«Ha fatto lei questo orrore?»
«No, è opera vostra.»Pablo Picasso, in risposta a una guardia tedesca in visita al suo studio.
Anonimo catalano, Trionfo della Morte, 1446 ca.
Affresco staccato proveniente dal cortile di Palazzo Sclàfani a Palermo, di 6 m di lato.
Prima di dipingere "Guernica", Picasso aveva visto questo affresco a Palermo.
Era stato lo stesso Picasso ad ammetterlo, rispondendo a una precisa domanda di Renato Guttuso, del quale era amico sin dagli anni Cinquanta. Il pittore siciliano, poi, aveva anche fatto alcuni disegni per evidenziare le affinità delle teste dei due cavalli (quello che compare nell'affresco palermitano e quello che si staglia al centro di "Guernica").
Oggi è conservato presso la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis a Palermo.
wow, quindi quello di Bruegel è solo un riferimento a questo?
Probabilmente no... il Trionfo della Morte era un tema iconografico nato già nel Medioevo e generalmente prevedeva la presenza di uno scheletro a cavallo con una falce in mano.
Probabilmente è una sorta di personificazione della peste che, ad ondate, falcidiava la popolazione europea. In questo di Palermo, invece, la Morte colpisce con le sue frecce i nobili e gli alti prelati (non male come messaggio morale!).
E' passato tanto tempo da allora, bisogna far ricircolare il messaggio.....
c'è da ricordare che nel periodo tra medioevo e rinascimento, la morte non era vista come la intendiamo noi ora. Un'opera del genere si trovava nei ricoveri come incoraggiamento che la morte finalmente sarebbe arrivata a porre fine ai patimenti degli ammalati come una benedizione. Splendido comunque anche ora da ammirare e rimirare a palazzo abatellis ogni volta possibile
"I mediocri imitano, i geni copiano"... è compito del grande artista ripensare e ricontestualizzare l'opera del passato (Maximo)
Il Trionfo della morte è un dipinto olio su tavola (117×162 cm) di Pieter Bruegel il Vecchio, databile al 1562 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid.
[...] fantasiosa è la scenografia di Pieter Bruegel nel Trionfo della morte del 1562.
Con appena trent’anni di differenza tra l’esecuzione della tela di Caravaggio e quella del pittore fiammingo, si evince una vistosa differenza stilistica. Bruegel utilizza un tema e uno stilema medievale, raccontando di una morte cieca che giunge per uccidere ricchi e poveri, uomini e donne, re ed ecclesiastici; una morte tremenda ed imparziale che squassa la scena attraverso le terrificanti legioni di scheletri. Come a rappresentare un inferno dantesco, Bruegel si sofferma su innumerevoli episodi: come gli scheletri che suonano la campana della morte, le trombe del giudizio e i tamburi. Una morte che giunge a cavallo con la tradizionale falce, oppure su di un carro, come i monatti della peste e poi l’avanzata delle legioni di scheletri che attaccano i vivi e che catturano con la rete, li tirano giù nel fiume, li impiccano o li uccidono con lance e spade. L’iconografia delle singole scene è cruenta e significativa, riunendo nello stesso quadro tutte le tradizioni sul tema della morte.
Ma Bruegel, a differenza delle tele già visionate, lancia un messaggio diverso: memore di una lunga tradizione ed influenzato certamente dalle scene di morte e distruzione, dalle carestie, dalle pestilenze e dalle guerre che avevano afflitto l’Europa in quell’epoca; manifesta un destino che giunge come punizione o forza ingovernabile della natura. Un’interpretazione figlia di un’epoca, ovviamente, e di un tempo assai diverso da quello moderno, dove il messaggio divino e religioso occupano un ruolo sempre minore; è l’uomo infatti a conquistare la centralità della scena, un uomo che con la sua crudeltà è la vera causa del destino di altri uomini. Le guerre, le devastazioni, le carestie, non appartengono più al deus, ma al disegno crudele di un’umanità sempre più in grado di distruggere se stessa.
http://www.elapsus.it/home1/index.php/arte/artisti/323-la-morte-quattro-quadri-a-confronto
In questo dipinto la tristezza del genio bruegeliano tocca il limite estremo e viene anche esaltata l’enorme capacità di Bruegel nell’organizzare le scene di massa in gran formato, non solo da un punto di vista formale ma anche per quanto riguarda il contenuto. La metà destra e quella sinistra del quadro sono diversamente articolate, per cui una è resa più intensa dell’altra. Le due metà sono però inseparabilmente legate fra loro dal primo piano, nel quale da sinistra a destra sono allineate cinque diverse scene a uguali distanze: l’imperatore, il cardinale, il pellegrino, i guerrieri, la coppia di amanti. Sullo sfondo si vedono gli incendi che hanno distrutto le ultime opere dell’uomo e la bellezza delle cose: non sono rimaste che le forche su un terreno ormai spoglio e l’alta campana, suonata dalla morte. Gli uomini, incalazati da un esercito di scheletri, sono travolti e sospinti verso le legioni dei morti.
I numerosi episodi - della donna sorpresa nella sua nudità dalla morte, dell’amante che canta l’ultima canzone, del ragazzo nudo inseguito dai magrissimi cani, del cavaliere che sguaina la spada... -, oltre a denotare ancora una volta la grande ricercatezza e pignoleria di Brueghel nel disegnare i dettagli, non distolgono dal tema principale della morte. Inoltre sono tutti episodi che sottolineano la crudeltà e l’imparzialità della morte, che non fa alcuna distinzione tra re e contadini. A conferma di ciò nell’angolo in basso a sinistra troviamo l’imperatore (fig. 3), caduto per terra, e la morte che, deridendolo, gli mostra la clessidra per fargli capire che il tempo è venuto, mentre un altro scheletro fruga tra i suoi denari. Proprio di fianco a questa scena un pellegrino viene barbaramente sgozzato dall’ennesimo scheletro e un cardinale viene trascinato via ormai morente.
La morte è impersonata da uno scheletro a cavallo che semina terrore e miete vittime con la sua falce, elemento già presente nelle rappresentazioni precedenti. Bruegel però riprende questo tema arricchendolo con l’introduzione dell’esercito della morte, che toglie ogni via di fuga ai disperati che tentano di salvarsi, chiudendo quasi ermeticamente il passaggio a destra. Quelli che vogliono svignarsela nella direzione opposta vanno incontro alla morte intrappolati in una rete tesa.
