mercoledì 3 dicembre 2014

Figlia di Ares dio della guerra e di Afrodite dea della bellezza è Phobos, madre di tutte le paure.

Le fobie dei personaggi storici (e dei vip)

Anche a vip e personaggi illustri veniva e può venire tuttora la tremarella per motivi inspiegabili. Abbiamo selezionato 12 fobie che hanno tormentato altrettanti volti noti. 


Aveva il terrore di microbi (bacillofobia) e pozzanghere:
Alessandro Manzoni soffriva di numerose fobie. Tra queste il terrore dei baccili. Ma soffriva anche di agorafobia (paura degli spazi aperti,sconosciuti). Nel 1810 mentre a Parigi assisteva insieme alla prima moglie Enrichetta Blondel, in mezzo a una folla rumoreggiante, ai festeggiamenti per il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d'Austria, fu colto da un attacco di vertigini. Quando camminava da solo c'era il rischio che lo cogliessero convulsioni, cui seguiva la perdita dei sensi.


Giulio Cesare (100-44 a. C.) rabbrividiva davanti a insetti e ragni (entomofobia e aracnofobia) nonché, come Alessandro Magno, al cospetto dei gatti. Entrambi tremavano alla sola idea di trovarsi a tu per tu con un micio.

Benito Mussolini.
La paura dei microrganismi (figlia delle scoperte scientifiche avvenute tra il XVIII e il XIX secolo) “contagiò” molti politici e governanti. Tra questi anche Mussolini. È stata avanzata persino l’ipotesi che il duce avesse riportato in auge il saluto romano per limitare le antiigieniche strette di mano.


Abraham Lincoln.
Anche se è stato presidente degli Stati Uniti era così timido da aver paura delle belle donne (calliginefobia)
La calliginefobia (da kallos, “bello” e ghiné, “donna”), ovvero l’ansia suscitata dalle belle donne, e l’antropofobia (la paura dei rapporti sociali, versione patologica della misantropia) minarono le relazioni del presidente americano Abraham Lincoln (1809-1865).


Napoleone Bonaparte.
Probabilmente non tenne mai un gatto in casa. Li detestava (ailurofobia)
Quella dei gatti sembra la fobia più diffusa tra i potenti, dell’antichità e non solo. Si tratterebbe di un retaggio delle credenze su questo animale considerato “magico”, il cui aspetto bonario cela un istinto selvaggio. Oltre che ad Alessandro Magno e Cesare si è attribuita l’ailurofobia (che può arrivare allo svenimento) al sanguinario Gengis Khan (1162-1227), a Napoleone Bonaparte (1769-1821) e al generale e presidente Usa Dwight Eisenhower (1890-1969).

Marilyn Monroe.
Ogni giorno un bagno di folla, ma temeva i luoghi affollati (agorafobia)
Marilyn Monroe (1926-1962) era agorafobica. Come anche il già citato Manzoni.


Alfred Hitchcock
Aveva una seria repulsione per le uova (ovofobia)
A differenza della alektorofobia, ovvero la paura persistente, anormale e ingiustificata delle galline, l'ovofobia (la paura e repulsione per le uova) è una fobia molto rara e poco codificata. Hitchcock ha dichiarato una volta: «Ho paura di uova, peggio di paura, mi rivoltano. Quella cosa bianca rotonda senza fori... avete mai visto niente di più rivoltante di un tuorlo d'uovo? Rivoltante. Non ne ho mai assaggiato uno».


Andre Agassi
La sola vista di un ragno lo getta nel panico (aracnofobia)
Agassi è uno dei 7 giocatori che nella loro carriera sono riusciti a vincere tutti e 4 i titoli dello Slam. Ma aveva e ha tutt'ora una paura matta dei ragni. Alcune fobie, come l’aracnofobia (la paura dei ragni), sono rimaste stabili nel corso dei secoli, tanto da far pensare a un’origine genetica.


Woody Allen
Non tollera i colori troppo accesi (cromofobia)
Woody Allen ha dichiarato di aver paura un po' di tutto, dagli insetti ai ragni, dagli spazi aperti ai... colori troppo accesi.

