“La democrazia non è bella”, parola di Socrate.
Chi disprezza il voto del popolo irragionevole e imprevisto ha una buona compagnia di predecessori. Il primo è il filosofo greco che, proprio con un voto popolare, venne condannato a morte. Preferiva una repubblica di saggi, senza però spiegare dove andare a pescarli.
Non c’è niente di più bello della democrazia, pur con tutti i difetti che presenta. Questa convinzione, nonostante la parola sia antica e la tradizione venga fatta risalire al V secolo a. C., è piuttosto recente. Anzi: è molto recente.
Gli stessi Padri Fondatori americani, negli ultimi decenni del XVIII secolo non amavano parlare di democrazia, quanto di “repubblica”. Lo stesso facevano i loro omologhi francesi qualche anno dopo. La democrazia non piaceva, era troppo vicina al “potere della folla”, che terrorizzava un po’ tutti i legislatori dell’epoca.
Votano tutti? Per carità, no.
La verità è che questa convinzione non consiste in una distorsione del pensiero originario: come può notare chiunque abbia voglia di leggersi i dialoghi di Socrate scritti da Platone, si noterà – con tutte le complicazioni date dalla sovrapposizione delle idee del discepolo su quelle del maestro – che la democrazia ateniese, che oggi piace a tutti, in realtà non era sempre apprezzata. In particolare dal ceto aristocratico. Socrate frequentava quelle compagnie (Platone ne faceva parte) e, dal suo punto di vista, la democrazia era, nella sostanza, “il governo dei demagoghi”.
Che la folla sia inaffidabile è un concetto che si ripresenta di continuo, una lettura carsica che, lungo le epoche, si sostanzia nella volontà di porre limiti al diritto di voto (che poi votare è solo una parte della democrazia, anche se a livello simbolico la riassume tutta). Anche negli ultimi mesi. Ma tutti costoro avevano un precedente molto illustre: Socrate. Del resto, il filosofo, ne aveva anche motivo: fu con un voto di maggioranza che venne decisa la sua condanna a morte. Naturale che non ne fosse molto contento.
Ma, in ogni caso, continuava a porre il quesito: quando si naviga, ci si affida a marinai esperti o a dilettanti che non hanno mai preso un remo? La risposta è scontata, la domanda è retorica. E allora, perché gli affari dello Stato (all'epoca era la polis) devono essere affidati a persone a caso, senza preparazione, che venivano addirittura sorteggiate?
Un punto che da secoli tormenta i filosofi politici.
Che fare? Per Platone/Socrate occorre selezionare una classe di persone sagge e razionali in grado di guidare lo Stato. Bene, ma come le si individua? E poi: come si è sicuri che siano razionali sempre? E – come dimostra la neuroscienza – molte decisioni sono inconsce, prese di pancia, secondo preferenze che non seguono la logica. E allora, perché le loro pance sono meglio di quelle degli altri? È un punto che si illustra bene qui:
Certo, ci si dimentica nel video di ricordare un passaggio: i governanti, secondo Socrate/Platone, devono essere pronti a mentire al popolo. Il pericolo sono i demagoghi? Certo. Allora bisogna convincere con una favola – una leggenda, un mito – tutta la popolazione ad accettare l’ordine costituito e non lasciarsi tentare dalle voglie del potere, che poi non sarebbe in grado di esercitare. È la Repubblica ideale, quella dei filosofi. Ma si tratta di un progetto irrealizzabile, in realtà. Perché i saggi veri non esistono. E, a ben guardare, nemmeno le folle vere.
http://www.linkiesta.it/it/article/2016/12/12/la-democrazia-non-e-bella-parola-di-socrate/32606/
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