venerdì 19 settembre 2014

Walter Benjamin. Non c'è mai stata un'epoca che non si sia sentita, nel senso eccentrico del termine, «moderna» e non abbia creduto di essere immediatamente davanti ad un abisso. La lucida coscienza disperata di stare nel mezzo di una crisi decisiva è qualcosa di cronico nell'umanità. Ogni epoca si presenta irrimediabilmente moderna. Il «moderno» tuttavia è diverso nel senso in cui sono diverse le varie figure di uno stesso caleidoscopio

"Nel nostro giardino c’era un chiosco decrepito e abbandonato. Lo amavo per le sue vetrate multicolori. Quando all’interno passavo di vetro in vetro, mi trasformavo; mi coloravo come il paesaggio che, ora avvampante ora polveroso, ora sommesso ora lussureggiante, stava nella finestra. .. qualcosa di simile avveniva con le bolle disapone. Attraversavo la stanza dentro di loro e mi mescolavo al gioco di colori della volta sino a quando scoppiava; .....o, durante la caccia alle farfalle: “Quanto più io stesso con tutte le fibre aderivo all’animale, quanto più nell’intimo divenivo farfalla,tanto più l’insetto nel suo agire assumeva il colore dell’umana de-terminazione, e infine era come se la sua cattura fosse il prezzo in virtù del quale unicamente potevo riappropriarmi del mio essere uomo”.
Walter Benjamin, Infanzia berlinese attorno al Millenovecento


"Non c'è mai stata un'epoca che non si sia sentita, nel senso eccentrico del termine, «moderna» e non abbia creduto di essere immediatamente davanti ad un abisso. La lucida coscienza disperata di stare nel mezzo di una crisi decisiva è qualcosa di cronico nell'umanità. Ogni epoca si presenta irrimediabilmente moderna. Il «moderno» tuttavia è diverso nel senso in cui sono diverse le varie figure di uno stesso caleidoscopio".
Walter Benjamin


"La libertà della conversazione si smarrisce. Se prima, tra persone che conversavano, era ovvio interessarsi dell'interlocutore, oggi questo interesse è sostituito dalle domande sul prezzo delle sue scarpe o del suo ombrello. Inevitabilmente si insinua in ogni discorso il tema delle condizioni di vita, dei soldi. E in primo piano non stanno tanto i crucci e i disagi del singolo, dove forse gli interlocutori potrebbero aiutarsi a vicenda, quanto la disamina dell'insieme. È come se si fosse prigionieri in un teatro e si dovesse seguire, volenti o nolenti, lo spettacolo che viene rappresentato, volenti o nolenti se ne dovesse fare l'oggetto di pensieri e parole."
Walter Benjamin, Viaggio attraverso l'inflazione tedesca; p. 17


La struggente malinconia della memoria attraverso le rievocazioni di un brano veramente poetico di Walter Benjamin (1892 /1940) scrittore e critico letterario ebreo tedesco, morto suicida nel 1940.“Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in una città come ci si smarrisce in una foresta è una cosa tutta da imparare. I nomi delle strade devono suonare, allora, all’orecchio dell’errabondo come lo scricchiolio dei rami secchi, e le viuzze interne gli devono scandire senza incertezze, come le gole montane, le ore del giorno. Tardi ho appreso quest’arte; essa ha coronato il sogno, i primi segni del quale furono i labirinti che arabescavano le carte assorbenti dei miei quaderni. No, non i primi, poiché li precedette quell’altro, che ad essi è sopravvissuto. La strada per questo labirinto, cui non è mancata la sua Arianna, passava sul ponte Blender, il cui dolce arco fu per me la prima curva di collina. Non lontano di lì era la meta: Friedrich Wilhelm e la regina Luise. Sui loro tondi piedistalli si levavano dalle aiuole come se le magiche curve tracciate intorno a loro nella sabbia da un corso d’acqua li avessero imprigionati. Più ancora che i regnanti mi attiravano i piedistalli, perché le scene che vi si trovavano rappresentate, anche se il contesto non era chiaro, erano più facilmente accessibili. Che in questo vagabondare fosse celato qualcosa, lo avvertii sin dal primo momento nell’ampio, banale spiazzo, che per nulla lasciava presagire come lì, solo a pochi passi dal corso delle vetture e delle carrozze, dormisse la parte più particolare del parco. Già molto presto me ne fu dato un segno. Appunto lì, o non lontano, deve aver avuto la sua dimora quell’Arianna alla cui presenza per la prima volta, e per non dimenticarlo mai più, avvertii ciò di cui solo più tardi imparai il nome: amore”. ... e poi c'é un brano sempre tratto dal medesimo testo dove Benjamin dice con accenti sempre poetici qual'é stato il suo vissuto della sua infanzia berlinese rivisitato nei nei suoi ricordi ...“Molto si è già scritto intorno al déjà vu. Ma quest’espressione è proprio indovinata? Non si dovrebbe parlare di circostanze che ci colpiscono come un’eco, il cui suono originario sembri essere stato emesso in qualche oscuro recesso della vita anteriore? Del resto, è un fatto che lo choc con cui un istante si presenta alla nostra coscienza come già vissuto ci colpisce per lo più sotto la specie di un suono. È una parola, un fruscio o una vibrazione
cui è stato conferito il potere di rapirci nel gelido avello del passato, la cui volta sembra rimandarci il presente solo come un’eco. Strano che nessuno si sia soffermato sull’altra faccia di questo rapimento, sullo choc, con cui una parola ci impedisce, al pari di un manicotto dimenticato nella nostra stanza. Come questo ci riconduce ad un’estranea che vi sostò, così vi sono parole o silenzi che rimandano a quell’invisibile estranea: il futuro che essa dimenticò presso di noi”.
Walter Benjamin, Infanzia berlinese intorno al 1900



Di nuovo ci soccorrono le tesi di filosofia della Storia di Benjamin e, in particolare la sua idea dell'ora ( Jezt ) come momento rivelatorio del passato : questo non esiste, ci avverte il grande critico, se non in quanto oggetto di immaginazione di un presente che è svelamento e coscienza dell'evento. Facilmente intuibile quindi che, la ns memoria di quanto è trascorso è, dunque, l'organizzazione compatibile con il ns presente di quanto effettivamente è stato. Studiandolo lo si ama, e sì... (lui riesce... a diminuirci tutti con la sua opera, le sue opere.)

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