LA RIVOLUZIONE MILITARE NELL’EPOCA MODERNA (1560-1660)
di Massimo Iacopi - 1 maggio 2016
Dopo Crecy, Nicopolis e Azincourt l’epoca della cavalleria pesante, regina delle battaglie, giunge definitivamente alla fine. La rivoluzione è innescata dalla polvere da sparo, ma non solo…
Nel 1956, nel corso di una conferenza per l’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Belfast, lo storico inglese Michael Roberts coniò l’espressione “rivoluzione militare” per il periodo compreso tra il 1560 e il 1660.
[...] La “rivoluzione militare” è il risultato dell’azione combinata di diversi elementi.
Inizialmente, il mutamento in profondità dell’arte della guerra,
che Geoffrey Parker circoscrive a quattro innovazioni successive:
- l’evoluzione sul mare del tiro del cannone dalla fiancata della nave;
- la comparsa sul terreno del moschetto sostenuto dal fuoco dell’artiglieria;
- la progressione degli effettivi militari impegnati in battaglia;
- l’apparizione della “fortezza d’artiglieria”, ovvero delle cittadelle e delle piazze fortificate. [...]
Tutto ha inizio verso la metà del Medioevo.
La guerra, ancora feudale in Occidente, non è più quella di Roma conquistatrice del mondo mediterraneo né quella dei popoli barbari che hanno sommerso l’Occidente al galoppo dei loro cavalli dal V al XI secolo.
La guerra feudale, di ridotte dimensioni geografiche e senza significative combinazioni strategiche, si riduce a uno scontro fisico di due pesanti cavallerie, armate di ferro, coraggio e onore.
Fino ad Azincourt (1415) si tratta del periodo delle armature e degli scudi, degli elmi, della spade e dell’ascia, quindi degli archi scozzesi o gallesi o delle picche svizzere o fiamminghe, che introducono il fante nella battaglia con una funzione diversa da quella di “sgozzare” il nemico caduto dopo il combattimento.
Questo è anche il periodo della comparsa delle prime monarchie, il cui potenziale statale costituisce il preliminare decisivo della crescita della potenza militare e la condizione essenziale del cambiamento dell’arte della guerra alla fine del XV secolo.
È a questo punto che si produce una rivoluzione nelle armi con l’utilizzazione della polvere da sparo giunta dall’Oriente. Le prime bocche da fuoco vengono presentate nel 1320 in Occidente e nel 1346, a Crecy, operano nel contesto di una grande battaglia campale.
Occorrerà attendere ancora un secolo per vedere comparire le colubrine a mano, quindi gli archibugi, che diventeranno armamento comune nelle guerre d’Italia della fine del XV secolo e agli inizi del XVI secolo.
Le armi da fuoco diventano l’armamento principale degli eserciti del XVI secolo con la comparsa del moschetto, al punto da innescare una riflessione teorica sulla composizione degli eserciti e sul ruolo rispettivo della cavalleria e della fanteria e di determinare, più tardi, il passaggio dalle formazioni a “quadrato” a quelle in “linea”.
La cavalleria del Medioevo fa corpo con il suo destriero, in una massa abbastanza confusa di uomini e di cavalli che sono la sola formazione di combattimento, in un periodo in cui i combattenti a piedi erano fortemente negletti.
Il cavaliere del XVI secolo deve cooperare con il fante.
Picchieri e archibugieri sono mescolati nella formazione; i primi, mobili, proteggono i secondi immobilizzati dall’impiego della forcella (elemento d’appoggio per il tiro dei moschetti e dei grossi archibugi), schierati secondo le ordinanze, al centro o alle ali del grosso quadrato di uomini a piedi.
Gli uomini armati con le armi da fuoco finiscono per imporsi come strumento principale di un esercito in operazioni, nel cui ambito la cavalleria e la fanteria devono mutuamente sostenersi.
