mercoledì 23 novembre 2011

Emanuele Severino. Nichilismo. IL NICHILISMO E' PENSARE CHE OGNI COSA PROVIENE DAL NIENTE ED E' DESTINATA AL NIENTE.



107. NICHILISMO
Derivato dal latino «nihil» che significa "nulla", "niente"; indica la dottrina filosofica che ammette la negazione di uno o più aspetti significativi della vita.
Esistono varie forme di nichilismo: metafisico, epistemologico, esistenziale, morale, politico, ecc.
Tra i vari tipi di nichilismo, quello esistenziale è il più diffuso ed è espresso con la massima dostoevskiana per cui:
"Se Dio non esiste, allora tutto è permesso".
Come dire: in mancanza di valori assoluti di riferimento, allora ogni valore è possibile.
Il filosofo del nichilismo per eccellenza e per antonomasia è Friedrich Wilhelm Nietzsche.
Nella sua filosofia, il concetto di nichilismo presenta varie accezioni, ma due sono quelle fondamentali:
1.Esso è la volontà del nulla, cioè l'atteggiamento di fuga e di disgusto nei confronti del mondo reale;
2.Esso è la specifica situazione dell'uomo moderno, che non credendo più in un "senso" o in uno "scopo" metafisico delle cose, cioè non credendo più nei "valori supremi", finisce per avvertire un senso di "vuoto", di "nulla".
Il nichilismo non sembra toccare, almeno in apparenza, quelli che nella vita fanno riferimento ai "valori supremi e assoluti", comunque siano intesi: sia quelli religiosi, sia quelli politici o ideologici, sia quelli fanaticamente assertori di idee dogmatiche, anche di natura scientifica.

Hai mai provato un senso di "vuoto" esistenziale? Quale pensi sia la causa?




IL NICHILISMO E' PENSARE CHE OGNI COSA PROVIENE DAL NIENTE ED E' DESTINATA AL NIENTE.
Emanuele Severino, La Gloria - Adelphi, Milano, 2001
di Lino Santoro

"Il 1964 [...] È l'anno della pubblicazione di un suo celebre articolo Ritornare a Parmenide (1964), che farà molto discutere, nel quale si stabiliva la NECESSITA' DI RIMEDIARE IL SENSO DELLE PAROLE: l'ESSERE E' e il non essere non ...è. [...] Ma cosa si deve intendere con ritornare a Parmenide? Come Severino preciserà in più di un'occasione si trattava di porre l'attenzione su queste semplici e pur inquietanti parole al fine di ripetere il PARRICIDIO PLATONICO, che è il MAGGIOR RESPONSABILE DEL NICHILISMO D'OCCIDENTE, ormai penetrato sin nelle più intime fibre della nostra cultura, che si è posto alla guida di tutto il mondo. L'ETA' DELLA TECNICA, nella quale noi viviamo, esprime, più di ogni altra epoca del passato, LA VOLONTA' DI POTENZA, LA VOLONTA' DI POTER PRODURRE OGNI COSA, PERSINO L'UOMO. IL NICHILIMSO E' PENSARE CHE OGNI COSA PROVIENE DAL NIENTE ED E' DESTINATA AL NIENTE. LA COSA, PRIVA D'OGNI LEGAME NECESSARIO CON L'ESSERE, PUO' ESSERE MODIFICATA A PIACIMENTO. Ma si tratta di COMPRENDERE CHE CIO' E' UN'ILLUSIONE: perché E' IMPOSSIBILE CHE L'ESSERE POSSA NON ESSERE. Tutto il passato e il futuro SONO, NULLA PROVIENE DA NULLA, essi NON SONO NE' IL SEMPLICE RICORDO NE' LA PALPITANTE ATTESA. Il passato, così come il futuro, sono ETERNAMENTE IN SALVO DAL NIENTE anche se DI QUESTO NON ABBIAMO COSCIENZA. OGNI COSA, COMPRESI NOI STESSI, SIAMO E NON POTREMO MAI MORIRE VERAMENTE, POICHE', AL PARI DEGLI DEI, SIAMO ETERNI. Questo pensiero, qui semplificato, costituisce il tema cardine che, come in un poema sinfonico, ricorre nelle sue variazioni fino alla sua più autentica celebrazione espressa in questo libro. Da qui il frammento eracliteo, l'eternità è ciò che noi non speriamo. 