Complessivamente il dipinto rappresenta un soggetto tipicamente medievale (si pensi a quello celeberrimo dipinto da Buffalmacco nel Camposanto di Pisa durante la seconda metà del XIV secolo) che Bruegel ha però arricchito fondendo insieme varie tradizioni iconografiche: quella della danza macabra, quella del Cavaliere dell'Apocalisse (lo scheletro armato di falce a cavallo può essergli stato suggerito dall'affresco di palazzo Sclafani, probabilmente visto durante un soggiorno a Palermo) e quella della resurrezione dei defunti, come dimostra uno scheletro in lontananza che sta appena uscendo da una fossa. Gli altri temi sono presi e rielaborati dalle opere di Bosh, come la coppia di amanti (questo il reale significato del duetto musicale) sistemati in basso a destra che richiama il gruppo di suonatori dipinti dall'artista di Hertogenbosch nel Carro di fieno. Non diversamente (e questa è un'altra contaminazione iconografica), la scena degli uomini trascinati giù dal ponte rimanda alla nota tradizione del "ponte delle anime" (il ponte è sottile per i peccatori - che cadono - e largo per i beati) e alla descrizione del supplizio per gli orgogliosi utilizzata da Bosch nel Giudizio finale di Vienna, secondo quanto narra la Visione di Tondalo, un testo del XII secolo che ebbe molta fortuna in area fiammingo-germanica. Dal suo ideale maestro, poi, Bruegel riprende anche il riferimento al gioco, allegoria palese della vanità delle cose, che compare, sostanzialmente con le medesime componenti - quella dei dadi e delle carte - anche nell'Inferno musicale di Madrid. Del resto l'idea della vanità delle cose pervade l'intera tavola e si concentra, soprattutto, sulla figura in primo piano del prelato, paradossalmente sostenuto da uno scheletro; scena vicina a certe xilografie di Hans Holbein il Giovane che nel 1525 realizzò una serie di incisioni sul tema della Danza della morte. Accanto al cardinale, invece, uno scheletro mostra a un sovrano morente una clessidra che segna la fine del suo tempo terreno. Vicino, un altro scheletro affonda le mani in barili ricolmi d'oro sottolineando l'inutilità della ricchezza, proprio come aveva fatto Bosch nella Morte dell'avaro, conservata a Washington.
Sono anche rappresentati gli stati d’animo più disparati dell’uomo nei confronti della fine incombente: dall’elegiaca rassegnazione allo sgomento, dall’inutile ribellione all’incoscienza; esempio di ciò sono i mercenari e i cavalieri, abituati alle battaglie, combattivi e audaci, che si ribellano alla morte in un ultimo disperato tentativo di trovare la salvezza attraverso l’uso delle armi, contrapposti al popolo che fugge terrorizzato.
Numerose scene del dipinto probabilmente vogliono raffigurare i maggiori peccati che affliggono l’umanità; troviamo quindi rappresentata l’ira, espressa attraverso le figure dei mercenari e dei soldati prima descritti, l’avidità, nella forma di recipienti colmi di danaro, l’intemperanza, simboleggiata dalla tavola da gioco ribaltata vicino al tavolo sull’angolo in basso a destra e dal vino, e la lussuria, che si rispecchia nella coppia di amanti intenti a far musica, che quasi non si accorgono del sopraggiungere della loro fine, divenendo inoltre simbolo dell’amore cortese medievale.
Come si vede, i temi sono simili a quelli dell'iconografia tradizionale, ma è il modo di distribuire la materia sulla superficie della tavola che è profondamente innovativo. Bruegel sminuzza il tema in decine di scene sparse sull'area di un immenso, desolato panorama in cui per l'uomo non sembrano esserci certezze di riferimenti e vie di salvezza, ma solo un diffuso, incontrollabile horror vacui.
note biografiche:
Peter Bruegel, detto il Vecchio o dei contadini, nacque tra il 1520 e il 1530 a Bruegel, vicino a Breda, nei Paesi Bassi. Fu il capostipite di una famiglia di pittori. Tuttavia egli fu sicuramente il più importante e famoso membro della famiglia, e tutt’oggi è considerato il più grande pittore fiammingo del XVI sec. Tra il 1551 e il 1552 probabilmente viaggiò in Italia, dove completò un gran numero di dipinti, in particolar modo paesaggi. Tornato in patria nel 1553, si insediò ad Anversa, che lasciò dieci anni più tardi per trasferirsi definitivamente a Bruxelles. Da profondo conoscitore della natura umana oltre che paesaggistica, Bruegel trattò soggetti contadini con profondo spirito di osservazione e con una cura quasi maniacale del particolare. Un suo capolavoro La parabola dei ciechi si trova nella Galleria nazionale di Capodimonte, a Napoli. Altre opere famose come la Fiera del villaggio, Nozze di contadini, La kermesse e La nevicata sono a Vienna, altre, sparse nelle principali pinacoteche d'Europa. Uno dei dipinti che sicuramente rappresentano meglio la grande capacità dell’autore nel descrivere ogni più piccolo particolare è Il Trionfo della Morte.
http://digilander.libero.it/dilucas2000/Mortemedioevale8.htm
Bosch non è decifrabile che frammento per frammento:
l'insieme non è che un pavimento di chiavi
davanti a una porta chiusa che nessuna di quelle può aprire.
Guido Ceronetti, "La fragilità del pensare"
di Laura Corchia
Combinazioni tra parti umane e parti animali, teste montate su gambe, strani e grotteschi demoni. Il repertorio figurativo di Hieronymus Bosch è un ibrido tra il meraviglioso e il terribile, qualcosa di molto simile al tema del “mondo alla rovescia” tanto caro ai suoi contemporanei.
Nell’opera di questo artista non vi è nulla di scientifico o di naturalistico, niente è ripreso dal vero e tutto è il frutto della sua immaginazione allucinata e portentosa, capace di costruire figure che spaventano e ipnotizzano e che popolano le sue opere dando vita a scene surreali, da indagare centimetro per centimetro, mostro per mostro. E poi ci sono gli atteggiamenti, quei gesti difficili da decifrare, forse impossibili da ricondurre ad una storia.
Hieronymus è un fiammingo, ma non completamente. Ne ignoriamo formazione e maestri, ma sappiamo che è nato nel 1453 a Hertogenbosch, una città dei Paesi Bassi, capoluogo della provincia del Brabante Settentrionale. Il suo stile risente fortemente dell’influsso di pittori come Jan Van Eyck e Rojier Van der Weyden, dai quali prende a prestito la nitidezza visiva assoluta. Da questa visione adamantina e limpida, Bosch prende le mosse per creare un mondo che sembra essere collocato negli abissi della terra, tra le superstizioni e i pregiudizi di quel Medioevo che tarda a lasciare il posto al Rinascimento.
I suoi mondi sono abitati da esseri grotteschi e demoniaci, colti in atti che suscitano turbamento e disgusto, ma che attraggono e creano curiosità. Nel celebre Trittico delle delizie, l’unità spaziale è sacrificata a favore di un caos inestricabile, fatto di una moltitudine di figure che si agita, una specie di formicaio. Nello sportello con l’Inferno musicale domina un chiaro omaggio al mondo demoniaco, ma filtrato dall’occhio deformato e deformante del pittore: le enormi orecchie trafitte da una freccia, gli strumenti musicali che diventano mezzi di tortura, l’uovo-albero che recherebbe l’autoritratto di Bosch. In questo strano mondo, nessuno è protagonista, tutti partecipano come attori di teatro. Bosch vuole restituire l’immagine di una realtà dominata dal male, la figura dell’uomo dominato dai suoi istinti più bassi.
Mago, stregone, occultista, alchemico, Bosch è stato ammirato dai suoi contemporanei e, oggi come ieri, le sue opere continuano a catturare lo sguardo esterrefatto e attonito dello spettatore.