David Beckham.
Ogni cosa al suo posto, non sopporta il disordine (ataxofobia)
Pare che l'ex calciatore David Beckham controlli che tutto sia al posto giusto, perfino che le lattine siano allineate dentro al frigorifero.
Quello che terrorizza il campione è il disordine. Un letto disfatto, un lavandino pieno di piatti sporchi, i cuscini fuori posto sul divano creano nei soggetti come lui una repulsione che può essere insopportabile.

Madonna
Non lasciatela sola durante un temporale! I tuoni la spaventano moltissimo (brontofobia)
La brontofobia è definita come una paura persistente, anormale e ingiustificata dei fulmini e dei tuoni delle tormente.

Whoopi Goldberg
Viaggia moltissimo, ma non chiedetele di salire su un aereo (aviofobia)


http://www.focus.it/cultura/storia/le-fobie-dei-personaggi-storici-e-dei-vip?step=23&qa=1#content








"Esiste una condizione fobica che ci spinge ad aver paura di amare: la philofobia.
Le cause possono essere molteplici, la maggior parte sono riconducibili ad una sorta di meccanismo di difesa (“non amo per non soffrire“); queste cause sono dettate da un fattore reattivo situazionale, il classico esempio è dato da una storia finita male dove il soggetto è stato così profondamente ferito da non voler ripetere un’esperienza che potenzialmente potrebbe replicare lo stesso malessere".


Dimmi che fobia hai e ti dirò chi sei

Figlia di Ares dio della guerra e di Afrodite dea della bellezza è Phobos, madre di tutte le paure.
E’ una divinità femminile, sorella di Deimos e si manifesta in centinaia di vesti, tra cui la paura irrazionale. Conoscete per esempio la tripofobia? E la gefirofobia? [...]

Secondo il National Institute of Mental Health, si può definire fobia l’evitare sistematico e persistente di uno specifico oggetto, animato o inanimato, senza che ci sia un reale pericolo per la vostra incolumità. [...]

Ma quante ce ne sono? Secondo The Phobia List finora ne sono state diagnosticate ben 530.  [...]

Immaginate un alveare. O un melograno sgranato.Basta guardare la serie di buchini uno vicino all’altro per iniziare a grattarsi dappertutto e a stare male di stomaco. Sembra uno scherzo, ma non lo è. Si chiama tripofobia [...]. A onor del vero non è ancora stata riconosciuta ufficialmente, ma le testimonianze sono così numerose da aver reso necessaria la ricerca su cause e sintomi.  [...]

Un altro curioso episodio di un altrettanto curiosa fobia, si legge qualche giorno fa nella cronaca inglese. Un automobilista sbaglia strada e sale sul Dartford Crossing Bridge. Allarmato, chiama la polizia stradale ma non perché ha sbagliato strada, bensì perché la paura di premere l’acceleratore lo impietrisce. Non sa come tornare indietro e, peggio, neanche come andare avanti.  Per sbloccare la situazione è necessario l’intervento di una pattuglia della polizia stradale. Individuata la macchina, uno dei poliziotti ne prende il controllo e attraversa il ponte con l’automobilista seduto al posto del passeggero. Questa è la paura dei ponti, e si chiama gefirofobia.  [...]

Si chiama Entomofobia e indica l’avversione contro i grilli e, in generale, verso strane forme di insetti. [...]


http://www.lundici.it/2013/03/dimmi-che-fobia-hai-e-ti-diro-chi-sei/





Perche abbiamo paura degli animali,degli insetti, dei ragni?
Ecco la spiegazione a ogni paura “Ogni fobia risale a un’angoscia infantile e ne è la continuazione, anche quando ha un altro contenuto e deve quindi essere diversamente denominata” Sigmund Freud.