La Gloria è lo splendore incontrovertibile dell'ETERNITA'.

["Assa ouk èlpontai ". Cose che essi non sperano, così recita il frammento di Eraclito]. 

La Gloria

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Scritto da Redazione
Emanuele Severino, La Gloria
Adelphi, Milano, 2001

di Lino Santoro

"Assa ouk èlpontai".
Cose che essi non sperano,
così recita il frammento di Eraclito.

Da qualche mese è in libreria il voluminoso libro di Emanuele Severino La Gloria il cui titolo completo include il frammento eracliteo già citato.[...] il Destino della necessità (1980), da cui si traevano le inevitabili conclusioni di un discorso che impegnava il filosofo sin dal 1964. [...]  Severino, ci conduce verso le asperità del suo pensiero prendendo in considerazione, sotto una luce diversa, temi oggi al centro del dibattito filosofico quali, il dolore, l'intersoggettività e il problema connesso dell'alterità. [...]

Il 1964 segna un'importante svolta nella filosofia di Severino.
È l'anno della pubblicazione di un suo celebre articolo Ritornare a Parmenide (1964), che farà molto discutere, nel quale si stabiliva la necessità di rimeditare il senso delle parole: l'essere è e il non essere non è. Sono gli anni in cui Heidegger interveniva in una serie di seminari, dedicati a Parmenide, in cui sosteneva che, per allontanarsi definitivamente dal giogo della soggettività moderna, era auspicabile un ritorno all'inizio, precisando, però, che tale ritorno non sarebbe dovuto consistere in un ritorno a Parmenide. Severino stesso ci riferisce, in La legna e la cenere (Rizzoli, 2000), l'opinione di Gennaro Sasso secondo cui le parole di Heidegger sarebbero forse un'allusione alla tesi contenuta nel suo articolo. Ma cosa si deve intendere con ritornare a Parmenide? Come Severino preciserà in più di un'occasione si trattava di porre l'attenzione su queste semplici e pur inquietanti parole al fine di ripetere il parricidio platonico, che è il maggior responsabile del nichilismo d'occidente, ormai penetrato sin nelle più intime fibre della nostra cultura, che si è posto alla guida di tutto il mondo. L'età della tecnica, nella quale noi viviamo, esprime, più di ogni altra epoca del passato, la volontà di potenza, la volontà di poter produrre ogni cosa, persino l'uomo. Il nichilismo è pensare che ogni cosa proviene dal niente ed è destinata al niente. La cosa, priva d'ogni legame necessario con l'essere, può essere modificata a piacimento. Ma si tratta di comprendere che ciò è un'illusione: perché è impossibile che l'essere possa non essere. Tutto il passato e il futuro sono, nulla proviene da nulla, essi non sono né il semplice ricordo né la palpitante attesa. Il passato, così come il futuro, sono eternamente in salvo dal niente anche se di questo non abbiamo coscienza. Ogni cosa, compresi noi stessi, siamo e non potremo mai morire veramente, poiché, al pari degli dèi, siamo eterni. Questo pensiero, qui semplificato, costituisce il tema cardine che, come in un poema sinfonico, ricorre nelle sue variazioni fino alla sua più autentica celebrazione espressa in questo libro. Da qui il frammento eracliteo, l'eternità è ciò che noi non speriamo. La Gloria è lo splendore incontrovertibile dell'eternità.



