Nel 391 con un decreto, l'Imperatore Teodosio fece spegnere il fuoco sacro alla Dea Vesta e custode dell'Urbe. Con grande disperazione di Celia Concordia l'ultima vestale, il tempio fu profanato. Così Roma perse le fedeli custodi che per tanti secoli avevano avuto cura di tenere acceso il fuoco, che aveva illuminato tutto il mondo allora conosciuto!!
LA REPRESSIONE DEI CULTI PAGANI DOPO L’EDITTO DI TESSALONICA
di Michele Strazza -
L’Editto del 380 d.C. fece del Cristianesimo l’unica religione ammessa nell’Impero romano. La legislazione emanata da Teodosio fu indirizzata, da un lato alla repressione dei cristiani eterodossi, o comunque di tutti quelli ritenuti eretici, dall’altro a smantellare ogni forma di culto pagano. E i cristiani da martiri si trasformarono in persecutori.
Già il 30 luglio del 381 Teodosio aveva ordinato di consegnare tutte le chiese ai vescovi cattolici. L’azione proseguì, tra il 381 e il 394, contro i cristiani eterodossi e contro gli apostati del Cristianesimo, con restrizioni di diversi diritti, compresi quelli testamentari.
Nel 385 venne addirittura comminata la pena di morte nei confronti degli aruspici, cioè di coloro che compivano sacrifici animali per leggere il futuro nelle loro viscere.
Ma fu tra il 391 e il 392 che le norme antipagane ebbero una recrudescenza. Il 24 febbraio 391, da Milano, l’imperatore emanò un decreto che impediva qualsiasi sacrificio animale e l’accesso ai templi pagani, anche solo per ammirarne le opere d’arte. Questo il testo:
«L’Augusto Imperatore (Teodosio) ad Albino, prefetto del Pretorio.
Nessuno violi la propria purezza con riti sacrificali, nessuno immoli vittime innocenti, nessuno si avvicini ai santuari, entri nei templi e volga lo sguardo alle statue scolpite da mano mortale perché non si renda meritevole di sanzioni divine ed umane. Questo decreto moderi anche i giudici, in modo che, se qualcuno dedito a un rito profano entra nel tempio di qualche località, mentre è in viaggio o nella sua stessa città, con l’intenzione di pregare, venga questi costretto a pagare immediatamente 15 libbre d’oro e tale pena non venga estinta se non si trova innanzi a un giudice e consegna tale somma subito con pubblica attestazione. Vigilino sull’esecuzione di tale norma, con egual esito, i sei governatori consolari, i quattro presidi e i loro subalterni.
Milano, sei giorni prima delle Calende di Marzo sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
Nel 385 venne addirittura comminata la pena di morte nei confronti degli aruspici, cioè di coloro che compivano sacrifici animali per leggere il futuro nelle loro viscere.
Ma fu tra il 391 e il 392 che le norme antipagane ebbero una recrudescenza. Il 24 febbraio 391, da Milano, l’imperatore emanò un decreto che impediva qualsiasi sacrificio animale e l’accesso ai templi pagani, anche solo per ammirarne le opere d’arte. Questo il testo:
«L’Augusto Imperatore (Teodosio) ad Albino, prefetto del Pretorio.
Nessuno violi la propria purezza con riti sacrificali, nessuno immoli vittime innocenti, nessuno si avvicini ai santuari, entri nei templi e volga lo sguardo alle statue scolpite da mano mortale perché non si renda meritevole di sanzioni divine ed umane. Questo decreto moderi anche i giudici, in modo che, se qualcuno dedito a un rito profano entra nel tempio di qualche località, mentre è in viaggio o nella sua stessa città, con l’intenzione di pregare, venga questi costretto a pagare immediatamente 15 libbre d’oro e tale pena non venga estinta se non si trova innanzi a un giudice e consegna tale somma subito con pubblica attestazione. Vigilino sull’esecuzione di tale norma, con egual esito, i sei governatori consolari, i quattro presidi e i loro subalterni.
Milano, sei giorni prima delle Calende di Marzo sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
Un altro decreto vide la luce a Concordia l’11 maggio, stabilendo pene severe nei confronti dei cosiddetti lapsi, “caduti”, cioè i pagani battezzati e poi “ricaduti” nel paganesimo. Così statuiva:
«Gli Augusti Imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio a Flaviano, prefetto del Pretorio.
