sabato 28 febbraio 2015

Perché l'originalità non esiste. Tutte le idee vivono dell’eredità di altre idee. E niente è mai completamente nuovo. Edward Young. Gli originali sono, e devono essere, i grandi favoriti, sono i grandi benefattori. Estendono il dominio della Repubblica delle Lettere e aggiungono una provincia ai suoi domini: gli imitatori ci sanno soltanto una sorta di duplicati di quello che avevamo, possibilmente migliorando, prima

Perché l'originalità non esiste
Tutte le idee vivono dell’eredità di altre idee. 
E niente è mai completamente nuovo
Jacopo Colò - 21/02/2015


La creatività è sempre combinatoria e l’originalità assoluta è un mito.
L’idea di originalità per come la conosciamo oggi è nata molto di recente nella storia della nostra cultura. 

  • Nel 1759, il poeta britannico Edward Young scrive nel suo Conjectures Concerning Original Composition che «gli originali sono, e devono essere, i grandi favoriti, sono i grandi benefattori. Estendono il dominio della Repubblica delle Lettere e aggiungono una provincia ai suoi domini: gli imitatori ci sanno soltanto una sorta di duplicati di quello che avevamo, possibilmente migliorando, prima». Young parla nello specifico di letteratura e poesia ma l’idea è chiara. I romantici criticavano il pensiero dominante delle culture precedenti alla loro, qualcosa che oggi ci suona strano se associato all’idea di cultura: che imitare fosse meglio che inventare.


  • Quando Shakespeare — uno dei più grandi autori della storia letteratura — scriveva e metteva in scena le sue opere in Inghilterra, quello che i suoi spettatori cercavano non era l’invenzione e l’originalità, ma la vicinanza a un canone, a un genere


  • Quando Mozart — celebrato come uno dei più grandi compositori e musicisti di tutti i tempi — suonava alla corte di Vienna, la sua produzione musicale era soprattutto un conformasi alle regole e alla tradizione dei suoi tempi

I romantici trasformano questo modo di pensare, dando valore all’individuo prima che alla cultura, al genio piuttosto che alla tradizione ed elevano l’idea nuova sopra di tutto. E riuscirono nel loro intento. Oggi, quando parliamo di idee, di cultura e di creatività, tendiamo a elogiare l’originale e disprezziamo il vecchio, il già visto, il già sentito. Il problema, però, è che le idee e la creatività non funzionano esattamente così.

Perché la creatività è sempre combinatoria. 
  • Il matematico Henri Poincaré, nel suo Scienza e metodo ha dato una delle definizione più efficaci di creatività, parlando della «capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove, che siano utili». L’idea è che ogni idea sia un remix che mescola aspetti di idee diverse — magari anche da campi diversi o da epoche diverse — in una nuova forma. Ogni idea si porta dietro un’eredità di idee precedenti e niente nasce dal nulla. Non le nostre bellissime idee, non quelle dei romantici. La questione è capire quanto siamo disposti ad ammetterlo.


La storica dell’arte Penelope Alfrey dice che: 
«il mito dell’originalità nell’arte e nel design ha un considerevole valore commerciale come strumento per vendere, ma la realtà è che copiare sostiene l’economia del commercio. Senza copiare, produrremmo, faremmo e consumeremmo di meno. E ci sarebbero meno opere d’arte in giro». 

Anche senza espandere l’analisi all’intero mondo delle invenzioni (che sarebbe un po’ come dire all’interno mondo delle cose create dall’uomo) basta fermarsi alla cultura recente per dimostrare quanto quello che dicono Poincaré e Alfrey sia vero. E per farlo non serve nemmeno arrivare ad autori come Tarantino, che di rimescolare, citare e trasformare hanno fatto non solo un marchio di fabbrica ma anche un vanto.

Guerre Stellari e Metropolis
A guardarlo da vicino, Guerre Stellari non è così originale. 
Lucas ha copiato un po’ da tutti, da Kurosawa ad Asimov.

