domenica 16 settembre 2018

Elizabeth Strout, Olive Kitteridge. E quando lui non le rispose avvertì un dolore alle viscere, come se una scheggia di angoscia vecchia di secoli vibrasse in profondità dentro di lei. Come la estenuava, quel dolore così peculiare, così familiare; un peso che le pareva una spessa lastra ossidata d'argento che si allargava dentro di lei e poi buttava tutto all'aria, spegneva le luci, i lampioni, la neve fresca; tutta la bellezza delle cose, tutto svanito.


"E quando lui non le rispose avvertì un dolore alle viscere, come se una scheggia di angoscia vecchia di secoli vibrasse in profondità dentro di lei. Come la estenuava, quel dolore così peculiare, così familiare; un peso che le pareva una spessa lastra ossidata d'argento che si allargava dentro di lei e poi buttava tutto all'aria, spegneva le luci, i lampioni, la neve fresca; tutta la bellezza delle cose, tutto svanito". 
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


C'erano giorni, se lo ricordava, in cui Henry le teneva la mano mentre tornavano a casa, due persone di mezza età, nella pienezza degli anni. Si erano resi conto della gioia tranquilla di quei momenti? Molto probabilmente no. La maggior parte della gente non era abbastanza consapevole della propria vita mentre la viveva. Ma ora lei aveva quel ricordo, un ricordo sano e puro. Forse erano il suo ricordo più puro, quei momenti sul campo da calcio, perché ce n'erano altri in lei che non lo erano.  
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, pag. 231



Alzò gli occhi per guardarlo, erano talmente gonfi che quasi non riusciva a aprirli; si era tolta gli occhiali per asciugarseli col fazzoletto. “Parlo in continuazione con te, nella mia testa”, disse. 
Si rimise gli occhiali.
“Scusami”, sussurrò.
“Per cosa?”.
“Perchè parlo in continuazione con te, nella mia testa”.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


"E poi mentre il piccolo aeroplano si alzava in volo e Olive vedeva dispiegarsi sotto di sé campi di un verde tenero e luminoso sotto il sole del mattino, e più lontano i contorni della costa, l'oceano scintillante quasi piatto, solcato dalle minuscole scie bianche di qualche peschereccio di aragoste, in quel momento Olive aveva avvertito un sentimento che non si aspettava più di provare: un improvviso impeto di avidità per la vita. Si era sporta in avanti, sbirciando fuori dal finestrino: dolci nuvolette bianche, il cielo azzurro come il suo cappello il verde novello dei campi, la grande distesa d'acqua: visto da lassù tutto questo appariva meraviglioso, sorprendente. Ricordò che cosa fosse la speranza: era ciò che provava in quel momento. Quel tumulto di stomaco che ti spinge avanti e ti trascina attraverso la vita proprio come le barche sotto di lei fendevano l'acqua scintillante, proprio come l'aereo avanzava verso un posto nuovo, in cui qualcuno aveva bisogno di lei." 
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, pag. 287



Mio padre? Si è sparato.

“Niente biglietto”, aggiunse la signora Kitteridge.
“Mia madre la prese malissimo che non avesse lasciato un biglietto.
Pensava fosse il minimo, scriverle due righe, come quando andava dal droghiere.
Continuava a ripetere "era premuroso, mi lasciava un biglietto ogni volta che andava da qualche parte”. Ma in realtà non era andato da nessuna parte. Era rimasto lì, in cucina.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, pag 42


c'è qualcosa che a volte si gonfia come la testa di una seppia
e spara un liquido nero dentro di me. Non ho mai voluto essere così.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


 Avrebbe voluto dirle: ascolta, dottor Sue, in me c'è' qualcosa che a volte si gonfia come la testa di una seppia e spara un liquido nero dentro di me. Non ho mai voluto essere così, ma lo giuro, ho amato mio figlio.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, pag. 105


Quello che i giovani non sanno, pensò Olive mentre si sdraiava accanto a quell’uomo, con la mano di lui sulla spalla, sul braccio; oh, quello che i giovani non sanno. Non sanno che i corpi anziani, rugosi e bitorzoluti sono altrettanto bisognosi dei loro corpi giovani e sodi, che l’amore non va respinto con noncuranza, come un pasticcino posato assieme ad altri su un piatto passato in giro per l’ennesima volta. No, se l’amore era disponibile, lo si sceglieva, o non lo si sceglieva. E se il piatto di Olive era stato pieno della bontà di Henry e lei lo aveva trovato gravoso, limitandosi a mangiucchiare qualche briciola alla volta, era perché non sapeva quello che tutti dovrebbero sapere: che sprechiamo inconsciamente un giorno dopo l’altro. E perciò, se l’uomo accanto a lei non era il genere di uomo che lei avrebbe scelto prima di allora, che importanza aveva? Molto probabilmente neanche lui avrebbe scelto lei. Però erano lì e Olive si immaginò due fette di formaggio svizzero premute insieme, i buchi che ciascuno dei due aveva da dare a quell’unione, i pezzi che la vita ti levava di dosso. Olive aveva gli occhi chiusi, e la sua anima stanca era attraversata di ondate di gratitudine e rimpianto. Immaginò la stanza piena di sole, le pareti accarezzate dai raggi, i cespugli là fuori. Il mondo la confondeva. Non voleva ancora lasciarlo.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, pag. 381


