rami (l’albero s’era biforcato in due rami) rimaneva nu‐ do: e, in quella stessa estate, si seccò. Dunque, già da un pezzo il vecchio pioppo s’avvicinava alla morte, e lo sapeva, e aveva voluto trasmettere a quei polloni la sua vita. Per questo essi erano cresciuti tanto in fretta. Io, invece, con l’intenzione di dargli sollievo, avevo ucciso tutti i suoi figlioli.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura, , p. 7
Primo libro di lettura
Fili sottili. (Favola).
Un tale ordinò a una filatrice fili sottili. La filatrice filò i fili sottili, ma l’uomo disse che quei fili non andavano bene, e che lui aveva bisogno di fili straordinariamente sottili. La filatrice disse: — Se questi non ti sembrano sottili, eccone qui degli altri, — e gli faceva segno a mezz’aria. Quello disse che non vedeva nulla. La filatrice disse: — Appunto non li vedi, perché sono straordinariamente sottili: nemmeno io riesco a vederli. Lo sciocco fu tutto contento, e ordinò altri fili così; e intanto comperò quelli a suon di moneta.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
La velocità fa la forza. (Racconto dal vero).
Una volta un treno avanzava a grande velocità sulla strada ferrata. E proprio sulla strada ferrata, a un passaggio a livello, stava fermo un cavallo attaccato a un carro pesante. Il contadino non riusciva a smuovere il carro, perché una ruota di dietro era saltata via. Il capotreno gridò al macchinista: — Frena! — ma il macchinista non gli diede retta. Egli aveva compreso che il contadino non poteva né spostare in avanti il cavallo col carro, né farlo rigirare indietro, e che la macchina, così di colpo, non si poteva fermare. Quindi non cercò di fermarla, ma anzi lanciò la macchina alla massima velocità, e a tutto vapore s’avventò sul carro. Il contadino, di corsa, s’era scostato dal carro, e la macchina fece schizzar via dai binari carro e cavallo come una scheggia: ma essa non ne fu scossa, e seguitò a correre oltre. Allora il macchinista disse al capotreno: — Ora noi abbiamo ammazzato soltanto un cavallo, e abbiamo fracassato un carretto: ma se avessi dato retta a te, ci saremmo ammazzati anche noi, e avremmo massacrato tutti i passeggeri. A grande velocità, abbiamo fatto schizzar via il carro e non abbiamo risentito l’urto; ma a piccola velocità, saremmo stati noi a schizzar fuori dai binari.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
L’asino e il cavallo. (Favola).
C’era un uomo che aveva un asino e un cavallo. Mentre camminava‐ no insieme per la strada, l’asino disse al cavallo: — Quanto fatico, non posso portare più tutta questa roba, prendimi tu qualche cosa! — Il cavallo non gli diede retta. L’asino cadde a terra dallo sforzo, e morí. Quando il padrone ebbe caricato tutta la roba dell’asino sul cavallo, e per giunta anche la pelle dell’asino, allora il cavallo gemette: — Oh di‐ sgraziato me, come sono nato sfortunato! Non ho voluto dare un piccolo aiuto al mio compagno, ed ecco che adesso porto io la roba di tutt’e due, e per giunta la sua pelle!
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
La massaia e la gallina. (Favola).
C’era una volta una gallina che faceva ogni giorno il suo ovetto. La padrona ebbe il pensiero che, se le dava più mangime, la gallina avrebbe fruttato il doppio. E così provò a fare. Ma la gallina ingrassò e cessò del tutto di far l’uovo.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Il vecchio nonno e il nipotino. (Favola).
Il nonno diventò molto vecchio. Le gambe non gli camminavano più, gli occhi non gli vedevano, le orecchie non gli sentivano, non aveva più un dente. E quando mangiava, la roba gli ricadeva giù dalla bocca. Il figlio e la nuora non gli apparecchiarono più il posto a tavola: gli davano da mangiare accanto al fuoco. Una volta, gli avevano portato da mangia‐ re in una ciotola. Lui voleva accostarsela, ma la fece cadere e la mandò in pezzi. La nuora cominciò a sgridare il vecchio, che in casa le mandava a male ogni cosa, e disse che d’ora in poi gli avrebbe dato da mangiare nel mastello delle rigovernature. Il vecchio fece un sospiro, e non disse nulla. Di lì a qualche giorno, la donna e l’uomo se ne stavano in casa, e vedono il figliolino che gioca per terra con certe tavolette, come se volesse fabbricarci qualche cosa. Il padre, allora, gli domanda: – Che stai a fare, Micheluccio? – E Micheluccio gli dice: – Io, babbino, sto a fare un mastello. Così, quando tu e mammina sarete vecchi, in questo mastello io ci darò da mangiare a voi. L’uomo e la donna si guardarono tra loro, e si misero a piangere. Ebbero vergogna di offendere a quel modo il vecchio; e, da quel giorno in poi, ricominciarono a mettergli il posto a tavola e ad assisterlo con premura.
Il vignaiolo e i figli. (Favola).
Un vignaiolo voleva che i figli s’affezionassero al lavoro della vigna.
Quando fu vicino a morire, li chiamò e disse:
— Sentite, figli miei: quando io sarò morto, voi cercate bene nella vigna, in modo da trovare quel che c’è nascosto.
I figli credettero che là ci fosse un tesoro: e quando il padre fu morto, si misero a scavare, a scavare, e rivoltarono sottosopra tutta la terra. Il tesoro non lo trovarono; ma la terra della vigna era stata così ben rivoltata, che cominciò a fruttare molto di più. E loro diventarono ricchi.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Secondo libro.
Pietro il Grande e il contadino. (Racconto dal vero).
L’imperatore Pietro il Grande, passando per un bosco, incontrò un contadino.
Il contadino spezzava la legna. Disse l’imperatore: — Che Dio t’aiuti, contadino!
Risponde il contadino: — Per davvero ho bisogno dell’aiuto di Dio!
L’imperatore gli domanda: — Perché, hai famiglia grossa?
— La mia famiglia è di due figli maschi e di due figlie femmine.
Allora non è mica grossa, la tua famiglia! O dunque i denari dove li impieghi?
Io, i denari, li impiego in tre modi: primo, ci pago il debito; secondo, li do a credito; terzo, li butto in acqua. L’imperatore rifletté, e non riusciva a capire che cosa voleva dire quel vecchio, che pagava il debito, dava a credito, e buttava in acqua.
Allora il vecchio disse:
— Ci pago il debito: mantengo i genitori;
li do a credito: mantengo i figlioli;
li butto in acqua: allevo le figlie femmine.
Disse l’imperatore: — Hai la testa fina, vecchietto. Adesso conducimi fuori del bosco, allo scoperto, perché io da solo non troverei la strada. Il contadino rispose: — La troverai anche da solo, la strada: và diritto, poi volta a destra, poi a sinistra, e poi ancora a destra. Disse l’imperatore:
— Questo latino, io, non lo capisco: guidami tu! — Io, caro signore, non ho tempo di accompagnarti: la giornata di noi contadini vale parecchio. — Allora, se vale parecchio, io te la pagherò. — Se paghi, andiamo pure. Montarono sul calessino, e s’avviarono.
Strada facendo, l’imperatore venne a domandare al contadino:
— Sei stato mai, contadino, lontano di qui?
— Un po’ di mondo l’ho girato anch’io.
— E l’hai veduto mai, l’imperatore?
— L’imperatore non l’ho mai veduto: magari, però, potessi vederlo!
— Ebbene: come usciremo allo scoperto, tu vedrai l’imperatore.