"L'estrazione della pietra della follia" è un quadro di Bosch dipinto alla fine del '400.
Il visionario e per alcuni pazzo Hieronymus era ai miei occhi un artista capace di prevedere il futuro. Il quadro è una precisa metafora dei tempi correnti:
uno stupido si fa curare da un imbonitore ciarlatano.
CAPOLAVORI DEL PRADO
Hieronymus Bosch "Trittico del Giardino delle delizie" 1480-1490 220×389 cm
Una delle opere più conosciute al mondo, uno straordinario trittico di Bosch una delle figure più misteriose ed enigmatiche della pittura. Si sa poco della sua vita, quello che colpisce è che essa appare assolutamente tranquilla. I suoi dipinti sono invece un condensato di sfrenata fantasia, popolati da mostri e creature bizzarre. Mi hanno sempre colpito del pannello sinistro e centrale quelle strutture tra il mondo minerale e vegetale, rosa e blu, che paiono architetture fantastiche senza corrispondenze in natura. Si è ipotizzata l'appartenenza di Bosch a qualche setta eretica e forzando un po' l'interpretazione queste strutture ricordano vagamente degli alberi della vita cabalistici, percorsi evolutivi slanciati verso l'alto e tendenzialmente piramidali. (Sig)
“Il Trittico del Giardino delle Delizie” è uno dei quadri più celebri e acclamati del pittore olandese Hieronymus Bosch. Come suggerisce il nome, è costituito da tre pannelli: il primo, a sinistra, rappresenta la creazione, con Dio, Adamo ed Eva, al centro c’è una serie di figure reali e di fantasia, mentre a destra si può vedere uno scorcio dell’inferno.
Ovviamente, visto che ci piace la confusione, noi ci concentriamo sull’inferno: tra le tante figure dipinte in questo pannello c’è anche un uomo che vediamo solo per metà. Sdraiato a pancia in giù, vediamo solo gambe e fondoschiena e proprio lì, in una sorta di tatuaggio ante-litteram, possiamo vedere uno spartito musicale.
Ecco, Amelia, una blogger americana, si è messa a decifrare il pentagramma, ha suonato al piano quelle note, le ha registrate e le ha messe su YouTube. Schiacciate play: sentirete una musica super-inquietante e infernale che arriva direttamente dalla fine del XV secolo, ma che sarebbe perfetta in un horror dei nostri giorni. Ascoltatela: trovate il video dopo l’immagine.
Trova una musica segreta in un quadro di Bosch del ’400 e la suona: il risultato è da film horror
di Marco Villa
Una delle opere più note in cui compare un gran numero di fragole è il Trittico delle Delizie di Hieronymus Bosch. Il dipinto, un grande olio su tavola, rappresenta l’opera più enigmatica dell’artista. La critica si è a lungo dibattuta sulla sua interpretazione e anche la datazione è piuttosto incerta.
Le facce esterne degli scomparti laterali rappresentano il globo terrestre al terzo giorno della creazione. La terra è vista a volo d’uccello, entro una sfera trasparente. Secondo Tolnay, potrebbe alludere alla fragilità dell’universo. Non si scorgono forme di vita, animali o umane. Dio è relegato nell’angolo superiore sinistro, con una tiara sul capo e la Bibbia sulle ginocchia.
Nell’interno, come un vero e proprio coup de théâtre, i pannelli sono abitati da innumerevoli esseri brulicanti di vita. In una vegetazione non naturale vivono animali reali e fantastici e, sullo sfondo, strane costruzioni servono da dimora agli uccelli.
In contrasto con il cromatismo acceso, i corpi emergono con un incarnato candido ed abbagliante.
La presenza delle fragole è concentrata nella parte bassa del pannello centrale. Qui, una infinita quantità di nudi femminili e maschili, uniti in gruppo o a coppie, sono alle prese con bizzarri vegetali, minerali e conchiglie o si stanno cibando di grosse fragole e more. Questi frutti, notoriamente succulenti, alluderebbero alla sessualità.
Un interessante dettaglio mostra una gigantesca fragola circondata da una moltitudine di figurette nude. Su un’altra porzione del dipinto un uomo trasporta il frutto, mentre altre figure si cibano di frutti colti dall’albero.
http://restaurars.altervista.org/fragola-dipinti-fiore-paradiso/
Ars moriendi (“L’arte di morire”) è il nome di due scritti latini che contengono tutta una serie di precetti volti ad ottenere, da buon cristiano, una buona morte. Sono stati redatti tra il 1415 e il 1450, periodo caratterizzato da un altissimo tasso di mortalità, complici anche le temutissime epidemie di peste che mietevano numerose vittime.
Di questi trattati, esistono due versioni: una “lunga”, comprendente sei capitoli, ed una “corta” che, al suo interno, è arricchita da xilografie che illustrano tutte le fasi che precedono il trapasso, comprese le tentazioni e il pentimento.
Nel Medioevo, la necessità di prepararsi alla morte era ben nota in letteratura. Questi trattatelli erano nati dalla necessità di sostituire le gerarchie ecclesiastiche, da sempre deputate a consolare parenti e agonizzanti sul letto di morte. La peste nera aveva infatti causato molte vittime tra i preti e, dunque, si rendeva necessario adottare un sistema che potesse comunque fungere da conforto. I capitoli affrontano diverse problematiche: il lato buono della morte, le cinque tentazioni, le sette domande da porre al moribondo, la necessità di imitare la vita di Cristo, come amici e parenti devono comportarsi, quali preghiere devono recitare i moribondi.
Sulla scia di questa macabra letteratura, il pittore Hieronymus Bosch realizza una tavola dipinta che, sebbene tratti un tema difficile come la morte, suggerisce una sottile vena di ironia. L’opera è databile al 1494. Secondo lo studioso Filedt Kok, questo olio su tavola è il pendant di altre tre dipinti, raffiguranti il Venditore ambulante, la Nave dei folli, e l’Allegoria dei piaceri. L’ipotesi è stata confermata dall’analisi dendrocronologica dei legni.
Il trittico originale doveva essere composto dalla Nave dei folli a sinistra con l’Allegoria dei piaceri nella parte inferiore e la Morte di un avaro a destra. Ignota è la pala centrale, se esisteva (potrebbe anche essere stato un dittico), mentre il Venditore ambulante si doveva trovare sul retro dello sportello sinistro, tagliato nel senso della lunghezza per ricavarne due tavole.
Della Morte di un avaro è conservato un disegno al Louvre, interessante per affettuare alcuni raffronti. In una stanza dipinta con una prospettiva grandangolare, un anziano avaro è disteso sul suo letto. Il corpo è diafano, smagrito, scavato. Alla sua destra, un angelo sta invocando l’intervento di Dio e sta portando il moribondo al pentimento. Ma, sulla destra, celato da una tenda, il diavolo tenta ancora di corromperlo, porgendogli una sacca colma di denaro. Nel frattempo, la morte irrompe dalla piccola porticina di legno. Intanto, un altro personaggio riempie d’oro una borsa tenuta aperta da un piccolo diavoletto dentro al forziere. La stanza è popolata da altri esseri demoniaci, che spuntano ora dal letto a baldacchino, ora da sotto il cassone.