http://www.filosofia.it/recensioni/la-gloria




IL NICHILISMO SECONDO FRANCO VOLPI
Il nichilismo ha corroso le verità e indebolito le religioni; ma ha anche dissolto i dogmatismi e fatto cadere le ideologie, insegnandoci così a mantenere quella ragionevole prudenza del pensiero, quel paradigma di pensiero obliquo e prudente, che ci rende capaci di navigare a vista tra gli scogli del mare della precarietà, nella traversata del divenire, nella transizione da una cultura all'altra, nella negoziazione tra un gruppo di interessi e un altro.
Dopo la caduta della trascendenza e l'entrata nel mondo moderno della tecnica e delle masse, dopo la corruzione del regno della legittimità e il passaggio a quello della convenzione, la sola condotta raccomandabile è operare con le convenzioni senza credervi troppo, il solo atteggiamento non ingenuo è la rinuncia a una sovradeterminazione ideologica e morale dei nostri comportamenti. La nostra è una filosofia di Penelope che disfa (analyei) incessantemente la sua tela perché non sa se Ulisse ritornerà.
Franco Volpi, Il nichilismo




Stimo moltissimo Volpi. Perdita grave la sua, per la cultura italiana. L'analisi sul nichilismo è molto interessante e, direi, necessitata. Il nichiismo infatti induce di necessità a "operare con le convenzioni senza credervi troppo"..e sopratutto a non illudersi e praticare un "atteggiamento non ingenuo ". L'influenza heideggeriana è palese, essendo peraltro Volpi un profondissimo conoscitore di Heidegger. Direi però che quando Volpi afferma che il nichilismo ha operato un 'illuministica opera di disfacimento dei dogmatismi (mettendo in risalto un versante "positivo" diciamo, del nichilismo), sia troppo benevolo. Il senso inteso da Volpi è chiaro: ma il nichilismo è tutt'altro che un libertario logos anti-dogmatico. E'invece, a mio avviso, la più dogmatica e tirannica forma di interpretazione del mondo. La meno discussa (in senso radicale..eccezzion fatta per Severino). Quella che si è imposta al mondo e che scioglie le altre solo per sostituirsi ad esse. Il nichilismo NON si relativizza e "penelopizza". Il nichilismo non disfa la tela la notte, ma la rinforza e la tende sempre più. Il nichilismo è contraddizione anche per questo: disintegra i dogmatismi (fondati peraltro su di lui!!!), non per permettere un liberalismo, ma per perpetuare la peggiore dittatura fin dall'inizio dei tempi. Sciogliere i dogmatismi per il nichilismo, è dispiegare al dogmatismo della tecnica.




Costanzo D'agostino
Inoltre sul tema è intervenuto anche uno dei più grandi fisici moderni viventi:
Stephen Hawking. Ecco le sue parole: "La filosofia è morta, non avendo tenuto il passo degli sviluppi più recenti della scienza, e in particolare della fisica. Così sono stati gli scienziati a raccogliere la fiaccola della nostra ricerca della conoscenza ". Come confutarlo?





Dicendo che non è vero ciò che ha detto.
Alcuni filosofi viventi, in prima fila Emanuele Severino, tengono bene in vita la filosofia che può estinguersi solo se si estingue l'uomo. E la tengono in vita anche attraverso il confronto con i più grandi scienziati del nostro tempo. Ciò vale anche per coloro che non s'avvedono che la filosofia svolge per la nostra coscienza la stessa funzione che la circolazione sanguigna svolge per la nostra sopravvivenza. Tieni poi presente che la scienza ha rinunciato da tempo a cercare la verità incontrovertibile. Si muove ben convinta che il sapere che promuove ha soltanto un carattere ipotetico-probabilistico. Saluti.





Come dice Severino, senza l'incessante pulizia mentale "nichilista", che sgombera i finti Assoluti, da parte della filosofia più che dei filosofi (qui Emanuele ama citare Leopardi, anche se la sua interpretazione del poeta è schematica, o Dostoevsky). Senza questo, la Scienza si perde - e quella frase del grande Hawkins ne è un sintomo.

Leopardi è forse il più grande filosofo di sempre (o uno dei), sulla scia di Democrito e Lucrezio; i quali, secondo il fisico Carlo Rovelli, erano i primi fisici: scienziati. Si veda Fabio Vader 2012, Il Sistema Leopardi. Mimesis. Ma anche (con meno Sistema) la splendida indagine di Pietro Citati che (non so come!) ci svela l'umore filosofico di Giacomo Leopardi ad ogni stagione, ogni poesia, le sue Lune cangianti negli anni.