— Ma come farò a riconoscerlo?
— Tutti staranno senza cappello. L’imperatore solo avrà il cappello in testa.
Ecco che arrivano allo scoperto. La gente vide l’imperatore, e tutti si levarono i cappelli.
Il contadino sgrana tanto d’occhi, ma non vede nessun imperatore.
Finalmente domandò: — Ma dov’è, l’imperatore?
Allora gli disse Pietro il Grande:
— Vedi, siamo in due soli col cappello in testa: uno di noi due, bisogna che sia l’imperatore.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Secondo libro.
Il leone e il cagnolino. (Racconto dal vero).
A Londra c’era una mostra di bestie feroci, e per entrare a visitarle, si poteva pagare oppure portare dei cani e dei gatti, da dare in pasto alle belve. Un tale ebbe voglia di vedere le belve: acchiappo’ per la strada un cagnolino e lo portò al serraglio. L’uomo fu lasciato entrare, e il cagnolino fu preso e gettato nella gabbia del leone, che se lo mangiasse. Il canino si mise la coda fra le zampe e si ritirò in un angolo della gabbia. Il leone gli s’accostò e lo fiutò. Il canino si coricò sulla schiena, alzò le zampette e si mise ad agitare la codina. Il leone gli diede un tocco con la zampa, e lo rivoltolò. Il canino saltò su e restò seduto dinanzi al leone sulle zampette di dietro. Il leone lo guardava fisso, piegava la testa ora di qua ora di là, e non lo toccava. Quando il padrone delle belve gettò al leone la carne, il leone ne strappo’ un boccone e lo lasciò al canino. Alla sera, quando il leone si stese a dormire, il canino gli si stese accanto, e gli posò la testa sulla zampa. Da quel giorno, il canino visse sempre dentro la gabbia del leone, e il leone non lo toccava, mangiava e dormiva con lui, e certe volte perfino ci giocava insieme. Una volta, un signore venne a visitare il serraglio, e riconobbe il suo cagnolino: disse che il cagnolino era suo, e chiese al padrone del serraglio che glielo restituisse. Il padrone glielo voleva restituire, ma come provarono a chiamare il canino per tirarlo fuori della gabbia, il leone s’incollerì e si mise a ruggire. Così seguitarono a vivere insieme, leone e canino, un anno intero nella stessa gabbia. Passato un anno, il canino s’ammalò e morí. Il leone smise di mangiare, e stava sempre a fiutare il canino, a leccarlo, a smuoverlo con la zampa. Quand’ebbe capito che era morto, d’improvviso diede un balzo, drizzò la criniera, cominciò a battersi la coda sui fianchi, poi si slanciò contro la parete della gabbia e si mise a mordere i chiavistelli e il piancito. Per tutta la giornata si dibatté, girò su e giù per la gabbia, e ruggiva; alla fine, s’accovacciò accanto al canino morto, e si quietò. Il padrone andò per portar via il canino morto, ma il leone non permetteva a nessuno di accostarvisi. Allora il padrone pensò che il leone avrebbe scordato il suo dolore se gli si fosse dato un altro cagnolino come quello, e gli mise nella gabbia un cagnolino vivo: ma subito il leone lo sbranò in mille pezzi. Poi abbracciò con le sue zampe il canino morto, e così rimase disteso cinque giorni. Il sesto giorno, il leone morí.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Secondo libro
Un tale ordinò a una filatrice fili sottili. La filatrice filò i fili sottili, ma l’uomo disse che quei fili non andavano bene, e che lui aveva bisogno di fili straordinariamente sottili. La filatrice disse: — Se questi non ti sembrano sottili, eccone qui degli altri, — e gli faceva segno a mezz’aria. Quello disse che non vedeva nulla. La filatrice disse: — Appunto non li vedi, perché sono straordinariamente sottili: nemmeno io riesco a vederli. Lo sciocco fu tutto contento, e ordinò altri fili così; e intanto comperò quelli a suon di moneta.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
La velocità fa la forza. (Racconto dal vero).
Una volta un treno avanzava a grande velocità sulla strada ferrata. E proprio sulla strada ferrata, a un passaggio a livello, stava fermo un cavallo attaccato a un carro pesante. Il contadino non riusciva a smuovere il carro, perché una ruota di dietro era saltata via. Il capotreno gridò al macchinista: — Frena! — ma il macchinista non gli diede retta. Egli aveva compreso che il contadino non poteva né spostare in avanti il cavallo col carro, né farlo rigirare indietro, e che la macchina, così di colpo, non si poteva fermare. Quindi non cercò di fermarla, ma anzi lanciò la macchina alla massima velocità, e a tutto vapore s’avventò sul carro. Il contadino, di corsa, s’era scostato dal carro, e la macchina fece schizzar via dai binari carro e cavallo come una scheggia: ma essa non ne fu scossa, e seguitò a correre oltre. Allora il macchinista disse al capotreno: — Ora noi abbiamo ammazzato soltanto un cavallo, e abbiamo fracassato un carretto: ma se avessi dato retta a te, ci saremmo ammazzati anche noi, e avremmo massacrato tutti i passeggeri. A grande velocità, abbiamo fatto schizzar via il carro e non abbiamo risentito l’urto; ma a piccola velocità, saremmo stati noi a schizzar fuori dai binari.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
L’asino e il cavallo. (Favola).
C’era un uomo che aveva un asino e un cavallo. Mentre camminava‐ no insieme per la strada, l’asino disse al cavallo: — Quanto fatico, non posso portare più tutta questa roba, prendimi tu qualche cosa! — Il cavallo non gli diede retta. L’asino cadde a terra dallo sforzo, e morí. Quando il padrone ebbe caricato tutta la roba dell’asino sul cavallo, e per giunta anche la pelle dell’asino, allora il cavallo gemette: — Oh di‐ sgraziato me, come sono nato sfortunato! Non ho voluto dare un piccolo aiuto al mio compagno, ed ecco che adesso porto io la roba di tutt’e due, e per giunta la sua pelle!
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
C’era una volta una gallina che faceva ogni giorno il suo ovetto. La padrona ebbe il pensiero che, se le dava più mangime, la gallina avrebbe fruttato il doppio. E così provò a fare. Ma la gallina ingrassò e cessò del tutto di far l’uovo.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Il vecchio nonno e il nipotino. (Favola).
Il nonno diventò molto vecchio. Le gambe non gli camminavano più, gli occhi non gli vedevano, le orecchie non gli sentivano, non aveva più un dente. E quando mangiava, la roba gli ricadeva giù dalla bocca. Il figlio e la nuora non gli apparecchiarono più il posto a tavola: gli davano da mangiare accanto al fuoco. Una volta, gli avevano portato da mangia‐ re in una ciotola. Lui voleva accostarsela, ma la fece cadere e la mandò in pezzi. La nuora cominciò a sgridare il vecchio, che in casa le mandava a male ogni cosa, e disse che d’ora in poi gli avrebbe dato da mangiare nel mastello delle rigovernature. Il vecchio fece un sospiro, e non disse nulla. Di lì a qualche giorno, la donna e l’uomo se ne stavano in casa, e vedono il figliolino che gioca per terra con certe tavolette, come se volesse fabbricarci qualche cosa. Il padre, allora, gli domanda: – Che stai a fare, Micheluccio? – E Micheluccio gli dice: – Io, babbino, sto a fare un mastello. Così, quando tu e mammina sarete vecchi, in questo mastello io ci darò da mangiare a voi. L’uomo e la donna si guardarono tra loro, e si misero a piangere. Ebbero vergogna di offendere a quel modo il vecchio; e, da quel giorno in poi, ricominciarono a mettergli il posto a tavola e ad assisterlo con premura.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Il vignaiolo e i figli. (Favola).
