«Il turismo è la seconda vita dell’Italia».
«Forse non tutti se lo ricordano, ma la Disney voleva costruire il suo parco a tema europeo non a Parigi, ma a Napoli. A Bagnoli, nella zona ex Italsider, più precisamente». Questo è l'inizio della storia. Il resto, potete immaginarlo.
Non è che un esempio, secondo il giornalista del Corriere della Sera Lorenzo Salvia, dell'incapacità dell'Italia di sfruttare l'unico vero vantaggio competitivo che ha oggi a disposizione per crescere: sé stessa, il suo paesaggio, la sua cultura, la sua storia. In altre parole, tutto ciò che potrebbe concorrere a farne «il villaggio turistico del mondo». O, per dirla col titolo del suo libro, uscito pochi giorni fa per Marsilio, un “Resort Italia”.
Sono curioso, Lorenzo. Com'è andata a finire la storia di Eurodisney a Napoli? Perché alla fine hanno scelto Parigi?
La cosa più importante è capire perché tra Parigi, Barcellona e Napoli, Ron Miller, il potente capo della Disney negli anni '80, avesse scelto Napoli.
Già, perché?
«Se Topolino non fosse stato respinto alle porte di Bagnoli, i posti di lavoro, indotto compreso, sarebbero stati 36mila»
Per il clima, innanzitutto. Disney ha costruito i suoi parchi a tema in California e in Florida, dove fa caldo dodici mesi all'anno. Se hanno scelto un campo di barbabietole, nel nulla a nord di Parigi, dove d'inverno si gela, non c'è il Vesuvio alle spalle e l'isola di Nisida sullo sfondo è perché da noi ci sono state resistenze enormi. C'è chi parlò di «Chernobyl culturale». Chi si appellò alla difesa del sito industriale di Bagnoli. Che chiuse definitivamente nel 1992, nello stesso anno in cui in Francia aprì Eurodisney. Per la cronaca, l'Italsider, nel suo momento di massimo splendore, arrivò a impiegare al massimo settemila addetti. Se Topolino non fosse stato respinto alle porte di Bagnoli, i posti di lavoro, indotto compreso, sarebbero stati 36mila.
Il tuo saggio inizia con queste parole:
«Viviamo in un paese che non c'è più».
Vuoi dire che quel che stiamo difendendo oggi - quel po' di industria manifatturiera che ci rimane, ad esempio - equivale all'Italsider di 25 anni fa?
Vuol dire che siamo stati la quinta potenza industriale e non lo saremo mai più. Esiste ancora la manifattura, esistono ancora le fabbriche, certo, ma abbiamo perso un milione di addetti. Ci sono ancora i negozi, ma ne chiudono cento al giorno. C'è ancora un welfare state che tiene botta, ma in prospettiva è insostenibile. Rincorrendo quest'Italia che non tornerà, ci lasciamo sfuggire una gigantesca opportunità.
Quale opportunità?
Diventare l'Italia del turismo.
Non è un po' limitante?
No, non lo è. È la nuova divisione globale del lavoro a imporre che ogni paese si debba specializzare in qualcosa. Quel qualcosa per noi non può che essere il paesaggio, la cultura, le tradizioni, il saper fare. È un mercato che a livello globale cresce in media del 5% all'anno. L'organizzazione mondiale per il turismo sostiene che nel 2030 il numero di persone che faranno un viaggio all'estero. È il turismo la nostra seconda vita. O meglio, diciamo che potrebbe esserlo.
Perché usi il condizionale?
Perché in trent'anni siamo scesi dal primo al quinto posto per numero di arrivi internazionali. Perché nel Country Brand Index, indice che misura l'attrattività di un paese per il resto del mondo, siamo passati dal primo al diciottesimo posto in dieci anni.
Come mai, secondo te?
«Oggi l'Italia è come la Mecca. Nel senso che è una meta obbligata, ma ci vai solo una volta nella vita»
Perché puoi avere tutto il fascino che vuoi, ma se arrivi in aeroporti che fanno schifo e in cui mancano i mezzi per andare in città, il fascino cala. Non stiamo parlando di quisquilie: i servizi, per l'immagine di un paese contano quanto i siti Unesco. La Svezia e il Canada - per dire due paesi che stanno avendo un forte sviluppo turistico - non hanno le nostre bellezze naturalistiche e culturali, né tantomeno il nostro cibo, ma lì vivi meglio, come turista. L'Italia è come la Mecca. Nel senso che è una meta obbligata, ma in cui ci vai solo una volta nella vita.
A proposito di Svezia: perché nel tuo libro dici che l'Italia, nel predisporre un’offerta turistica adeguata, dovrebbe prendere esempio dall’Ikea?
Di “Modello Ikea” non ne parlo io, ma Giuliano Noci del Politecnico di Torino. Secondo Noci, buona parte del nostro patrimonio culturale vive in una bolla accademica, per addetti ai lavori. Per una persona normale, andare a vedere una mostra, vuol dire vivere un esperienza: mangiare, acquistare un libro o un gadget, offrire ai bambini uno spazio gioco. È solo in questo modo che si può far sì che un museo può fare soldi e sostenersi da solo. Non è solamente una questione economica. È anche questione di democrazia. La cultura italiana deve aprirsi a chi sbaglia l'applauso.