Coloro che hanno tradito la santa fede e hanno profanato il santo battesimo, siano banditi dalla comune società: siano esentati dalla testimonianza (in tribunale), e come già abbiamo sancito non abbiano parte nei testamenti, non ereditino nulla, non siano indicati come eredi da nessuno. Coloro ai quali era stato comandato di andarsene lontano e essere esiliati per lungo tempo, se non sono stati visti versare un compenso maggiore tra gli uomini, anche del voto degli uomini siano privati.
Se casomai ritornano nello stato precedente (il paganesimo), non sia cancellata la vergogna dei costumi con la penitenza, né sia riservata loro alcuna particolare protezione di difesa o di riparo, poiché certamente coloro i quali contaminarono la fede, con la quale hanno riconosciuto Dio, e orgogliosamente trasformarono i divini misteri in cose profane, non possono conservare le cose che sono immaginarie e a proprio comodo. Poiché sia portato soccorso ai lapsi e agli erranti, non ci sia rimedio di penitenza alla vera perdizione, cioè alla profanazione del santo battesimo, la quale solitamente soccorre per giovare per gli altri crimini.
Concordia, cinque giorni prima delle Idi di Maggio sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
«Gli Augusti Imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio a Flaviano, prefetto del Pretorio.
Coloro che hanno tradito la santa fede e hanno profanato il santo battesimo, siano banditi dalla comune società: siano esentati dalla testimonianza (in tribunale), e come già abbiamo sancito non abbiano parte nei testamenti, non ereditino nulla, non siano indicati come eredi da nessuno. Coloro ai quali era stato comandato di andarsene lontano e essere esiliati per lungo tempo, se non sono stati visti versare un compenso maggiore tra gli uomini, anche del voto degli uomini siano privati.
Se casomai ritornano nello stato precedente (il paganesimo), non sia cancellata la vergogna dei costumi con la penitenza, né sia riservata loro alcuna particolare protezione di difesa o di riparo, poiché certamente coloro i quali contaminarono la fede, con la quale hanno riconosciuto Dio, e orgogliosamente trasformarono i divini misteri in cose profane, non possono conservare le cose che sono immaginarie e a proprio comodo. Poiché sia portato soccorso ai lapsi e agli erranti, non ci sia rimedio di penitenza alla vera perdizione, cioè alla profanazione del santo battesimo, la quale solitamente soccorre per giovare per gli altri crimini.
Concordia, cinque giorni prima delle Idi di Maggio sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
Il 16 giugno 391, da Aquileia, interveniva un terzo decreto a ribadire il divieto, espresso il 24 febbraio, sui culti nei templi pagani:
«L’Augusto Imperatore al prefetto Evagrio e all’attendente romano in Egitto.
A nessuno sia accordata facoltà di compiere riti sacrificali, nessuno si aggiri attorno ai templi, nessuno volga lo sguardo verso i santuari. Si identifichino, in particolar modo, quegli ingressi profani che rimangono chiusi in ostacolo alla nostra legge così che, se qualcosa incita chicchessia ad infrangere tali divieti riguardanti gli dei e le cose sacre, riconosca il trasgressore di doversi spogliare di alcuna indulgenza. Anche il giudice, se durante l’esercizio della sua carica ha fatto ingresso come sacrilego trasgressore in quei luoghi corrotti confidando nei privilegi che derivano dalla sua posizione, sia costretto a versare nelle nostre casse una somma pari a 15 libbre d’oro a meno che non abbia ovviato alla sua colpa una volta riunitesi le truppe militari.
Aquileia, sedici giorni prima delle Calende di Luglio, sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
«L’Augusto Imperatore al prefetto Evagrio e all’attendente romano in Egitto.
A nessuno sia accordata facoltà di compiere riti sacrificali, nessuno si aggiri attorno ai templi, nessuno volga lo sguardo verso i santuari. Si identifichino, in particolar modo, quegli ingressi profani che rimangono chiusi in ostacolo alla nostra legge così che, se qualcosa incita chicchessia ad infrangere tali divieti riguardanti gli dei e le cose sacre, riconosca il trasgressore di doversi spogliare di alcuna indulgenza. Anche il giudice, se durante l’esercizio della sua carica ha fatto ingresso come sacrilego trasgressore in quei luoghi corrotti confidando nei privilegi che derivano dalla sua posizione, sia costretto a versare nelle nostre casse una somma pari a 15 libbre d’oro a meno che non abbia ovviato alla sua colpa una volta riunitesi le truppe militari.
