domenica 12 febbraio 2017

La psicoanalisi tra Illuminismo e Romanticismo.

La psicoanalisi tra Illuminismo e Romanticismo.
Sotto il profilo storico-culturale, la psicoanalisi è pensabile come il risultato dell'incontro tra le conseguenze dell'Illuminismo e del Romanticismo. In questo senso, essa è il tentativo di applicare la ragione illuministica al fondo buio della coscienza tematizzato dal Romanticismo. Freud, per comprendere le dinamiche psichiche, mutua alcuni concetti fondamentali dalle scienze positive (eredi dell'Illuminismo) e, in particolar modo dalla fisica, come per esempio quelli di “forza” ed “energia”. Allo stesso tempo, il linguaggio scientifico che egli utilizza è inserito nell'orizzonte culturale romantico.


È possibile seguire una linea di continuità che dal mondo greco conduce all'Illuminismo fino ai sui diretti discendenti: il Positivismo e il Neopositivismo. Il punto di partenza è individuabile nel razionalismo socratico (Platone), benché anche Socrate rinvii a un daímon, il progenitore dell'inconscio freudiano

Nonostante la filosofia platonica veda in esso l'irrazionale nell'umano, lo mantiene ai margini del proprio edificio: la psyché (anima) può essere il fondamento di una conoscenza incontrovertibile soltanto se si libera dell'irrazionale e del corpo

In Platone, l'irrazionale è riconosciuto, ma è tenuto a debita distanza per non contaminare la ragione e, soprattutto, non è indagato. Il razionalismo platonico – che colloca l'irrazionale alla periferia del pensiero – attraversa l'età antica e il medioevo per approdare alla modernità, trovando una formulazione nuova e potente in Cartesio: la realtà esterna si rivela trasparente alla mente, e quest'ultima è auto-trasparente a se stessa. Il lascito cartesiano è accolto dagli illuministi e, in seguito, dai positivisti, nonché da Freud stesso, il cui progetto era fondare una scienza della mente sul modello delle scienze della natura

La radice illuministica della psicoanalisi sta nell'idea di portare la ragione lì dove non c'è (inconscio), e poco conta, per me, in questa sede, mostrare perché Freud non sia riuscito a fare della propria creatura una scienza della natura. M'interessa invece mostrare in che modo questo spirito illuministico s'intrecci con quello romantico, in relazione alla categoria d'inconscio.

Com'è noto, l'inconscio freudiano, in generale, è un insieme di contenuti psichici non presenti alla coscienza. Esistono, a seconda delle formulazioni che Freud ne dà nei vari contesti, due tipi d'inconscio: rimosso e non rimosso

L'inconscio rimosso è l'esito delle operazioni di rimozione: elementi mentali non tollerabili dalla coscienza perché troppo dolorosi, e fonte di conflitti, le sono “nascosti”. 

Il secondo tipo d'inconscio è, invece, più originario ed è costituito da rappresentazioni (o nuclei di rappresentazioni) cooriginarie al processo di distinzione tra Io ed Es (1). Esso presiederebbe, pertanto, all'indistinto che precede il formarsi della coscienza. È precisamente a questo secondo modello d'inconscio, nella sua struttura, che Freud è debitore al Romanticismo.

La decostruzione delle condizioni di possibilità di un'oggettività trasparente e di una soggettività auto-trasparente (razionalismo cartesiano) è il nucleo della critica che il Romanticismo rivolge all'Illuminismo. L'operazione compiuta da Freud è applicare il razionalismo di origine cartesiana al razionalismo medesimo: il centro dello spazio mentale (psiche) non è più la ragione ma l'irrazionale; compito della ragione è rischiarare l'irrazionale. In altre parole, osservando mediante l'indagine razionale lo spazio psichico, si scorge l'esistenza di un nucleo essenziale che sfugge alla razionalità. Nel disegno freudiano, la ragione illuministica assume a proprio oggetto d'indagine l'inconscio così come elaborato dai romantici, fondendo due progetti in uno solo. La cultura romantica radica il soggetto in un terreno profondo e oscuro da cui deriveranno i concetti d'inconscio individuale e collettivo. Ad esempio, la natura per Schelling e la specie per Schopenhauer sono i veri arbitri della condizione umana. Per quest'ultimo, in particolare, l'individuo è uno strumento in mano alla specie che ha come unico obiettivo la conservazione di se stessa. Pertanto, all'uomo non resta che crearsi delle illusioni per conferire una parvenza di senso alla propria esistenza.