Il dipinto è una chiara condanna al peccato dell’Avarizia, una sorta di monito a tutti coloro che bramano denaro.
Ciò che l'arte coeva in generale esteriorizzava, in una continua umanistica imitazione delle "hvmanae litterae" e delle "antiqva opera" prima e in un deciso rinascimentale superamento dei "Maiorvm exempla" dopo, Bosch lo esprime in chiave interiore. Nelle sue opere è come se desse forma all'immaginifico mondo interiore dell'uomo; alle sue paure, ai suoi "mostri", alla sua follia. Esprimendo il tutto con la caratteristica "minuziosità" fiamminga. Nel "Trittico delle delizie", in particolare, fa ciò anche riscoprendo vecchi stereotipi medievali, come i mostruosi "blemmi". Una sorta di Erasmiano "Elogio della follia" in chiave pittorica.
Se l'uomo del Rinascimento è il signore della natura e della storia, e con la sua razionalità riesce a disciplinarle e a costruire città ideali, Bosch (e l'Europa settentrionale) è ancora legato a una visione "gotica" dell'esistenza, dove l'uomo è continuamente alle prese con le minacce ostili di forze più grandi di lui, una creatura debole perennemente tentata dal maligno che lo svia dalla salvezza. Tuttavia, trovo che le ipotesi interpretative di Foucault, De Certeau e Cacciari siano da prendere in considerazione, in quanto nell'opera di Bosch il proliferare caotico e il sovrapporsi di così tante figure ed elementi segnano anche il progressivo venir meno del significato che gli stessi avevano nell'epoca precedente. Quella folla di figure, cioè, sarebbe segno di una sorta di svuotamento simbolico e di una predilezione per la resa estetica. Lo dimostra il fatto che questo tipo di opere all'epoca (come anche oggi) riscuotessero molta fortuna, proprio perché offrivano uno spettacolo inesauribile di forme e di narrazioni, quasi un Le mille e una notte dell'orrore.
Bosch non è decifrabile che frammento per frammento:
l'insieme non è che un pavimento di chiavi
davanti a una porta chiusa che nessuna di quelle può aprire.
Guido Ceronetti, "La fragilità del pensare"
Hieronymus Bosch: un’arte tra il meraviglioso e il terribile
Combinazioni tra parti umane e parti animali, teste montate su gambe, strani e grotteschi demoni. Il repertorio figurativo di Hieronymus Bosch è un ibrido tra il meraviglioso e il terribile, qualcosa di molto simile al tema del “mondo alla rovescia” tanto caro ai suoi contemporanei.
Nell’opera di questo artista non vi è nulla di scientifico o di naturalistico, niente è ripreso dal vero e tutto è il frutto della sua immaginazione allucinata e portentosa, capace di costruire figure che spaventano e ipnotizzano e che popolano le sue opere dando vita a scene surreali, da indagare centimetro per centimetro, mostro per mostro. E poi ci sono gli atteggiamenti, quei gesti difficili da decifrare, forse impossibili da ricondurre ad una storia.
Hieronymus è un fiammingo, ma non completamente. Ne ignoriamo formazione e maestri, ma sappiamo che è nato nel 1453 a Hertogenbosch, una città dei Paesi Bassi, capoluogo della provincia del Brabante Settentrionale. Il suo stile risente fortemente dell’influsso di pittori come Jan Van Eyck e Rojier Van der Weyden, dai quali prende a prestito la nitidezza visiva assoluta. Da questa visione adamantina e limpida, Bosch prende le mosse per creare un mondo che sembra essere collocato negli abissi della terra, tra le superstizioni e i pregiudizi di quel Medioevo che tarda a lasciare il posto al Rinascimento.
I suoi mondi sono abitati da esseri grotteschi e demoniaci, colti in atti che suscitano turbamento e disgusto, ma che attraggono e creano curiosità. Nel celebre Trittico delle delizie, l’unità spaziale è sacrificata a favore di un caos inestricabile, fatto di una moltitudine di figure che si agita, una specie di formicaio. Nello sportello con l’Inferno musicale domina un chiaro omaggio al mondo demoniaco, ma filtrato dall’occhio deformato e deformante del pittore: le enormi orecchie trafitte da una freccia, gli strumenti musicali che diventano mezzi di tortura, l’uovo-albero che recherebbe l’autoritratto di Bosch. In questo strano mondo, nessuno è protagonista, tutti partecipano come attori di teatro. Bosch vuole restituire l’immagine di una realtà dominata dal male, la figura dell’uomo dominato dai suoi istinti più bassi.
Mago, stregone, occultista, alchemico, Bosch è stato ammirato dai suoi contemporanei e, oggi come ieri, le sue opere continuano a catturare lo sguardo esterrefatto e attonito dello spettatore.
Il visionario e per alcuni pazzo Hieronymus era ai miei occhi un artista capace di prevedere il futuro. Il quadro è una precisa metafora dei tempi correnti:
uno stupido si fa curare da un imbonitore ciarlatano.
CAPOLAVORI DEL PRADO
Hieronymus Bosch "Trittico del Giardino delle delizie" 1480-1490 220×389 cm
Una delle opere più conosciute al mondo, uno straordinario trittico di Bosch una delle figure più misteriose ed enigmatiche della pittura. Si sa poco della sua vita, quello che colpisce è che essa appare assolutamente tranquilla. I suoi dipinti sono invece un condensato di sfrenata fantasia, popolati da mostri e creature bizzarre. Mi hanno sempre colpito del pannello sinistro e centrale quelle strutture tra il mondo minerale e vegetale, rosa e blu, che paiono architetture fantastiche senza corrispondenze in natura. Si è ipotizzata l'appartenenza di Bosch a qualche setta eretica e forzando un po' l'interpretazione queste strutture ricordano vagamente degli alberi della vita cabalistici, percorsi evolutivi slanciati verso l'alto e tendenzialmente piramidali. (Sig)
https://www.facebook.com/713354805354554/videos/977704302252935/
“Il Trittico del Giardino delle Delizie” è uno dei quadri più celebri e acclamati del pittore olandese Hieronymus Bosch. Come suggerisce il nome, è costituito da tre pannelli: il primo, a sinistra, rappresenta la creazione, con Dio, Adamo ed Eva, al centro c’è una serie di figure reali e di fantasia, mentre a destra si può vedere uno scorcio dell’inferno.
Ovviamente, visto che ci piace la confusione, noi ci concentriamo sull’inferno: tra le tante figure dipinte in questo pannello c’è anche un uomo che vediamo solo per metà. Sdraiato a pancia in giù, vediamo solo gambe e fondoschiena e proprio lì, in una sorta di tatuaggio ante-litteram, possiamo vedere uno spartito musicale.
Ecco, Amelia, una blogger americana, si è messa a decifrare il pentagramma, ha suonato al piano quelle note, le ha registrate e le ha messe su YouTube. Schiacciate play: sentirete una musica super-inquietante e infernale che arriva direttamente dalla fine del XV secolo, ma che sarebbe perfetta in un horror dei nostri giorni. Ascoltatela: trovate il video dopo l’immagine.
