domenica 23 aprile 2017

Tolleranza e libertà religiosa. la tolleranza non indebolisce lo stato, ma lo rafforza. Nel 1598 l’editto di Nantes concretizzò le dottrine dei politiques, in antitesi alle convinzioni più diffuse: era l’intolleranza a essere pericolosa per l’ordine pubblico, perché spingeva alla violenza le confessioni discriminate. La difesa degli interessi dello stato (la pace e l’ordine) era più importante della lotta contro l’eresia.


  • Tolleranza e libertà religiosa.
Introduzione.
Il principio di tolleranza religiosa consiste nell’ammettere che il seguace di dottrine che noi consideriamo false o erronee sia mosso da una fede sincera e abbia perciò il diritto di professarle liberamente e pubblicamente. 

Nel suo scritto del 1524 Sul libero arbitrio Erasmo da Rotterdam aveva delineato una doppia strategia della tolleranza: da un lato la necessità della moderazione e la buona disposizione a «contribuire alla chiarificazione della verità», senza scendere a «una lotta fra gladiatori»; dall’altro il riconoscimento che molti punti delle Sacre Scritture sono di difficile interpretazione e non devono cancellare il sostanziale accordo sugli elementi davvero essenziali della fede cristiana. Questo spirito di concordia non riuscì però a sopravvivere al clima sempre più rovente delle dispute di fede. 

Lutero, che era partito da un’idea molto ampia di libertà di coscienza, finì rapidamente per chiedere la pena di morte per gli eretici

Ugualmente le autorità di Ginevra, giustificate da Calvino, mandarono al rogo per eresia Michele Serveto e vietarono la pubblicazione del libro di Sebastiano Castellione a favore della tolleranza.

Di tolleranza si può parlare anche in un senso diverso, pensando al rapporto fra lo stato e gli individui. Può lo stato tollerare l’esistenza di più confessioni quando si è, purtroppo, dovuto constatare che ciò conduce alla guerra civile? 
La risposta fu a lungo negativa e il principio del cuius regio eius religio, per cui i sudditi avrebbero dovuto conformarsi alla religione del loro principe, fece da fondamento a una pratica di intolleranza essenzialmente indirizzata a salvare la pace all’interno dello stato. 

Le guerre di religione francesi suonarono come una pesante smentita per chi aveva pensato che lo stato fosse in grado di far convivere confessioni diverse. Nel 1598 l’editto di Nantes fece della Francia un caso eccezionale di grande stato che concedeva la pace religiosa a una consistente minoranza. Ma l’idea di tolleranza che in tal modo si era affermata conteneva ancora un giudizio di riprovazione nei confronti di ciò che veniva tollerato. Quella che veniva chiamata “pretesa religione riformata” era, appunto, soltanto tollerata, perché si riconosceva che tentare di sopprimerla provocava mali maggiori che concederle delle garanzie.

L’affermazione del moderno principio della libertà di coscienza in materia religiosa – non più soltanto “tollerata” ma affermata come un valore in sé – fu un passo ulteriore e più difficile. Un ruolo decisivo fu giocato in ciò dagli anabattisti (protestanti tedeschi che sostenevano la non validità del battesimo impartito ai neonati), dopo che questi ebbero abbandonato l’originario fanatismo. Fu da questo anabattismo pacifista che all’inizio del XVII secolo nacquero, in Olanda, in Inghilterra e in alcune delle colonie inglesi in America, chiese come quelle dei battisti, che praticano tuttora il battesimo in età adulta, e dei quaccheri il cui fondatore George Fox, invitando i fedeli a “tremare” (to quake, in inglese) davanti alla parola di Dio, li esortava a una vita semplice e a rinnegare il lusso e l’uso delle armi

Dalla dottrina della separazione fra chiesa e stato queste chiese ricavarono, accanto al rifiuto della guerra e di ogni violenza, la totale autonomia della coscienza di fronte a qualsiasi potere costituito. Diventava alla fine possibile teorizzare come un fatto positivo l’esistenza di molte dottrine religiose.