Come se avesse saputo ciò che Harmon non sapeva, che le vite si saldano insieme come ossa e a volte le fratture non guariscono. Ma era inutile parlarne con Harmon. E' inutile parlarne con chiunque, una volta che si è contagiati a quella maniera.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


Henry si chiese che cosa le fosse accaduto nella sua giovane vita per indurla a non credere nella felicità; forse era stata la malattia della madre (..) o forse, pensò mentre tornava agli scatoloni, essere cattolici significava sentirsi sempre in colpa di tutto.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge



Ciascuno dei suoi figli era stato il suo preferito
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


Era come se non avesse mai superato la sensazione che doveva aver provato da bambina, quell'ipersensibilità verso l'odore estraneo delle case degli altri, la paura che rivestiva il modo poco familiare di chiudersi della porta di un bagno, lo scricchiolio delle scale consumate da impronte che non fossero le proprie.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


Perfino Freud lo aveva detto:
“Dobbiamo amare, altrimenti ci ammaliamo”.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


Non si erano mai baciati, non si erano nemmeno toccati,
si erano solo passati accanto, molto vicini
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


"Oddio, sì, era felice di non avere lasciato Henry. Non aveva mai avuto un amico altrettanto leale e gentile di suo marito. Eppure, ferma dietro al figlio in attesa che scattasse il verde, Olive ricordò che inframmezzati a tutto il resto c'erano stati momenti in cui aveva avvertito una solitudine così profonda che una volta, non molti anni prima, mentre si stava facendo otturare un dente, il gesto delicato con cui il dentista le aveva voltato il mento con le dita morbide era stato per lei una tenera gentilezza di una profondità quasi straziante, e aveva deglutito con un mugolio di desiderio mentre le lacrime le spuntavano dagli occhi. ("Tutto bene signora Kitteridge?", le aveva chiesto il dentista."
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge


Quella sera, mentre usciva dalla scuola nell'aria invernale e si avviava verso il parcheggio lontano dove si trovava la loro auto, con Henry accanto che continuava a chiacchierare, Olive aveva la sensazione di essere stata vista. E prima di allora non si era mai nemmeno resa conto di sentirsi invisibile. L'autunno successivo Jim O'Casey lasciò il lavoro all'accademia e iniziò a insegnare nello stesso liceo di Olive, quello frequentato da Christopher. Dato che era di strada li accompagnava entrambi ogni mattina, e poi li riportava a casa. Lei aveva quarantaquattro anni e lui cinquantatré. Si considerava una donna ormai anziana, ma naturalmente non era vero. Era alta, e l'aumento di peso legato alla menopausa aveva appena iniziato a preannunciarsi. Perciò a quarantaquattro anni Olive Kitteridge era una donna alta, dalla figura piena, che senza neppure un clacson di avvertimento, come da un enorme camion silenzioso giunto da dietro all'improvviso mentre passeggiava lungo un viottolo di campagna, era stata travolta dai propri sentimenti. "Se ti chiedessi di venire via con me, lo faresti?". Le parlò con calma, mentre pranzavano nel suo ufficio. "Sì", rispose lei. Jim O'Casey la guardò addentando la mela che mangiava sempre per pranzo, solo quella e nient'altro. "Andresti a casa stasera e lo diresti a Henry?". "Sì", rispose lei. Era come progettare un omicidio. "Forse ho fatto bene a non chiedertelo". "Sì".
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, pag. 190


Non era più la ragazza di un tempo (nessuna ragazza rimane tale) ma una madre stanca, e le guance rotonde si erano sgonfiate proprio come il ventre si era espanso, al punto da mostrare già un accenno del fardello della vita che la schiacciava a terra.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, pag. 43


Suo padre si voltò. "Frittelle?", le chiese. Winnie non le voleva. "Ma certo", rispose.
Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, pag. 282



Nessuno vuole mai credere che sia troppo tardi, ma lo sta sempre diventando. E poi lo è.
Elizabeth Strout, I ragazzi Burgess 


Mi meraviglia come riusciamo a trovare modi per sentirci superiori a un'altra persona, o a un gruppo di persone. Succede dappertutto, di continuo. Comunque lo si chiami, a mio giudizio è il fondo del barile di chi siamo, questo bisogno di trovare qualcuno da snobbare.
Elizabeth Strout, Mi chiamo Lucy Barton

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