Le liste del naturalista: albi illustrati come taccuini per conoscere e riconoscere
Durante la mia ultima passeggiata mi soffermavo ad ogni passo per ammirare quelle bellezze e mi sforzavo di fissare nella mente per sempre un’impressione che sapevo che col tempo, prima o poi, sarebbe svanita. Le forme dell’arancio, del cocco, della palma, del mango, della felce arborea e del banano resteranno nitide e distinte; le mille bellezze che le fondono in uno scenario perfetto svaniranno, ma lasceranno, come un racconto udito nella fanciullezza, un quadro pieno di figure indistinte, ma bellissime. (Charles Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo, Einaudi)
Come fissare nella mente, per sempre, l’impressione di una natura folgorante e così diversa da quella che Charles Darwin aveva vissuto e studiato nelle campagne inglesi? Come non tralasciare nemmeno un petalo, una piuma, una sfumatura di quella ricchezza osservata in una delle più importanti spedizioni naturalistiche della storia?
“Ho assicurato che tu sei la persona più adatta che io conosca, e questo non perché ti creda un naturalista rifinito, bensì perché ti ritengo altamente qualificato per raccogliere, osservare, descrivere tutto ciò che andrà descritto in materia di storia naturale”, si legge nella lettera di invito e incarico inviata al giovane Charles prima della sua partenza.
Raccogliere, osservare, descrivere.
Il timido ventiduenne inglese, gentile e dai modi educati e raffinati ma dalla curiosità famelica, si imbarcò non senza qualche dubbio iniziale e viaggiò a bordo del Beagle dal 1831 al 1836. Osservò, descrisse e raccolse un gran numero di campioni naturalistici allora sconosciuti, donati poi al British Museum, una collezione inestimabile frutto di cinque anni di ritrovamenti fortuiti o ricercati.
The Voyage of the Beagle è il taccuino di viaggio di Darwin, che lo accompagnò giorno dopo giorno durante la spedizione e che fu riferimento per i suoi studi successivi e patrimonio futuro per noi.
Un naturalista appunta, disegna, fotografa, redige diari e liste infinite delle sue osservazioni e intuizioni. Sia che abbozzi, schizzi o produca opere d’arte, prova a fermare sul suo taccuino ciò che vede, riportando dati oggettivi e deduzioni, scoperte e considerazioni.
L’illustrazione naturalistica è una forma di arte rigorosa nella veridicità, ma allo stesso tempo affascinante e poetica. Da sempre, accompagnando i loro lavori a descrizioni oggettive e particolareggiate, gli illustratori naturalistici hanno dato un apporto non sostituibile allo studio degli esseri viventi, non solo ai contemporanei, ma anche ai posteri, permettendo ancora oggi comparazioni altrimenti impossibili.
Dai volumi commissionati dal naturalista Ulisse Aldrovandi, che fondò uno dei primi musei di storia naturale e che aveva compreso il valore dell’immagine naturalistica, a Dyonisus Ehret, illustratore di Linneo, le tavole di vegetali e animali studiati nel sedicesimo o diciottesimo secolo sono ancora chiare, nitide e vive davanti a noi. L’arte e la scienza trovano da sempre in questa disciplina una congiunzione perfetta tra funzionalità ed estetica, tra ricerca e bellezza.
Nella storia dell’illustrazione naturalistica, la nascita di quella moderna si fa risalire agli inizi dell’ottocento. Lì dove prima si collocava l’esemplare illustrato su carta bianca, chiaro nei tratti ma decontestualizzato, si comincia ora a tracciare il fondo paesaggistico dell’animale o della pianta, aggiungendo particolari ecologici ed etologici di rapporto tra l’organismo vivente e il suo ambiente.
John James Audubon, John Gould e sua moglie Elizabeth Gould sono tra i padri di questo approccio, le loro tavole hanno creato una nuova visione delle scienze naturali, alla luce delle scoperte dell’epoca.
Non mancano illustratori naturalistici contemporanei di fama e di bravura eccezionali.
Artisti come Robert Bateman, Bruce Pearson o il nostro Fulco Pratesihanno dato colore a una forma di arte incredibile e viva.
Con taccuino, matita e gomma, acquarelli o chine, all’aria aperta o allo zoo, gli artisti di questo genere devono conoscere profondamente i loro modelli, devono saperne le abitudini e studiarne i comportamenti, le fioriture e i cicli vitali. Molto spesso l’artista si trasforma in studioso o viceversa.
Questa congiunzione perfetta di arte, bellezza e rigore, scoperta e conoscenza ha creato una nicchia di appassionati anche nel mondo dell’albo illustrato. Lì dove si unisce arte e conoscenza, possono nascere prodotti editoriali di grande spessore, dedicati ai ragazzi ma anche ad adulti.
È il caso degli Inventari illustrati, progetto editoriale in Italia edito da Ippocampo, che da circa sei anni raccoglie gruppi e categorie di fiori, frutti, alberi e animali in albi tematici.