Aquileia, sedici giorni prima delle Calende di Luglio, sotto il consolato di Taziano e Simmaco».
Tale legislazione antipagana, rafforzando l’alleanza tra trono ed altare, rassicurava ampiamente le gerarchie ecclesiastiche cattoliche in merito al proprio potere e ai propri privilegi.
Di qui, tutta una ondata di tumulti e violenze nei confronti delle popolazioni pagane e dei loro culti. I cristiani da martiri si sarebbero trasformati a loro volta in persecutori. Dal 385 in poi vennero registrati numerosi episodi di distruzioni di templi pagani.
Poche voci si levarono a difesa dell’antica religione. Tra queste quella dell’oratore Libanio di Antiochia che compose l’orazione Pro templis rivolta a Teodosio, forse mai realmente pronunciata davanti all’imperatore. In essa si legge:
«… questi uomini vestiti di nero invece, che mangiano più degli elefanti, che stancano, per l’abbondanza delle coppe che tracannano, coloro che versano loro da bere al suono dei loro canti, essi, che nascondono questi eccessi sotto un pallore che si procurano artificialmente, o imperatore, in violazione della legge in vigore, corrono contro i templi portando legna, pietre e ferro; e quelli che non ne hanno si servono di mani e piedi. E poi, preda dei Misi, i tetti vengono tirati giù, i muri diroccati, le statue abbattute, gli altari rovesciati, i sacerdoti costretti a tacere o morire. Distrutto il primo tempio si corre ad un secondo e poi ad un terzo, e trofei si aggiungono a trofei, contro ogni legge. Tutte queste violenze si osano anche in città, ma per lo più nelle campagne».
Di qui, tutta una ondata di tumulti e violenze nei confronti delle popolazioni pagane e dei loro culti. I cristiani da martiri si sarebbero trasformati a loro volta in persecutori. Dal 385 in poi vennero registrati numerosi episodi di distruzioni di templi pagani.
Poche voci si levarono a difesa dell’antica religione. Tra queste quella dell’oratore Libanio di Antiochia che compose l’orazione Pro templis rivolta a Teodosio, forse mai realmente pronunciata davanti all’imperatore. In essa si legge:
«… questi uomini vestiti di nero invece, che mangiano più degli elefanti, che stancano, per l’abbondanza delle coppe che tracannano, coloro che versano loro da bere al suono dei loro canti, essi, che nascondono questi eccessi sotto un pallore che si procurano artificialmente, o imperatore, in violazione della legge in vigore, corrono contro i templi portando legna, pietre e ferro; e quelli che non ne hanno si servono di mani e piedi. E poi, preda dei Misi, i tetti vengono tirati giù, i muri diroccati, le statue abbattute, gli altari rovesciati, i sacerdoti costretti a tacere o morire. Distrutto il primo tempio si corre ad un secondo e poi ad un terzo, e trofei si aggiungono a trofei, contro ogni legge. Tutte queste violenze si osano anche in città, ma per lo più nelle campagne».
Tra gli episodi quelli di Apamea dove il prefetto del Pretorio Cinegio e il vescovo Marcello ordinarono ai propri accoliti la distruzione del tempio di Zeus insieme ad altri edifici di culto.
Sempre il prefetto Cinegio fece chiudere, tra il 385 ed il 388, numerosi templi in Siria ed Egitto, mentre dei monaci fanatici devastavano le campagne e i luoghi di culto campestri e rupestri. Tra gli scempi irreparabili per la cultura si annovera, a Beroea, la distruzione della statua in bronzo di Asclepio, ritratto con le sembianze di Alcibiade, opera di Fidia. Anche Efeso fu teatro di simili episodi.
A guidare i tumulti spesso erano monaci esaltati e fanatici i quali battevano le regioni dell’Impero incitando i fedeli cristiani ad assaltare i templi pagani. Il fenomeno spinse Teodosio stesso a promulgare una legge che obbligava i monaci a risiedere solo in località deserte e appartate.