Un vignaiolo voleva che i figli s’affezionassero al lavoro della vigna.
Quando fu vicino a morire, li chiamò e disse:
— Sentite, figli miei: quando io sarò morto, voi cercate bene nella vigna, in modo da trovare quel che c’è nascosto.
I figli credettero che là ci fosse un tesoro: e quando il padre fu morto, si misero a scavare, a scavare, e rivoltarono sottosopra tutta la terra. Il tesoro non lo trovarono; ma la terra della vigna era stata così ben rivoltata, che cominciò a fruttare molto di più. E loro diventarono ricchi.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Secondo libro.
Pietro il Grande e il contadino. (Racconto dal vero).
L’imperatore Pietro il Grande, passando per un bosco, incontrò un contadino.
Il contadino spezzava la legna. Disse l’imperatore: — Che Dio t’aiuti, contadino!
Risponde il contadino: — Per davvero ho bisogno dell’aiuto di Dio!
L’imperatore gli domanda: — Perché, hai famiglia grossa?
— La mia famiglia è di due figli maschi e di due figlie femmine.
Allora non è mica grossa, la tua famiglia! O dunque i denari dove li impieghi?
Io, i denari, li impiego in tre modi: primo, ci pago il debito; secondo, li do a credito; terzo, li butto in acqua. L’imperatore rifletté, e non riusciva a capire che cosa voleva dire quel vecchio, che pagava il debito, dava a credito, e buttava in acqua.
Allora il vecchio disse:
— Ci pago il debito: mantengo i genitori;
li do a credito: mantengo i figlioli;
li butto in acqua: allevo le figlie femmine.
Disse l’imperatore: — Hai la testa fina, vecchietto. Adesso conducimi fuori del bosco, allo scoperto, perché io da solo non troverei la strada. Il contadino rispose: — La troverai anche da solo, la strada: và diritto, poi volta a destra, poi a sinistra, e poi ancora a destra. Disse l’imperatore:
— Questo latino, io, non lo capisco: guidami tu! — Io, caro signore, non ho tempo di accompagnarti: la giornata di noi contadini vale parecchio. — Allora, se vale parecchio, io te la pagherò. — Se paghi, andiamo pure. Montarono sul calessino, e s’avviarono.
Strada facendo, l’imperatore venne a domandare al contadino:
— Sei stato mai, contadino, lontano di qui?
— Un po’ di mondo l’ho girato anch’io.
— E l’hai veduto mai, l’imperatore?
— L’imperatore non l’ho mai veduto: magari, però, potessi vederlo!
— Ebbene: come usciremo allo scoperto, tu vedrai l’imperatore.
— Ma come farò a riconoscerlo?
— Tutti staranno senza cappello. L’imperatore solo avrà il cappello in testa.
Ecco che arrivano allo scoperto. La gente vide l’imperatore, e tutti si levarono i cappelli.
Il contadino sgrana tanto d’occhi, ma non vede nessun imperatore.
Finalmente domandò: — Ma dov’è, l’imperatore?
Allora gli disse Pietro il Grande:
— Vedi, siamo in due soli col cappello in testa: uno di noi due, bisogna che sia l’imperatore.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Secondo libro.
Il leone e il cagnolino. (Racconto dal vero).
A Londra c’era una mostra di bestie feroci, e per entrare a visitarle, si poteva pagare oppure portare dei cani e dei gatti, da dare in pasto alle belve. Un tale ebbe voglia di vedere le belve: acchiappo’ per la strada un cagnolino e lo portò al serraglio. L’uomo fu lasciato entrare, e il cagnolino fu preso e gettato nella gabbia del leone, che se lo mangiasse. Il canino si mise la coda fra le zampe e si ritirò in un angolo della gabbia. Il leone gli s’accostò e lo fiutò. Il canino si coricò sulla schiena, alzò le zampette e si mise ad agitare la codina. Il leone gli diede un tocco con la zampa, e lo rivoltolò. Il canino saltò su e restò seduto dinanzi al leone sulle zampette di dietro. Il leone lo guardava fisso, piegava la testa ora di qua ora di là, e non lo toccava. Quando il padrone delle belve gettò al leone la carne, il leone ne strappo’ un boccone e lo lasciò al canino. Alla sera, quando il leone si stese a dormire, il canino gli si stese accanto, e gli posò la testa sulla zampa. Da quel giorno, il canino visse sempre dentro la gabbia del leone, e il leone non lo toccava, mangiava e dormiva con lui, e certe volte perfino ci giocava insieme. Una volta, un signore venne a visitare il serraglio, e riconobbe il suo cagnolino: disse che il cagnolino era suo, e chiese al padrone del serraglio che glielo restituisse. Il padrone glielo voleva restituire, ma come provarono a chiamare il canino per tirarlo fuori della gabbia, il leone s’incollerì e si mise a ruggire. Così seguitarono a vivere insieme, leone e canino, un anno intero nella stessa gabbia. Passato un anno, il canino s’ammalò e morí. Il leone smise di mangiare, e stava sempre a fiutare il canino, a leccarlo, a smuoverlo con la zampa. Quand’ebbe capito che era morto, d’improvviso diede un balzo, drizzò la criniera, cominciò a battersi la coda sui fianchi, poi si slanciò contro la parete della gabbia e si mise a mordere i chiavistelli e il piancito. Per tutta la giornata si dibatté, girò su e giù per la gabbia, e ruggiva; alla fine, s’accovacciò accanto al canino morto, e si quietò. Il padrone andò per portar via il canino morto, ma il leone non permetteva a nessuno di accostarvisi. Allora il padrone pensò che il leone avrebbe scordato il suo dolore se gli si fosse dato un altro cagnolino come quello, e gli mise nella gabbia un cagnolino vivo: ma subito il leone lo sbranò in mille pezzi. Poi abbracciò con le sue zampe il canino morto, e così rimase disteso cinque giorni. Il sesto giorno, il leone morí.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Secondo libro
Il calore. (Considerazioni).
Per quale ragione, nelle linee ferroviarie, le verghe dei binari sono disposte in modo che l’estremità di una non tocca l’estremità dell’altra? Per la ragione che d’inverno, col freddo, il ferro si restringe, mentre d’estate, col caldo, si dilata. Se, quando è inverno, si piantassero i binari in modo da combaciare insieme con le estremità delle verghe, queste, quando viene l’estate, si allungherebbero, farebbero forza una contro l’altra, e si solleverebbero da terra. Col caldo ogni cosa si allarga, col freddo ogni cosa si restringe. Se una vite non entra nel dado, si riscalda il dado, e la vite ci entrerà. E se la vite ci giuoca dentro, si riscalda la vite, e ci andrà a perfezione.
Per quale ragione un bicchiere si spezza, se ci si mesce l’acqua bollente?
Per la ragione che quel punto del bicchiere, dov’è l’acqua bollente, si riscalda, si slarga, e invece quel punto, dove l’acqua bollente non c’è, rimane com’era prima: in basso il bicchiere fa forza in fuori, ma in alto non consente, e così si spezza.
Per quale ragione, quando viene il disgelo, la neve si scioglie sulle mani, ma sul cappotto regge?
Per la ragione che il calore del viso e delle mani trapassa nella neve e la fa fondere: infatti, quel punto del viso dove la neve s’è sciolta, diventa freddo.