Il doppio momento irreversibile di questa evoluzione fu il passaggio dall’arma a forcella all’arma da anca o da spalla e quello del passaggio dalla miccia alla pietra focaia come procedimento di messa a fuoco, elementi che produrranno il fucile della seconda metà del XVII secolo.
Nello stesso tempo, la fanteria diventa la regina del campo di battaglia mentre la cavalleria, che domina ancora nel XVI secolo, fino alle cariche delle guerre di religione di Arques (1589) e d’Ivry (1590), diventa un’arma di manovra alle ali nel XVII secolo, come nel caso della battaglia di Rocroi, nel 1643. Nel 1703 il fucile diviene l’arma unica della fanteria, perlomeno in Francia, nel momento in cui una ordinanza decide la soppressione della picca.
Questo passaggio dal ferro al fuoco viene accompagnato da un aumento degli effettivi degli eserciti – secondo aspetto della rivoluzione militare -, conseguenza della rivoluzione demografica del Rinascimento, prolungatasi in maniera regolare fino al XVIII secolo, e del consolidamento dello Stato in tutte le monarchie europee moderne. Gli effettivi disponibili dipendono dalle capacità di mantenimento e di equipaggiamento degli uomini (e dei cavalli) e quindi dalle strutture politico amministrative ed economiche degli Stati, coniugati allo stesso tempo ai fattori tecnici dell’arte della guerra.
L’aumento degli effettivi.
Sembra opportuno ricordare a questo punto qualche ordine di grandezza:
gli eserciti medievali (cavalleria e uomini a piedi) superano raramente qualche migliaio di uomini. Essi arrivano alle tremila unità in occasione delle Crociate, fino a più di 12- 15 mila nelle battaglie del XIV e del XV secolo.
A Fornovo, nel 1495, Carlo VIII di Valois dispone di un esercito di 1600 lance e di 12 mila fanti con settanta pezzi di artiglieria leggera ma a Marignano, nel 1515, Francesco I Valois Angouleme dispone di 40 mila uomini e Carlo V d’Asburgo, nel 1552, pone l’assedio a Metz con 55 mila uomini.
La soglia dei 100 mila uomini, probabilmente raggiunta in Spagna dall’insieme delle forze di Filippo II, sarà conseguita in Francia un secolo più tardi con Luigi XIV e superata ai tempi della guerra di Successione di Spagna.
Sul campo della battaglia di Malplaquet, John Churchill I duca di Marlborough dispone di 86 mila uomini, il maresciallo francese Claude Hector de Villars di 75 mila uomini. Occorrerà aspettare l’inizio del secolo seguente per ritrovare e superare tali cifre.
Il fatto che tali effettivi cambino le campagne e le battaglie non costituisce una sorpresa.
Non costituisce altresì una novità il fatto che esse costituiranno una delle ragioni e uno degli argomenti di riflessione della grande generazione dei “capitani”, autori militari del XVI secolo, fino al condottiero bretone Enrico II de Rohan nel XVII secolo e, più tardi, dei teorici del XVIII secolo.
In tale contesto, l’ordine profondo su sedici righe, ricalcolato inizialmente da Maurizio di Sassonia (1696-1750), diventa una specie di rettangolo su dodici righe, quindi otto, sei, fino a raggiungere le quattro righe e l’ordine “lineare”, con la conseguenza, nel XVIII secolo, di presentare dei fronti di combattimento estesi fino a due leghe. L’artiglieria, disposta in linea sul fronte dell’esercito, interviene a quel punto come un’Arma sul campo di battaglia, con caratteristiche di mobilità e leggerezza (per l’epoca…).
Gli eccessi del XV secolo, simbolizzati dal pezzo mostruoso realizzato dall’ingegnere ungherese Orban per il sultano turco Maometto II all’assedio di Costantinopoli – pezzo capace comunque di aprire brecce nelle muraglie con una cadenza di sette tiri al giorno – vengono abbandonati per passare a una serie di bocche da fuoco più piccole, decisamente più leggere e maneggevoli, che possano battere (da cui il termine di “batteria”) gli stessi obiettivi con un’alta cadenza di tiro.