Ogni fobia ha anche una componente di repulsione e di attrazione inconsapevole verso l’oggetto temuto
Gli oggetti e le situazioni temuti non sono altro che la trasduzione dei nostri pensieri proibiti sessuali o aggressivi che minacciano una ritorsione punitiva. La paura viene proiettata e introiettata su di un oggetto esterno, in modo da poterla controllare: in questo modo diventa circoscritta ed evitabile.


Perche abbiamo paura degli animali,degli insetti, dei ragni? 
Ecco la spiegazione a ogni paura

Ogni fobia risale a un’angoscia infantile e ne è la continuazione, anche quando ha un altro contenuto e deve quindi essere diversamente denominata” 
Sigmund Freud

In due righe Freud esprime appieno il concetto di paura che altro non è che un’emozione primaria presente fin dalla nascita.

La paura è qualcosa di fisiologico utile alla crescita in quanto serve ad attivare reazioni che lo difendono dal pericolo, ma la paura può diventare distruttiva: ci isola, limita il nostro mondo e ci separa dalla nostra dignità, dalla sicurezza in noi stessi.
Le nostre fobie possono essere così profondamente insediate nel subconscio che addirittura non siamo neppure sicuri di quali siano e da dove provengano, sicché viviamo con la fastidiosa sensazione che ci sia qualcosa che non va, che un qualche potenziale pericolo emotivo incomba su di noi, senza che sappiamo indicarlo.
Ogni fobia ha anche una componente di repulsione e di attrazione inconsapevole verso l’oggetto temuto. Gli oggetti e le situazioni temuti non sono altro che la trasduzione  dei nostri pensieri proibiti sessuali o aggressivi che minacciano una ritorsione punitiva. La paura viene proiettata e introiettata su di un oggetto esterno, in modo da poterla controllare: in questo modo diventa circoscritta ed evitabile.
Le paure sono infatti convinzioni irrazionali che abbiamo riguardo a noi stessi, alle nostre azioni, ad altre persone o eventi. Si basano sull’interpretazione che diamo alla realtà. Qualcuno è terrorizzato dai ragni mentre qualcun altro li può tenere tranquillamente sul palmo della mano.
Non vogliamo toccare il ragno perché forse potrebbe morderci, così come ci spaventa parlare in pubblico, su un palcoscenico, perchè non sappiamo quali saranno le reazioni e i giudizi della gente.

Ma cosa simboleggia la paura degli animali?
In genere la paura degli animali simboleggiano la pulsionalità senza ragione. Si teme dunque il contatto con la propria emotività, che non si riesce a gestire, temendo dunque di perderne il controllo. Il significato varia a seconda del tipo di animale. Per esempio, l’aracnofobia ovvero la paura dei ragni e degli insetti in generale simboleggerebbe il tentativo di allontanare parti repellenti del proprio Sé. La paura del gatto, invece simboleggerebbe il conflitto verso la figura materna, mentre la paura dei cani sarebbe messa in relazione con una conflittualità nei confronti del padre.
Queste fobie talvolta possono essere ricondotte a eventi traumatici, ma di frequente la sensazione di impotenza che causano è amplificata dal fatto che non riusciamo a capire quale sia la loro origine.
Il dolore che nasce da queste paure può trafiggerci fino al centro della nostra sfera psichica ed è proprio questo nucleo ad avere bisogno di essere esaminato, curato e guarito.

Fobia degli insetti. Nella psicologia si trasduce in paura delle sorprese, degli imprevisti.
Chi soffre della paura degli insetti va nel panico appena sente qualcosa muoversi, strisciare o volare vicino, al punto tale da rifiutarsi di uscire di casa e spendere un mucchio di soldi per proteggere il proprio focolare da ospiti sgraditi.
Chi ha paura degli insetti è un soggetto che ha paura del successo, degli schemi, delle sorprese, degli imprevisti. In genere ha una personalità evitante e ha fortemente paura di essere giudicata.
Tuttavia la paura degli insetti può avere anche una matrice genetica: è anche un retaggio storico dell’uomo che nel  corso dei millenni ha attivato il suo cervello contro le cose piccole che si muovono rapidamente, considerato come una minaccia. Dunque ci portiamo dietro da millenni ciò che resta delle paure ataviche: alcune probabilmente siamo destinati a perderle perchè non più utili, altre utili ancor oggi, per cui continueremo a tramandarle e a perfezionarle evoluzionisticamente parlando, come per esempio il disgusto per le sostanze amare, che potenzialmente possono essere velenose.