Trova una musica segreta in un quadro di Bosch del ’400 e la suona: il risultato è da film horror
di Marco Villa
Una delle opere più note in cui compare un gran numero di fragole è il Trittico delle Delizie di Hieronymus Bosch. Il dipinto, un grande olio su tavola, rappresenta l’opera più enigmatica dell’artista. La critica si è a lungo dibattuta sulla sua interpretazione e anche la datazione è piuttosto incerta.
Le facce esterne degli scomparti laterali rappresentano il globo terrestre al terzo giorno della creazione. La terra è vista a volo d’uccello, entro una sfera trasparente. Secondo Tolnay, potrebbe alludere alla fragilità dell’universo. Non si scorgono forme di vita, animali o umane. Dio è relegato nell’angolo superiore sinistro, con una tiara sul capo e la Bibbia sulle ginocchia.
Nell’interno, come un vero e proprio coup de théâtre, i pannelli sono abitati da innumerevoli esseri brulicanti di vita. In una vegetazione non naturale vivono animali reali e fantastici e, sullo sfondo, strane costruzioni servono da dimora agli uccelli.
In contrasto con il cromatismo acceso, i corpi emergono con un incarnato candido ed abbagliante.
La presenza delle fragole è concentrata nella parte bassa del pannello centrale. Qui, una infinita quantità di nudi femminili e maschili, uniti in gruppo o a coppie, sono alle prese con bizzarri vegetali, minerali e conchiglie o si stanno cibando di grosse fragole e more. Questi frutti, notoriamente succulenti, alluderebbero alla sessualità.
Un interessante dettaglio mostra una gigantesca fragola circondata da una moltitudine di figurette nude. Su un’altra porzione del dipinto un uomo trasporta il frutto, mentre altre figure si cibano di frutti colti dall’albero.
http://restaurars.altervista.org/fragola-dipinti-fiore-paradiso/
http://youtu.be/qPA4OW2FjFg
I 1000 quadri più belli di tutti i tempi:
Pieter Bruegel il Vecchio, Caduta di Icaro, circa 1558
Musées royaux des Beaux-Arts de Belgique, Bruxelles
Il rogo della Riforma protestante divampato in tutta Europa portò a un obbligatorio ripensamento dell'arte e della figura dell'artista: terminata la stagione delle grandi commissioni religiose ai fini dell'esposizione pubblica, la pittura fiamminga cambia volto, facendo di considerazioni di ordine morale veri e propri soggetti di genere.
Pieter Bruegel il Vecchio, capostipite di una famiglia di artisti tra le più importanti delle Fiandre sotto il giogo spagnolo, sembra aver interpretato al meglio tale sfida. Fortemente suggestionato nel periodo giovanile da Hieronymus Bosch, nella maturità Bruegel acquista un linguaggio espressivo proprio, in cui la tecnica riveste un ruolo di prim'ordine, se non addirittura strutturale, al servizio delle ragioni espressive.
Nell'opera La Caduta di Icaro si può cogliere a colpo d'occhio l'essenza della sua pittura: in primo piano, due figure, un contadino e un pastore, sono intente alle proprie attività quotidiane. Una prospettiva marcatamente rialzata, che esalta i volumi spigolosi di dirupi, balze e scogli, l'arco descritto dalla marina di Messina, la distesa cangiante e quasi oleosa del mare, rende i due personaggi, in particolare l'agricoltore, quasi monumentali. La tragedia mitologica di ovidiana memoria si consuma 'sine strepitu', in un silenzio irreale che sfocia nella più cupa indifferenza, volutamente minimizzata dal maestro che ha scelto di relegarla in un angolo, in fondo a destra, e ridurla semplicemente a due gambe annaspanti fuori dall'acqua.
Il capolavoro fu ammirato dal poeta inglese Thomas Hardy, che ne rimase così impressionato da dedicargli la celebre lirica 'Musées de Beaux-Arts':
“Quanto a sofferenza non si sbagliavano mai, i Vecchi Maestri (…):
Nell’Icaro di Bruegel, per esempio: come ogni cosa volge
le spalle con assoluta indifferenza al
disastro; forse l’aratore ha udito il tonfo, il grido solitario,
ma per lui non fu una catastrofe importante;
il sole splendeva, come su ogni cosa;
e la nave costosa e sottile aveva un porto da raggiungere,
e continuò calma la sua rotta”.
Hieronymus Bosch,
Il Giardino delle delizie (part.),
1480-1490 ca., Museo del Prado, Madrid.
Hieronymus Bosch e l’ “Arte di morire”
Ars moriendi (“L’arte di morire”) è il nome di due scritti latini che contengono tutta una serie di precetti volti ad ottenere, da buon cristiano, una buona morte. Sono stati redatti tra il 1415 e il 1450, periodo caratterizzato da un altissimo tasso di mortalità, complici anche le temutissime epidemie di peste che mietevano numerose vittime.
Di questi trattati, esistono due versioni: una “lunga”, comprendente sei capitoli, ed una “corta” che, al suo interno, è arricchita da xilografie che illustrano tutte le fasi che precedono il trapasso, comprese le tentazioni e il pentimento.
Nel Medioevo, la necessità di prepararsi alla morte era ben nota in letteratura. Questi trattatelli erano nati dalla necessità di sostituire le gerarchie ecclesiastiche, da sempre deputate a consolare parenti e agonizzanti sul letto di morte. La peste nera aveva infatti causato molte vittime tra i preti e, dunque, si rendeva necessario adottare un sistema che potesse comunque fungere da conforto. I capitoli affrontano diverse problematiche: il lato buono della morte, le cinque tentazioni, le sette domande da porre al moribondo, la necessità di imitare la vita di Cristo, come amici e parenti devono comportarsi, quali preghiere devono recitare i moribondi.
Sulla scia di questa macabra letteratura, il pittore Hieronymus Bosch realizza una tavola dipinta che, sebbene tratti un tema difficile come la morte, suggerisce una sottile vena di ironia. L’opera è databile al 1494. Secondo lo studioso Filedt Kok, questo olio su tavola è il pendant di altre tre dipinti, raffiguranti il Venditore ambulante, la Nave dei folli, e l’Allegoria dei piaceri. L’ipotesi è stata confermata dall’analisi dendrocronologica dei legni.
Il trittico originale doveva essere composto dalla Nave dei folli a sinistra con l’Allegoria dei piaceri nella parte inferiore e la Morte di un avaro a destra. Ignota è la pala centrale, se esisteva (potrebbe anche essere stato un dittico), mentre il Venditore ambulante si doveva trovare sul retro dello sportello sinistro, tagliato nel senso della lunghezza per ricavarne due tavole.
Della Morte di un avaro è conservato un disegno al Louvre, interessante per affettuare alcuni raffronti. In una stanza dipinta con una prospettiva grandangolare, un anziano avaro è disteso sul suo letto. Il corpo è diafano, smagrito, scavato. Alla sua destra, un angelo sta invocando l’intervento di Dio e sta portando il moribondo al pentimento. Ma, sulla destra, celato da una tenda, il diavolo tenta ancora di corromperlo, porgendogli una sacca colma di denaro. Nel frattempo, la morte irrompe dalla piccola porticina di legno. Intanto, un altro personaggio riempie d’oro una borsa tenuta aperta da un piccolo diavoletto dentro al forziere. La stanza è popolata da altri esseri demoniaci, che spuntano ora dal letto a baldacchino, ora da sotto il cassone.