La fine della fortezza medievale.
Questo costituisce il terzo aspetto tecnico della rivoluzione medievale.
Il vecchio castello medievale, con mura elevate viene irrevocabilmente condannato dalla comparsa delle palle metalliche che rimpiazzano le palle di pietra. Il tiro, concentrato su un punto della muraglia, arriva comunque ad abbatterla e provoca la breccia attraverso la quale si lanciano le truppe d’assedio. Alla fine del XV secolo Machiavelli osserva che non esistono muraglie, per quanto spesse, che l’artiglieria non possa abbattere nel giro di qualche giorno.
L’evoluzione della fortificazione che segue nel corso del XVI secolo, scoperta in Italia da Francesco I, porta all’edificazione di “fortezze d’artiglieria”: ovvero piazzeforti o cittadelle i cui muri vengono ispessiti e rafforzati da terrapieni di contenimento, quindi abbassati e infine quasi interrati e rinforzati da bastioni ad angolo, allo scopo di disporre della necessaria copertura di fuoco sulla fronte e sulle cortine.
Nel XVII secolo gli ingegneri francesi Antoine de Ville, Louis Nicolas cavaliere di Clerville e Sebastien Le Preste de Vauban perfezioneranno le teorie degli ingegneri italiani e pianificheranno la costruzione di piazze forti in un sistema generale di difesa, successivamente denominato “pre-carré”. Questo sistema contribuisce a fissare la guerra in spazi limitati e di frontiera e allo stesso tempo a concentrare la guerra sulle tracce dell’antico “camino espanol”, che, in maniera discontinua, andava da Gand a Milano, e sulle tracce dell’antica Lotaringia fra la Francia e l’Impero, di cui Carlo il Temerario di Borgogna era stato l’ultimo campione.
Il cannone, arma d’attacco della piazza forte, una guarnigione di diverse migliaia di uomini, costituisce anche la sua arma di difesa, con più di mille pezzi d’artiglieria per cittadella.
Il cannone è diventato allo stesso tempo l’arma per eccellenza della marina, di cui si conoscono gli altri fattori decisivi di evoluzione; il sistema di governo del timone e la bussola consentono alle navi di affrontare gli oceani, invece di navigare a vista nei pressi delle coste. Lo sviluppo militare della marina costituisce l’ultimo aspetto della rivoluzione militare, aspetto che per Parker viene considerato primario.
È pur vero che bocche da fuoco vengono impiegate sulle galere del Mediterraneo a partire dalla metà del XV secolo. Anna di Bretagna aveva compreso l’importanza di questa evoluzione militare, facendo costruire a Morlaix nel 1498 la Cordeliere, una mostruosa nave armata da 200 cannoni, di cui 16 di grosso calibro e 14 bombarde a ruote. Essa opererà nel Mediterraneo fra il 1501 ed il 1504 ma scomparirà nelle fiamme nella rada di Brest nel 1512.
Nel 1571 la Battaglia di Lepanto costituisce l’ultima grande battaglia della marina a remi e quella di due flotte senza “marinai”: i ponti delle galere costituiscono altrettanti piccoli campi di battaglia per furiosi corpo a corpo fra le fanterie: quelle dei Tercios, armati di moschetto e di spadoni contro quelle di Giannizzeri, armati di archi e di yatagan. Essa rappresenta anche la prima battaglia sul mare dove il cannone gioca un ruolo decisivo, con quattro grosse galeazze veneziane davanti allo schieramento cristiano, il cui tiro laterale contribuirà fortemente a disorganizzare la linea d’attacco delle galee turche.
A partire dal XVII secolo le flotte – specialmente olandesi e inglesi, in minor misura francesi e spagnole – costituiranno lo strumento di un’egemonia occidentale finalmente capace di uscire dal Mediterraneo.
Come le fortezze sulla terra, le flotte da guerra portano migliaia di cannoni nel momento in cui gli eserciti più grandi ne dispongono appena di un centinaio.
L’espansione europea.