Guerre Stellari, ad esempio.
L’opera spaziale di George Lucas non è solo un film, è un franchise da quasi quarant’anni domina la cultura popolare. Pensare a Guerre Stellari vuol dire pensare a un universo fantastico creato da zero, zeppo di creature mai viste e di pianeti lontani. Ma a guardarlo da vicino, Guerre Stellari non è così originale. Dentro alla saga di fantascienza di George Lucas c’è di tutto: Isaac Asimov, Flash Gordon, i film di Akira Kurosawa, gli western e film di guerra sulla seconda guerra mondiale. Ci sono intere scene di The Dam Busters del 1955 e di Squadron 633 del 1964 che in Guerre Stellari non sono semplicemente citate ma interamente copiate, rifatte quasi fotogramma per fotogramma. E poi ancora: il droide dorato R2D2 è praticamente il corrispettivo maschile del robot di Metropolis di Fritz Lang, il costume di Darth Vader è ispirato a un personaggio della serie di film The Fighting Devil Dogs e i cavalieri jedi altro non sono che samurai con delle spade laser (e persino il nome è una storpiatura di Jidai Geki, il genere di film e opere giapponesi in cui si racconta l’epoca dei samurai).

Serve altro? Pensiamo a The Matrix, uno dei film di fantascienza più apprezzati degli ultimi anni. Anche se non è riconosciuto per l’originalità della sua trama — che è un mescolone di cyberpunk, di filosofia e di Alice nel Paese delle meraviglie — lo è per le innovazioni nella regia e negli effetti visivi (premiati anche con un premio Oscar nel 1999). Ma anche qui, c’è ben poco di originale. Le coreografie dei combattimenti sono prese pari pari dai film di arti marziali di Hong Kong e le sparatorie sembrano uscite da un film di John Woo. Persino il bullet time, la tecnica registica che i fratelli Wachowski usano quando la macchina da presa si muove a rallentatore attorno a Neo mentre i proiettili degli agenti gli sfrecciano intorno, e che i due registi sono riconosciuti come inventori, non è nuova. Uno dei primi esempi di uso di questa tecnica è in un’anime (un cartone animato) giapponese che si chiama Speed Racer. Cosa hanno girato i fratelli Wachowski dopo la trilogia di Matrix? Ah, sì, un film che si chiama Speed Racer e che è basato esattamente su quel cartone. Andando a spulciare tra le note di produzione del film, scopriamo che i due erano appassionati della serie fin da bambini e che quel bullet time non è esattamente saltato fuori dal nulla.

Nel suo TED Talk Everything is a Remix, il regista Kirby Ferguson mostra quanto uno dei cantautori più amati dell’ultimo secolo, Bob Dylan, abbia costruito decine di canzoni che oggi riconosciamo come classici pescando a piene mani dalla tradizione folk statunitense, a volte copiando i testi, a volte le melodie. Masters of War di Dylan ha la stessa struttura della canzone tradizionale Nottamun Town, Don't Think Twice, It's All Right (che inizia con It ain’t no use to sit and wonder why, babe) ha quasi lo stesso testo di Who’s gonna buy you ribbons (che inizia con It ain't no use to sit and sigh now, darlin). E via così per molti di altri brani.


Gli infiniti rinnovi di copyright sulle cose del ‘900

Jacopo Colò
Bob Dylan non è da solo. Moltissimi cantanti folk trasformano vecchie melodie e vecchie parole in nuove canzoni. Così come fa l’hip-hop. Così come fa il blues. Così come fa il pop.
Quello che fa Dylan non è una cosa strana, moltissimi cantanti folk fanno lo stesso lavoro, trasformando vecchie melodie e vecchie parole in nuove canzoni. Così come fa l’hip-hop. Così come fa il blues. Così come fa il pop. Così come fa, ora dovrebbe essere chiaro, chiunque produca qualcosa di nuovo, dal cinema all'arte, dai videogiochi al fumetto. L’originalità che ci hanno raccontato i romantici è un mito perché non esiste operazione creativa che non produca qualcosa di nuovo, almeno nella combinazione degli elementi. L’originalità è un mito perché è falsa: quando una cosa ci sembra radicalmente nuova è perché noi, e a volte persino l’autore stesso, non ci ricordiamo più e non riconosciamo con quali pezzi è fatta. La questione è solo cambiare punto di vista e ammetterlo, rendendo tutti più liberi di creare più cose nuove, mescolandone di vecchie.

http://www.linkiesta.it/mito-originalita-assoluta-creativita-combinatoria


http://youtu.be/28Ayy6XwFBg
Guerre Stellari e Metropolis



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