Il dipinto è una chiara condanna al peccato dell’Avarizia, una sorta di monito a tutti coloro che bramano denaro.
Hieronymus Bosch, Morte di un avaro (particolare), 1494,
olio su tavola, National Gallery of Art, Washington
Hieronymus Bosch: un’arte tra il meraviglioso e il terribile
Combinazioni tra parti umane e parti animali, teste montate su gambe, strani e grotteschi demoni. Il repertorio figurativo di Hieronymus Bosch è un ibrido tra il meraviglioso e il terribile, qualcosa di molto simile al tema del “mondo alla rovescia” tanto caro ai suoi contemporanei.
Nell’opera di questo artista non vi è nulla di scientifico o di naturalistico, niente è ripreso dal vero e tutto è il frutto della sua immaginazione allucinata e portentosa, capace di costruire figure che spaventano e ipnotizzano e che popolano le sue opere dando vita a scene surreali, da indagare centimetro per centimetro, mostro per mostro. E poi ci sono gli atteggiamenti, quei gesti difficili da decifrare, forse impossibili da ricondurre ad una storia.
Hieronymus è un fiammingo, ma non completamente. Ne ignoriamo formazione e maestri, ma sappiamo che è nato nel 1453 a Hertogenbosch, una città dei Paesi Bassi, capoluogo della provincia del Brabante Settentrionale. Il suo stile risente fortemente dell’influsso di pittori come Jan Van Eyck e Rojier Van der Weyden, dai quali prende a prestito la nitidezza visiva assoluta. Da questa visione adamantina e limpida, Bosch prende le mosse per creare un mondo che sembra essere collocato negli abissi della terra, tra le superstizioni e i pregiudizi di quel Medioevo che tarda a lasciare il posto al Rinascimento.
I suoi mondi sono abitati da esseri grotteschi e demoniaci, colti in atti che suscitano turbamento e disgusto, ma che attraggono e creano curiosità. Nel celebre Trittico delle delizie, l’unità spaziale è sacrificata a favore di un caos inestricabile, fatto di una moltitudine di figure che si agita, una specie di formicaio. Nello sportello con l’Inferno musicale domina un chiaro omaggio al mondo demoniaco, ma filtrato dall’occhio deformato e deformante del pittore: le enormi orecchie trafitte da una freccia, gli strumenti musicali che diventano mezzi di tortura, l’uovo-albero che recherebbe l’autoritratto di Bosch. In questo strano mondo, nessuno è protagonista, tutti partecipano come attori di teatro. Bosch vuole restituire l’immagine di una realtà dominata dal male, la figura dell’uomo dominato dai suoi istinti più bassi.
Mago, stregone, occultista, alchemico, Bosch è stato ammirato dai suoi contemporanei e, oggi come ieri, le sue opere continuano a catturare lo sguardo esterrefatto e attonito dello spettatore.
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HIERONYMUS BOSCH E IL BESTIARIO DELLA FOLLIA
IL GIARDINO DELLE DELIZIE
Mentre gli artisti del Rinascimento italiano ed europeo, come Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer, si volgevano allo studio rigoroso e oggettivo della natura, le opere del fiammingo Hieronymus Bosch fiorivano di deliri vegetali e animali più sconvolgenti e fantasiosi di ogni bestiario dell’antichità classica o medievale.
Bosch fu un pittore olandese che attraversò tutta la seconda metà del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento e che, mentre in Italia si compiva la celebrazione umanistica dell’intelletto, poneva piuttosto l’accento sugli aspetti trascendenti e irrazionali della vita umana. Egli seppe mettere in scena con grande forza visionaria i conflitti dell’uomo rispetto alle regole imposte dalla morale e dalla religione, e quindi la follia, i vizi, i peccati e le punizioni infernali.
La sua opera più ambiziosa rimane il trittico de Il giardino delle delizie (o Il Millennio), databile 1480-1490 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. È un’opera di grande visionarietà e densa di rimandi simbolici, a tal punto complessa che storici e critici non sono mai giunti a darne una lettura interpretativa concorde.
È probabile che il committente dell’opera sia stato Enrico III di Nassau-Breda, Governatore di molte delle province degli Asburgo nei Paesi Bassi, incallito collezionista di opere d’arte e di curiosità esotiche. Alla morte di Enrico III l’opera passò nelle mani del nipote Guglielmo I d’Orange, il fondatore della Casa d’Orange-Nassau e comandante della rivolta olandese contro l’Impero spagnolo alla fine del XV secolo. Nel 1568 il Duca d’Alba confiscò il dipinto e lo portò in Spagna, dove divenne proprietà di Don Fernando di Toledo, dell’Ordine di San Giovanni, figlio naturale del Duca. Dopo la sua morte, all’asta che ne conseguì, Filippo II di Spagna acquistò il Giardino e qualche anno dopo lo portò all’Escorial, dove è rimasto fino al 1939, fino cioè alla sua definitiva collocazione nel Museo del Prado.
Lo sportello di sinistra raffigura Il paradiso terrestre, con la creazione di Adamo ed Eva, lo scomparto di centro è Il giardino delle delizie mentre lo sportello di destra è conosciuto come L’Inferno musicale. Come nel trittico delCarro di fieno, la tavola centrale è quindi affiancata da uno scenario paradisiaco e uno infernale.
Nel primo pannello troviamo la scena, ambientata nel Paradiso Terrestre, in cui Dio presenta Eva al cospetto di Adamo. Dietro la donna e in primo piano giocano nell’erba numerosi animali. Qui, da una fossa circolare, escono fuori uccelli e bestie alate finemente rappresentati nei particolari, alcuni realmente esistenti e altri frutto di fantasia. Un pesce con mani umane e becco di anatra stringe un libro emergendo dalle acque torbide, mentre attorno a lui altri animali dai colori oscuri si mimetizzano nel profondo della pozza. Fuori dall’acqua alcuni rapaci si cibano di rane mentre un felino stringe in bocca una preda.
Al centro del pannello, nelle acque di un laghetto, si trova una complessa costruzione rosa, identificata da alcuni critici come la “Fontana della vita”, formata da motivi floreali e parti in vetro, fittamente incastonata di gemme preziose. Su di essa si posano uccelli di diverse specie, presenti in gran numero anche nella parte sinistra del lago. Su queste sponde si abbeverano alcuni animali, reali o mitologici, come un unicorno. A destra, invece, risalgono dalle acque salamandre e altri anfibi verso una roccia antropomorfa. Più in alto si stende un vasto paesaggio, popolato da numerosi animali, tra cui una giraffa, un elefante e un leone in procinto di divorare una preda appena uccisa, che testimoniano l’influsso della letteratura concernente viaggi esotici.