Gli eventi più violenti accaddero ad Alessandria d’Egitto. Nel 391, dopo la decisione del vescovo Teofilo, avvallata dall’Imperatore, di trasformare il tempio di Dioniso in chiesa cristiana, i pagani si sollevarono e uccisero alcuni cristiani, rifugiandosi nel santuario di Serapide, posto sull’acropoli della città, pronti a combattere. I rivoltosi si appellarono a Teodosio che promise loro il perdono ma ordinò la distruzione del tempio. A nulla valse l’opposizione del filosofo neoplatonico Olimpio che guidava i pagani. I cristiani diedero alle fiamme il santuario e nell’incendio andarono perduti moltissimi testi della preziosa biblioteca.
Otto anni dopo, nel 399, si registrarono altri disordini intorno a Cartagine per la rimozione degli idoli dai templi. Sant’Agostino racconta infatti di una violenta reazione pagana, costata la vita a sessanta cristiani, seguita all’abbattimento di una statua di Ercole.
Sempre il prefetto Cinegio fece chiudere, tra il 385 ed il 388, numerosi templi in Siria ed Egitto, mentre dei monaci fanatici devastavano le campagne e i luoghi di culto campestri e rupestri. Tra gli scempi irreparabili per la cultura si annovera, a Beroea, la distruzione della statua in bronzo di Asclepio, ritratto con le sembianze di Alcibiade, opera di Fidia. Anche Efeso fu teatro di simili episodi.
A guidare i tumulti spesso erano monaci esaltati e fanatici i quali battevano le regioni dell’Impero incitando i fedeli cristiani ad assaltare i templi pagani. Il fenomeno spinse Teodosio stesso a promulgare una legge che obbligava i monaci a risiedere solo in località deserte e appartate.
Gli eventi più violenti accaddero ad Alessandria d’Egitto. Nel 391, dopo la decisione del vescovo Teofilo, avvallata dall’Imperatore, di trasformare il tempio di Dioniso in chiesa cristiana, i pagani si sollevarono e uccisero alcuni cristiani, rifugiandosi nel santuario di Serapide, posto sull’acropoli della città, pronti a combattere. I rivoltosi si appellarono a Teodosio che promise loro il perdono ma ordinò la distruzione del tempio. A nulla valse l’opposizione del filosofo neoplatonico Olimpio che guidava i pagani. I cristiani diedero alle fiamme il santuario e nell’incendio andarono perduti moltissimi testi della preziosa biblioteca.
Otto anni dopo, nel 399, si registrarono altri disordini intorno a Cartagine per la rimozione degli idoli dai templi. Sant’Agostino racconta infatti di una violenta reazione pagana, costata la vita a sessanta cristiani, seguita all’abbattimento di una statua di Ercole.
Per saperne di più
Mommsen-Meyer, Theodosiani libri XVI cum constitutionibus Sirmondianis et leges Novellae ad Theodosianum pertinentes, 1971.
Filoramo G., La croce e il potere, Roma-Bari, Laterza, 2011.
Gibbon E., Decadenza e caduta dell’Impero romano, Roma, Avanzini & Torraca, 1968.
Libanio di Antiochia, In difesa dei templi, 8, 9, trad. a cura di Romano R., Napoli, 2007.
Rufino, Storia della Chiesa, II, 23, trad. di Dattrino L., Roma, Città Nuova Ed., 1986.
Testa E., Legislazione contro il paganesimo e cristianizzazione dei templi (sec. IV-VI), in “Liber Annuus”, 41 (1991).
Filoramo G., La croce e il potere, Roma-Bari, Laterza, 2011.
Gibbon E., Decadenza e caduta dell’Impero romano, Roma, Avanzini & Torraca, 1968.
Libanio di Antiochia, In difesa dei templi, 8, 9, trad. a cura di Romano R., Napoli, 2007.
Rufino, Storia della Chiesa, II, 23, trad. di Dattrino L., Roma, Città Nuova Ed., 1986.
Testa E., Legislazione contro il paganesimo e cristianizzazione dei templi (sec. IV-VI), in “Liber Annuus”, 41 (1991).
http://www.storiain.net/storia/la-repressione-dei-culti-pagani-dopo-leditto-di-tessalonica/
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