Paura dei ragni. Nella psicologia si trasduce in paura della morte, della dipendenza.
E’ proprio nella simbologia del ragno che possiamo trovare le cause di questa fobia.
Tessere la tela viene interpretato come creare la vita, affrontarla fino alla sua fine e forse, è proprio la paura inconscia della morte a rendere vulnerabili le persone alla vista di esso.
Un’altra causa si nasconde nell’inconscia paura di essere catturati, imprigionati in una rete: dalla tela del ragno non ci si libera, quindi rimanderebbe a tematiche relative alla dipendenza.
il ragno infatti rappresenta  la totale autonomia:  non ha bisogno di nessuno per tessere la propria tela.

Dott.sa Anna Maria Sepe, psicoanalista


http://www.giacinto.org/perche-abbiamo-paura-degli-animalidegli-insetti-dei-ragni/








BISOGNO INCONSCIO DI SOFFRIRE E FOBIA DELLA FELICITA' (1)

1.
C'è un ampio spettro di vissuti, sintomi e comportamenti, facilmente reperibili nel corso dell'analisi, che non possono essere interpretati se si prescinde da un "BISOGNO" INCONSCIO DI SOFFRIRE. TALE BISOGNO SOLO RARISSIMAMENTE VIENE RECEPITO E CONVALIDATO A LIVELLO COSCIENTE. Spesso esso, rimanendo del tutto estraneo alla coscienza, va inteso nei termini di una MOTIVAZIONE PSICODINAMICA a tal punto potente da determinare sia direttamente, attraverso i sintomi, sia indirettamente, attraverso i comportamenti che il soggetto è spinto ad agire, un regime di vita mortificante, molto distante o comunque al di sotto di una soglia minima di felicità che, in teoria, egli potrebbe sormontare. Lo spettro del BISOGNO INCONSCIO DI SOFFRIRE è definito dalla distanza qualitativa che si dà tra il regime di vita da esso determinato e il REGIME POSSIBILE CHE IL SOGGETTO POTREBBE REALIZZARE SE RIUSCISSE A LIBERARSENE. Si tratta di uno spettro estremamente ampio, che ad un estremo comporta una TENDENZA SPICCATA ALL'AUTOLESIONISMO (anche fisico, fino all'autosoppressione) e all'estremo opposto una DEPRESSIONE LIEVE, APPARENTEMENTE IMMOTIVATA, RICONDUCIBILE ALLA FOBIA DELLA FELICITÀ.
A questa complessa tematica un mio collega, amico e allievo, il dott. NICOLA GHEZZANI HA DEDICATO UN LIBRO (VOLERSI MALE, ANGELI, ROMA 2002) di grande interesse, che consiglio di leggere. Intrecciandosi con la tematica del SENSO DI COLPA, il BISOGNO INCONSCIO DI SOFFRIRE rappresenta un filo continuo in tutte le mie opere. In STAR MALE DI TESTA ad esso è dedicato il capitolo 17. […]  Nell'accezione comune, ricavata dalla psicoanalisi tradizionale, IL BISOGNO INCONSCIO DI SOFFRIRE À IDENTIFICATO CON IL MASOCHISMO. Tale accezione è estremamente limitativa, riferendosi in prevalenza al MASOCHISMO SESSUALE.
Coniato da Krafft-Ebing, il termine masochismo, derivato dal nome di un romanziere austriaco (LEOPOLD VON SACHER MASOCH), i cui personaggi traevano PIACERE EROTICO DALL'ESSERE TRATTATI CRUDELMENTE, designa semplicemente una pratica sessuale "perversa", tale cioè che: "l'individuo che ne è affetto, nei sentimenti e nei pensieri sessuali, è DOMINATO DALL'IDEA DI ESSERE COMPLETAMENTE E INCONDIZIONATAMENTE SOGGETTO AI VOLERI DI UNA PERSONA DEL SESSO OPPOSTO, di essere trattato da questa persona come da un padrone, di ESSERE UMILIATO E MALTRATTATO. Cosa essenziale dal punto di vista della psicopatologia e comune a tutti i casi è la DIREZIONE DELL'ISTINTO SESSUALE VERSO LA SFERA DI RAPPRESENTAZIONI DELLA SOTTOMISSIONE AD UN'ALTRA PERSONA E DEL MALTRATTAMENTO DA PARTE DI QUEST'ULTIMA".
Freud, che mutua il termine da Krafft-Ebing, ne cambia alquanto il significato. Già nei TRE SAGGI SULLA TEORIA DELLA PERSONALITÀ, egli minimizza l'aspetto relazionale, per cui il masochista gode nel porsi nel ruolo dello "schiavo" rispetto ad un "padrone" da cui vuole essere maltrattato, riconducendo la perversione ad una VICISSITUDINE PURAMENTE ISTINTUALE. Egli scrive: "La designazione di masochismo abbraccia tutti gli atteggiamenti passivi verso la vita sessuale e l'oggetto sessuale, e di questi l'estremo appare essere la congiunzione del soddisfacimento con il patimento di dolore fisico o psichico cagionato dall'oggetto sessuale. Il masochismo come perversione sembra allontanarsi dalla meta sessuale normale più del sadismo; ed È LECITO INNANZI TUTTO DUBITARE SE ESSO SI PRESENTI IN MODO PRIMARIO O PIUTTOSTO NON SORGA REGOLARMENTE PER UNA TRASFORMAZIONE DEL SADISMO. Spesso si può riconoscere che il masochismo È NIENT'ALTRO CHE UNA PROSECUZIONE DEL SADISMO RIVOLTO VERSO LA PROPRIA PERSONA, la quale fin dall'inizio tiene il luogo dell'oggetto sessuale." (Opere, vol 4, p. 471)