Schopenhauer toglie il velo all'io mostrandone l'osceno – il retroscena nascosto. Nietzsche scrive che Schopenhauer è uno di «quei grandi vincitori, i quali, giacché hanno pensato le cose più profonde […] si muovono e vivono realmente, e non a quel modo di maschere sinistre nel quale solitamente gli uomini vivono» (2). 

Nietzsche qui tratteggia l'idea centrale della filosofia di Schopenhauer, che riprende e rielabora il più vasto programma romantico, e che Schopenhauer stesso così sintetizza: «Tutto ciò che nell'uomo è originario e perciò genuino agisce, come le forze della natura, in modo inconscio. Ciò che è passato attraverso la coscienza è, appunto perciò, diventato una rappresentazione. Ne discende che la manifestazione di questa coscienza è, in un certo senso, la comunicazione di una rappresentazione. In conformità a ciò tutte le qualità del carattere e dello spirito che reggono alla prova sono di origine inconscia, e soltanto come tali esse producono un'impressione profonda» (3). 

In queste parole non vi è soltanto una ricapitolazione del Romanticismo e un inquadramento dell'essenza della filosofia di Schopenhauer, ma anche l'anticipazione di quello che sarà l'impianto teorico della psicoanalisi che, come Freud riconobbe, è sin dall'inizio a Schopenhauer debitrice.

Per quanto il Romanticismo sia un fenomeno complesso e contraddittorio, gran parte di esso vuole essere una sovversione delle pretese della soggettività platonica e della ragione cartesiana, minando la fiducia nell'onnipotenza della razionalità e rivelandone il volto celato. A tal riguardo, Goethe scrive che la natura «parla incessantemente con noi e non ci rivela il suo segreto. Sembra che abbia puntato tutto sull'individualità, eppure niente le importa degli individui. Costruisce sempre e sempre distrugge e la sua officina è inaccessibile […] Essa avvolge l'uomo nell'oscurità e lo sprona eternamente verso la luce» (4). 

Vi è, dunque, una doppia opacità in contrasto con la concezione platonico-cartesiana, che caratterizzerà su larga scala anche l'Illuminismo: l'opacità della natura e l'opacità dell'individuo stesso. Su quest'onda, Freud mette in discussione la ragione nelle sue pretese d'immediatezza. Gli oggetti (fra cui la psiche) non sono immediatamente auto-evidenti, ma lo diventano unicamente attraverso e dopo il “toglimento” del negativo (irrazionale-inconscio). In questo senso, Freud è profondamente hegeliano.

Proprio in riferimento al dibattito con Hegel, Schelling, nell'ultima parte della sua riflessione (5), espone l'intreccio originario di razionale e irrazionale in varie forme, riassumibili nei concetti di Positivo (razionale) e Negativo (irrazionale). L'operazione schellinghiana consiste nel radicare l'intima connessione di Positivo e Negativo, che abita in ciascuno di noi, nella divinità. Positivo e Negativo, per Schelling, sono già delle concettualizzazioni che rinviano a uno sfondo indistinto che sta alla fonte della vita (in cui riecheggia l'ápeiron di Anassimandro). La riflessione novecentesca sulla coappartenenza originaria di razionale e irrazionale (6) è una secolarizzazione del pensiero del filosofo di Weimar.