https://keynes.scuole.bo.it/siti_tematici/farestoria/percorsi/p04_02_00.html



  • Libertà di coscienza e repressione dell’eresia.
Sin dai suoi primi scritti Lutero rivendicò l’autonomia della fede da ogni potere esterno, fosse lo stato o la chiesa organizzata. Poiché nessuna forza materiale, ma solo lo Spirito Santo, poteva suscitare la fede, non poteva esistere alcun potere legittimo in grado di costringere gli eretici a credere

Fra le affermazioni di Lutero condannate dalla bolla papale di scomunica del 1520 vi era anche questa: «Mandare al rogo gli eretici è contro la volontà dello Spirito». In seguito, di fronte al movimento anabattista e ai suoi incitamenti alla violenza, Lutero tenne fermi i suoi princìpi: 
in quanto rivolta armata l’anabattismo andava represso dallo stato, ma in quanto eresia andava combattuto con armi spirituali. Ma nel 1530, quando in Germania si erano affermate le chiese protestanti di stato, Lutero rovesciò del tutto le sue posizioni: anche gli eretici non sediziosi vanno condannati a morte.

1525
Quanto agli eretici e ai falsi dottori, non dobbiamo sradicarli né sterminarli. 
Il Cristo dice apertamente che bisogna lasciarli crescere. La Parola di Dio è il nostro unico soccorso e in questo campo colui che è cattivo oggi può diventare buono domani. Chissà se la parola di Dio non potrà toccare il suo cuore? Ma se egli viene bruciato o distrutto la sua conversione è resa impossibile […]. Ecco perché il Signore dice che il buon grano rischia di essere strappato con la zizzania. Ciò è avverso agli occhi di Dio ed è assolutamente insostenibile.

1527
Non è giusto, e io sono profondamente turbato, che quei poveretti [gli anabattisti] siano miseramente messi a morte, bruciati e crudelmente assassinati. Lasciamo che ognuno creda quello che vuole: se è nell’errore avrà abbastanza punizione nel fuoco dell’inferno. A meno che non vi sia sedizione, si dovrebbe mettere loro di fronte la Scrittura e il Verbo di Dio. Con il fuoco non otterremo nulla.

1530
[Accanto agli eretici sediziosi] vi sono altri eretici, che pretendono insegnare contro un articolo pubblico della fede, chiaramente fondato sulla Scrittura e professato nel mondo intero da tutta la Cristianità, come gli articoli che si insegnano ai bambini nel Credo. Questi eretici pretendono insegnare in particolare che il Cristo non è Dio, ma soltanto un uomo; che non è, in conseguenza, se non un profeta come un altro, come dichiarano i Turchi e gli anabattisti. Questi individui non devono venir tollerati ma puniti come bestemmiatori pubblici [...]. Mosè nella Legge comanda di lapidare tali bestemmiatori e anche tutti i falsi dottori.

da J. Lecler, Storia della tolleranza nel secolo della Riforma, Morcelliana, Brescia 1967, vol. I, p. 180; 

R. Bainton, La lotta per la libertà religiosa, Il Mulino, Bologna 1963, p. 56; J. Lecler, op. cit., p. 189.

Come si evolve la posizione di Lutero dal 1525 al 1530 nei confronti degli eretici e della tolleranza religiosa? (max 5 righe)




  • Il caso Serveto.
Teologo e medico, l’umanista spagnolo Michele Serveto, che aveva negato nei suoi scritti il dogma trinitario, si trovò a essere osteggiato come eretico sia dai cattolici che dai protestanti. Dopo aver girovagato per vent’anni in Europa, nell’estate del 1553 Serveto commise l’errore di cercare rifugio a Ginevra. Qui fu arrestato e, avendo rifiutato di ritrattare le sue dottrine antitrinitarie, fu condannato a morte e messo al rogo il 27 ottobre. Nel febbraio 1554, Calvino giustificò la condotta tenuta dalle autorità di Ginevra dando alle stampe, in latino e in francese, un libro dal titolo Difesa della fede ortodossa sulla Santa Trinità. In esso il riformatore biasimava chi per troppa misericordia accettava che «si desse voga a qualsiasi errore per tollerare un uomo» e si richiamava al Dio terribile e vendicatore della Bibbia. In maniera che non può non sembrarci contraddittoria, Calvino non ammetteva che l’esecuzione di Serveto fosse paragonata alla prassi dell’Inquisizione cattolica, che metteva l’esercizio della coercizione al servizio dell’errore e non della verità.
Sebbene riconosca che non è in mano dei principi il potere di entrare nel cuore degli uomini per mezzo dei loro editti e di toccarli in modo che essi si assoggettino a Dio e si accordino con la verità, tuttavia la loro vocazione li costringe a non sopportare che il nome di Dio venga vituperato e che le cattive e velenose lingue riducano a brandelli la sua santa parola […].