Per quale ragione, tenendo fra le mani una ciotola di latta piena d’acqua fredda, l’acqua si riscalda, mentre il palmo delle mani si raffredda?
Per la ragione che, dalle mani; il calore trapassa nella latta, e di lì nell’acqua.
Se si tiene la ciotola coi guanti, per quale ragione tarda un pezzo a scaldarsi?
Per la ragione che i guanti non permettono al calore delle mani di diffondersi nell’acqua, mentre invece la latta lascia passare il calore dalle mani nell’acqua. Il ferro e la latta lasciano passare il caldo e il freddo; la pelliccia e il legno non lo lasciano passare. Per questa ragione il ferro, la latta, il rame e tanti altri metalli si riscaldano al sole più del legno, della lana, della carta, e fanno più presto a raffreddarsi. E appunto per questo, nella stagione fredda, ci vestiamo di pellicce, di lana e di tutte le cose che non lasciano uscire il calore.
Per quale ragione la pasta del pane, che deve levitare, si ricopre con una coperta di lana, e non con un pezzo di bandone?
Per quale ragione, sotto i trucioli e sotto la paglia, la neve non si scioglie, e si mantiene fino a giugno?
Per quale ragione il ghiaccio si mantiene meglio nelle cantine che sono riparate da un tetto di paglia?
Per quale ragione, quando si vogliono far prosciugare le assi tagliate di fresco, si mettono sotto una tettoia di bandone, non già di paglia?
Per quale ragione, di fienatura e di mietitura, i contadini, per conservare l’acqua fresca, avvolgono le brocche in un tovagliolo?
Per quale ragione, quando tira il vento ma non gela, ci sentiamo intirizzire più di quando gela senza vento?
Per la ragione che il calore passa dal nostro corpo nell’aria, e se il tempo è calmo, l’aria che sta intorno al corpo si riscalda e rimane intiepidita. Ma quando tira il vento, porta via l’aria riscaldata, e ne porta dell’altra fredda. Dal corpo esce nuovo calore, e di nuovo riscalda l’aria che gli sta intorno: ma di nuovo il vento porta via l’aria intiepidita. E quando molto calore, in questo modo, è uscito dal corpo, noi ci sentiamo intirizzire.
Per quale ragione, quando in una tazzina il tè è bollente, ci si soffia sopra?
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Secondo libro
Per quale ragione, nelle linee ferroviarie, le verghe dei binari sono disposte in modo che l’estremità di una non tocca l’estremità dell’altra? Per la ragione che d’inverno, col freddo, il ferro si restringe, mentre d’estate, col caldo, si dilata. Se, quando è inverno, si piantassero i binari in modo da combaciare insieme con le estremità delle verghe, queste, quando viene l’estate, si allungherebbero, farebbero forza una contro l’altra, e si solleverebbero da terra. Col caldo ogni cosa si allarga, col freddo ogni cosa si restringe. Se una vite non entra nel dado, si riscalda il dado, e la vite ci entrerà. E se la vite ci giuoca dentro, si riscalda la vite, e ci andrà a perfezione.
Per quale ragione un bicchiere si spezza, se ci si mesce l’acqua bollente?
Per la ragione che quel punto del bicchiere, dov’è l’acqua bollente, si riscalda, si slarga, e invece quel punto, dove l’acqua bollente non c’è, rimane com’era prima: in basso il bicchiere fa forza in fuori, ma in alto non consente, e così si spezza.
Per quale ragione, quando viene il disgelo, la neve si scioglie sulle mani, ma sul cappotto regge?
Per la ragione che il calore del viso e delle mani trapassa nella neve e la fa fondere: infatti, quel punto del viso dove la neve s’è sciolta, diventa freddo.
Per quale ragione, tenendo fra le mani una ciotola di latta piena d’acqua fredda, l’acqua si riscalda, mentre il palmo delle mani si raffredda?
Per la ragione che, dalle mani; il calore trapassa nella latta, e di lì nell’acqua.
Se si tiene la ciotola coi guanti, per quale ragione tarda un pezzo a scaldarsi?
Per la ragione che i guanti non permettono al calore delle mani di diffondersi nell’acqua, mentre invece la latta lascia passare il calore dalle mani nell’acqua. Il ferro e la latta lasciano passare il caldo e il freddo; la pelliccia e il legno non lo lasciano passare. Per questa ragione il ferro, la latta, il rame e tanti altri metalli si riscaldano al sole più del legno, della lana, della carta, e fanno più presto a raffreddarsi. E appunto per questo, nella stagione fredda, ci vestiamo di pellicce, di lana e di tutte le cose che non lasciano uscire il calore.
Per quale ragione la pasta del pane, che deve levitare, si ricopre con una coperta di lana, e non con un pezzo di bandone?
Per quale ragione, sotto i trucioli e sotto la paglia, la neve non si scioglie, e si mantiene fino a giugno?
Per quale ragione il ghiaccio si mantiene meglio nelle cantine che sono riparate da un tetto di paglia?
Per quale ragione, quando si vogliono far prosciugare le assi tagliate di fresco, si mettono sotto una tettoia di bandone, non già di paglia?
Per quale ragione, di fienatura e di mietitura, i contadini, per conservare l’acqua fresca, avvolgono le brocche in un tovagliolo?
Per quale ragione, quando tira il vento ma non gela, ci sentiamo intirizzire più di quando gela senza vento?
Per la ragione che il calore passa dal nostro corpo nell’aria, e se il tempo è calmo, l’aria che sta intorno al corpo si riscalda e rimane intiepidita. Ma quando tira il vento, porta via l’aria riscaldata, e ne porta dell’altra fredda. Dal corpo esce nuovo calore, e di nuovo riscalda l’aria che gli sta intorno: ma di nuovo il vento porta via l’aria intiepidita. E quando molto calore, in questo modo, è uscito dal corpo, noi ci sentiamo intirizzire.
Per quale ragione, quando in una tazzina il tè è bollente, ci si soffia sopra?
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura.
Secondo libro
La volpe. (Favola).
Una volpe cascò in una tagliola: con uno strappo si staccò la coda, e scappo’.
Allora cominciò a pensare in che modo poteva nascondere la sua vergogna.
Chiamò a raccolta le altre volpi, e cercò di persuaderle che anche loro si mozzassero la coda.
– La coda, – diceva, – non serve a un bel niente: non si sa proprio perché ci trasciniamo dietro questo peso inutile –. Ma una volpe rispose: – Oh, tu non avresti detto così, se non fossi stata senza coda!
La volpe scodata non parlò più, e filò via.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
Il cervo. (Favola).
Un cervo venne a un fiumicello per abbeverarsi: vide se stesso nell’acqua, e si rallegrò tutto delle sue corna, che erano tanto grandi e ramose; poi si guardò le zampe, e disse: – Peccato che le mie zampe siano così malfatte e meschine! – D’improvviso salta fuori un leone e s’avventa sul cervo. Il cervo si lanciò di galoppo per l’aperta pianura. Esso guadagnava terreno: ma quando giunse al bosco, s’impigliò con le corna fra i rami, e il leone lo acchiappò. Vedendo che stava per morire, il cervo disse: – Ero davvero sciocco! Quelle che mi parevano malfatte e meschine, mi hanno salvato; e quelle che mi davano tanta soddisfazione, sono state la mia rovina.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
Il cane e il lupo. (Favola).
Un cane s’addormentò fuori del suo cortile. Arrivò un lupo affamato e fece per mangiarlo.
Il cane gli disse: — Lupo! Aspetta a mangiarmi: adesso io sono magro, tutt’ossa.