Lo scientismo (Platone-Cartesio-Illuminismo-Positivismo) è una manovra di evitamento della sofferenza. Soffocare il Negativo con l'esaltazione della ragione è un tentativo di non farne esperienza, che significa precludersi la possibilità di comprendere e accettare i propri limiti e la propria finitezza. L'oblio del Negativo, che raggiunge il suo culmine nell'età della tecnica, confligge con l'esperienza fondante del dolore; fondante perché l'esperienza del dolore «è la modalità classica tramite cui si fa esperienza della propria individualità […] per la semplice ragione che nessuno è sostituibile nel proprio dolore, così come non lo è nella propria morte» (7). La domanda di senso, in fondo, non è altro che la nobile espressione della mancata accettazione dei limiti umani. Rimuovere l'irrazionale, in ultima analisi, vuol dire rimuovere la morte, non tanto come evento in sé, di cui, in assenza di gravi patologie, siamo tutti consapevoli, ma rimuoverne l'anticipazione. La morte, pensata e sentita come irrazionale a causa del desiderio di vivere, è rimossa non solo a livello fisico, ma soprattutto sul piano mentale, poiché l'anticipazione della morte determina sofferenza. Soffrire è propriamente patire, ossia subire l'ineluttabile senza possibilità di scelta. Rimuovere il pensiero della morte serve a evitare quello del nulla e l'angoscia che ne deriva, poiché l'angoscia è la via maestra che ci guida verso l'irrazionale che da sempre ci costituisce.

Freud e Heidegger gettano luce su quest'aspetto della condizione umana (il Negativo, per dirla alla Schelling), compreso dal Romanticismo, quando definiscono l'angoscia “paura del nulla”, paura senza oggetto, che si differenzia dalla paura comunemente intesa, che, invece, ha sempre un oggetto (8). Non ci si angoscia per una cosa o per un'altra, ma per il nulla da cui proveniamo e verso il quale tendiamo, come afferma Schelling ripreso da Heidegger (9). La rimozione dell'angoscia del nulla, che si rappresenta nella paura della morte, ci consegna alla disperazione, perché non ci consente di riconoscere e di elaborare il dolore come costitutivo dell'esistenza. Freud fa suo il rovesciamento romantico di prospettiva, per cui il nocciolo dell'orizzonte psichico è occupato dall'inconscio. Esso resta inconoscibile in quanto tale, come il fondo ontologico di Schelling, e si rende accessibile mediante le proprie manifestazioni, ad esempio il sogno, che è sempre la narrazione del sogno. La psicoanalisi codifica il Negativo, rendendolo parzialmente accessibile alla ragione, alla quale ne resta, però, ineffabile uno scarto differenziale. In Freud, la ragione è pensabile entro i confini – che si possono spostare ma non del tutto abbattere – dell'irrazionale.


Bibliografia
Freud S., Metapsicologia (1915), in Opere: vol. VIII, Torino, Boringhieri, 2002, pp. 38-71.
Nietzsche F., Considerazioni inattuali, III: Schopenhauer come educatore (1874), in Opere, vol. III, Milano, Adelphi, 1972, p. 388.
Schopenhauer, Parerga e paralipomena (1851), vol. II, Milano, Adelphi, 1981-1983, p. 340.
Goethe J. W., La natura (1783), in Teoria della natura, Torino, Boringhieri, 1969, pp. 138 e 141.
Mi riferisco eminentemente a Schelling F., Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana (1809), Milano, Bompiani, 2007; id., Filosofia della rivelazione (1854), Milano, Bompiani, 2002.
Penso soprattutto a Foucault M., Storia della follia nell'età classica (1961), Milano, Rizzoli, 2012.
Natoli S., L'esperienza del dolore, Milano, Feltrinelli, 1986, p. 15. Su questo tema si veda anche Galimberti U., Psiche e techne, Milano, Feltrinelli, 1999, cap. 53.
Freud S., Inibizione, sintomo e angoscia, in Opere, vol. X, Torino, Boringhieri, p. 310; Heidegger M., Che cos'è metafisica (1929), in Segnavia (1967), Milano, Adelphi, 1987, p. 67.
Gli argomenti sul Positivo-Negativo e sull'angoscia sono anche esposti in Heidegger M., Schelling (1971), Napoli, Guida, 1998.

Mirko Bradley

http://mirkobradley.blogspot.it/2017/02/la-psicoanalisi-tra-illuminismo-e.html


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