Io non butto nulla: così gli oggetti diventano un’ossessione
Disordine: Quello fisico spesso tradisce una forma di confusione mentale
Gli oggetti da cui ci lasciamo circondare sono molto più che semplici oggetti: parlano di noi e noi parliamo con loro. Già Immanuel Kant scriveva che «l’Io dipende dall’oggetto più di quanto l’oggetto dipenda dall’io»: teoria profetica per un’epoca - la nostra - dove il possesso genera lo status symbol e dunque la nostra carta d’identità sociale. Un possesso sempre più fuori controllo.
Smartphone, tablet e laptop e poi, oltre l’high tech, tantissime «cose» di tutti i tipi, fino all’onnipresente carta, in ogni forma possibile. Una massa - sia fisica sia virtuale - che non smette più di crescere e che ora, per le sue conseguenze, è finita sotto i riflettori anche della psicologia. L’ultima edizione del «Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali» distingue, per la prima volta, l’accumulo patologico di oggetti dagli altri disturbi ossessivo-compulsivi. E adesso gli dà pure un nome: «Disturbo da accumulo» o più semplicemente «DA».
Fatti di cronaca
A raccontare il fenomeno - mettendo nero su bianco cause, caratteristiche e rimedi - è il saggio (edito da Raffaello Cortina) «Il disturbo da accumulo»: l’hanno scritto Claudia Perdighe e Francesco Mancini, rispettivamente psicoterapeuta cognitivo-comportamentale e neuropsichiatra infantile, oltre che docente all’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma. Spiegano gli autori che, ormai, l’«ossessione da oggetti» è un’esperienza comune. Quotidiana. Prima della medicina è infatti la cronaca a svelare l’estensione (e la gravità) della sindrome. Tanto che negli Usa è stato realizzato per la tv un «docu-reality» di successo: è «Hoarding: Buried Alive», in Italia mandato in onda da Real Time con il significativo titolo «Sepolti in casa».
Se le vittime da accumulo sono sempre più numerose, con varie gradazioni di intensità, dalle forme lievi a quelle non più gestibili, non mancano i «padri» illustri. Per esempio i fratelli Collyer, la cui storia risale al 1947 e che è rimasta celebre: quando la polizia di Harlem entrò nel loro appartamento, scoprì che il primo era morto schiacciato dal crollo dei troppi oggetti ammucchiati alla rinfusa e l’altro per inedia, incastrato nel disordine. Ci vollero mesi per svuotare la casa che conteneva di tutto, da scatole di gioielli a mucchi di spazzatura, oltre a 14 pianoforti. Dal giorno della macabra scoperta iniziò un vero e proprio pellegrinaggio in quel luogo-icona: tantissimi furono attratti dall’idea che si potesse morire «di troppe cose». Un destino che ha segnato anche un signore canadese di 65 anni: costretto a dormire in auto dopo avere riempito fino all’orlo la propria abitazione di ogni genere di oggetti, alla sua morte, nel 2013, è stato rinvenuto di tutto, compresi 250 mila dischi in vinile. È la più grande collezione mai messa insieme.
Per gli esperti al centro della disfunzione c’è un rapporto alterato tra Io e mondo esterno.
Un rapporto che si modella già nell’infanzia. I bambini, secondo gli psicologi dello sviluppo, si percepiscono come un prolungamento della madre. E questo prolungamento, a volte, sopravvive: in un diario di scuola, nella t-shirt con l’autografo del cantante preferito, nella prima edizione di un libro che si ama. Nulla di strano, finché i legami si moltiplicano all’eccesso e diventano manie. Favorito dall’eccesso di oggetti e informazioni che ci assediano, oggi il «DA» è un disturbo in crescita: ne soffre tra il 2 e il 5% degli italiani. Persone in cui scattano meccanismi mentali da cui è difficile liberarsi: secondo lo psicologo Randy Frost, questi individui vedono nelle cose «impossibili-da-buttare» altrettante «opportunità future». Così passato, presente e futuro si confondono. E il disordine in casa tradisce il disordine della mente.
23/03/2015
MARCO PIVATO
http://www.lastampa.it/2015/03/23/societa/e-io-non-butto-nulla-cos-gli-oggetti-diventano-ossessioni-wcgHeLSZuCWi9UwxWnecnN/pagina.html
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