Ma se dai tempo al tempo, i miei padroni stanno per fare uno sposalizio, e anch’io avrò da mangiare a volontà, e diventerò ben grasso: allora si che ci sarà gusto a mangiarmi! Il lupo gli credette, e se ne andò. Ecco che ritorna un’altra volta, e che cosa vede? Il cane sta coricato sul tetto.
Allora il lupo gli fa: — Ebbene, è stato fatto questo sposalizio?
Gli rispose il cane: — Senti, lupo mio: un’altra volta che mi trovi a dormire davanti al cortile, non stare più ad aspettare gli sposalizi.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
I fratelli del re. (Leggenda).
Un re stava camminando per la strada.
Un mendicante gli s’avvicinò e gli chiese l’elemosina. Il re non gli diede niente.
Il mendicante disse: — Re, si vede che tu ti sei scordato che tutti quanti abbiamo un padre solo, Dio: noi siamo tutti fratelli, e tutti dobbiamo dividere la nostra roba con gli altri. A queste parole, il re si fermò, e disse: — Hai ragione: noi siamo fratelli, e dobbiamo dividere ogni cosa fra noi —; e diede al mendicante una moneta d’oro. Il mendicante prese la moneta d’oro, e disse: — Tu mi dai poco: è questo il modo di dividere le proprie cose coi fratelli? Bisogna dividere in parti uguali. Tu hai un milione di queste monete, e qui me ne hai data una sola. Allora il re rispose: — È vero che io ho un milione di monete, e che a te ne ho data una sola; ma anche di fratelli io ne ho tanti, quante sono le mie monete.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
L’umidità. (Considerazioni).
Come mai il ragno, certe volte, fa la ragnatela e rimane lì fermo al centro del suo nido, e altre volte esce dal nido e si tesse un’altra ragnatela? Il ragno fa le sue ragnatele a seconda del tempo che è e che sarà. Noi, osservando le ragnatele, possiamo sapere che cosa farà il tempo: se il ragno se ne sta fermo, ficcato al centro della ragnatela, e di lì non si muove, è segno di pioggia: se esce dal nido e tesse altre ragnatele, è segno di buon tempo. Come fa, il ragno, a sapere in anticipo che tempo sarà? I sensi del ragno sono talmente fini, che appena nell’aria comincia a raccogliersi un pochino di umidità, e noialtri non ce ne accorgiamo neppure, e il tempo ci pare ancora sereno, per il ragno già piove. Allo stesso modo che anche un uomo, se è svestito, sente subito l’umidità, ma se è vestito non l’avverte, così per il ragno già piove, quando per noialtri la pioggia si sta appena preparando.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
L’umidità. (Considerazioni).
Come mai il ragno, certe volte, fa la ragnatela e rimane lì fermo al centro del suo nido, e altre volte esce dal nido e si tesse un’altra ragnatela? Il ragno fa le sue ragnatele a seconda del tempo che è e che sarà. Noi, osservando le ragnatele, possiamo sapere che cosa farà il tempo: se il ragno se ne sta fermo, ficcato al centro della ragnatela, e di lì non si muove, è segno di pioggia: se esce dal nido e tesse altre ragnatele, è segno di buon tempo. Come fa, il ragno, a sapere in anticipo che tempo sarà? I sensi del ragno sono talmente fini, che appena nell’aria comincia a raccogliersi un pochino di umidità, e noialtri non ce ne accorgiamo neppure, e il tempo ci pare ancora sereno, per il ragno già piove. Allo stesso modo che anche un uomo, se è svestito, sente subito l’umidità, ma se è vestito non l’avverte, così per il ragno già piove, quando per noialtri la pioggia si sta appena preparando.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
Il leone e la volpe. (Favola).
Un leone, dalla gran vecchiaia, non era più capace d’acchiappare le bestie selvatiche, e allora pensò di campare con la furberia: si ritirò in una grotta, e finse d’essere malato. Le bestie selvatiche vennero a fargli visita, e lui, tutte quelle che mettevano piede nella sua grotta, se le mangiava. La volpe subodorò la faccenda: si fermò sull’entrata della grotta, e disse: — Bè, caro il mio leone, come te la passi? Il leone rispose: — Male. Ma tu, perché non vieni dentro? Gli ribatté la volpe: — Sai perché non vengo dentro? Perché, dalle tracce di fuori, vedo che ad entrare sono stati in molti, ma nessuno è uscito.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
Un cervo si nascose ai cacciatori dentro una vigna.
Quando i cacciato‐ ri furono passati oltre, il cervo si mise a brucare le grandi foglie dell’uva.
I cacciatori notarono che le foglie si muovevano, e pensarono:
«Non ci sarà qualche bestia selvatica laggiù sotto le foglie?»
Spararono, e ferirono il cervo. Allora il cervo disse, già in punto di morte:
— Me lo sono meritato: ho voluto mangiare proprio quelle foglie, che mi avevano salvato la vita.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Terzo libro.
due compagni. (Favola).
Andavano due compagni per un bosco: sbucò fuori un orso, e li assalí.
Uno dei due fece in tempo a fuggire: s’arrampicò su un albero, e lassù si nascose; l’altro rimase lì sulla strada. Non c’era nulla da fare, per lui: si buttò lungo per terra, e fece finta d’essere morto. L’orso gli si accostò e incominciò a fiutarlo: lui smise perfino di respirare. L’orso gli diede una fiutata alla faccia, credette che fosse morto davvero, e se ne andò. Quando l’orso fu scomparso, l’altro compagno scese dall’albero, e si mise a ridere: — Bè, — gli diceva, — cosa aveva da dirti l’orso nell’orecchio? — Sai che mi ha detto? Che sono gente da nulla quelli che, nel pericolo, fuggono via e lasciano soli i compagni.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Il peso specifico. (Racconto storico).
Il re greco Ierone di Siracusa ordinò al suo orefice Demetrio una corona d’oro per la statua di Giove, e gli consegnò dodici libbre d’oro. Demetrio fabbricò la corona: e quando il re la pesò, ritrovò nella corona le dodici libbre esatte. Ma venne all’orecchio del re la voce che Demetrio aveva rubato gran parte dell’oro, e che nella corona ci aveva mescolato dell’argento. Il re volle sincerarsi se ci fosse davvero molto argento mescolato nella corona, e ordinò che la stritolassero in mille pezzi, per vedere com’era all’interno. C’era lì un uomo di grande intelligenza e dottrina, parente del re, di nome Archimede. Egli disse al re: – Non farla rompere, quella corona: è peccato mandare a male tanto lavoro! Io, senza rompere la corona, so il modo di verificare quanto argento c’è dentro e quanto oro. Il re acconsentì alla richiesta di Archimede, ed ecco Archimede come fece. Prese una libbra d’oro e una d’argento, e le pesò con una bilancia; poi le pesò di nuovo, tenendo la bilancia nell’acqua. La libbra d’oro, dentro all’acqua, sollevò un piombino in meno di prima; la libbra d’argento sollevò due piombini in meno. Poi Archimede pesò tutta la corona nell’acqua; chiamò il re, e gli disse: – Se una libbra d’oro si pesa nell’acqua, avanza un piombino; se si pesa nell’acqua l’argento, avanzano per ogni libbra due piombini: dunque, se la corona fosse tutta d’oro puro, e ne contenesse dodici libbre, bisognerebbe togliere dalla bilancia dodici piombini. Ora guarda! Pose sulla bilancia un contrappeso di dodici libbre, e pesò la corona nell’acqua. La corona non sollevò dodici libbre meno dodici piombini, ma un peso minore. Bisognò togliere ancora degli altri piombini. E Archimede disse: – Ecco, quanto è il peso di quest’altri piombini che si sono dovuti togliere, tanto è l’oro che Demetrio ti ha frodato. In questo modo Archimede aveva saputo con sicurezza quanto argento era stato mescolato di nascosto nella corona.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Il leone, il lupo e la volpe. (Favola).