Emmanuelle Tchoukriel nasce come illustratrice medico scientifica e la sua tecnica a china e penna Rotring, con punti di acquarello, ci riporta indietro nella storia, ai tempi dei primi bozzetti degli esploratori e dei primi illustratori naturalistici.
Accanto all’introduzione particolareggiata, abbiamo il nome comune, quello scientifico della specie, delle caratteristiche anatomiche o strutturali fondamentali al riconoscimento e notizie sul comportamento o sull’ambiente.
Come in una guida naturalistica, all’interno dell’Inventario ritroviamo divisioni per ordini e famiglie, precisazioni geografiche, sagome a grandezza naturale dove possibile. Le stesse pagine sono numerate per numero di tavola, proprio come in un erbario o in una raccolta.
Giocando allo zoologo o al botanico, si impara a conoscere la diversità biologica e riconoscere le specie grazie alle stesse chiavi che utilizzano gli scienziati.
Si potrebbero usare come delle guide naturalistiche, ma hanno una forza in più: un’energia, un’emozione che in una guida asettica non si avverte. Sarà forse per le piccole notizie legate alla storia o alla mitologia, forse per la ricchezza dell’illustrazione, ma con gli Inventari ci si incammina tra sentieri e fondali marini, tra aiuole o voliere come in una spedizione.
Più che quello di una guida, gli Inventari hanno l’animo di un albo illustrato, e come un albo, pagina dopo pagina, tavola dopo tavola, riescono a raccontare una storia. Definirei gli Inventari “albi natualistici”, a metà tra l’oggettività dello sguardo delle scienze naturali e la soggettività dell’arte, della poesia, della narrazione.
Liste, elenchi, diagrammi, schemi: la complessità della vita è stata messa in fila in ogni modo; i tentativi di renderla leggibile ma sempre corretta sono stati innumerevoli, ma le chiavi di comprensione erano altrettanto intricate.
Carl Linnaeus, medico e naturalista svedese e padre della metodologia di classificazione dello scibile vivente ancora oggi usata, ha per primo codificato la modalità a oggi valida di dare a ogni “gruppo” vivente un doppio nome, uno riferito al genere di appartenenza e uno alla specie: la nomenclatura binomiale.
Dalle forme di vita unicellulari, le più semplici, agli organismi più complessi come uccelli e mammiferi, la classificazione degli esseri viventi si aggiorna grazie alle nuove conclusioni date dalla genetica e dalle nuove tecnologie.
Nelle sale più antiche dei musei di zoologia e storia naturale è questa schematizzazione, forzatamente artificiale perché ideata dall’uomo per l’uomo, che crea il percorso di allestimento. Molti musei attualmente hanno adottato un allestimento di tipo ambientale o tematico, ma rimane spesso una parte del percorso di tipo filogenetico, una scalata ideale verso la complessità degli organismi viventi.
Ed ecco allora cassetti di legno, vetrine di armadi dai profili di ottone e maniglie lavorate, teche a perdita d’occhio. E ancora vasi, vetrine, scatole, ma anche sistemi moderni di conservazione, arieggiati e a umidità costante, perfino cassaforti.
Ho lavorato in tre musei di scienze naturali, ognuno con la sua peculiarità e il suo indirizzo, ma in ognuno di loro risuonava una voce antica, saggia, profonda. Le stanze dei musei sono luoghi fisici dove la scienza fa eco, dove i corpi senza vita di milioni di esseri viventi sono stati pazientemente raccolti e messi in fila da entomologi, erpetologi, malacologi, botanici, paleoantropologi.
Ho ritrovato questo misto di meraviglia, mistero e ammirazione tra le pagine dell’albo formato giganteAnimalium.
La copertina ci invita a prepararci all’evento e come nei migliori spettacoli veniamo forniti di un biglietto d’oro, gratuito per i bambini. La copertina grande e pesante è la porta che ci separa dall’entrata principale, anticamera del percorso.
Con illustrazioni pienamente realistiche e particolareggiate, veniamo scortati nelle sale del museo, nel nostro viaggio tra la complessità della vita. Dai poriferi ai mammiferi, passando per insetti, anfibi e uccelli, la biodiversità ci scorre davanti e noi scorriamo davanti a essa, passo dopo passo tra le vetrine immaginate, talmente vivide da poter quasi scorgere il nostro riflesso sulla superficie della pagina.
Come ogni vetrina, non mancano puntuali ed esatte le indicazioni di ordine, classe, famiglia, e le targhette con genere e specie, con brevi ed esatte descrizioni dell’animale tassidermizzato o illustrato.
I musei di storia naturale provano a fare ordine nel complicato labirinto filogenetico della natura, ponendo in cassetti numerati quello che gli studiosi credono ad oggi la migliore rappresentazione di ciò che fu, ed è, la vita biologica. Un albo di impronta così “museale” permette di ripercorrere perfettamente la proposta di una rappresentazione che l’uomo cerca di formulare da secoli.
