mercoledì 28 febbraio 2018

Tiberio Gracco. Gli animali selvaggi che vivono in Italia, hanno le loro tane; ognuno di essi conosce un giaciglio, un nascondiglio. Soltanto gli uomini che combattono e muoiono per l'Italia non possono contare su altro che sull'aria e la luce; con la moglie e i figli vivono per le strade,, anziché su un campo. I generali mentono quando, prima delle battaglie, scongiurano i soldati di difendere contro il nemico i focolari e le tombe, perchè la maggior parte dei romani non ha un focolare, e nessuno ha una tomba dei suoi antenati Soltanto per il lusso e la gloha degli alta devono spargere il loro sangue e morire. Si chiamano i padroni del mondo, e non possono dire di essere padroni di una sola zolla di terra.

"Gli animali selvaggi che vivono in Italia, hanno le loro tane; ognuno di essi conosce un giaciglio, un nascondiglio. Soltanto gli uomini che combattono e muoiono per l'Italia non possono contare su altro che sull'aria e la luce; con la moglie e i figli vivono per le strade,, anziché su un campo. I generali mentono quando, prima delle battaglie, scongiurano i soldati di difendere contro il nemico i focolari e le tombe, perchè la maggior parte dei romani non ha un focolare, e nessuno ha una tomba dei suoi antenati Soltanto per il lusso e la gloha degli alta devono spargere il loro sangue e morire. Si chiamano i padroni del mondo, e non possono dire di essere padroni di una sola zolla di terra." Tiberio Gracco - Discorsi.


«I Romani, quando avevano conquistato un territorio ai popoli confinanti, ne vendevano una parte e ne rendevano l'altra di proprietà pubblica, dandola da coltivare ai cittadini meno abbienti e privi di mezzi, dietro pagamento di un modesto canone all'erario. Ma, poiché i ricchi avevano incominciato ad offrire canoni maggiori e schiacciavano i poveri fu fatta una legge che vietava di possedere più di 500 iugeri di terra. Per breve tempo questa legge mise un freno all'avidità e recò aiuto ai poveri, che poterono restare sulle loro terre pagando l'affitto stabilito e coltivare il lotto che ciascuno aveva avuto dall'inizio
Plutarco, Vita dei Gracchi, 8,1-3


«Tenne discorsi pieni di preoccupazione intorno alla stirpe italica, facendo notare che era valentissima in guerra e consanguinea ai Romani, ma che a poco a poco andava esaurendosi nella povertà e nella scarsità demografica e non aveva speranza di riprendersi
Appiano, Guerre Civili, 9,35


storia romana. Tiberio divenne tribuno della plebe nel 133 a.c. e si assunse il compito, d'accordo con importanti senatori {tra cui suo suocero Appio Claudio) di presentare una legge agraria che regolasse l'uso della terra pubblica. La sua elezione a tribuno della plebe, fu ottenuta senza comprare un voto, e si era già distinto nell'assedio di Cartagine e nella guerra in Spagna, ed era stato un irreprensibile questore.
La sua proposta indicava in 125 ettari il massimo di terra pubblica che un privato potesse possedere, con possibilità di arrivare fino a 250 in base al numero dei figli per famiglia
Il terreno eccedente doveva venire diviso in lotti inalienabili di 7,5 ettari, da distribuire ai cittadini proletari. Chi subiva un'espropriazione di terra pubblica, veniva compensato con la proprietà su quella che gli rimaneva.
Si nominava pertanto una commissione agraria che giudicasse i casi controversi. 
Lo scopo di questa legge era di limitare il latifondo a favore della classe di piccoli e medi proprietari terrieri, che era alla base del reclutamento dell'esercito

Quando l'opposizione oligarchica tentò di fermare Tiberio, egli rispose con azioni dal carattere eversivo, che gli avrebbero fatto perdere l'appoggio di quei senatori che all'inizio erano con lui.

Contro il veto posto dal suo collega tribuno, oppose una tesi politica estranea al pensiero politico romano, assimilabile piuttosto al pensiero greco, il principio della sovranità popolare, facendo così destituire il collega

Sostenne, di fronte ai comizi tributi, che questi dovevano decidere dell'organizzazione del regno di Pergamo, lasciato in eredità ai Romani e non, come era consuetudine per le faccende di politica estera, il senato

La reazione degli oppositori fu estrema: un gruppo di senatori, guidati dal cugino di Tiberio, Scipione Nasica, lo aggredì sul Campidoglio e l'uccise.

Gaio fu eletto tribuno nel 123 a.e, deciso a continuare i programmi politici di Tiberio. 
Il suo programma era più organico, cercando l'appoggio di quelle forze potenzialmente ostili all'oligarchia, come Italici, plebei, cavalieri. Con una legge frumentaria propose la distribuzione di grano a prezzo ridotto per la plebe; con altre leggi assegnò il tribunale che giudicava il peculato nelle province a giudici dell'ordine equestre (lo stesso ordine cui appartenevano i publicani, coloro che avevano dallo stato gli appalti per la riscossione delle tasse nelle province) e concesse a buone condizioni l'appalto per la riscossione delle tasse nella provincia d'Asia ai publicani.

Gaio stabili che l'equipaggiamento dei soldati fosse a carico dello stato e lanciò una campagna di deduzione di colonie, non solo in Italia. Rieletto tribuno per il 122, propose di dare la cittadinanza romana a quanti avevano il diritto latino, e il diritto latino agli italici; di sorteggiare l'ordine di votazione delle centurie dei comizi centuriati, così che non fosse subito palese l'orientamento delle prime centurie e si vanificasse la votazione delle ultime. Il senato, nel 121, lo nominò nemico pubblico: assediato sull'Aventino, Gaio si fece uccidere da uno schiavo.


La questione terriera.
Anticamente lo Stato suddivideva i campi conquistati tra i soldati, ma le continue guerre avevano finito con l'arricchire solo chi era già ricco, facendolo diventare un grande latifondista. 
Erano i debiti a rovinare i piccoli proprietari.
Roma si era riempita di ex proprietari rifugiatisi in città per vivere di espedienti o di clientelismo; restando in campagna sarebbero divenuti coloni di un ricco proprietario che al massimo li avrebbe pagati con l'ottava parte del raccolto. Oppure avrebbero fatto la vita del bracciante, il che era peggio che fare lo schiavo, in quanto non si aveva alcuna garanzia sul vitto e l'alloggio.

Influenzato dalle idee di due filosofi stoici, Diofane di Mitilene e Blossio di Cuma, Tiberio Gracco progettò una riforma di legge che limitasse l'occupazione delle terre dello stato a 125 ettari e riassegnava le terre eccedenti ai contadini in rovina.

Una famiglia nobile poteva avere 500 iugeri di terreno, più 250 per ogni figlio, ma non più di 1000; i terreni confiscati furono distribuiti in modo che ogni famiglia della plebe contadina avesse 30 iugeri (7.5 ettari), il minimo per la sopravvivenza di una famiglia.
Il provvedimento era sostenuto dal popolo anche attraverso scritte sui maggiori monumenti e sulle pareti dei portici di Roma, ma fu rifiutata dai ricchi che tentarono inutilmente di incitare una rivolta contro Tiberio



http://www.romanoimpero.com/2010/08/tiberio-sempronio-gracco-133-ac.html



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