Italo Calvino, Le cosmicomiche
Fu una bastonata dura per me. Ma poi, che farci?
Continuai la mia strada, in mezzo alle trasformazioni del mondo, anch’io trasformandomi
Italo Calvino, da Le Cosmicomiche
“Entrai in una fase in cui soltanto gli spiragli di vuoto, le assenze, i silenzi, le lacune, i nessi mancanti, le smagliature nel tessuto del tempo mi parevano racchiudere un senso e un valore. Spiavo attraverso quelle brecce il grande regno del non essere, vi riconoscevo la mia vera patria, che rimpiangevo d’aver tradito in un temporaneo obnubilamento della coscienza; […] sognavo l’annullamento d’ogni dimensione, d’ogni durata, d’ogni sostanza, d’ogni forma.”
Italo Calvino, Le Cosmicomiche
"Cadere nel vuoto come cadevo io, nessuno di voi sa cosa vuol dire.
Per voi cadere è sbattersi giù magari dal ventesimo piano d'un grattacielo, o da un aeroplano che si guasta in volo: precipitare a testa sotto, annaspare un po’ nell'aria, ed ecco che la terra è subito lì, e ci si piglia una gran botta. Io vi parlo invece di quando non c'era sotto nessuna terra né nient'altro di solido, neppure un corpo celeste in lontananza capace d'attirarti nella sua orbita. Si cadeva così, indefinitamente, per un tempo indefinito. Andavo giù nel vuoto fino all'estremo limite in fondo al quale è pensabile che si possa andar giù, e una volta lì vedevo che quell'estremo limite doveva essere molto ma molto più sotto, lontanissimo, e continuavo a cadere per raggiungerlo.”
Italo Calvino, Le Cosmicomiche, 1965
«Si capisce che si stava tutti lì», fece il vecchio Qfwfq, «e dove, altrimenti?
Che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva.
E il tempo, idem: cosa volete che ce ne facessimo, del tempo, stando lì pigiati come acciughe?»
Ho detto “pigiati come acciughe” tanto per usare una immagine letteraria: in realtà non c’era spazio nemmeno per pigiarci. Ogni punto d’ognuno di noi coincideva con ogni punto di ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti.
Italo Calvino, Le cosmicomiche
Esplodere o implodere - disse Qfwfq - questo è il problema: se sia più nobile intento espandere nello spazio la propria energia senza freno, o stritolarla in una densa concentrazione interiore e conservarla ingoiandola. Sottrarsi, scomparire, nient’altro; trattenere dentro di sè ogni bagliore, ogni raggio, ogni sfogo, e soffocando nel profondo dell’anima i conflitti che l’agitano scompostamente, dar loro pace, occultarsi, cancellarsi: forse risvegliarsi altrove, diverso. Diverso… Come diverso?
Il problema: esplodere o implodere tornerebbe a ripresentarsi? Assorbito dal vortice di questa galassia, riaffacciarsi su altri tempi e altri cieli? Qui sprofondare nel freddo silenzio, là esprimersi in urli fiammeggianti d’un altro linguaggio? Qui assorbire il male e il bene come una spugna nell’ombra, là sgorgare come uno zampillo abbagliante, spargersi, spendersi, perdersi? A che pro allora il ciclo tornerebbe a ripetersi? Non so nulla, non voglio sapere, non voglio pensarci: ora, qui, la mia scelta è fatta: io implodo, come se il precipitare centripeto mi salvasse per sempre da dubbi e da errori, dal tempo dei mutamenti effimeri, dalla scivolosa discesa del prima e del poi, per farmi accedere a un tempo stabile, fermo, levigato e raggiungere la sola condizione definitiva, compatta, omogenea.
Esplodete, se così vi garba, irradiatevi in frecce infinite, prodigatevi, scialacquate, buttatevi via: io implodo, crollo dentro l’abisso di me stesso, verso il mio centro sepolto, infinitamente.
Italo Calvino, Le cosmicomiche
«Si capisce che si stava tutti lì», fece il vecchio Qfwfq, «e dove, altrimenti?
Che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva.
E il tempo, idem: cosa volete che ce ne facessimo, del tempo, stando lì pigiati come acciughe?»
Ho detto “pigiati come acciughe” tanto per usare una immagine letteraria: in realtà non c’era spazio nemmeno per pigiarci. Ogni punto d’ognuno di noi coincideva con ogni punto di ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti.
Italo Calvino, Le cosmicomiche
Esplodere o implodere - disse Qfwfq - questo è il problema: se sia più nobile intento espandere nello spazio la propria energia senza freno, o stritolarla in una densa concentrazione interiore e conservarla ingoiandola. Sottrarsi, scomparire, nient’altro; trattenere dentro di sè ogni bagliore, ogni raggio, ogni sfogo, e soffocando nel profondo dell’anima i conflitti che l’agitano scompostamente, dar loro pace, occultarsi, cancellarsi: forse risvegliarsi altrove, diverso. Diverso… Come diverso?
Il problema: esplodere o implodere tornerebbe a ripresentarsi? Assorbito dal vortice di questa galassia, riaffacciarsi su altri tempi e altri cieli? Qui sprofondare nel freddo silenzio, là esprimersi in urli fiammeggianti d’un altro linguaggio? Qui assorbire il male e il bene come una spugna nell’ombra, là sgorgare come uno zampillo abbagliante, spargersi, spendersi, perdersi? A che pro allora il ciclo tornerebbe a ripetersi? Non so nulla, non voglio sapere, non voglio pensarci: ora, qui, la mia scelta è fatta: io implodo, come se il precipitare centripeto mi salvasse per sempre da dubbi e da errori, dal tempo dei mutamenti effimeri, dalla scivolosa discesa del prima e del poi, per farmi accedere a un tempo stabile, fermo, levigato e raggiungere la sola condizione definitiva, compatta, omogenea.
Esplodete, se così vi garba, irradiatevi in frecce infinite, prodigatevi, scialacquate, buttatevi via: io implodo, crollo dentro l’abisso di me stesso, verso il mio centro sepolto, infinitamente.
Italo Calvino, Le cosmicomiche
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