Un vecchio leone malato stava sdraiato dentro una grotta.
Tutti gli animali venivano a far visita al loro re: soltanto la volpe non si faceva vedere.
Il lupo, tutto contento, ne approfittò per dir male della volpe dinanzi al leone. — Quella, — diceva il lupo, — non ti stima un soldo: nemmeno una volta è venuta a visitare il suo re! Proprio mentre diceva così, sopravvenne la volpe. Essa sentì le parole del lupo, e pensò: «Aspetta, lupo: mi vendicherò di te». Il leone si voltò alla volpe con un ruggito. Allora lei gli disse: — Non farmi punire, o leone: permetti che io dica una parola. Se non sono mai venuta fino a oggi, la ragione è che non ho avuto tempo. E non ho avuto tempo per la ragione che sono corsa di qua e di là, da un medico all’altro, a chiedere una medicina per te. Soltanto ora l’ho trovata, e subito mi sono affrettata qua. Domandò il leone: — E di quale medicina si tratta? — Ecco di che si tratta: se tu scorticherai un lupo vivo, e ti metterai indosso la sua pelle calduccia calduccia... Non appena il leone ebbe steso il lupo a terra, la volpe si mise a ridere, e disse: — Impara, fratello: ai signori non bisogna mai suggerire il male, ma il bene!
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Il leone, l’asino e la volpe. (Favola).
Un leone, un asino e una volpe uscirono in cerca di preda. Acchiapparono molte bestie selvatiche, e il leone ordinò all’asino di fare le parti. L’asino fece tre parti uguali, e disse: — E ora, prendete! Il leone andò in collera, mangiò l’asino, e ordinò alla volpe di rifare lei le parti. La volpe raccolse tutto in un mucchio solo, lasciando per sé soltanto poche briciole. Quarto libro di lettura 211 Il leone diede un’occhiata alla roba così spartita, e disse: – Tu si che hai il cervello fino! Ma chi ti ha insegnato a fare tanto bene, le parti? Rispose la volpe: – E dell’asino, scusa, che ne è stato?
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Gli uccelli e la rete. (Favola).
Un cacciatore tese la rete presso un lago, e la richiuse su una gran quantità d’uccelli.
Gli uccelli erano grossi: sollevarono la rete da terra e volarono via insieme con essa.
Il cacciatore si mise a correre dietro agli uccelli.
Un contadino vide li cacciatore che correva, e gli disse:
— E dove corri, tu? Si può mai, a piedi, raggiungere un uccello?
Il cacciatore rispose: — Se fosse stato un uccello solo, non lo avrei mai raggiunto:
ma questi, ora, li raggiungerò. E così avvenne. Quando fu sera, gli uccelli vollero ritornare ai luoghi dove pernottavano sempre, e ciascuno tirava dalla parte sua: uno verso il bosco, un altro verso la palude, un terzo verso i campi. E così, tutti quanti insieme, precipitarono a terra, e il cacciatore li catturò.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Il vecchio pioppo. (Racconto).
Per cinque anni il nostro giardino era rimasto abbandonato.
Io presi degli operai a giornata, con accette e con zappe, e mi misi a lavorare anch’io insieme con loro intorno al giardino. Sradicammo e mondammo il seccume e il selvaticume, e tutto il dippiú di cespugli e d’alberi che ci era cresciuto. Soprattutto i pioppi e i maraschi avevano avuto un grande sviluppo, e soffocavano le altre piante. Il pioppo spunta su direttamente da tutte le diramazioni delle radici, e quindi non può essere sradicato d’un colpo: bisogna tagliare le radici sotto terra. Accanto al laghetto sorgeva un pioppo enorme, da volerci due persone per abbracciarlo. Intorno si stendeva una piccola radura. Questa piccola radura s’era tutta riempita di polloni di pioppo. Io dissi agli uomini di tagliarli: volevo che il posto diventasse più allegro, e soprattutto volevo dare sollievo a quel vecchio pioppo, giacché pensavo che tutti quegli alberelli giovani, venendo su dalle sue radici, gli succhiassero la linfa. Mentre noi tagliavamo i giovani pioppetti, mi faceva pena, a momenti, veder tagliare sotto terra le loro radici piene di linfa, e poi doverci mettere in quattro a tirare, senza riuscire a svellere il piccolo pioppo già intaccato dalle accette. L’alberello resisteva con tutte le forze, e non voleva a nessun costo morire. Allora mi venne il pensiero: si vede che sarà necessario che vivano, se con tanta tenacia difendono la loro vita! Ma bisognava tagliarli, e io li feci tagliare. Soltanto in seguito, quando era troppo tardi, capii che non si sarebbe dovuto distruggerli. Io avevo creduto che i polloni succhiassero la linfa al vecchio pioppo; e invece era accaduto il contrario. Al momento che li tagliai, il vecchio pioppo stava già per morire. Quando sbocciarono le foglie, mi avvidi che uno dei suoi rami (l’albero s’era biforcato in due rami) rimaneva nu‐ do: e, in quella stessa estate, si seccò. Dunque, già da un pezzo il vecchio pioppo s’avvicinava alla morte, e lo sapeva, e aveva voluto trasmettere a quei polloni la sua vita. Per questo essi erano cresciuti tanto in fretta. Io, invece, con l’intenzione di dargli sollievo, avevo ucciso tutti i suoi figlioli.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Il sole è il calore. (Considerazioni).
Esci di casa, d’inverno, in una giornata di gelo senza vento, e quando arrivi tra i campi, o nei boschi, guarda intorno a te, e tendi l’orecchio: dappertutto, intorno intorno, c’è la neve: i fiumi sono ghiacciati: qualche filo d’erba secca spunta fuori dalla neve: gli alberi s’alzano spogli: nulla si muove. Guarda lo stesso posto in estate: i fiumi corrono, in ogni pozza d’acqua le rane gracidano, gorgogliano; gli uccelli svolazzano qua e là, fischiano, cantano; le mosche e le zanzare volteggiano, ronzano; gli alberi e le erbe si espandono, oscillano. Fà ghiacciare un secchio di ferro pieno d’acqua: diventerà come una pietra. Poni quel secchio così ghiacciato sul fuoco: il ghiaccio si spaccherà, si scioglierà, si metterà in moto; l’acqua comincerà a ondeggiare, a fare tante bollicine; poi, quando sarà arrivata al bollore, manderà un rom‐ bo, si metterà a girare su se stessa. La medesima cosa accade, col calore, anche nella natura. Se il calore non c’è, tutto è morto; se c’è il calore, tutto si muove e vive. Poco calore, poco movimento; maggior calore, maggior movimento; molto calore, molto movimento; moltissimo calore, moltissimo movimento.
Di dove viene, nella natura, il calore?
Il calore viene dal sole.
Quando il sole, d’inverno, gira basso, di fianco, e non investe diritto coi raggi la terra, nulla si muove. Quando il sole viene a girare più alto sopra la terra, allora tutta la natura si riscalda e si mette in moto. Allora la neve incomincia a sciogliersi, il ghiaccio incomincia gonfiar‐ si nei fiumi, l’acqua corre a ruscelli giù dalle alture, s’innalzano dall’acqua i vapori e formano le nubi, cade la pioggia.
