Il Relazionismo come "Paideia"
Non l'intuizione importa, ma la ricerca, non la contemplazione, ma il lavoro. Antonio Banfi
Il soggetto è un problema non risolto (Paci, I957, p. 288).
In quest'affermazione così brutale eppure così pregna di vita, così apparentemente definitiva eppure così radicalmente figlia di un'inesauribile dialettica che guarda all'ulteriorità del possibile, si può forse rinvenire la traccia essenziale del pensiero e dell'opera di Enzo Paci.
Introduzione
L'uomo sempre stenta
per non stentare
Leonardo da Vinci
Del relazionismo fenomenologico di Enzo Paci si è parlato molto poco. Eppure, nel complesso quadro storico-culturale nel quale è nato, vale a dire tra gli anni Cinquanta e Sessanta, esso ha costituito un decisivo momento critico non soltanto per la filosofia italiana ma anche per le sue implicazioni pedagogiche. E ciò vale sia per lo straordinario impegno del Paci lettore di Husserl e in particolare dei suoi manoscritti inediti, sia per la più complessiva attenzione critica da lui rivolta al quadro idealista e post-idealista della cultura italiana, così come per la sua curiosità intellettuale verso l'esistenzialisino francese e tedesco e il loro ruolo sulla scena culturale europea. La trasversalità del pensiero relazionistico, che attinge dalla filosofia e dall'economia, dalla letteratura e dalla fisica, offre, quindi, attraverso l'analisi del <>, una cifra riflessiva tutt'altro che esaurita o esauribile, fino a coinvolgere più direttamente l'idea di educazione come un possibile e decisivo sviluppo critico del proprio incedere.
Infatti, pedinando la continuità dinamica della sua produzione in virtù della quale, anche grazie alla formazione nella scuola banfiana, il filosofo di Monterado ha fatto del proprio lavoro intellettuale l'occasione feconda — sia in termini culturali sia in termini sociali — di dialogo critico con le prospettive via via emergenti. ciò che risulta con maggior evidenza è proprio la ricchezza di un nuovo orizzonte ermeneutico.
Infatti, pedinando la continuità dinamica della sua produzione in virtù della quale, anche grazie alla formazione nella scuola banfiana, il filosofo di Monterado ha fatto del proprio lavoro intellettuale l'occasione feconda — sia in termini culturali sia in termini sociali — di dialogo critico con le prospettive via via emergenti. ciò che risulta con maggior evidenza è proprio la ricchezza di un nuovo orizzonte ermeneutico.
Contrariamente a quanti accusano Paci di discontinuità teoretica, frammentando in <> dissinte e in prese di posizione alterne il suo pensiero, o, peggio, a quanti gli hanno attribuiso velleità di eclettismo, a noi pare emergere dalla storia della riflessione paciana un'autentica coerenza eidetica grazie alla quale i nuclei fondarnentali del suo discorso rivelano, sempre diversamente collocati e ripensati, quali interrogativi problematici i neludibili.
Ed è proprio rispetto a tale atteggiamento intellettuale ed esistenziale caratterizzante il suo pensiero che è possibile veder emergere dal lavoro paciano in generale, e dal relazionismo in particolare, una preoccupazione schiettamente pedagogica: quella che riguarda per un verso l'autoformazione dell'individuo e per l'altro la sua relazione con il mondo. Se tale prospettiva è presente sia esplicitamente sia implicitamente nei contenuti stessi della produzione paciana, essa è vieppiù rilevabile in alcuni decisivi e sorprendenti passi dei suoi diari inediti.
Alla luce della relazione tra vita e cultura già evidenziata dal1' umanesimo critico di Antonio Banfi, il percorso intellettuale di Paci ha accolto e incrementato l'idea che l'esperienza esistenziale culturalmente trascritta possa essere testimoniata — pedagogicamente — in un lavoro intellettuale tutto teso alla riconquista di un telos armonico, un telos capace di ricomprendere la verità di senso del vissuto soggetti. E' dunque in tale direzione che, se lo sfondo culturale dal quale ogni considerazione filosofica prende le mosse è irrimediabilmente vincolato all'esperienza soggettiva, un'esperienza sempre fenomenologicamente vissuta, per Paci la scrittura diaristica si rivela quale itinerario formativo per eccellenza. Di più: l'intenzione stessa di tenere e di pubblicare un diario pare rivelarsi, in questo caso, come volontà di testimonianza, laddove testimoniare sé e i sensi possibili della relazione traduce, in effetti, un'autentica intenzionalità formativa.
D'altra parte l'attenzione alla dimensione letteraria non è certo accessoria nel pensiero paciano — si pensi ai molti saggi dedicati dall'Autore, fra gli altri, a Proust, Mann, Valery, Joyce, e raccolti in particolare in Esistenza ed immagine (1947) — tale "contaminazione" di generi, peraltro sembra suggerire ulteriori aperture alla riflessione educativa.