sabato 6 luglio 2019

La "Critica della Facoltà di giudizio" di Kant e "La Gaia scienza" di Nietzsche. "La teleologia da Kant in poi". Abbandonò l'idea (probabilmente dati i problemi burocratici che comportava fare un passaggio di corso, si scherza, ma ne so qualcosa ed é brigoso), ma riprenderà in quest'opera le riflessioni su Kant e la teleologia. Già dal primo aforisma l'interlocutore privilegiato risulta essere Kant, definito "maestro dello scopo dell'esistenza" e criticato per questo da Nietzsche come colui che pone scopi illusori anche quando non vi sono. Kant riconosceva la teleologia come un'esigenza morale e conoscitiva dell'uomo, che ha bisogno di pensare e agire nel mondo "come se" questo fosse dotato di scopo. Nietzsche critica questa eccessiva antropomorfizzazione del mondo e mostra come questo vada inteso come spezzato nelle infinite prospettive possibili. La teleologia regolativa di Kant e il prospettivismo di Nietzsche li ho usati nella mia tesi sull'evoluzionismo. Diverse ricerche di psicologia cognitiva hanno dimostrato che gli esseri umani hanno una predisposizione naturale a giudicare i fenomeni in termini di scopi e intenzioni, e questo, come mostra Nietzsche in quest'opera, é probabilmente frutto del nostro retaggio evoluzionistico.

Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 335


Viva la fisica!

Quanti sono gli uomini che sanno osservare? E tra quei pochi che lo sanno fare, - quanti osservano se stessi? «Ciascuno è lontanissimo da se stesso» - lo sanno, con loro grande disagio, tutti coloro che scrutano le viscere; e la massima «Conosci te stesso!» è quasi, rivolta all'uomo da un dio, una malvagità.

Che l'introspezione sia una faccenda disperata, tuttavia, è testimoniato soltanto dal modo in cui quasi tutti parlano dell'essenza di un'azione morale; questo modo affrettato, volenteroso, convinto, verboso, col suo sguardo, il suo sorriso, il suo zelo servizievole! Sembra che ti si voglia dire: «Caro mio, questo riguarda me! Stai rivolgendo la tua domanda proprio a colui che può risponderti: si dà il caso che non ci sia campo in cui io sia più saggio. Allora: quando l'uomo giudica "questo è giusto" e ne conclude "perciò deve accadere", facendo quindi quanto ha riconosciuto giusto e definito necessario, - l'essenza della sua azione è morale!». Però, amico mio, tu mi vai parlando di tre azioni invece che di una: anche il tuo giudicare «questo è giusto», tanto per fare un esempio, è un'azione; non potrebbe anche il giudicare, a sua volta, essere morale o immorale? Perché ritieni che questo sia giusto o questo no? «Perché me lo dice la mia coscienza: la coscienza non parla mai in modo immorale, ed è la prima a determinare che cosa debba essere morale!» Ma perché ascolti la voce della tua coscienza? E in che misura hai diritto di considerare vero e infallibile un tale giudizio? Di questa fede - non c'è più coscienza? Non sai niente di una coscienza intellettuale? Una coscienza dietro la tua «coscienza»? Il tuo giudizio «così è giusto» ha una preistoria nei tuoi istinti, nelle tue inclinazioni, avversioni, esperienze e non-esperienze; ti devi domandare «come è nato?», e poi ancora «che cos'è che mi spinge a dargli ascolto?». Tu puoi dare ascolto ai suoi ordini come un bravo soldato che esegue gli ordini del suo ufficiale. O come una donna che ama colui che le impartisce gli ordini. O come un adulatore vigliacco che teme colui che impartisce gli ordini. O come uno stupido che esegue perché non ha niente in contrario. In breve, tu puoi dare ascolto alla tua coscienza in centinaia di modi.

Che tu percepisca questo o quel giudizio come lingua della coscienza, che tu senta qualcosa come giusto, può tuttavia dipendere dal fatto che non hai mai riflettuto su te stesso e hai sempre accettato ciecamente quanto ti è stato indicato sin dall'infanzia come giusto; oppure dal fatto che sinora insieme a quelli che chiami i tuoi doveri - ti sono sempre pervenuti pane e onori: ti sembra cioè «giusto» perché ti pare la tua «condizione esistenziale» (il tuo diritto all'esistenza ti risulta assolutamente inconfutabile!) La solidità del tuo giudizio morale potrebbe pur sempre essere una prova della tua miserabile situazione personale, della tua mancanza di personalità; la tua «forza morale» potrebbe essere originata dalla tua caparbietà - o dalla tua incapacità di guardare a nuovi ideali! E, per farla breve: se tu avessi pensato con maggiore finezza, osservato meglio e imparato di più, non chiameresti in nessun caso «dovere» e «coscienza», questo tuo «dovere» e questa tua «coscienza», perché la consapevolezza del modo in cui sono nati i giudizi morali ti farebbe passare la voglia di usare queste parole patetiche, come già non usi più altre parole patetiche, ad esempio «peccato», «salvezza dell'anima», «redenzione».

E adesso non venirmi a parlare dell'imperativo categorico, amico mio!... Questa parola mi fa il solletico all'orecchio, e io debbo ridere, nonostante la serietà delle circostanze: il pensiero corre al vecchio Kant, il quale, a titolo di punizione per essersi carpito «la cosa in sé» - (anche questa espressione assai ridicola), - fu a sua volta carpito dall'«imperativo categorico» col quale, nel suo cuore, si smarrì nuovamente fino a giungere a «Dio», «anima», «libertà» e «immortalità», come una volpe che, smarrendosi, ritorna nella gabbia -ed erano state proprio la sua forza e la sua astuzia a permettergli di infrangere quella gabbia!