Già in questo primo pannello, l’estasi calma della Creazione di Eva convive con segnali inquietanti di anomalia e mostruosità: basta osservare la parte in basso, brulicante di animali dei quali solo alcuni hanno forma reale; la maggior parte è fantasiosa, ibrida e metamorfica, grottesca, a tratti spaventosa. Lo stagno in basso da cui fuoriesce tale bestiario sembra un elemento estraneo al paesaggio dell’eden; ha un aspetto tetro e infernale e infatti è raffigurato con gli stessi colori del pannello di destra.
Anche la parte centrale del Trittico contiene molti elementi di inquietante anomalia, scene e figure che ci ripugnano per la loro incongruenza, che entrano in conflitto con la ragione, la quale si ritrova incapace di conferire significati adeguati. Questo pannello rappresenta il giardino delle delizie, raffigurante l’umanità che si abbandona ai piaceri mondani: l’amore, la lussuria, la fragile bellezza, la dolcezza dei frutti, godimenti e gioie di carattere effimero e transitorio. Secondo altre interpretazioni, esso raffigura la condizione dell’umanità innocente e priva di pudore, così come sarebbe stata se non fosse avvenuto il peccato originale.
In questa distesa verde abbondano figure maschili e femminili nude, circondate da enormi varietà di animali, piante e fiori. Con uno straordinario gusto per l’eccesso e il dettaglio, creature fantastiche si confondono con elementi reali, frutti comuni vengono rappresentati in forme gigantesche e sproporzionate. Le figure sono impegnate in sfrenati giochi amorosi e varie altre attività, in coppie o in gruppi più vasti. Secondo alcuni critici, più che una lussuria peccaminosa, queste scene rivelano una curiosità carnale tipicamente adolescenziale.
Questo panello può essere grossolanamente diviso in tre fasce orizzontali. In basso una moltitudine di nudi, variamente raggruppati, si abbandona ai piaceri della carne. Alcune figure raccolgono e trasportano della frutta, in particolare fragole e more, e recano fiori, conchiglie e minerali di vario genere. A sinistra ci sono due amanti dentro ad una teca di vetro che rappresenta la fragilità del piacere. I personaggi giocano in acqua o saltano sui prati, cavalcano animali e spesso assumono vicino a questi posizioni particolari dai significati nascosti. Essi sono alla continua ricerca del piacere sessuale, sottolineata dagli elementi intorno, pesci morti, fragole e conchiglie, simboli di dissolutezza, mentre gli uccelli che spiano ovunque offrono una visione morbosa e ossessiva di tale peccato.
Al centro è rappresentata in un prato “la cavalcata della libidine attorno alla fontana della giovinezza”, all’interno della quale si bagnano donne che hanno sul capo corvi, pavoni e ibis. Gli uomini cavalcano i più svariati animali (leopardi, pantere, leoni, orsi, liocorni, cervi, asini, grifoni, ecc.), tratti dal repertorio dei bestiari medievali, formando un vorticoso girotondo.
In alto e in fondo si vede il “labirinto della voluttà”, con lo stagno in cui galleggia l’enorme globo grigio-azzurro della ‘fontana dell’adulterio’ e ai lati delle costruzioni bizzarre composte da vegetali e minerali. Queste ultime, dalla forma alquanto suggestiva e affascinante, hanno un significato sconosciuto, forse riconducibile a qualche principio alchemico. Nel cielo alle loro spalle si notano gruppi di personaggi in volo. Nel lago inoltre si vede una sirena, assieme al tritone simbolo quattrocentesco dell’amore. Il vicino uovo rotto è un tema che ricorre costantemente nelle opere di Bosch, assumendo di volta in volta significati oscuri e incerti.
A destra, poi, la voragine infernale, con al centro la meravigliosa e inquietante figura dell’uomo-albero. Quest’ultimo pannello rappresenta con grande ricchezza e complessità di immaginazione i tormenti della dannazione eterna e deve il suo nome ai numerosi strumenti musicali raffigurati, che nel dipinto, per quel processo di metamorfosi che ritroviamo costante nelle opere di Bosch, diventano strumenti di tortura, inflitta agli uomini da curiosi demoni, i “grilli” (i grùlloi dell’antichità classica, senza più la connotazione giocosa e scherzosa che avevano nella tradizione).
I grilli gotici, tanto diffusi nelle decorazioni medievali e consistenti in esseri compositi il cui elemento dominante è la testa, invadono le opere del Maestro fiammingo: numerosissime sono le teste con gambe, che costituiscono il tipo più semplice di grillo. Tuttavia Bosch non si limita a riproporre i grilli del passato; in lui essi assumono svariate e originali forme, dal grillo-uccello al grillo-insetto.
In questa come in altre opere di Bosch si osservano delle innovazioni sorprendenti: la mescolanza di corpi viventi e di materie inorganiche. Se infatti fino ad allora gli animali si incrociavano tra loro o con gli esseri umani, tutt’al più con le piante, con Bosch, invece, per la prima volta materiali come il ferro e il legno si fondono con la materia organica, e corpi inanimati, come una giara, vengono dotati di membra.
Ormai sono crollate tutte le barriere che tenevano separati i diversi mondi della materia. Dopo Bosch si vedranno con Pieter Bruegel barili con quattro zampe, edifici con lineamenti umani. Gli oggetti prendono vita, si animano di inquietante perfidia, si insinuano nella vita dell’uomo, lo spiano, lo minacciano, lo attaccano. Se ibridi simili non si erano mai visti prima, da quel momento si andranno diffondendo sia nei quadri sia nei margini dei libri. Un manoscritto di Cambrai del XVI secolo, ad esempio, mostra alcuni uccelli fatti con vasi e vasi dal busto di donna e dalla testa d’asino, oppure con una lunga tromba al posto del naso.
UN VUOTO DI SENSO
Il racconto del Trittico comincia con l’atmosfera chiara e tranquilla della Creazione di Eva, che rasserena l’animo dello spettatore. Il pannello centrale del Giardino conserva la stessa luce chiara ma contiene un movimento vorticoso di corpi e di oggetti che agitano e disorientano la visione. L’inferno finale ha un registro cromatico totalmente diverso, lontano dalle chiare e luminose tonalità del verde, dell’azzurro e del rosa dei primi due pannelli. Esso è cupo e buio, incendiato nella parte superiore, rischiarato come da ambigua luce artificiale in quella inferiore.
Ma, anche volendo rimanere così in superficie, la narrazione non è così lineare. Se si osserva bene il primo pannello, sotto le figure di Cristo, di Adamo e di Eva, l’inferno sembra aprirsi un varco nel paradiso stesso e, con gli stessi bagliori sinistri, fa emergere mostri e bestie di ogni tipo.
Questa, come la maggior parte delle opere di Bosch, è un brulicare impazzito di animali di tutte le specie, reali e fantastici, magnifici e più spesso inquietanti, grotteschi o addirittura ripugnanti e terrificanti. Un ritorno ai bestiari medievali, nei quali ogni animale, vero o di fantasia, aveva un particolare e riconosciuto significato simbolico, morale o religioso?
L’elenco delle diverse letture di quest’opera è lunghissimo, e il tono irrimediabilmente contraddittorio. Esse oscillano dall’interpretazione moralistica e didascalica a quella esoterica, dalle letture in chiave onirica e psicoanalitica, che vi vedono un’umanità tormentata dall’ansia di dar sfogo agli impulsi repressi dell’inconscio, a quelle in chiave satirica e grottesca.