I papi non hanno nessun altro motivo per infierire con i loro roghi, se non il fatto che non tollerano che si deroghi in alcunché alle loro false leggi. Non bisogna stupirsi se essi, essendo spenta la luce della vera dottrina, si scatenano così furiosamente [...]. Ben diversa è la Chiesa di Dio [...]. Non c’è alcun dubbio che noi dobbiamo osservare perfettamente sia la prudenza che la mitezza e che, inoltre, l’azione processuale deve aprirsi con un sereno e pio esame della dottrina religiosa. Ma ciò non impedisce che il dovere del magistrato sia quello di reprimere con la spada e con le punizioni coloro che, avendo essi stessi apostatato dalla retta fede, sollecitano altri a ribellarsi e, comportandosi in modo blasfemo, con i loro inganni seducono anime deboli, sconvolgono la pace della chiesa e lacerano profondamente il tessuto della concordia religiosa.

da J. Lecler, Storia della tolleranza nel secolo della Riforma, Morcelliana, Brescia 1967, vol. I, p. 377; 
M. Firpo, Il problema della tolleranza religiosa nell’età moderna, Loescher, Torino 1978, p. 108.
Perché il giudizio espresso da Calvino sulla condanna a morte inflitta a Michele Serveto appare contraddittorio? (max 5 righe)




  • La spada e la dottrina.
Originario di un villaggio della Savoia, l’umanista Sebastiano Castellione (1515-63) aveva aderito alla Riforma ed era vissuto fra il 1541 e il 1544 a Ginevra, scontrandosi con l’intransigenza di Calvino. Si era poi trasferito nella città riformata (ma più tollerante) di Basilea, dove nel 1554 pubblicò (sotto falso nome) l’opuscolo Se gli eretici debbano essere perseguitati

Riprendendo gli argomenti del primo Lutero, Castellione affermava: 
«la religione non risiede nel corpo ma nell’anima, che non si può raggiungere con la spada dei principi». Nella dedica al duca del Württemberg egli presentava in una sorta di parabola la degenerazione che aveva fatto precipitare la discussione religiosa in guerra tra fazioni armate. 
Era come se il duca si fosse allontanato per qualche tempo e durante la sua assenza i sudditi avessero cominciato a disputare su come sarebbe tornato. «“Verrà a cavallo!”, dice uno; “Macché, sul cocchio!”, dice un altro. “Tu menti”. “Sei tu che menti”. “E allora piglia su questo pugno!”. “E tu prenditi questo pugnale nella pancia!”» Più espressamente diretto contro l’intolleranza di Calvino era il Contra libellum Calvini, scritto da Castellione alla fine del 1554 e rimasto inedito fino al 1612.
Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo
Quando i ginevrini hanno ucciso Serveto non hanno difeso una dottrina, hanno ucciso un uomo. 
Non spetta al magistrato difendere una dottrina. Che ha in comune la spada con la dottrina? 
Ad essa provvede chi insegna. Certo, la funzione del magistrato è di proteggere chi insegna, come deve proteggere l’artigiano, il contadino, il medico, tutti i cittadini, se si fa ad essi un torto. Se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il magistrato avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma poiché Serveto aveva combattuto con scritti e con ragioni, con scritti e con ragioni bisognava refutarlo [...]. Uccidere un uomo non è amputare un membro della Chiesa. Amputare un membro indegno del corpo di Cristo vuol dire escludere l’eretico dalla Chiesa (ed è ufficio del pastore), non vuol dire escluderlo dalla vita.

S. Castellione, Contra libellum Calvini, in Idem, Fede, dubbio, tolleranza, a c. di G. Radetti, La Nuova Italia, Firenze 1960, pp. 19-20.