Chi fa accadere tutte queste cose? Il sole.
I semi delle piante si macerano, cacciano fuori i germogli; i germogli s’aggrappano alla terra; dalle radici vecchie spuntano i nuovi polloni; in‐ cominciano a crescere alberi ed erbe.
Chi ha fatto accadere questo? Il sole.
Si riscuotono dal letargo gli orsi, le talpe; si ridestano le mosche, le api; nascono le zanzare, nascono i pesci dalle piccole uova toccate dal calore. Chi ha fatto accadere tutto questo? Il sole.
Si riscalda l’aria in un dato punto, si solleva verso l’alto, e al suo po‐ sto sopravviene aria più fredda: si produce, così, il venticello. Chi ha fatto accadere questo? Il sole.
S’innalzano le nubi, incominciano a riunirsi insieme e a separarsi: scoppia il fulmine.
Chi ha prodotto questo fuoco? Il sole.
Crescono le erbe, i grani, i frutti, gli alberi; si saziano gli animali, si nutriscono gli uomini: raccolgono cibo e legna per l’inverno, costruiscono case, costruiscono ferrovie e città.
Chi ha procurato tutte queste cose? Il sole.
L’uomo si è costruito una casa. Con che cosa l’ha fatta? Con tronchi e travi.
Questi tronchi e travi sono stati tagliati dagli alberi; gli alberi, li ha fatti crescere il sole.
Si accende la stufa con la legna. Chi ha fatto crescere la legna? Il sole.
L’uomo mangia il grano, le patate. Chi li ha fatti crescere? Il sole.
L’uomo mangia la carne. Chi ha nutrito gli animali, gli uccelli? Le erbe.
E le erbe, le ha fatte crescere il sole.
L’uomo costruisce una casa in muratura, con mattoni e con calce.
I mattoni e la calce sono stati cotti a legna. La legna è stata procurata dal sole.
Tutte le cose che servono agli uomini, che riescono utili a loro, sono procurate dal sole:
e in tutte passa una gran quantità di calore solare.
Appunto tutti hanno bisogno di grano, perché è stato il sole che lo ha fatto crescere, ed esso contiene una gran quantità di calore solare. Il grano riscalda colui che lo mangia. E appunto è necessaria la legna da ardere, perché contiene una gran quantità di calore.
Chi compera legna per l’inverno, compera calore so‐ lare: e durante l’inverno, ogni volta che vorrà, accenderà quella legna e farà spandere il calore solare nelle sue stanze. Quando poi c’è il calore, allora c’è anche il movimento. Qualunque movimento ci sia, viene sempre dal calore: o direttamente dal calore solare, oppure dal calore di qualche cosa che è stata prodotta dal sole, come il carbone, la legna, il grano, l’erba. I cavalli, i buoi, trasportano carichi; gli uomini lavorano:
chi è che li fa muovere? È il calore.
Ma di dove è venuto, a loro, il calore?
E venuto dal cibo. E il cibo, lo ha prodotto il sole.
I mulini ad acqua e quelli a vento girano e macinano.
Chi li fa muovere? Il vento e l’acqua.
Ma il vento, chi è che lo spinge? È il calore.
E chi è che spinge l’acqua? È il calore, nient’altro.
È stato il calore che ha fatto innalzare l’acqua in forma di vapore verso il cielo:
e se non fosse avvenuto questo, l’acqua non sarebbe ricaduta in basso.
Una macchina lavora, mossa dal vapore: ma il vapore, chi lo produce?
La legna. E nella legna c’è il calore solare.
Il calore produce il movimento, e il movimento produce il calore.
E sia il calore, sia il movimento, sono prodotti dal sole.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Esci di casa, d’inverno, in una giornata di gelo senza vento, e quando arrivi tra i campi, o nei boschi, guarda intorno a te, e tendi l’orecchio: dappertutto, intorno intorno, c’è la neve: i fiumi sono ghiacciati: qualche filo d’erba secca spunta fuori dalla neve: gli alberi s’alzano spogli: nulla si muove. Guarda lo stesso posto in estate: i fiumi corrono, in ogni pozza d’acqua le rane gracidano, gorgogliano; gli uccelli svolazzano qua e là, fischiano, cantano; le mosche e le zanzare volteggiano, ronzano; gli alberi e le erbe si espandono, oscillano. Fà ghiacciare un secchio di ferro pieno d’acqua: diventerà come una pietra. Poni quel secchio così ghiacciato sul fuoco: il ghiaccio si spaccherà, si scioglierà, si metterà in moto; l’acqua comincerà a ondeggiare, a fare tante bollicine; poi, quando sarà arrivata al bollore, manderà un rom‐ bo, si metterà a girare su se stessa. La medesima cosa accade, col calore, anche nella natura. Se il calore non c’è, tutto è morto; se c’è il calore, tutto si muove e vive. Poco calore, poco movimento; maggior calore, maggior movimento; molto calore, molto movimento; moltissimo calore, moltissimo movimento.
Di dove viene, nella natura, il calore?
Il calore viene dal sole.
Quando il sole, d’inverno, gira basso, di fianco, e non investe diritto coi raggi la terra, nulla si muove. Quando il sole viene a girare più alto sopra la terra, allora tutta la natura si riscalda e si mette in moto. Allora la neve incomincia a sciogliersi, il ghiaccio incomincia gonfiar‐ si nei fiumi, l’acqua corre a ruscelli giù dalle alture, s’innalzano dall’acqua i vapori e formano le nubi, cade la pioggia.
Chi fa accadere tutte queste cose? Il sole.
I semi delle piante si macerano, cacciano fuori i germogli; i germogli s’aggrappano alla terra; dalle radici vecchie spuntano i nuovi polloni; in‐ cominciano a crescere alberi ed erbe.
Chi ha fatto accadere questo? Il sole.
Si riscuotono dal letargo gli orsi, le talpe; si ridestano le mosche, le api; nascono le zanzare, nascono i pesci dalle piccole uova toccate dal calore. Chi ha fatto accadere tutto questo? Il sole.
Si riscalda l’aria in un dato punto, si solleva verso l’alto, e al suo po‐ sto sopravviene aria più fredda: si produce, così, il venticello. Chi ha fatto accadere questo? Il sole.
S’innalzano le nubi, incominciano a riunirsi insieme e a separarsi: scoppia il fulmine.
Chi ha prodotto questo fuoco? Il sole.
Crescono le erbe, i grani, i frutti, gli alberi; si saziano gli animali, si nutriscono gli uomini: raccolgono cibo e legna per l’inverno, costruiscono case, costruiscono ferrovie e città.
Chi ha procurato tutte queste cose? Il sole.
L’uomo si è costruito una casa. Con che cosa l’ha fatta? Con tronchi e travi.
Questi tronchi e travi sono stati tagliati dagli alberi; gli alberi, li ha fatti crescere il sole.
Si accende la stufa con la legna. Chi ha fatto crescere la legna? Il sole.
L’uomo mangia il grano, le patate. Chi li ha fatti crescere? Il sole.
L’uomo mangia la carne. Chi ha nutrito gli animali, gli uccelli? Le erbe.
E le erbe, le ha fatte crescere il sole.
L’uomo costruisce una casa in muratura, con mattoni e con calce.
I mattoni e la calce sono stati cotti a legna. La legna è stata procurata dal sole.
Tutte le cose che servono agli uomini, che riescono utili a loro, sono procurate dal sole:
e in tutte passa una gran quantità di calore solare.