Tutti i naturalisti museologi che ho conosciuto, seppur in studi polverosi e poco illuminati, spesso nei sotterranei, amano l’ordine del loro lavoro, l’esattezza del riporre ogni forma vivente nel luogo giusto, i cassetti etichettati e i cartellini spillati. Le liste sono il loro pane quotidiano.
Quello che succede di notte in un museo lo sanno solo i custodi, e i reperti ovviamente. Al buio, quando dalle grandi finestre filtra solo la luce della luna e si possono scorgere appena le ombre degli animali e dei loro scheletri. Può accadere che una farfalla, la Citron du Provance, una Pieride gialla limone, scappi da una vetrina e viaggi tra teca e teca e tutto il museo prenda vita. Dinosauri, minerali e fossili, animali sono toccati dal passaggio della farfalla, si mescolano, danzano, marciano verso la fine della notte.
Il Museo di Storia Naturale Confluences di Lione, in collaborazione con la casa editrice Edition Courtes et Longues e con la matita dell’illustratrice e autrice francese Isabelle Simler, ha creato un libro suggestivo e magico che ci spinge a osservare, riconoscere e raccontare le teche notturne del museo: Cette nuit-là… au musée.
La Simler ama le piccole cose, i reperti e gli oggetti ordinati o casuali: nell’albo Dans les poches aveva svuotato le tasche di Pinocchio o della Bella addormentata, cavandone file di biglie, piume e altri tesori; in Amici di Piuma aveva messo in fila le belle penne di tanti uccelli. Con una passione particolare per l’ora blu, quella in cui le ombre si allungano fino a fondersi con la notte, l’autrice si trasforma in una farfalla, perfetta guida che ci permette di posare lo sguardo da reperto a reperto e di osservare, connettere, raccogliere, ma soprattutto lasciarci incantare dal potere della bellezza.
Un ultimo albo che ho scelto per conoscere e riconoscere tradisce la sua natura di carnet a causa delle dimensioni mastodontiche. Raccontare gli Alberi (Rizzoli, 2012) è un libro intimo e intimista, profuma di pino silvestre e resina odorosa, ha il suono del silenzio di un bosco e il mistero della scoperta dei tesori in un giardino abbandonato.
Connubbio perfetto tra albo naturalistico e illustrato, unisce la bellezza dello sguardo dell’artista alla correttezza della riproduzione naturalistica. Anche se non si scorge nessuno tra le cortecce di Pia Valentinis e Mauro Evangelista, nascosto c’è un bambino che spacca i pinoli con un sasso, un altro che raccoglie i ricci autunnali, un terzo bambino che disegna gli occhi di un tronco su un taccuino.
Poesie e brani scelti si mescolano alle chine e ai colori, ed ecco che la grandezza dell’albo ha un senso: è una scenografia in cui passeggiare, una quinta nella quale calarsi ed entrare, e si sente il suono croccante della foglia secca accartocciata sotto i piedi, e il rosso degli aceri, il polline controluce, il cuculo che batte chissà dove.
Come nel taccuino di un naturalista, con dovizia di particolari sono annotati nomi degli alberi, genere e specie, caratteristiche primarie e fondamentali. I fiori e i frutti sono tracciati a fianco, perché anche un naturalista alle prime armi sa che per riconoscere alcune specie si deve far ricorso a dati non sempre espliciti.
“Nomina si nescis, perit et cognitio rerum“. Se non conosci il nome, muore anche la conoscenza delle cose, ci ricorda Linneo.
Dare un nome all’immensità delle forme viventi è stato da sempre un modo per conoscere e riconoscerle: evitare i frutti velenosi, individuare i maturi, schivare la tana di un animale pericoloso, organizzare la caccia di uno di cui sfamarsi. L’uomo ha, dal momento in cui è riuscito a farlo, dato un nome agli esseri viventi per ragioni legate alla sopravvivenza, alla conoscenza e alla comprensione della complessità.
I bambini e i ragazzi che ho accompagnato per le sale del Museo di Zoologia avevano tutti una curiosità comune, nessuno escluso: il desiderio di assimilare i nomi dei reperti.
“Di chi è questo?”, “E lui come si chiama?”, tutti hanno sempre partecipato, anche i più distratti, per conoscere e riconoscere la specie e attribuirle un nome che potesse essere ricordato.
Guardare la natura con occhi nuovi, ma riuscire a fare deduzioni e collegamenti. E poi raccogliere, osservare, descrivere, compilare infinite liste e schematizzazioni per riconoscere: gli albi naturalisticifunzionano perfettamente allo scopo, nella loro sintesi equilibrata tra bellezza e scienza rivolta a ragazzi che vogliono ricordare, districare e conoscere la complessità.
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