martedì 22 novembre 2011

Giovenale. Nessun colpevole può essere assolto dal tribunale della propria coscienza



« [...] [il popolo] due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi»
« [...] [populus] duas tantum res anxius optat panem et circenses »
Decimo Giunio Giovenale, Satira X

Panem et circenses.
"Da quando non si vendono più voti, (questa gentaglia di Roma), ha perso ogni interesse; 
un tempo attribuiva tutto essa: poteri, fasci, legioni; adesso lascia fare, 
spasima solo per due cose: pane e giochi”.
Giovenale

Cos’era diventata Roma nel II secolo d.C.
tanto da far arrabbiare così Giovenale?
Le parole del poeta sono molto dure, con chi ce l’ha?
Pare che l’interesse dei Romani fosse mutato da un po’ di tempo solo verso due cose:
la distribuzione gratuita di pane e i giochi dei gladiatori al circo.



«Mens sana in corpore sano»
«In un corpo sano vive uno spirito sano»
Giovenale


«Orandum est ut sit mens sana in corpore sano» 
«Sarebbe auspicabile che in un corpo sano albergasse uno spirito sano». 
Giovenale

Queste parole del poeta latino Giovenale vengono abitualmente tradotte cosi: 
«In un corpo sano vive uno spirito sano». Ciò ha permesso a generazioni di insegnanti di ginnastica simili a sergenti dell'esercito di maltrattare i loro allievi in palestra.
In realtà Giovenale aveva inteso tutt'altro. 

Nelle Satire, da cui la frase citata è stata estrapolata in maniera incompleta, si legge: 
«Orandum est ut sit mens sana in corpore sano». 
Vale a dire: «Sarebbe auspicabile che in un corpo sano albergasse uno spirito sano». 
Giovenale non voleva affatto comporre uno slogan salutista, ma piuttosto ironizzare sul culto allora imperante della forma fisica. Se avesse potuto esprimere in modo più diretto la sua opinione sui muscolosi gladiatori spalmati d'unguento, leggeremmo quanto segue: 
«Come sarebbe bello se questi nerboruti scimmioni sapessero anche pensare!»
Fonte: Buchnunn, Georg, Geflugelte Worte, Ausgabe Ex Libris, 6a ed. Francoforte 1991





Nessun colpevole può essere assolto dal tribunale della propria coscienza
Giovenale

L'onestà è lodata da tutti, ma muore di freddo
Giovenale

L’avarizia è un vizio che può trarre in inganno perché all’inizio assume l’aspetto di una virtù
Giovenale


Una Roma Ellenizzata non posso soffrirla, Quiriti; ma quanto vi sia di acheo in questa feccia bisogna chiederselo. Ormai da tempo l’Oronte di Siria sfocia nel Tevere e con sé rovescia idiomi, costumi, flautisti, arpe oblique, tamburelli esotici e le sue ragazze costrette a battere nel circo.
non possum ferre, Quirites, Graecam urbem. quamuis quota portio faecis Achaei? iam pridem Syrus in Tiberim defluxit Orontes et linguam et mores et cum tibicine chordas obliquas nec non gentilia tympana secum uexit et ad circum iussas prostare puellas.
Giovenale, Satire III – 60

Un amico di Giovenale, di nome Umbricio, si lamenta che per lui a Roma non c’è più futuro, non c’è lavoro, mal sopporta i porporati con i loro vizi e l’invasione di stili di vita aliene alle tradizioni latine, così decide di lasciare Roma per stabilirsi in Campania. Roma, ormai, diventata corrotta, pericolosa, lasciva, Umbricio, a questa vita nell’Urbe preferisce la modesta ma sana vita nei piccoli municipi italici.
http://www.cvltvsdeorvm.it/ius-soli/




Tra i romani vecchio stampo la cosmesi era mal vista:
di fatto il termine "lenocinium" indicava sia il maquillage sia la prostituzione.
Le cose non cambiarono con l'avvento dell'Impero, anzi.
Seneca considerava il trucco un sintomo di decadenza morale, mentre il poeta ‪Giovenale‬ nella Satira IV scrive:
"Ma la faccia trattata con tanti diversi trucchi, con il fango cotto e bagnato, si chiamerà ancora faccia o è una piaga?"
Giovenale. Satira IV




... mentre Ovidio scrisse il "Medicamina faciei femineae" con i consigli per i trucchi...




 […] iam pridem, ex quo suffragia nulli / 
uendimus, effudit curas; nam sie dabat olim / 
imperium, fascio littorio, legiones, omnia, nunc se / 
continet atque duas tantum res anxius optat, / 
Panem et circenses . […]   
Giovenale, Satire 10,77-81   

 Panem et circenses.
"Da quando non si vendono più voti, (questa gentaglia di Roma), 
ha perso ogni interesse; un tempo attribuiva tutto essa: 
poteri, fasci, legioni; adesso lascia fare, 
spasima solo per due cose: 
pane e giochi”.
Giovenale
       

Cos’era diventata Roma nel II secolo d.C. tanto da far arrabbiare così Giovenale? 
Le parole del poeta sono molto dure, con chi ce l’ha? 

“Ormai, da quando non si vendono più voti, (questa gentaglia di Remo), 
ha perso ogni interesse; un tempo attribuiva tutto lui, poteri, fasci,legioni; 
adesso lascia fare, spasima solo per due cose: pane e giochi”.