In seguito all'ipotesi dell'istinto di morte, cui perviene nel 1920, Freud giunge però ad ammettere anche un MASOCHISMO PRIMARIO. Egli, infatti, scrive in una nota all'opera citata del 1924: "Ulteriori riflessioni, che hanno potuto fondarsi su certe ipotesi riguardanti la struttura dell'apparato psichico e le specie di pulsioni in esso attive, hanno largamente modificato il mio giudizio sul masochismo. Sono stato indotto a riconoscere un masochismo primario - erogeno - dal quale si sviluppano due forme successive, il MASOCHISMO FEMMINILE E QUELLO MORALE. RIVOLGENDO IL SADISMO INUTILIZZATO NELLA VITA VERSO LA PROPRIA PERSONA NASCE UN MASOCHISMO SECONDARIO, CHE SI AGGIUNGE A QUELLO PRIMARIO." (p. 471)
Il MASOCHISMO MORALE cui Freud fa cenno è la TENDENZA INCONSCIA DI ALCUNI SOGGETTI A PRODURRE, SIA A LIVELLO SOGGETTIVO CHE NELL'INTERAZIONE CON IL MONDO, UN REGIME DI VITA DOLOROSO O INFELICE, CORRISPONDENTE AD UN BISOGNO INCONSCIO DI SOFFRIRE, MORTIFICARSI, PUNIRSI, ESPIARE.
Una DIFFERENZA FONDAMENTALE TRA IL MASOCHISMO SESSUALE E QUELLO MORALE è che, IN CONSEGUENZA DEL PRIMO, IL SOGGETTO RICERCA ATTIVAMENTE UN PARTNER DA CUI FARSI MALTRATTARE, UMILIARE, TORMENTARE, ecc., MENTRE IL SECONDO NON COMPORTA ALCUN DESIDERIO COSCIENTE DEL GENERE. Di fatto, il primo si realizza sempre e comunque all'interno di una relazione interpersonale, IL SECONDO INVECE SI REALIZZA NEL RAPPORTO CON LA VITA E CON IL MONDO NELLA SUA TOTALITÀ, compresa una relazione interpersonale nella quale però il soggetto s'immette con tutt'altro obiettivo.
Ricondurre, come fa Freud, il masochismo morale alle vicissitudini dell'istinto di morte sembra, oltre che riduttivo, teoricamente insostenibile. Ci si può convincere di questo affrontando, in questo primo articolo, l'espressione forse più sottile del masochismo, che è anche la più facilmente interpretabile: LA PAURA DI STARE BENE O DI "GUARIRE" CHE AFFIORA TALVOLTA IN ANALISI.