Ricardo Joerke
Una differenza sostanziale fra scienza e filosofia è che la scienza è diventata una specie di "fede" e né gli scienziati di oggi ritengono di poter considerare le sue ipotesi come verità assolute. La filosofia insegna prima di tutto a dubitare delle verità assolute. La filosofia è una forma sistematica di dubbio che apre nuove domande e nuovi orizzonti. Così come l'atomo di Democrito può rappresentare l'ispirazione per le scoperte scientifiche su questo tema millenni dopo, le speculazioni filosofiche sempre aprono il cammino per le indagazioni scientifiche. L'indagazione scientifica è, prima di tutto, una speculazione filosofica. Anche se gli scienziati non si rendono conto di questo. Oggi, la tecnica e la scienza fanno arrivare la montagna a Maometto. Però, se un giorno la fede religiosa, per esempio, potessi fare arrivare la montagna a Maometto, questa diventerebbe la nuova "scienza". E sarebbe la filosofia sempre a ricordare che si tratta di prospettive differenti, ma con lo stesso obiettivo: l'accumulo di potere, la volontà di potenza.



Relativismo e nichilismo non sono la stessa cosa.
Relativismo e nichilismo non sono la stessa cosa, se il primo (facendo riferimento a tradizioni di studi antichi) prospetta una sorta di pluralismo culturale, il secondo (estremizzazione del primo), è negazione della cultura stessa.
di Alex Barone

Quello di relativismo culturale è un concetto filosofico-culturale ed anche antropologico che trova la sua comparsa già in epoca molto antica. Già i sofisti, ed in particolare Gorgia e Protagora, con la loro totale negazione dell’esistenza ontologica di verità certe ed in senso universale, fecero dell’idea relativista il fulcro del loro pensiero. Il relativismo è, infatti,  quella posizione di pensiero,  opposta all’universalismo che fa della verità un qualcosa di meramente arbitrario , convenzionale e, soprattutto, continente. È una corrente di pensiero molto poco spiritualista , in quanto è proprio in ragione al fatto che gli eventi e la storia non siano altro che il prodotto di concatenazioni materiali e frutto del caso materiale che non può esistere una ragione universale (a perno della storia) che guidi gli eventi. Le teorie relativiste, tuttavia, sono molteplici e racchiuderle in questa definizione sarebbe un’operazione riduttivista. In particolare la forma di relativismo maggiormente nota è quella del relativismo culturale (posizione di pensiero portata avanti, soprattutto, da uno tra i più grandi studiosi di civiltà e società umane del Novecento, Claude Lèvi- Strauss).

Lèvi – Strauss fornì  notevolissimi contributi allo sviluppo degli studi in campo antropologico e sociale sulle civiltà umane (in particolare su quelle primitive) e, ponendosi sulla linea dello strutturalismo, alla concezione delle culture umane come del prodotto di determinate strutture di potere in grado di determinare le tradizioni,  gli usi e costumi, le concezioni religiose ed i comportamenti abituali dei singoli popoli.

Nel  corso del Novecento, il concetto di relativismo culturale,  ha assunto una progressiva e sempre più decisiva attenzione. Il Novecento, infatti , se vogliamo, può essere per molti versi considerato il secolo del relativismo. Tutti quelli che erano stati i dogmi, i perni, le strutture portanti della società liberal-borghesi (e di tutta l’impalcatura culturale del positivismo), a partire dal secolo breve in poi, iniziano inesorabilmente a vacillare. Tutte quelle certezze, che dall’illuminismo in poi, avevano caratterizzato l’ossatura della cultura borghese e della morale di stampo occidentale, divengono sempre più labili,  e la morale stessa diviene sempre più un fatto di contingenza e casualità e non più quel saldo riferimento incontestabile portato avanti dalla cultura di stampo cristiano.