In che modo i ginevrini avrebbero dovuto combattere le tesi di Serveto secondo Sebastiano Castellione? Per quali motivi? (max 5 righe)




  • Le tesi dei “politici”.
Durante le guerre di religione francesi il partito dei politiques (“politici”) un “terzo partito” che non si identificava né con la Lega cattolica né con gli ugonotti, cercò di influenzare la monarchia perché favorisse il compromesso religioso in nome del superiore obiettivo della pace. Michel de l’Hospital (1505-73), cancelliere del regno dal 1560 al 1568, fu riconosciuto come uno dei maggiori esponenti del partito che poneva la politica al di sopra della fede. Nel discorso agli Stati generali del 1560 lo troviamo ancora oscillante fra il principio del cuius regio eius religio e l’invito al compromesso. In una lettera al re scritta verso il 1570 mostra molto più apertamente che la tolleranza non indebolisce lo stato, ma lo rafforza

Nel 1598 l’editto di Nantes concretizzò le dottrine dei politiques, in antitesi alle convinzioni più diffuse: era l’intolleranza a essere pericolosa per l’ordine pubblico, perché spingeva alla violenza le confessioni discriminate. La difesa degli interessi dello stato (la pace e l’ordine) era più importante della lotta contro l’eresia.

1560
La causa di Dio non ha bisogno di essere difesa con le armi
“Rimetti la tua spada nel fodero”. La nascita, la continuazione, la conservazione della nostra religione non sono dipese dalla forza delle armi [...]. 
È follia sperare la pace, il riposo e l’amicizia tra persone di religione diversa. 
Non vi è opinione che penetri tanto addentro ai cuori degli uomini come l’opinione religiosa, né altra che li separi tanto gli uni dagli altri [...]. Un francese e un inglese che siano della stessa religione hanno fra loro più amicizia che due cittadini di una stessa città, sudditi di uno stesso signore, che fossero di religioni diverse [...]. Di qui nasce l’antico proverbio “una fede, una legge, un re”. Ed è difficile che gli uomini essendo di una tale diversità e contrarietà di opinione, si possano trattenere dal venire alle armi [...].
Il coltello non serve contro lo spirito, se non vogliamo uccidere insieme al corpo l’anima [...]. 
La dolcezza reca maggiori benefici del rigore. Sbarazziamoci di queste parole diaboliche, nomi di partiti, fazioni, ribellioni, luterani, ugonotti, papisti: lasciamo immutato il nome di cristiano.


1570
Proprio come un padre che avendo due figli in discordia non fa combattere, ma cerca di farli riconciliare fra loro, in modo che essi siano come due forti pilastri della sua vecchiaia; così il nome del re, pieno di amore e di carità fraterna, non può sopportare una così sanguinosa e fellona [scellerata] ostinazione nello sterminare una così gran parte dei sudditi, se vi è il mezzo di ricondurli al loro dovere e di riconciliarli fra loro, poiché in questo sta la salvezza della Repubblica [...]. Ora vediamo che cosa offre il re con i trattati [gli accordi fra cattolici e ugonotti]. Dona loro lo Stato o delle terre? Li alleggerisce di qualche tributo o sussidio? Li esonera da qualche carica o da qualche dovere? Nulla di tutto questo. Che cosa offre loro? Egli dona una libertà di coscienza o piuttosto lascia in libertà le loro coscienze. Voi chiamate questo capitolare [arrendersi]? È una capitolazione quando un suddito promette, per convenzione, che riconoscerà il suo principe e resterà suo fedele suddito?

da H. Kamen, Nascita della tolleranza, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 134; 
J. Lecler, Storia della tolleranza nel secolo della Riforma, Morcelliana, Brescia 1967, vol. II, pp. 54-55 e 96-97.
Perché Michel de l’Hospital considera particolarmente gravi i conflitti religiosi? 
A suo avviso, come potrebbero essere superati e risolti? (max 5 righe)