2.
NON C'È ALCUN PAZIENTE CHE "VUOLE" STAR MALE O NON "VUOLE" GUARIRE. Se si dà una motivazione primaria a livello d'inconscio, questa è identificabile con un bisogno di felicità ereditato dagli animali, che ha assunto negli uomini una valenza straordinaria. E' vero però che spesso un paziente non può guarire o riconoscere di stare meglio perché, albergando una dinamica masochistica, INCONSCIAMENTE HA BISOGNO DI CONTINUARE A STAR MALE. Tranne rarissimi casi di delirio di colpa, QUESTO BISOGNO NON È MAI ENUNCIATO DAL SOGGETTO, CHE PROTESTA IN BUONA FEDE LA SUA VOLONTÀ DI GUARIRE. Esso può essere ricavato però da una SERIE DI INDIZI.
Il primo è la TENDENZA A NEGARE DI STARE MEGLIO ANCHE QUANDO IL MIGLIORAMENTO È EVIDENTE e casomai rilevato dai parenti e dagli amici. Può capitare addirittura che il soggetto si arrabbi quando si trova di fronte ad un giudizio del genere, sino al punto di "DRAMMATIZZARE" LA SOFFERENZA, quasi rappresentandola agli occhi degli altri, o di AVVERTIRE UN REPENTINO PEGGIORAMENTO DELLE SUE CONDIZIONI. Per conto suo, sia in analisi che nella vita quotidiana, NON PUÒ USARE LA LOCUZIONE STARE MEGLIO SENZA AVVERTIRE UN'OSCURA, INDECIFRABILE PAURA.
Il secondo indizio, singolare, è che LA POSSIBILITÀ DI STARE MEGLIO, CHE TALORA SI REALIZZA INCONSAPEVOLMENTE, DURA FINCHÉ IL SOGGETTO NON SE NE RENDE CONTONON APPENA CIÒ AVVIENE, SPESSO CON SORPRESA, LA CONSEGUENZA È REPENTINAMENTE IL RIPRESENTARSI DEL MALESSERE.

