Che posto abbiamo noi, esseri umani che percepiscono, decidono, ridono e piangono, in questo grande affresco del mondo che offre la fisica contemporanea?
Se il mondo è un pullulare di effimeri quanti di spazio e di materia, un immenso gioco di incastri di spazio e di particelle elementari, noi cosa siamo?
Siamo fatti anche noi solo di quanti e particelle?
Ma allora da dove viene quella sensazione di esistere singolarmente e in prima persone che prova ciascuno di noi?
Allora cosa sono i nostri valori, i nostri sogni, le nostre emozioni, il nostro sapere?
Cosa siamo noi, in questo mondo sterminato e rutilante?
Nel grande quadro della scienza contemporanea ci sono molte cose che non capiamo, e una di quelle che capiamo di meno siamo noi stessi. “Noi”, esseri umani, siamo prima di tutto il soggetto che osserva questo mondo, gli autori, collettivamente, di questa fotografia della realtà che ho provato a comporre. Siamo nodi di una rete di scambi, nella quale ci passiamo immagini, strumenti, informazioni e conoscenza. Del mondo che vediamo, siamo anche parte integrante, non siamo osservatori esterni. Siamo situati in esso. La nostra prospettiva su di esso è dall’interno. Siamo fatti degli stessi atomi e degli stessi segnali di luce che si scambiano i pini sulle montagne e le stelle nelle galassie. Man mano che la nostra conoscenza è cresciuta, abbiamo imparato sempre di più questo nostro essere parte, e piccola parte, dell’universo. Pensavamo di essere sul pianeta al centro del cosmo, e non lo siamo. Pensavamo di essere una razza a parte, nella famiglia degli animali e delle piante, e abbiamo scoperto che siamo discendenti degli stessi genitori di ogni altro essere vivente intorno a noi. Abbiamo bisnonni in comune con le farfalle e con i larici. Nel mare immenso di galassie e di stelle, siamo un infinitesimo angolo sperduto; fra gli arabeschi infiniti di forme che compongono il reale, noi non siamo che un ghirigoro fra tanti. Le immagini che ci costruiamo dell’universo vivono dentro di noi, nello spazio dei nostri pensieri, ma descrivono più o meno bene il mondo reale di cui siamo parte. Quando parliamo del Big Bang o della struttura dello spazio, quello che stiamo facendo non è la continuazione dei racconti liberi e fantastici che gli uomini si sono narrati attorno al fuoco nelle sere di centinaia di millenni. E’ la continuazione di qualcos’altro: dello sguardo di quegli stessi uomini, alle prime luci dell’alba, che cerca tra la polvere della savana le tracce di un’antilope – scrutare i dettagli della realtà per dedurne quello che non vediamo direttamente, ma di cui possiamo seguire le tracce. Nella consapevolezza che possiamo sempre sbagliarci, e quindi pronti ogni istante a cambiare idea se appare una nuova traccia, ma sapendo anche che, se siamo bravi, capiremo giusto e troveremo. Questa è la scienza. C’è una questione in particolare, riguardo a noi stessi, che ci lascia spesso perplessi: che significa che siamo liberi di prendere delle decisioni, se il nostro comportamento non fa che seguire le leggi della natura? Non c’è forse contraddizione fra la nostra sensazione di libertà e il rigore con cui abbiamo ormai compreso si svolgono le cose del mondo? C’è forse qualcosa in noi che sfugge le regolarità della natura, e ci permette di torcerle e sviarle con il nostro stesso pensiero? No, non c’è nulla in noi che sfugge le regolarità della natura. Se qualcosa in noi violasse le regolarità naturali, l’avremmo già scoperto da tempo. Non c’è nulla in noi che violi il comportamento naturale delle cose. Noi siamo sorgente di stupore per noi stessi. Abbiamo cento miliardi di neuroni nel nostro cervello, tanti quante le stelle di una galassia, e un numero ancora più astronomico di legami e combinazioni in cui questi possono trovarsi. Di tutto questo non siamo coscienti. “Noi” siamo il processo formato da questa complessità, non quel poco di cui siamo coscienti. Quando abbiamo la sensazione che “sono io “a decidere, non c’è nulla di più corretto: chi altri? Io, come voleva Spinoza, sono il mio corpo e quanto avviene nel mio