venerdì 26 dicembre 2014

Severino "La potenza dell'errare. Al riduzionismo compete [tra le altre] una contraddizione, che è l'análogon del riduzionismo teologico. La riduzione della mente al cervello è cioè l'análogon mondano della riduzione teologica del mondo a Dio. Infatti, se il mondo è totalmente riducibile a Dio, non c'è mondo; e se la mente è totalmente riducibile al cervello, non c'è mente. In entrambi i casi, se la riduzione non è totale c'è un residuo irriducibile. Ma se la riduzione è totale, essa nega ciò che essa stessa afferma: nega quella mente e quel mondo che essa riconosce come esistenti proprio per la sua volontà di ridurli, rispettivamente, al cervello e a Dio.


CONTRO IL RIDUZIONISMO
Al riduzionismo compete [tra le altre] una contraddizione, che è l'análogon del riduzionismo teologico. La riduzione della mente al cervello è cioè l'análogon mondano della riduzione teologica del mondo a Dio. Infatti, se il mondo è totalmente riducibile a Dio, non c'è mondo; e se la mente è totalmente riducibile al cervello, non c'è mente. In entrambi i casi, se la riduzione non è totale c'è un residuo irriducibile. Ma se la riduzione è totale, essa nega ciò che essa stessa afferma: nega quella mente e quel mondo che essa riconosce come esistenti proprio per la sua volontà di ridurli, rispettivamente, al cervello e a Dio.
Emanuele Severino "La potenza dell'errare. Sulla storia dell'Occidente" (2013), Rizzoli 2014, p. 341
[Gerhard Richter, Ohne Titel (Abend) l Senza titolo (Sera), 1971]



Il "Dio creatore" va negato (e così l'uomo creatore, o la tecnica creatrice), perché nel concetto di un Dio siffatto si esprime la follia che identifica l'essere e il nulla, ossia perché il contenuto di tale concetto è nullo. Mi sembra che per molti "nichilismo" sia, per definizione, la negazione del Dio della tradizione cristiana. Ma allora è questione di parole; e sarebbe inevitabile essere "nichilisti". Ciò a cui si rivolge il mio discorso non ha però nulla a che vedere con l'ateismo, che riduce la totalità dell'essere al mondo. Anzi Dio è "troppo poco". Già la più umile delle cose, in quanto eterna, sta al di sopra di Dio, che dalla follia del nichilismo viene fatto giocare col nulla. Ma per discutere il fondamento di queste affermazioni bisogna uscire dai luoghi comuni o dal facile appello a quel che la gente pensa comunemente.

Emanuele Severino



Il destino è un padrone (violenza, predominio, prevaricazione) solo se esiste un servo ..
Emanuele Severino


Emanuele Severino, Il disfacimento del corpo non ne è l’annientamento.
“Il pensiero che testimonia la verità dell’essere non può accogliere l’affermazione che con la morte del corpo l’anima continui ad esistere: ma non perché si debba invece affermare che, non esistendo più il corpo, non possa più esistere nemmeno l’anima, bensì perché tanto il corpo quanto l’anima sono eterni. Come ogni essere. L’anima non può esistere senza il corpo, così come non può esistere senza uno qualsiasi degli enti, giacché il destino della totalità dell’ente è di esistere. (‘Aeternus’ è sincope di ‘aeviternus’, e l’‘aevum’ è l’αἰών, l’esser sempre, l’impossibilità di non essere. Ma questa impossibilità si deve riferire alla totalità dell’essere, e non ad un ente privilegiato – onde l’αἰών greco è la stessa espressione del nichilismo metafisico).
Il disfacimento del corpo non ne è l’annientamento, ma è il modo in cui il corpo si porta stabilmente al di fuori dell’apparire dell’essere. La storia è il processo del comparire e dello sparire dell’eterno. La dialettica non è l’essenza dell’essere in quanto è, ma dell’essere in quanto appare. L’essere sopporta inalterato ogni aggressione della tecnica. Non ne resta in alcun modo intaccato, ma lascia apparire gli spettacoli dell’alienazione del senso dell’essere.”

EMANUELE SEVERINO (1929), “Essenza del nichilismo”, Adelphi, Milano 1982 (nuova edizione ampliata, I ed. Paideia, Brescia 1972), Parte seconda ‘La terra e l’essenza dell’uomo’, I, p. 197.






Emanuele Severino.
- Leopardi Nietzsche e la maschera indossata dall’angoscia -
“ In relazione al nulla assoluto, «in mezzo» al quale l’essere si trova (‹Zibaldone›, 85), il «genio» vede, per Leopardi, l’impotenza di ogni rimedio e l’impossibilità di ogni salvezza. Anche la tecnica è impotente di fronte al nulla assoluto. Per questo Leopardi può pensare che dopo il fallimento della potenza della tecnica rimanga, a fronteggiare ancora per un poco l’irruzione del nulla, la potenza del canto del «genio», nella situazione dove «l’anima riceve vita (se non altro passeggera) della stessa forza con cui sente la morte perpetua delle cose, e sua propria» (‹ibid›., 261) – questa forza essendo appunto la potenza del canto del «genio». Ma il superuomo è il genio che vince il nulla assoluto della morte proprio perché conosce l’assoluta precarietà, incertezza e destinazione al nulla di tutte le cose e di se stesso. Gioisce non per la potenza del canto che mostra la vittoria del nulla, ma perché la suprema vittoria ‹del› nulla – cioè del divenire – è la vittoria ‹sul› nulla da cui le cose provengono e in cui ritornano. Tale vittoria, in cui consiste l’eterno ritorno di tutte le cose, è fondata sulla coscienza dell’illusorietà del nulla in quanto origine assoluta e termine assoluto del tutto. Il superuomo non ha bisogno di gioire della potenza del canto, perché gioisce della propria eternità, del proprio eterno far ritorno nell’essere, insieme a tutte le cose. Ma gioisce stando sull’abisso di un’eternità essenzialmente implicata dalla non eternità, ossia che ha ed è in se stessa la propria negazione. La gioia del superuomo è la maschera inevitabilmente indossata dall’angoscia a cui l’Occidente è destinato. Al di là della follia del divenire e ‹cioè› dell’eternità dell’Occidente, la ‹Gioia› del destino della verità non maschera alcuna angoscia.”

EMANULE SEVERINO, “L’anello del ritorno”, Adelphi, Milano 1999, XXII. ‘Nietzsche e l’essenza del nichilismo’, 3. ‘Nietzsche, Leopardi, il destino della verità’, pp. 432 – 433.






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