Perché è scoppiata la prima guerra mondiale
La Grande Guerra fu un conflitto suicida; portò all’indebolimento dell’Europa e all’ascesa di nuove potenze extra-europee. Quali furono i motivi che portarono il vecchio continente a tornare sul campo di battaglia?
A dirla con le parole del sociologo Gustave Le Bon:
“gli esseri umani sono mossi da forze inconsce più che da decisioni consapevoli,
come fino a quel momento si era creduto” [1]
Centinaia di migliaia di uomini spediti come carne da macello sui diversi fronti europei tra il 1914 e il 1918. Una guerra che diventò presto mondiale, grazie alla partecipazione di potenze emergenti quali Giappone e Stati Uniti.
Per quali motivi scoppiò la prima guerra mondiale?
Come annotava Stefan Zweig nel suo libro “il mondo di ieri” la situazione generale non lasciava presumere la guerra generale, sebbene negli arti vertici militari si respirasse un clima di sospetto ed ostilità, tuttavia:
"non si temevano ricadute barbariche come le guerre tra i popoli europei, così come non si credeva più alle streghe ed ai fantasmi; i nostri padri erano tenacemente compenetrati dalla fede nella inarrestabili forza conciliatrice della tolleranza" [2]
La corsa alla colonizzazione e le rivalità tra le nazioni europee
Prima della “Grande guerra” l’Europa aveva vissuto, generalmente, in un lungo periodo di pace e prosperità. Le potenze europee invece che battersi in Europa erano corse a spartirsi l’Africa. Se all’inizio dell’800 l’Europa controllava il 35% dell’Africa, nel 1914 tale percentuale era salita all’84% [3]
Una corsa che in realtà non aveva generato una grandissima ricchezza e c’era già chi allora si lamentava dell’inutilità di quelle conquiste. Così Sir Evelyn Baring scrisse al proconsole d’Egitto:
“non si lasci ingannare da quello che sente dire dai militari sull’importanza strategica di quelle zone; se lasciassimo fare a loro insisterebbero per costruire un avamposto sulla Luna contro possibili minacce da Marte” [4]
Una guerra a distanza che aveva però finito col gettare i semi delle future coalizioni; l’Entente cordiale firmato nel 1904 da Inghilterra e Francia in riconoscimento delle rispettive colonie, stabiliva un nuovo legame di amicizia tra due nazioni che fino a poco tempo prima continuavano a guardarsi reciprocamente con diffidenza. Ben presto l’Inghilterra si accordò anche con la Russia, sancendo definitivamente la sua entrata nell’orbita della futura Triplice Intesa.
I Balcani
Nei Balcani l’Impero Ottomano era sempre più marginale, sconvolto al suo interno da correnti nazionaliste e riformatrici. Approfittando anche della guerra italo-turca in Libia diverse nazioni si erano liberate definitivamente dalla Sublime porta e miravano a cacciare “il malato d’Europa” dalla penisola balcanica. L’Austria-Ungheria e la Russia guardavano con ambizione verso una futura espansione nell’area, in special modo la prima, la quale già aveva proceduto ad annettere i precedenza territori come la Bosnia. Proprio in questo contesto si sviluppò la miccia che fece deflagrare la prima guerra mondiale. Un conflitto che però senza il sistema di alleanze internazionali avrebbe potuto limitarsi ad una guerra locale.
I rapporti anglo-tedeschi
Secondo la storica Margaret Macmillan la causa principale dello scoppio della guerra mondiale fu l’inversione del tradizionale asse anglo-tedesco [5]. Gli inglesi avevano da sempre sostenuto la Prussia, poi divenuta Germania in seguito all’unificazione tedesca, in funzione anti-francese. Germania e Francia erano in effetti ai ferri corti, così come “tradizione” a causa anche della tremenda sconfitta impartita nel 1870 a Napoleone III e la conquista tedesca delle regioni dell’Alsazia e della Lorena, sulla quale i nazionalisti francesi avanzavano le proprie rivendicazioni; Per il primo ministro Balfour il problema principale non era la Germania ma quell’Intesa tra Francia e Russia, tanto che come confidò Chamberlain, per un certo periodo la diplomazia inglese valutò la possibilità di entrare nella Triplice Alleanza composta da Germania, impero austro-ungarico ed Italia. Paradossalmente si temeva di più un’improbabile invasione francese sull’isola che la potenza tedesca.
Non è un’idea casuale quella della storica. Invece che porre l’accento sul casus belli provocato dall’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, che determinò la reazione a catena degli ultimatum e lo scenario balcanico, la Macmillan sostiene come fu un piccolo episodio molto precedente a ridurre nel tempo quel ventaglio di opzioni che presto si sarebbero tramutate in un’unica scelta possibile, ovvero la guerra.
Nel 1896 il Kaiser Guglielmo II mandò un dispaccio di congratulazioni al presidente del piccolo stato del Trasvaal che si era difeso vittoriosamente dall’aggressione britannica. Tutti i paesi europei fecero il tifo per quel piccolo paese, generando una solidarietà contro “le vittime degli inglesi”. Come si permetteva il nipote della regina inglese Vittoria di insultare impunemente gli inglesi?