cervello e nel mio cuore, con la loro sterminata e per me stesso inestricabile complessità. L’immagine scientifica del mondo, non è allora in contraddizione con il nostro sentire noi stessi. I nostri valori morali, le nostre emozioni, i nostri amori, non sono meno veri per il fatto di essere parte della natura, di essere condivisi con il mondo animale o per essere cresciuti ed essere stati determinati dai milioni di anni dell’evoluzione della nostra specie. Anzi, sono più veri per questo: sono reali. Sono la complessa realtà di cui siamo fatti. La nostra realtà è il pianto e il riso, la gratitudine e l’altruismo, la fedeltà e i tradimenti, il passato che ci perseguita e la serenità. La nostra realtà è costituita dalle nostre società, dall’emozione della musica, dalla ricche reti intrecciate nel nostro comune sapere, che abbiamo costruito insieme. Della natura siamo parte integrante, siamo natura, in una delle sue innumerevoli e svariatissime espressioni. Quanto è specificatamente umano non rappresenta la nostra separazione dalla natura, è la nostra natura. E’ una forma che la natura ha preso qui sul nostro pianeta, nel gioco infinito delle sue combinazioni, dell’influenzarsi e scambiarsi correlazioni, e l’informazione fa le sue parti. Chissà quali e quante altre straordinarie complessità, in forme forse addirittura impossibili da immaginare per noi, esistono negli sterminati spazi del cosmo… C’è tanto spazio lassù, è puerile pensare che in quest’angolo periferico di una galassia delle più banali ci sia qualcosa di speciale. La vita, sulla Terra, non è che un assaggio di cosa può succedere nell’universo. La nostra anima non ne è che un altro. Noi siamo una specie curiosa. Non siamo curiosi contro natura: siamo curiosi per natura. Penso che la nostra specie non durerà a lungo. Non pare avere la stoffa delle tartarughe, che hanno continuato ad esistere simili a se stesse per centinaia di milioni di anni, centinaia di volte di più di quanto siamo esistiti noi. Apparteniamo a un genere di specie a vita breve. I nostri cugini si sono già tutti estinti. E noi facciamo danni. Siamo forse la sola specie sulla Terra consapevole dell’inevitabilità della nostra morte individuale: temo che presto dovremo diventare anche la specie che vedrà consapevolmente arrivare la propria fine o, quanto meno, la fine della propria civiltà. Nasciamo e moriamo, come nascono e muoiono le stelle, sia individualmente che collettivamente. Questa è la nostra realtà. Per noi, proprio per la sua natura effimera, la vita è preziosa. Perché, come scrive Lucrezio, “il nostro appetito di vita è vorace, la nostra sete di vita insaziabile". Ma immersi in questa natura che ci ha fatto e che ci porta, non siamo esseri senza casa, sospesi tra due mondi, parti solo in parte della natura, con la nostalgia di qualcosa d’altro. No: siamo a casa. La natura è la nostra casa e nella natura siamo a casa. Questo mondo strano, variopinto e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste e le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da noi: è solo ciò che la nostra naturale curiosità ci mostra della nostra casa. Della trama di cui siamo fatti noi stessi. Noi siamo fatti della stessa polvere di stelle di cui sono fatte le cose e sia quando siamo immersi nel dolore sia quando ridiamo e risplende la gioia, non facciamo che essere quello che non possiamo che essere: una parte del nostro mondo. Per natura amiamo e siamo onesti. E per natura vogliamo sapere di più. E continuiamo a imparare. La nostra conoscenza del mondo continua a crescere. Ci sono frontiere, dove stiamo imparando, e brucia il nostro desiderio di sapere. Sono nelle profondità più minute del tessuto dello spazio, nelle origini del cosmo, nella natura del tempo, nel fato dei buchi neri, e nel funzionamento del nostro stesso pensiero. Qui, sul bordo di quello che sappiamo, a contatto con l’oceano di quanto non sappiamo, brillano il mistero del mondo, la bellezza del mondo, e ci lasciano senza fiato.
C. Rovelli, “Sette brevi lezioni di fisica”
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