Il Novecento è il secolo dei totalitarismi, della profezia dell’ uomo nuovo che si rigenera confutando i valori del suo tempo e, con essi, della trasformazione radicale della concezione antropologica dell’umanità. Si assiste così all’emergere di fiorenti avanguardie culturali (in grado di mettere in discussione il valore quasi divino di certi assunti dell’epoca), lo sviluppo della teoria marxista  (con l’introduzione dei concetti di struttura e sovrastruttura ) ed il successo continuo della filosofia di Nietzsche (con la sua negazione assoluta della morale cristiana e la sua visione , appunto, relativistica della storia dell’uomo). Il fascismo ed il nazionalsocialismo stessi, se vogliamo, a differenza ad esempio di un certo socialismo più illuminista (per così dire) furono dei perfetti esempio di espressione della nuova tendenza relativista del XX secolo. Alla base della concezione antropologica del fascismo e del nazismo, ed  in particolare,  della loro visione dei rapporti di forza e di potere si può notare una concezione della cultura e dei valori come un fatto di contingenza di causalità. La storia altro non è che un insieme di rapporti di forza,  guidata dallo scontro continuo tra popoli e culture, e determinata dell’emergere di una a discapito di un’altra.

In questo contesto di pensiero,  dunque,  la morale viene  evidentemente ad assumere un ruolo di assoluta contingenza materiale, in quanto se essa non è più il prodotto di un preciso disegno originario e non più la continuazione di una progressiva linearità storica ma, al contrario, il prodotto di casualità materiale (storico-sociali), anche la sua consistenza va ad assumere una natura sempre più  dissolubile e facilmente confutabile. È proprio nel Novecento,  dunque, che il relativismo culturale inizia ad assumere una fisionomia sempre più marcata e che le teorie di determinati studiosi, appartenenti al filone del cosiddetto “strutturalismo” (tra i quali appunto Levi-Strauss), prendono sempre più piede. Dal dopoguerra in poi, in particolare, dopo il periodo della de-colonizzazione, il relativismo culturale si afferma con sempre maggior autorevolezza, ed anche quell’eurocentrismo assoluto (prodotto diretto delle strutture di potere imperialiste) inizia ad assumere un valore sempre più discutibile. Il problema del relativismo è quando sfocia nella sua posizione più radicale: il nichilismo.

Talvolta, il  concetto filosofico di relativismo culturale viene, erroneamente, confuso con quello – più estremo e radicale- di nichilismo. Quest’ultimo,  infatti, rappresenterebbe, per così dire,  un’estremizzazione portata ai massimi livelli del relativismo culturale,  alludendo a quelle posizioni di pensiero che, per l’ appunto, non intravedono alcun senso nelle cose e concepiscono i valori alla stregua di fluide costruzioni mentali prive di consistenza. Confondere il nichilismo (l’assenza assoluta di valori) col relativismo (la presa di coscienza del pluralismo di valori) è un errore dal punto di vista concettuale. Il nichilismo, per sua natura, prospetta una sorta di liberazione totale rispetto a quelle che sono le norme di comportamento, i valori di riferimento, gli indicatori esistenziali d’ogni etica, poggiando le proprie valutazioni sull’idea secondo la quale l’intera realtà sarebbe priva di senso alcuno. Il nostro tempo attuale (per la precisione nell’ambito del contesto occidentale ), sta assistendo ad un vero e proprio eccedere del nichilismo (inteso proprio come assenza di riferimento e consegna della vita degli uomini all’ arbitrario flusso dell’ indefinito e del liberissimo arbitrio scriteriato).

L’esplodere del consumismo di massa, con annesso imporsi del modello culturale unicamente liberista e libertario ha, di fatto, innescato nella società occidentale questa condizione di vuoto esistenziale profondo, rendendo le vite degli uomini sempre più in balìa dell’indifferenza e della passività. La società occidentale attuale, a differenza di quanto una certa analisi contemporanea vuole cogliere, forse , non è preda del relativismo culturale, bensì del nichilismo, inteso come forma estrema di un mondo totalmente svuotato dalla cultura e vittima della mercificazione delle cose. Il male della nostra società è, infatti,  l’assenza totale di riferimenti storici ed identitari, processo storico che la cultura dominante del circuito politicamente corretto  (liberale) tenta di portare a compimento con la negazione e la demonizzazione dei concetti di “nazione “ e “tradizione “, ultimi baluardi in difesa del pluralismo e differenzialismo culturale. 

http://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/relativismo-culturale-e-nichilismo-dei-valori/


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