In sé tale fatto non poteva che limitarsi ad un errore diplomatico di percorso facilmente risolvibile. Tuttavia una nuova forza aveva fatto il suo ingresso nel mondo politico ovvero l’opinione pubblica. L’operato di Ministri e sovrani non rispondeva più solamente all’esigenza del contesto diplomatico, ma doveva ora piegarsi alla volontà del popolo (o almeno di una sua parte). Così ben presto un banale incidente finì col generare un’enorme caduta nei rapporti. Nel 1902, ammiraglio della marina britannica arrivò a sostenere che la nuova marina militare tedesca sembrasse progettata su misura per “muoverci guerra”. Sui giornali incominciarono a comparire notizie inventate o palesemente false, come quando fu sequestrata una nave tedesca a bordo della quale si sospettava fossero trasportate armi in aiuto ai nemici dell’Inghilterra. In realtà come ebbe a rispondere un cancelliere tedesco: “la cosa più pericolosa che trasportava quella nave era un partita di formaggio svizzero”
Guglielmo II, lamentandosi con la nonna per la piega che stavano prendendo le cose e del primo ministro inglese Lord Salisbury, ottenne per tutta risposta un rimprovero dalla mamma di sua mamma.
Nel tempo fu un susseguirsi di incidenti diplomatici che portarono entrambe le opinioni pubbliche ad un atteggiamento sempre più ostile e cosa più importante erano gli stessi vertici militari ad insospettirsi della controparte. Nel 1910 un romanziere inglese arrivò a scrivere un libro ambientato nel futuro in cui l’Inghilterra veniva invasa da elmetti a punta ed uniformi blu (questo l’equipaggiamento dell’esercito tedesco). A volte come si suol dire le profezie finiscono con l’auto-avverarsi
L’attentato di Sarajevo
Non è un mistero che l’omicidio da parte di un anarchico dell’erede al trono d’Austria sia stato solo un punto di arrivo. Un casus belli dunque che fornì solamente un pretesto ad un Europa già sul piede di guerra, almeno negli ambienti militari, convinti di poter sconfiggere il nemico con una guerra lampo, dalla breve durata. Un conflitto sanguinoso e disastroso le cui conseguenze non si spensero che dopo la fine della seconda guerra mondiale e la cui origine risale probabilmente in episodi probabilmente banali, si potrebbe dire “tutto in famiglia”. Altro che grandi interessi economici. Allora la politica internazionale poteva essere guidata da incidenti o questioni d’onore e dinastia.
Non va dimenticato in effetti che coloro che presero la decisione fatale erano tra loro cugini o parenti. Guglielmo II, Giorgio V (monarca inglese) e Nicola II erano infatti cugini (l’inglese regina Vittoria discendeva a sua volta da due dinastie tedesche). Se prima della guerra Guglielmo II era stato anche troppo amorevole nel corso della guerra le famiglie si allontanarono tanto che la dinastia dei Gota-Coburgo assunse la denominazione attuale di Windsor, così da rispondere all’opinione pubblica che richiedeva una rottura totale col passato.
Certamente non ci si può illudere di poter trovare un unico motivo per quale scoppiò la prima guerra mondiale. Ci si può chiedere invece quali furono le decisioni che portarono in seguito le diplomazie ad un binario morto, in cui le relazioni di pace non erano più possibili; ed è qui che la ricerca storica dovrebbe concentrarsi, sia per amore del sapere che poter conoscere, almeno in parte, quei meccanismi sociali che possono portare il mondo alla catastrofe
Articolo di Stefano Borroni
bibliografia
Stefan Zweig, il mondo di ieri [1]
Margaret Macmillan, 1914, come la luce si spense sul mondo di ieri [5]
Paolo Mieli, in guerra con il passato [1] [3] [4]
Amanti della storia
«Rompere le scatole» e altri modi di dire della Grande guerra.
La prima guerra mondiale ha avuto conseguenze fondamentali sulle istituzioni politiche, sulle società contemporanee, sulla mentalità delle persone e, anche, su un elemento che probabilmente non viene spesso preso in considerazione: i modi di dire.
La Grande guerra coinvolse il Regno d’Italia dal maggio 1915 fino al novembre 1918, anno in cui fu firmato l’armistizio di Villa Giusti che pose fine ai combattimenti al fronte.
Per tutta la durata del conflitto molte espressioni e “neologismi” furono utilizzati dai soldati in trincea, per poi diffondersi in tutta Italia nel linguaggio comune.
Gli esempi sono davvero numerosi: il termine «cecchino», il quale indica generalmente un tiratore scelto, trova la sua origine etimologica nel nome dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, mentre «Caporetto» evocherebbe la disfatta subita dall’esercito italiano nell’autunno del 1917 a vantaggio delle forze austro-tedesche.
La parola «crucco», generalmente utilizzata per definire in modo negativo un soldato tedesco, proviene dalla lingua slovena: Kruh significa pane ed infatti era proprio questo che i soldati sloveni delle armate nemiche supplicavano, una volta catturati dagli italiani.
Altrettanto drammatica è l’origine dell’espressione «rompere le scatole». Si riferisce al comando che veniva impartito ai soldati quando, pochi istanti prima dell’assalto, dovevano sfasciare gli involucri di cartone contenenti i pacchetti di cartucce di munizioni per i fucili. Rompere le scatole equivaleva quindi ad una morte praticamente certa.
In relazione al munizionamento delle armi, nacque anche l’espressione «avere le palle girate»: la pratica di sfilare le pallottole dai bossoli e reinserirle capovolte era molto comune negli eserciti italiano e austro-ungarico. Si trattava di un metodo sbrigativo (e vietato) che aveva come obbiettivo quello di rendere più letale l’attacco.
La pallottola girata, infatti, esponendo il fondello di piombo nudo, non incamiciato dal rame, si espandeva «a fungo» al momento dell’impatto determinando gravi ferite. Produceva un effetto paragonabile a quello delle pallottole «dum dum», inventate alla fine dell’800 dagli inglesi in india e messe fuori legge dalla Convenzione dell’Aia del 1889.
Guglielmo Motta
M. D’Andrea, Palle girate e altre storie: cose curiose della Grande guerra, Azzurra, 2015.
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