https://keynes.scuole.bo.it/siti_tematici/farestoria/percorsi/p04_02_04.html




  • La separazione fra stato e chiesa

Gli sviluppi verso il più compiuto diritto di libertà religiosa avvennero nei primi decenni del Seicento in Inghilterra, a opera di gruppi religiosi che si staccarono sia dalla religione di stato anglicana sia dal fanatismo dei puritani. Accanto ai dissenzienti calvinisti comparvero le sette più diverse, spesso derivate dal vecchio tronco dell’anabattismo, come quella dei battisti, sorta verso il 1610, o quella dei quaccheri, comparsa negli anni della guerra civile. I loro adepti furono spesso costretti all’esilio, nella più tollerante Olanda o nelle colonie nordamericane. Trasferitosi nel 1630 nel Massachusetts, il battista Roger Williams (1604-81) aveva potuto constatare come fra i calvinisti della colonia americana vigesse un clima di intolleranza peggiore che in Inghilterra (controllo della vita privata, obbligo di assistere ai servizi religiosi). Espulso nel 1635, Williams fondò allora insieme a un gruppo di dissidenti la città di Providence, primo nucleo del Rhode Island e prima città americana nella quale si praticasse la più totale libertà religiosa. Nel 1644 Williams indirizzò contro il fanatico predicatore puritano di Boston John Cotton l’opuscolo La sanguinosa dottrina delle persecuzioni per causa di coscienza; in questo scritto e nella successiva Lettera alla città di Providence (1655) Williams ricorreva a efficaci immagini per rappresentare la separazione fra stato e chiesa.


1644
La Chiesa o società di adoratori, sia essa vera o falsa, è assimilabile a un corpo o a un collegio di medici in una città, a una cooperativa, società o compagnia di commercio con le Indie orientali o con la Turchia. Queste società possono tenere le loro riunioni, possedere dei registri, organizzare delle discussioni; negli affari che le riguardano, esse possono disunirsi, scindersi, dividersi in scismi e fazioni, citarsi in giudizio, dissolversi e sparire, senza che la pace della Città ne sia turbata minimamente. Il benessere e la pace di quest’ultima sono essenzialmente distinti da quelli delle società particolari. I tribunali, le leggi, le sanzioni della Città sono distinti dai loro. La Città è a loro anteriore: essa rimane intatta e perfetta anche se una o l’altra corporazione viene a dividersi o a dissolversi.

1655
Sono tante le navi che vanno sul mare, ognuna delle quali, con centinaia d’anime a bordo, accomunate nel benessere e nel dolore, offre un vero ritratto di una comunità di cittadini [...]. È accaduto talvolta che su una stessa nave fossero imbarcati papisti e protestanti, ebrei e turchi: ammesso tale presupposto, affermo che tutta la libertà di coscienza per la quale io abbia mai perorato è imperniata su due soli cardini, e cioè che papisti, protestanti, ebrei o turchi non vengano costretti a intervenire alle preghiere o alle funzioni della nave, né siano costretti ad astenersi dalle proprie preghiere o funzioni, se ne praticano. Aggiungo inoltre di non aver mai negato che, nonostante la libertà, il comandante di quella nave debba comandare la rotta della nave, e comandare anche affinché giustizia, pace e temperanza siano osservate e praticate tanto fra i marinai quanto fra i passeggeri.

da J. Lecler, Storia della tolleranza nel secolo della Riforma, Morcelliana, Brescia 1967, vol. II, p. 509;
H. Kamen, Nascita della tolleranza, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 190.



A quale metafora ricorre Roger Williams per illustrare il funzionamento di una società basata sulla tolleranza religiosa? Quali sono per lui i cardini della libertà di coscienza? (max 5 righe)



  • L’affermazione della libertà religiosa

I dibattiti religiosi ebbero un peso preponderante nei primi anni della guerra civile inglese e tornarono di attualità anche al momento della rivoluzione del 1688. Fu in questo clima che il letterato John Milton (1608-74) pubblicò nel 1644 l’Areopagitica, mentre nel 1689 il filosofo John Locke pubblicava la Lettera sulla tolleranza. L’opera di Milton non solo conteneva una difesa della libertà di stampa divenuta presto classica ma anche nuovi argomenti a favore della libertà religiosa, ponendo in particolare la libera discussione al di sopra dell’immutabilità del dogma. Anche Locke, riprendendo tesi difese con poca fortuna da Erasmo e Castellione, considerava le sottili questioni teologiche, sulle quali potevano esistere verità opposte, come secondarie rispetto a uno stile di vita cristiano fatto di mitezza e benevolenza.


