mercoledì 25 marzo 2015

Il teatro delle ombre ottomano. Noto anche come Karagöz, dal nome del suo più celebre protagonista, il teatro delle ombre ottomano è una miniera inesauribile di informazioni sulla cultura popolare ottomana. Vi venivano rappresentate varie tipizzazzioni delle molte popolazioni presenti nell’impero: fra i molti personaggi troviamo così l’arabo, il curdo, l’albanese, l’ebreo e l’armeno, e persino l’europeo, ognuno specchio di cliché e luoghi comuni diffusi a quel tempo. Una varietà che si riflette anche da un punto di vista linguistico, grazie all’attenzione riservata all’accento e ai vocaboli – spesso affatto scurrili – caratterizzati a seconda dell’origine sociale e etnica. Un altro aspetto importante è quello satirico. Molto spesso il teatro delle ombre veniva utilizzato per criticare, in maniera anche piuttosto dura, il potente di turno. Fondamentale anche la dimensione licenziosa e oscena che caratterizza il genere: un aspetto, questo, che finirà per scandalizzare anche lo scrittore Edmondo De Amicis, che nel suo libro di viaggio Costantinopoli così descrive il nostro Karagöz: “È una figurina grottesca che rappresenta la caricatura del turco del mezzo ceto, una specie d’ombra chinese, che muove le braccia, le gambe e la testa dietro un velo trasparente, e fa quasi sempre da protagonista in certe commediole strampalatamente buffonesche, di cui il soggetto è per lo più un intrigo amoroso. Egli è un quissimile, ma depravato, di Pulcinella: sciocco, furbo e cinico, lussurioso come un satiro, sboccato come una baldracca, e fa ridere, anzi urlare d’entusiasmo l’uditorio con ogni sorta di lazzi, di bisticci e di gesticolamenti stravaganti, che sono o nascondono ordinariamente un’oscenità.”

Via della seta: IL TEATRO DELLE OMBRE
Simone Zoppellaro

Dalla Cina, l’Indonesia e l’India, fino alla Grecia e la Francia il teatro delle ombre ha percorso nei secoli l’antica via della seta intrattenendo grandi e piccoli, monaci e mercanti, ricchi e poveri. Divertendo, ma anche istruendo i suoi spettatori, e non mancano esempi di un utilizzo del teatro delle ombre all’interno di festività religiose, come nella più celebre di queste tradizioni: il wayang kulit diffuso a Giava e a Bali. 

Ponte naturale fra Oriente e Occidente, il mondo turco e ottomano finirono per sviluppare una tradizione autoctona del teatro delle ombre e che è tuttora presente in Turchia e in altri paesi nati in seguito alla dissoluzione dell’impero. Data l’origine popolare, è difficile rintracciarne con precisione la nascita. Si moltiplicano così le ipotesi in proposito: c’è chi sostiene che arrivò ai turchi grazie ai persiani o agli arabi, che lo conoscevano e praticavano fin dal medioevo, e chi invece che il tramite con l’Oriente siano stati i gitani; chi ipotizza che questa forma di teatro sia stata importata dall’Egitto, terra conquistata dall’impero, e chi vi rintraccia elementi sciamanici che farebbero ipotizzare un’origine centro-asiatica. Infine, non manca chi sostiene che Hacivat e Karagöz, i due personaggi principali di questo teatro, siano ispirati a due persone realmente esistite: due semplici lavoratori, un muratore e un fabbro, che parteciparono alla costruzione di una moschea a Bursa nel XIV secolo. I loro lazzi, che intrattenevano i compagni di lavoro fino a morir dalle risate, sarebbero stati così immortalati in questa commedia popolare. 
Noto anche come Karagöz, dal nome del suo più celebre protagonista, il teatro delle ombre ottomano è una miniera inesauribile di informazioni sulla cultura popolare ottomana. Vi venivano rappresentate varie tipizzazzioni delle molte popolazioni presenti nell’impero: fra i molti personaggi troviamo così l’arabo, il curdo, l’albanese, l’ebreo e l’armeno, e persino l’europeo, ognuno specchio di cliché e luoghi comuni diffusi a quel tempo. Una varietà che si riflette anche da un punto di vista linguistico, grazie all’attenzione riservata all’accento e ai vocaboli – spesso affatto scurrili – caratterizzati a seconda dell’origine sociale e etnica
Un altro aspetto importante è quello satirico. Molto spesso il teatro delle ombre veniva utilizzato per criticare, in maniera anche piuttosto dura, il potente di turno. Fondamentale anche la dimensione licenziosa e oscena che caratterizza il genere: un aspetto, questo, che finirà per scandalizzare anche lo scrittore Edmondo De Amicis, che nel suo libro di viaggio Costantinopoli così descrive il nostro Karagöz: 
“È una figurina grottesca che rappresenta la caricatura del turco del mezzo ceto, una specie d’ombra chinese, che muove le braccia, le gambe e la testa dietro un velo trasparente, e fa quasi sempre da protagonista in certe commediole strampalatamente buffonesche, di cui il soggetto è per lo più un intrigo amoroso. Egli è un quissimile, ma depravato, di Pulcinella: sciocco, furbo e cinico, lussurioso come un satiro, sboccato come una baldracca, e fa ridere, anzi urlare d’entusiasmo l’uditorio con ogni sorta di lazzi, di bisticci e di gesticolamenti stravaganti, che sono o nascondono ordinariamente un’oscenità.”

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