Il terzo indizio è l'ALTERNANZA DI PERIODI DI RELATIVO BENESSERE E DI MALESSERE, la cui ciclicità permette al soggetto di OPERARE DELLE PREVISIONI CERTE SUGLI SVILUPPI FUTURI DEL SUO STATO D'ANIMOIL BENESSERE È RITENUTO UNA TRANSITORIA ILLUSIONE RISPETTO AL MALESSERE CHE DEFINISCE LO STATO PROPRIO IN CUI IL SOGGETTO DEVE VIVERE.
Non è difficile cogliere il significato inconscio di questi indizi se si tiene conto che LA CONDANNA A SOFFRIRE È INCONSCIAMENTE ACCETTATA, QUANDO NON ADDIRITTURA RITENUTA GIUSTA. In conseguenza di questo, LO STARE BENE VIENE A RAPPRESENTARE UNA CONDIZIONE IMPROPRIA PER IL SOGGETTO, né più né meno come sarebbe quella di un SOGGETTO INCARCERATO CHE SI RITROVASSE ALL'ARIA APERTA.
Che le cose stiano così è infine comprovato da alcune CONVINZIONI IDEOLOGICHE CHE SONO SPESSO ESPRESSE DAI PAZIENTI COME SE FOSSERO LEGGI OGGETTIVE. La più frequente fa riferimento al fatto che È NORMALE ASPETTARSI IL MALE SE UNO STA BENE. Questa convinzione non ha molto a che vedere con la previsione che può fare un qualunque soggetto che sta bene in ordine al fatto che il benessere non può durare all'infinito. Essa più semplicemente fa capo al PRINCIPIO PER CUI LO STARE BENE NON PUÒ NON ESSERE COMPENSATO DAL MALE, COME SE ESSO FOSSE UNA COLPA DA PAGARE.
Su questo sfondo si definiscono poi due atteggiamenti inequivocabili.
Il primo, che risulta chiaro via via che i sintomi si allentano, è la TENDENZA A MANTENERE UN REGIME DI VITA COMUNQUE MORTIFICATO in rapporto alle possibilità oggettive. In pratica, un paziente sta meglio ma, senza apparente motivo (o talora dicendo semplicemente che non gli va) SI ASTIENE DALL'USCIRE DI CASA PER INCOMBENZE CHE NON SIANO STRETTAMENTE NECESSARIE (lavoro, gestione domestica). Egli non va a cena fuori né al cinema né al teatro o a concerti musicali, rifiuta di partecipare alle feste, rinuncia alle vacanze, spesso si astiene anche dal coltivare interessi piacevoli (lettura, musica, ecc.) all'interno delle pareti domestiche.
Il secondo atteggiamento non fa altro che fare affiorare a livello cosciente IL MOTIVO PER CUI IL SOGGETTO MANTIENE UN REGIME DI MORTIFICAZIONE, vale a dire la certezza assoluta che, se si concede degli svaghi, dei piaceri, delle vacanze, egli dovrà poi inesorabilmente pagarle stando male. NESSUNO OVVIAMENTE È IN GRADO DI DARE UNA GIUSTIFICAZIONE RAZIONALE A QUESTA CONVINZIONE: alcuni soggetti la enunciano come un assioma che non richiede dimostrazione tanto è ovvio.
Infine c'è da considerare LA PAURA DI STARE BENE CHE SOPRAVVIENE VERSO LA FINE DELL'ANALISI e che si esprime in tre modi. Il primo, più facilmente equivocabile, è la tendenza a perpetuare il rapporto con il terapeuta o ad assicurarsi la sua disponibilità permanente per il futuro. Questa tendenza è facilmente equivocabile perché, in alcuni casi, essa ha una comprensibilità umana immediata: corrisponde, in breve, al bisogno (negato nella nostra società in nome della concezione dell'individuo autosufficiente) di un "maestro" di vita o di un referente comunicativo privilegiato con cui parlare ogni tanto. In alcuni casi, però riesce del tutto evidente che quella tendenza fa capo al BISOGNO DEL SOGGETTO DI CONTINUARE A MANTENERSI NEL RUOLO DEL PAZIENTE, COME SE SOLO L'ACCETTAZIONE DI QUESTO RUOLO POTESSE METTERLO AL RIPARO DA UNA RICADUTA. Questo significa, né più né meno, ritenere che la sofferenza sia stata superata, ma che essa si mantenga a livello potenziale.