Cosa significa?
È una frase del direttore d'orchestra Leonard Bernstein.
Chi frequenta concerti sa che la cosa peggiore è applaudire al momento sbagliato. Di solito l’orchestra s’infastidisce molto. Bernstein no: «Quando qualcuno sbaglia ad applaudire io sono contento, perché vuol dire che in sala è entrata una persona nuova». Far entrare gente che sbaglia l’applauso è rendere democratica la cultura. Il problema è che lo fanno altri al posto nostro.
Come i francesi con la Gioconda…
Esatto. O come Starbucks con il caffè. La sai la storia di Starbucks?
No. Racconta...
«La beffa di Starbucks? Il caffè è nostro, il «grande spettacolo» è nostro.
La dimensione industriale è americana. Come con la pizza»
Starbucks nasce nel 1971, ma il salto di qualità avviene nel 1983 quando l'amministratore delegato Howard Schultz viene a Milano per una fiera ed entra nel primo bar sotto l'albergo. Lì viene folgorato da quello che lui chiama «the great theatre», il grande spettacolo. Non solo caffè e cappuccino, ma il barista al bancone che chiacchiera con tutti, la familiarità da circolo privato. Quel modello gli piace e se lo porta a casa. È grazie a quel modello che Starbucks, diventa una grande catena mondiale. La beffa? Il caffè è nostro, il «grande spettacolo» è nostro. La dimensione industriale è americana. Come con la pizza.
Parli di Pizza Hut, immagino…
Non solo. Altro esempio: Marsiglia è famosa per la sua zuppa di pesce, la Bouillabaisse. Diversi ristoranti di Marsiglia offrono un pacchetto completo: vai al ristorante, impari dai cuochi a fare la zuppa e la mangi con loro. In Italia, non esistono corsi per pizzaioli, se non quelli professionali. Non si progetta in funzione del turismo. Pensa alla questione dei campi da golf…
Cosa c'entrano i campi da golf con le pizze?
Nulla. Peraltro, a me il golf fa schifo. Però è un fatto che nel mondo ci sono tantissimi ricchi - o che vogliono far credere di esserlo .- che pianificano le loro vacanze in funzione dei campi da golf disponibili. È gente che spende tantissimo. Pensa alla Sicilia: è più sensato tenere in vita attività che hanno poco senso industriale come Termini Imerese, oppure costruire un po' di "odiosi" campi da golf, frequentati da gente che spenderà tantissimo in quel territorio, aiutando i poveri, favorendo l'economia locale?
Campi da golf è sinonimo di grandi investimenti privati.
Che, secondo qualcuno, mancano drammaticamente al turismo italiano, mentre secondo dovrebbero essere tenuti lontani da tutto ciò che è territorio, cultura, storia. Tu come la pensi?
Io penso che vada evitato il derby pubblico contro privato.
Le posizioni sono meno inconciliabili di come qualcuno le vuole far apparire.
Viva il crowdfunding, come per il portico di San Luca, perché c'è senso di appartenenza a comunità locale. Viva il mecenatismo, dove signori ricchissimi hanno dato soldi per salvare Ercolano e Pompei. Da soli non bastano, però. Lo Stato e le regioni chiudono gli ospedali e accorpano le scuole. Non possono avere le risorse per valorizzare al meglio lo sterminato patrimonio artistico, storico, paesaggistico italiano.
Quindi ha sbagliato il sindaco di Roma a rifiutare l'aiuto di Della Valle per ristrutturare il Colosseo..
Penso più che altro ai monumenti di media bellezza, quelli che rischiano di scomparire per sempre. Quelli per cui oggi la tutela equivale a tenerli sottovuoto, quando va bene. Se per aprirli al pubblico, per dar loro senso e valore, abbiamo bisogno dell'aiuto dei privati, ben vengano i privati, non ci si deve fermare.
Altrimenti a trionfare è un malinteso senso del bene comune.
Nel libro però dici anche che il pubblico può essere più efficiente di così.
Puoi farmi degli esempi?
Palazzo Barberini, ad esempio. Ci sono alcune sale di questo museo che restano chiuse la domenica, perché non ci sono abbastanza custodi. O l'orto botanico di Trastevere, un posto bellissimo che tuttavia dipende dall'università. E che rimane chiuso anch'esso di domenica, l'unico giorno in cui la gente normale potrebbe andare all'orto botanico.
Che si può fare?
La Pubblica Amministrazione è costretta a tagliare, figurati se può assumere...
Spostiamo persone, cambiamo logica, altrimenti buttiamo via il nostro patrimonio. La pubblica amministrazione è senza senso. Per una multa, servono undici passaggi burocratici e ci lavorano come minimo altrettante persone. Dobbiamo spostare queste persone da dove non serve a dove serve.
Secondo te questo governo è in grado di farlo?
Renzi ha parlato spesso di turismo e di bellezza, in questi mesi…
Per ora, però, ha prodotto poco, per non dire nulla. Rivitalizzare pezzi morti del paese, dare loro una seconda vita è l'unica politica industriale possibile per questo paese. Il treno sta passando, bisogna correre.
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