Appunto tutti hanno bisogno di grano, perché è stato il sole che lo ha fatto crescere, ed esso contiene una gran quantità di calore solare. Il grano riscalda colui che lo mangia. E appunto è necessaria la legna da ardere, perché contiene una gran quantità di calore.
Chi compera legna per l’inverno, compera calore so‐ lare: e durante l’inverno, ogni volta che vorrà, accenderà quella legna e farà spandere il calore solare nelle sue stanze. Quando poi c’è il calore, allora c’è anche il movimento. Qualunque movimento ci sia, viene sempre dal calore: o direttamente dal calore solare, oppure dal calore di qualche cosa che è stata prodotta dal sole, come il carbone, la legna, il grano, l’erba. I cavalli, i buoi, trasportano carichi; gli uomini lavorano:
chi è che li fa muovere? È il calore.
Ma di dove è venuto, a loro, il calore?
E venuto dal cibo. E il cibo, lo ha prodotto il sole.
I mulini ad acqua e quelli a vento girano e macinano.
Chi li fa muovere? Il vento e l’acqua.
Ma il vento, chi è che lo spinge? È il calore.
E chi è che spinge l’acqua? È il calore, nient’altro.
È stato il calore che ha fatto innalzare l’acqua in forma di vapore verso il cielo:
e se non fosse avvenuto questo, l’acqua non sarebbe ricaduta in basso.
Una macchina lavora, mossa dal vapore: ma il vapore, chi lo produce?
La legna. E nella legna c’è il calore solare.
Il calore produce il movimento, e il movimento produce il calore.
E sia il calore, sia il movimento, sono prodotti dal sole.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura. Quarto libro.
Un vecchio era andato a tagliare la legna, e la stava portando verso casa. La strada era lunga.
A un certo punto, il vecchio si sentì sfinito, depose a terra la sua fascina e disse:
«Ah, se venisse la morte!». La morte arrivò, e gli disse:
«Eccomi qua, cosa ti occorre?». Il vecchio si spaventò, e rispose:
«Voglio che mi aiuti a rimettermi questa legna sulle spalle».
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura, traduzione di Agostino Villa, Milano, Isbn 2013, p. 127
Una chioccia aveva fatto uscire dall’uovo i suoi pulcini, e non sapeva come proteggerli dai pericoli della vita. Perciò disse loro: «Ritornate dentro i vostri gusci: quando sarete lì, mi accovaccerò sopra di voi, come quando vi covavo, e vi proteggerò da ogni pericolo».
I pulcini obbedirono alla chioccia, e fecero per rientrare nei loro gusci, ma non ci riuscirono in nessun modo, e non fecero altro che sgualcirsi le ali. Allora uno dei pulcini disse alla madre:
«Se dobbiamo rimanere sempre dentro il guscio, allora era meglio se non ci covavi!».
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura, traduzione di Agostino Villa, Milano, Isbn 2013, p. 228
La tartaruga pregò l'aquila di insegnarle a volare. L'aquila, ritenendo che volare non fosse cosa da tartaruga, la sconsigliava di tentare: ma la tartaruga insisteva. L'aquila allora la prese nei propri artigli, la portò in alto e la lasciò cadere giù: la tartaruga cadde sulle rocce e si fracassò.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura
Un cane stava attraversando un fiume su una passerella, portando fra i denti un pezzo di carne.
Vide se stesso riflesso nell’acqua e credette che lì sotto ci fosse un altro cane, intento come lui a portare in bocca un pezzo di carne. Così lasciò andare il suo pezzo e si lanciò di sotto per strappare quello dell’altro cane. Di quella carne, però, non c’era neppure l’ombra, e la sua venne portata via dalle acque.
E il cane restò a bocca asciutta.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura
A un contadino venne voglia di mangiare. Comprò un panino e lo ingoiò tutto d’un fiato, ma aveva ancora fame. Così comprò un altro panino e mangiò anche quello, ma continuava ad avere fame. Alla fine, comprò qualche ciambella, e quando ne ebbe mangiata una si sentì sazio. A quel punto, si batté sulla fronte e disse: «Che stupido che sono stato! Perché ho mangiato inutilmente tanti panini?
Per essere sazio, mi sarebbe bastato mangiare fin dall’inizio una sola di queste ciambelle!».
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura, traduzione di Agostino Villa, Milano, Isbn 2013, p. 74
Un tale, cieco dalla nascita, domandò a uno che ci vedeva: “Di che colore è il latte?”.
Quello che ci vedeva gli rispose: “Il colore del latte somiglia a quello della carta bianca”.
Il cieco domandò: “Ma forse questo colore fruscia sotto le mani come fa la carta quando la strofini?”.
Quello che ci vedeva rispose: “No, è bianco come la farina”.
Il cieco domandò: “Ma forse è morbido e composto di tanti granellini come la farina?”.
Quello che ci vedeva rispose: “No, è bianco e basta, come una lepre, una di quelle bianche”.
Il cieco domandò: “Ma allora è peloso e morbido come una lepre?”.
Quello che ci vedeva rispose: “No, il bianco è tale e quale alla neve”.
Il cieco domandò: “Ma allora è freddo come la neve?”.
E così, per quanti paragoni potesse fare quello che ci vedeva, il cieco non riuscì a capire com’era fatto il colore bianco del latte.
Lev Tolstoj, I quattro libri di lettura
«Il periodo piú luminoso della mia vita mi è stato dato non già dall'amore per una donna, ma dall'amore per gli uomini, per i bambini». Cosí Lev Tolstoj rievocò, molti anni dopo, la stagione felice della scuola di Jasnaja Poljana da lui fondata nel 1860 per i bambini di campagna; perché «nel bambino vive intatto il prototipo dell'uomo: e ogni educatore deve aiutare il bambino a preservare la sua primigenia perfezione». A tal scopo Tolstoj raccolse prima nell'Abbecedario (1872) e rifuse poi nei Quattro libri di lettura (1875) favole, racconti dal vero, descrizioni, considerazioni su problemi veri o immaginari («Dove va a finire l'acqua del mare»), graduando l'approccio dei piccoli lettori nei territori del Meraviglioso. Nel creare il suo polittico narrativo, Tolstoj scrisse anche uno dei suoi libri piú personali e persuasivi: un'antologia dell'immaginario popolare e collettivo, in cui sono i piccoli a guidare gli adulti lungo sentieri lussureggianti di immagini, folti di sorprese, gremiti di deliziose presenze: la ragazza topolino, il brigante Pugaciov, Pietro il Grande, i due fratelli fiumi Volga e Vasusa, il nero mastino Bulka...
Traduzione di Agostino Villa. Introduzione di Pier Cesare Bori.
http://www.einaudi.it/libri/libro/lev-tolstoj/i-quattro-libri-di-lettura/978880613576
[...] Nel realizzare la raccolta Tolstoj si fece aiutare dai piccoli scolari, figli dei servi della gleba, a cui insegnava a leggere e scrivere. Scrivevano assieme, ognuno proponendo una frase, una parola, un episodio. Il risultato è un coro di voci nate dalla voglia di imparare, il primo vero moto di riscatto per dei ragazzini all’epoca senza futuro. Anche molti bambini italiani, da metà Novecento, hanno iniziato a leggere con questi racconti e ne conservano ancora il ricordo. [...]
http://www.panorama.it/cultura/libri/lev-tolstoj-i-quattro-libri-di-lettura/
http://www.archividifamiglia-sapienza.beniculturali.it/Public/FILE_CONTENT/2_%20Elaborato_di_Laurea_triennale_16012013125452.pdf
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