Il concetto di “rivoluzione militare” come motore di espansione nel mondo non si esaurisce in una descrizione tecnica sul progresso delle armi. Occorre aggiungere un approccio politico sullo Stato che costituisce, amministra e impiega la forza armata, un approccio strategico sulle campagne o anche un approccio tattico sul passaggio dalla formazione a quadrato a quella in linea.
Se la rivoluzione militare rappresenta la chiave dell’espansione europea nel mondo, questo é vero perché le innovazioni, adottate dagli Stati europei in guerra nel XVI secolo, dal moschetto al vascello da 110 cannoni, non sono stati adottati anche da quelli che avrebbero potuto contestare l’egemonia occidentale. Non sarebbe stato concepibile immaginare in Africa o nel Nuovo Mondo il loro sviluppo specifico, non essendo tali regioni a un livello di sviluppo paragonabile. L’Asia risulta troppo lontana e,né la Cina, né il Giappone, né il Siam hanno avuto nelle loro storia prospettive espansionistiche al di fuori dei loro spazi naturali. Per contro, ci si può domandare perché, se l’Occidente ha adottato la rivoluzione della polvere da sparo, il mondo islamico, fra Asia, Africa ed Europa, non lo ha fatto.
Più che per ragioni di carattere politico, gli storici sono d’accordo nell’osservare che gli Stati mussulmani e in particolare l’Impero ottomano, risultano carenti di istituzioni amministrative, tecniche e finanziarie e di strutture e infrastrutture economiche e sociali necessarie alla creazione e al mantenimento di una forza militare permanente sia sul mare che sulla terra. La routine e il mimetismo non consentono di mascherare l’insufficienza dell’apparato di mobilitazione delle risorse necessario a una guerra all’occidentale.
Conviene comunque osservare anche che i turchi, ottomani e mussulmani, posseggono una lunga tradizione di perfezionamento militare che ha assicurato loro ben quattro secoli di conquiste: essi non hanno sentito alcun bisogno di sviluppare o adottare un sistema militare diverso da quello in vigore.
La conquista ottomana non si è arrestata sulla terraferma dopo il 1453, né sul mare dopo il 1571.
Nel XVI secolo l’impero mediterraneo dei sultani si estende fino ad Algeri; l’isola di Creta viene conquistata nel 1688. Il loro impero continentale si estende a quel tempo fino in Ungheria; saranno i Turchi che vinceranno a Mohacs nel 1526, e ancora i Turchi che arriveranno fino a Vienna nel 1683.
Ma quando i sultani, nel XVIII secolo, pensano di recuperare il tempo perduto, sarà troppo tardi.
Nel XIX secolo l’Europa assume dimensioni mondiali, ma a partire dal Novecento il mondo si svincola dal controllo europeo. Le armi della seconda rivoluzione militare – il fuoco nucleare, la guerra aerea e la militarizzazione dello spazio, le nuove fortezze marittime, rappresentate dalle portaerei e dalle loro flotte d’accompagnamento, le armi sottomarine – sembrano poco adatte alle nuove forme della guerra di questo nostro secolo.
Per saperne di più
Black Jeremy, War: An Illustrated World History. Sutton. 2003;
Black Jeremy, A Military Revolution? Military Change and European Society 1550-1800. Macmillan Education, 1991;
Bois Jean Pierre, La Pace, storia politica e militare. Perrin, 2012;
Corvisier André, La Guerre. Essais Historiques. Parigi, 1995;
Parker Geoffrey, The Military Revolution: Military Innovation and the Rise of the West, 1500-1800. Press Syndicate of University. of Cambridge, 1996;
Parker Geoffrey, Europe in Crisis, 1598-1648. Cornell University Press, 1979;
Charles Tilly, L’oro e la spada. Capitale, guerra e potere nella formazione degli Stati europei, 990-1990. Ponte alle Grazie, 1991;
Pietro Del Negro, Guerra ed eserciti da Machiavelli a Napoleone. Laterza, 2001.
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