John Milton: il valore positivo della discussione religiosa
Ci sono quelli che non finiscono mai di lamentarsi degli scismi e delle sette e che riguardano come una grande calamità che si possa dissentire dalle loro proprie massime. Sono l’orgoglio e l’ignoranza loro le vere cause di tutto il disordine; son loro che non vogliono ascoltare pazientemente gli altri, né son capaci di convincerli [...].
Dove vivo è il desiderio di apprendere, lì molto sarà, necessariamente, il discutere, molto lo scrivere, molte le opinioni [...]. In preda a questi fantastici terrori di sette e di scismi, noi facciamo torto alla sincera e ardente sete di sapere e di vero che Iddio ha suscitato in questa nostra città. Di quello che altri deplorano noi dovremmo invece gioire [...]. D’altra parte non è forse possibile che la verità possegga più di un aspetto? Come spiegarci, se no, il gran numero di cose indifferenti, per le quali la verità può trovarsi dall’un lato o dall’altro senza cessare d’essere sempre la stessa? [...]. Se non possiamo pensare tutti allo stesso modo (e chi mai s’aspetta tanto?) vi è bene un consiglio, sicuramente più saggio e più cristiano: quello di tollerare molti, piuttosto che costringere tutti.

J. Milton, Areopagitica, Laterza, Bari 1933, pp. 100, 105 e 121-122.


John Locke: vita cristiana e ortodossia
Per quanto alcuni possano vantare l’antichità dei luoghi di culto e dell’autorità o la magnificenza di riti; altri le riforme cui è sottoposto il loro insegnamento; e tutti infine l’ortodossia della loro fede (perché ciascuno è ortodosso per se stesso): tuttavia, uno che possegga tutte queste doti non è ancora cristiano se manca di carità, di mitezza e di benevolenza verso tutti gli uomini in generale, anche quelli che non professano la fede cristiana [...].
Perché mai uno zelo così grande per Dio, per la Chiesa, per la salvezza delle anime – che arde fino a bruciare delle persone vive, ma lascia impuniti, senza neppure accorgersene, quei delitti e quei vizi morali che sono, per ammissione generale, diametralmente opposti alla professione del Cristo – si attacca soltanto, dedicandovi tutte le sue forze, all’introduzione di riti e alla correzione di opinioni, che per giunta riguardano per lo più questioni sottili che sorpassano la capacità di comprensione della gente comune? [...].
La cura delle anime non può riguardare il magistrato civile, perché la sua autorità consiste interamente nella costrizione. Ma, consistendo la religione vera e salutare nella fede interiore, senza la quale nulla ha valore presso Dio, la natura dell’umano intelletto è tale che esso non può essere costretto da alcuna forza estrinseca.

J. Locke, Lettera sulla tolleranza, in Idem, Scritti sulla tolleranza, Utet, Torino 1977, pp. 131-136.



Milton sostiene che non bisogna aver paura del dissenso e delle opinioni diverse. Per quali ragioni? (max 4 righe)

Quali rimproveri rivolge John Locke a molti cristiani del suo tempo? In che cosa consiste, secondo l’autore, la religione vera e salutare? (max 5 righe)


Tolleranza e libertà religiosa
Esercitazioni
 
Dopo aver confrontato i testi di Lutero, Calvino e Castellione (documento 1documento 2 e documento 3) scrivi un breve elaborato evidenziando analogie e differenze nelle posizioni assunte dai tre autori sul problema della libertà religiosa e dei rapporti con le altre fedi. (max 20 righe)
 
Dopo aver letto i testi di Michel de l’Hospital, Roger Williams e John Locke (documento 4documento 5 e documento 6), illustra sinteticamente le tesi sostenute dai tre autori a proposito dei rapporti tra stato e chiesa, evidenziando analogie e differenze. (max 20 righe)
 
Con opportuni riferimenti alle tue conoscenze, ai materiali di questo Percorso e alle informazioni contenute nel Manuale, sviluppa sotto forma di saggio breve destinato a studenti di scuola media superiore il seguente argomento: “Dall’intolleranza religiosa alla libertà di coscienza: i rapporti tra stato e chiesa nell’età della Riforma”.
La tua trattazione, che puoi anche dividere in paragrafi, non deve superare le quattro o cinque colonne di metà di foglio protocollo.

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