Pare che l’interesse dei Romani fosse mutato da un po’ di tempo solo verso due cose: 
la distribuzione gratuita di pane e i giochi dei gladiatori al circo.

Ebbene, uno dei problemi di un grande impero era quello di avere a disposizione il grano, e cura dell’amministrazione era quello di provvedere all’approvvigionamento dell’annona, cioè il grano raccolto e immagazzinato nei granai, che se inizialmente era fonte per sfamare il popolo, col passare del tempo divenne strumento da parte dei vari imperatori per imbonirsi la plebe e gli eserciti, scongiurando così eventuali rivolte. 

Se ai tempi della res publica il raccolto di cerali era “made in Italy”, con l’aumentato numero degli abitanti, già sotto Augusto Roma superava 1 milione, si dovette provvedere ad importarlo dalle province come la Sicilia e l’Africa. 

Nel 123 a.C. Gaio Sempronio Gracco fece votare la lex Sempronia frumentaria con la quale lo Stato stabiliva un calmiere per il prezzo del frumento a 6 assi; sicuramente uno strumento per regolarizzare il mercato e per limitare le speculazioni durante i periodi di carestia. 

Questo tipo di elargizione a prezzo ridotto venne effettuato con una certa frequenza, tranne durante il periodo della dittatura di Silla o in altri periodi bui della storia di Roma fino a diventare gratuito nel 58 a.C. con una legge fatta votare dal tribuno Clodio. Una mossa filo plebea? 

I sospetti ci sono tutti, ma il problema del frumento era effettivamente un serio motivo di preoccupazione per Roma. 

Seneca racconta che alla morte di Caligola nel 41 d.C. 
Roma aveva riserve di grano solo per una settimana 
e Claudio dovette affrontare nel Foro una folla inferocita che gli si era scagliata contro, 
sempre a causa di un periodo di carestia in cui tardavano ad arrivare i rifornimenti. 

Ancora più importante era garantire all’esercito di stanza a Roma una fornitura costante; 
il timore era che questo potesse cospirare contro l’imperatore.


Tuttavia, le leggi frumentarie non erano rivolte a tutte le classi sociali, chi ne poteva beneficiare erano i cittadini romani con medio/basso reddito residenti nell’Urbe e cittadini che non discendessero da schiavi. Ne erano esclusi schiavi, liberti, stranieri, nobili e ricchi vari che potevano ottenere il grano dalle proprie tenute oppure comprarlo direttamente dai mercati

Chi aveva diritto alla distribuzione era registrato su tavolette di bronzo e doveva presentarsi in un giorno stabilito nella Porticus Minucia Frumentaria, il luogo predisposto ad accogliere la massa di beneficiari, attualmente collocabile tra Largo Argentina e via delle Botteghe oscure, presentando un certificato, la tessera annonaria. 

Si aveva così diritto a ricevere 35 kg di grano, la quantità per due persone; il limite era proprio questo, non si potevano mantenere famiglie intere. L’apparato burocratico aveva a capo il prefetto all’Annona, coadiuvato dai centurioni e i procuratori all’Annona.

Mangiare a spese dello Stato però aveva favorito ogni tipo di strategie illecite per poter ottenere le distribuzioni gratuite e il numero dei beneficiari aumentava sempre più col passare del tempo. 
Spesso anche dei patrizi, che di certo potevano mantenersi grazie alle proprie rendite, riuscirono ad inserirsi nelle liste

Già  Giulio Cesare per porre fine a questo eccesso decise di ridurre gli aventi diritto da 320.000 a 150.000, stabilendo che alla morte di un beneficiario il sostituto doveva essere estratto a sorte

Augusto invece aveva addirittura pensato di abolire del tutto la distribuzione, pensando che questo favorisse l’abbandono delle terre e l’aumento di migrazioni verso Roma per vivere alle spalle dello Stato. L’unica azione che potette fare fu solo quella di limitare a 200.000 i tesserati. 

Da allora gli imperatori usarono questo strumento per garantire la pace sociale a Roma, elemento essenziale per la sopravvivenza stessa del potere. Questa captatio benevolentia spesso venne inserita dal princeps di turno nel suo programma politico, ne è esempio una raffigurazione di Traiano sui rilievi dell’arco di Benevento dove l’imperatore venne  rappresentato nell’atto di distribuzione del pane nel Foro (annona populi Romani).


Con il tempo e a causa di varie crisi che l’impero dovette affrontare, l’annona era divenuta una vera e propria ancora di salvezza per le classi meno abbienti, tramutandosi però in distribuzione non più di farina, ma di pane ben cotto in forni industriali assieme ad olio, carne di maiale e vino a prezzi ribassati.

 Accanto alle distribuzioni pubbliche, vi erano anche quelle di privati in occasioni particolari. 
Un affresco di Pompei sembra immortalare questo momento di benevolenza da parte di un illustre cittadino verso i suoi sostenitori, forse per l’elezione ad una magistratura locale

Anche a Piazza Armerina, in una recente rilettura di un mosaico ambientato nel Circo Massimo, vi si può leggere una distribuzione pubblica di pane sulle gradinate del circo, rendendo effettivamente più realistico lo sfogo di Giovenale e del suo panem et circenses!  

http://www.mediterraneoantico.it/articoli/archeologia-classica/panem-et-circenses/







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