- Come? Tu ammiri l'imperativo categorico in te? Questa «solidità» del cosiddetto giudizio morale? Questo sentire «incondizionatamente» che «tutti debbono giudicare come giudico io?». In questo puoi semmai ammirare il tuo egoismo! E la cecità, la piccineria e la mancanza di pretese del tuo egoismo! E’ infatti egoismo percepire il proprio giudizio come legge universale; a maggior ragione un egoismo cieco, piccino e senza pretese perché tradisce il fatto che tu non hai ancora scoperto te stesso né ti sei ancora creato un ideale tuo proprio: questo infatti non potrebbe mai essere quello di un altro, figuriamoci poi di tutti, tutti!

Chi giudica ancora che «in questo caso tutti dovrebbero agire così» non ha compiuto neppure cinque passi sulla via della conoscenza di sé: altrimenti saprebbe che non ci sono né possono esserci azioni uguali; che ogni azione compiuta è stata compiuta in modo unico e irripetibile, e lo stesso dicasi di ogni azione ventura; che le norme dell'agire si riferiscono soltanto al volgare aspetto esteriore dell'agire stesso (e lo stesso vale per i precetti più intimi e raffinati di tutte le morali che si sono succedute sinora); che le azioni possono sì mostrare una parvenza di uguaglianza, ma niente di più che una parvenza; che ogni azione, che la si consideri in anticipo o retrospettivamente, è e rimane una cosa impenetrabile; che la nostra opinione di «buono», «nobile», «grande» non può mai essere dimostrata dalle nostre azioni, perché ogni azione è inconoscibile; che sicuramente le nostri opinioni, i nostri giudizi di valore e le nostre tavole di valori sono tra le leve più potenti nell'ingranaggio delle nostre azioni e purtuttavia la legge della loro meccanica è, nel singolo caso, indimostrabile.

Limitiamoci allora alla pulizia delle nostre opinioni e dei nostri giudizi di valore e alla creazione di tavole di valori che siano nuove e propriamente nostre, senza stare più a rimuginare sul «valore morale delle nostre azioni»! Sì, amici miei! giunta l'ora di provare nausea per tutte le chiacchiere morali degli uni sugli altri! Istituire tribunali morali ci deve sembrare contrario a ogni gusto!

Lasciamo stare queste chiacchiere e questo cattivo gusto a coloro che non hanno nient'altro da fare se non trascinare il passato per un altro po' e che non sono mai presente - cioè ai molti, ai più! Noi però vogliamo divenire coloro che siamo; - nuovi, unici, incomparabili, legislatori di noi stessi, creatori di noi stessi! E allora dobbiamo divenire i migliori nello scoprire quello che in questo mondo è regolato da leggi e necessario: dobbiamo essere fisici per poter essere, in quel senso, creatori; mentre sinora tutte le valutazioni e gli ideali erano costruiti sulla non conoscenza della fisica o in contraddizione con essa. E quindi: viva la fisica! E ancora di più quello che ci spinge verso di lei, - la nostra rettitudine!
Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 335

http://www.nilalienum.it/Sezioni/Nietzsche/Opere/GS.html





La "Critica della Facoltà di giudizio" di Kant e "La Gaia scienza" di Nietzsche. 
Due classici del pensiero moderno e contemporaneo apparentemente così lontani in realtà così legati. Nietzsche infatti, quando si stava per laureare in filologia gli venne invece in mente di laurearsi in filosofia con una tesi chiamata "La teleologia da Kant in poi". Abbandonò l'idea (probabilmente dati i problemi burocratici che comportava fare un passaggio di corso, si scherza, ma ne so qualcosa ed é brigoso), ma riprenderà in quest'opera le riflessioni su Kant e la teleologia. Già dal primo aforisma l'interlocutore privilegiato risulta essere Kant, definito "maestro dello scopo dell'esistenza" e criticato per questo da Nietzsche come colui che pone scopi illusori anche quando non vi sono. Kant riconosceva la teleologia come un'esigenza morale e conoscitiva dell'uomo, che ha bisogno di pensare e agire nel mondo "come se" questo fosse dotato di scopo. Nietzsche critica questa eccessiva antropomorfizzazione del mondo e mostra come questo vada inteso come spezzato nelle infinite prospettive possibili. La teleologia regolativa di Kant e il prospettivismo di Nietzsche li ho usati nella mia tesi sull'evoluzionismo. Diverse ricerche di psicologia cognitiva hanno dimostrato che gli esseri umani hanno una predisposizione naturale a giudicare i fenomeni in termini di scopi e intenzioni, e questo, come mostra Nietzsche in quest'opera, é probabilmente frutto del nostro retaggio evoluzionistico.

Cristian La Cascia
Kant è come una volpe che una volta distrutta la sua gabbia cerca di entrarci di nuovo...
Suonava più o meno così un'aforisma de "La gaia scienza"...o mi sbaglio?


Guido Cassinadri
Cristian La Cascia
esatto, distrutta la gabbia metafisica in ambito conoscitivo ci rientra dentro in ambito morale


Cristian La Cascia
Guido Cassinadri
quando lessi l'aforisma di Nietzsche che smontava la filosofia di Kant in 20 righe risi di gusto...

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