Tante scene di questo dipinto sono state decifrate attraverso ricerche laboriose in una gran quantità di campi: filosofia, religione, filologia, storia del diritto, folklore, letteratura, alchimia, astrologia e via dicendo. Questo deriva dal fatto che le simbologie contenute in queste opere hanno conseguito una complessità tale, che la loro spiegazione appare, sotto certi aspetti, interminabile: essa non arriverà mai a un contenuto univocamente determinato. Tale complessità crescente di significato ha finito per implodere su se stessa e per far perdere all’immagine la possibilità di essere decifrata.
Questa è ciò che il filosofo, storico e saggista Michel Foucault, nella sua Storia della follia, chiama “ascesa della follia sull’orizzonte della Renaissance”. Essa nasce dal disfacimento del simbolismo gotico, all’interno del quale la rete dei significati spirituali era chiara e riconoscibile. A un certo punto quella rete ha cominciato a sfilacciarsi, a confondersi, quei significati a moltiplicarsi, a sovraccaricarsi, tanto che è diventato impossibile attribuire all’immagine un significato immediato e riconoscibile. Così quelle figure si sono “liberate” dalla necessità di rimandare ad “altro da sé”, cioè di essere “simbolo”; di conseguenza hanno cessato di insegnare, di ricordare e sono diventate delle forme vuote, fantastiche, affascinanti per la loro sorprendente e spettacolare immaginazione, hanno cominciato a brulicare, a moltiplicarsi, a gravitare intorno alla propria follia.
È più o meno la stessa conclusione del gesuita e storico francese Michel de Certeau, secondo il quale “il quadro si organizza in maniera da ‘provocare e deludere’ ogni traiettoria interpretativa” e che “la tracimante pienezza dei dettagli, colmando ogni particola di spazio, tuttavia determina un vuoto, e non un pieno, di significato”. (De Certeau)
Il dipinto, con la sua esorbitante abbondanza di figure e di stranezze, è come uno sterminato rebus, che gioca con il nostro bisogno di decifrare, facendo leva sulla pulsione tutta occidentale di leggere, cioè di attribuire narrazioni e significati, a ogni cosa.
Porsi di fronte a questo Trittico è come compiere un viaggio in un labirinto: l’occhio erra sull’opera attraverso innumerevoli direzioni. La visione di quest’opera si compie come un’esperienza di smarrimento. Percorrendola si moltiplicano gli incontri, squisiti piaceri per lo sguardo vagabondo, ma tutte queste delizie non sono che effimere tappe di un viaggio privato di senso, perché quanti più dettagli, e forme e scene lo spettatore acquisisce, tanto più il quadro complessivo si fa opaco e oscuro. L’opera si nasconde nel proliferare impazzito di elementi. Il suo significato si cela mostrandoli, il quadro “organizza esteticamente una perdita di senso” (De Certeau).
Secondo De Certeau, in breve, quest’opera, facendo credere con la sua complessità di nascondere sensi e significati reconditi, sarebbe nata solo per suscitare il mero “piacere di vedere”. Pur esistendo sicuramente strutture e rimandi simbolici e allegorici, il tutto risponde a una funzione sostanzialmente estetica.
Conclusioni simili, seppure raggiunte partendo da un’impostazione notevolmente diversa, le troviamo nelle parole di Massimo Cacciari, introduttive all’edizione italiana di due piccole opere di un altro studioso di Bosch, W. Fränger. Il filosofo sottolinea la polivalenza dei simboli, la loro provenienza da fonti diverse e spesso lontane. Cacciari definisce le opere di Bosch opere-crisi terminali di un complesso periodo storico, le quali combinano tradizioni filosofiche, religiose, iconologiche di provenienza disparata. Il che, tuttavia, non è testimonianza di superficiale eclettismo, “ma attiene alla natura del simbolo, ai modi in cui il simbolo opera. La sua spiegazione appare perciò, sotto certi aspetti, “interminabile”: essa non darà mai capo a una solida sostanza, a un contenuto univocamente determinato. Gli elementi del simbolo racchiudono polarità in continua metamorfosi”.
L’epoca di Bosch si situa nel passaggio dalle visioni del mondo medievale a quelle della primissima modernità (scandita da eventi come la scoperta di nuovi continenti e l’invenzione della stampa, per non parlare dei fermenti che anticipano la Riforma protestante). Questo passaggio è un periodo di crisi, che comporta anche l’elaborazione di un immaginario nuovo. In questo contesto, dunque, l’animalità, non funziona più da allegoria e da insegnamento morale, ma affascina l’uomo con il suo disordine, il suo furore, il suo nonsense, la sua ricchezza di mostruose impossibilità. Questa animalità inquietante e spaventosa svela il lato oscuro, l’irrazionalità e la follia che albergano nel cuore dell’uomo alle soglie della modernità.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
- Bussagli M., Bosch, in “Art Dossier”, Giunti, Firenze, 1995.
- Carotenuto A., Il fascino discreto dell’orrore. Psicologia dell’arte e della letteratura fantastica, Bompiani, Milano,1997.
- M.de Certeau, Fabula Mistica, Jaca Book, Milano 2008.
- Cristante S., L’icona che delira. Esplorazione del Trittico delle delizie di Hieronymous Bosch, H-ermes. Journal of Communication 4 (2015), 243-311.
- Foucault M., Storia della follia, Rizzoli 1963.
- Fränger W., Le tentazioni di Sant’Antonio (con un saggio introduttivo di M. Cacciari, dal titolo Il mutus liber di Hieronymus Bosch), Milano 1981.
- Sebenico S., I mostri dell’Occidente medievale: fonti e diffusione di razze umane mostruose, ibridi ed animali fantastici, Università degli Studi di Trieste, A.A.2005.
In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC e con Finestre su Arte, Cinema e Musica
http://www.milanoplatinum.com/hieronymus-bosch-e-il-bestiario-della-follia.html
Se l'uomo del Rinascimento è il signore della natura e della storia, e con la sua razionalità riesce a disciplinarle e a costruire città ideali, Bosch (e l'Europa settentrionale) è ancora legato a una visione "gotica" dell'esistenza, dove l'uomo è continuamente alle prese con le minacce ostili di forze più grandi di lui, una creatura debole perennemente tentata dal maligno che lo svia dalla salvezza. Tuttavia, trovo che le ipotesi interpretative di Foucault, De Certeau e Cacciari siano da prendere in considerazione, in quanto nell'opera di Bosch il proliferare caotico e il sovrapporsi di così tante figure ed elementi segnano anche il progressivo venir meno del significato che gli stessi avevano nell'epoca precedente. Quella folla di figure, cioè, sarebbe segno di una sorta di svuotamento simbolico e di una predilezione per la resa estetica. Lo dimostra il fatto che questo tipo di opere all'epoca (come anche oggi) riscuotessero molta fortuna, proprio perché offrivano uno spettacolo inesauribile di forme e di narrazioni, quasi un Le mille e una notte dell'orrore.
*_Artisticamente citando_*
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