Il secondo modo consiste nell'accettare una sintomatologia minima, senza più impegnarsi a sormontarla. La circostanza più evidente, a riguardo, è legata a soggetti affetti da disturbi ossessivi e da rituali imponenti, che alla fine si arrendono ad eseguire quotidianamente un solo, piccolo rituale, e non hanno il coraggio di astenersene. Evidentemente, mantenendolo, ESSI RIMANGONO NELLA CATEGORIA DEI SOGGETTI CHE SOFFRONO, E QUESTO LI FA SENTIRE PROTETTI.
Il terzo modo, sovrapponibile al secondo, riguarda I FARMACI. Si tratti di ansiolitici o di antidepressivi, lo scalaggio procede talora senza alcuna difficoltà fino all'ultima dose, che può ridursi a poche gocce (talora addirittura due o tre). Assumendo questa dose (terapeuticamente inefficace e chimicamente praticamente inerte), il soggetto sperimenta un pieno benessere. Se tenta di sospenderla si scatena un malessere profondo. L'ACCETTAZIONE DI QUESTA DIPENDENZA IMPLICA, INCONSCIAMENTE, CHE LA MALATTIA, E DUNQUE LA SOFFERENZA, ANCORA C'È.
3.
Mi sono limitato a descrivere gli indizi che, nel loro complesso, definiscono, nel corso di una terapia, l'ATTIVITÀ DI UNA DINAMICA MASOCHISTICA […]
Che cosa significano nel complesso tali indizi? […] Nella misura in cui lo stare male contrasta con il bisogno di felicità, esso è sempre rifiutato in nome del desiderio di soffrire di meno e di "guarire". A questo rifiuto cosciente corrisponde spesso però un bisogno assolutamente inconscio di soffrire, che, di fatto, viene intuitivamente accettato dal paziente che si comporta come se lo ritenesse, se non giusto, fatale. SU CHE COSA SI FONDA QUESTO BISOGNO? Sostanzialmente su due logiche.
La prima fa riferimento ad un SENSO RIGOROSO DELLA GIUSTIZIA TALE PER CUI CHI È COLPEVOLE DI QUALCOSA NON PUÒ SFUGGIRE ALLA PUNIZIONE. Non è tanto importante qui considerare DI CHE COSA IL SOGGETTO SI SENTA INCONSCIAMENTE COLPEVOLE. Basta dire che DI COLPE REALI IN GENERE COLORO CHE INCAPPANO IN UN DISAGIO PSICHICO NE HANNO COMMESSE O NE COMMETTONO IN GENERE MENO DEI "NORMALI". E' importante piuttosto soffermarsi sulla CERTEZZA DELLA SANZIONE E DELLA PENA. Questo criterio, che pure governa la giustizia umana, è quotidianamente disatteso. Se l'automatismo cui fanno riferimento i pazienti esistesse realmente, si potrebbero eliminare le forze di polizia e chiudere i tribunali. A livello inconscio, perlomeno per quanto riguarda i soggetti affetti da un disagio psichico, QUEL CRITERIO FUNZIONA COME UNIVOCO E ASSOLUTO. Ciò si può spiegare solo facendo riferimento ad una NECESSITÀ DI ORDINE LOGICO E ETICO NELLO STESSO TEMPO, SPESSO, MA NON SEMPRE, INFLUENZATA DALL'EDUCAZIONE RELIGIOSA. Non è neppure azzardato IPOTIZZARE CHE TALE NECESSITÀ ABBIA RAPPRESENTATO LA MATRICE DELLE RELIGIONI MONOTEISTICHE, CHE L'ACCOLGONO UNIVOCAMENTE.
La seconda logica è anch'essa riconducibile al SENSO DI GIUSTIZIA, ma da un'angolatura particolare. Tale angolatura fa riferimento all'equa distribuzione del bene e del male tra i diversi soggetti che appartengono alla specie umana. La consapevolezza che non pochi di questi soffrono determina come conseguenza la PERCEZIONE DELLO STARE BENE COME UN INGIUSTO PRIVILEGIO CHE VA PAGATO PERCHÉ L'EQUITÀ SIA RESTAURATA. In alcuni pazienti, questa logica sembra avere un carattere privato: essa, in breve, concerne il CONFRONTO TRA LA PROPRIA CONDIZIONE E QUELLA DI UN CONGIUNTO CHE SOFFRE. STARE BENE, DA QUESTO PUNTO DI VISTA, CORRISPONDE AD UN TRADIMENTO, ALL'AFFRANCAMENTO COLPEVOLE DEL PRINCIPIO DELLA CONDIVISIONE DEL DOLORE. In altri pazienti, la logica sembra avere un carattere universale, concernendo il confronto tra la propria condizione e quella di tanti altri esseri umani.


http://www.nilalienum.it/Sezioni/Aggiornamenti/Psicopatologia%20dinamica/Psicopatologia%20dinamica/Fobia_felicit%E0%20(1).html


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