L’INFLUENZA DELLA RICERCA IN DIDATTICA SULLA VALUTAZIONE
Quarto appuntamento con il tema della valutazione.
Dopo Ivo Mattozzi, Tiziano Pera, Paola Traverso, interviene Martha Isabel Fandiño Pinilla.
Introduce Bruno D'Amore.
Competenze.
Sembra impresa facile verificare lo stato degli apprendimenti degli studenti, ma non lo è affatto; non solo perché è difficile riscontrare paradigmi oggettivi, che è stato il sogno di alcuni decenni fa, ma perché dietro le risposte e gli atteggiamenti degli studenti si nascondono maglie apprenditive di una complessità enorme; e poi, che cosa esattamente si valuta?
Quel che il bambino sa, quel che sa fare, come si pone di fronte a questi saperi?
Come li usa, a proposito o no? E poi, non sarà che quel che dimostra di aver appreso dipende da come noi gli chiediamo quel che ha appreso?
Da come noi ci poniamo sul vertice insegnante, nello schema d’aula: insegnante, sapere, alunno?
I suoi ruoli sono definiti dalle nostre richieste?
Ha la libertà di creare, di inventare, di proporre…
o gli diamo solo l’opportunità di rispondere pedissequamente a quel che ci aspettiamo da lui?
Il tema è complesso, ma va affrontato in modo consapevole e opportuno.
Per questo, "La Vita Scolastica" ha deciso di dedicare tempo e sforzi a questo delicato aspetto della didattica; come prima mossa, abbiamo deciso di chiedere alcuni interventi a specialisti, tanto per cominciare a rompere il ghiaccio. Seguiranno altri interventi programmati e, spero, molti spontanei, da parte dei lettori. - Bruno D'Amore
L’influenza della ricerca in didattica sulla valutazione
di Martha Isabel Fandiño Pinilla
Fare e voler fare.
La competenza è oggi riconosciuta come qualche cosa di più che una conoscenza, ben di più che un “saper fare in un dato contesto”, come vari autori la definivano al momento iniziale del dibattito, qualche decennio fa. La competenza implica anche un “voler fare”, dunque chiama in causa fatti affettivi, come volizione e atteggiamento.
D’altra parte, il desiderio di conoscere è una necessità implicita dell’essere umano; tutto in lui è indirizzato alla conoscenza, fin dai suoi primi passi nel mondo (in senso non solo metaforico).
La tensione umana non è indirizzata solo al comunicare, come talvolta si sente dire (l’uomo come animale comunicativo), dunque; in più, egli può/vuole trasformare il sapere appreso in un nuovo sapere, quello che gli permette di processare le informazioni possedute e cercare quelle che gli permettono di risolvere una nuova situazione problematica, se ha deciso di affrontarla.
Man mano che si soddisfa una necessità e in base a come questa necessità è soddisfatta, sorge una necessità nuova; è il gruppo sociale nel quale si trova inserito l’individuo e nel quale si trova ad agire, che determina in larga misura necessità e priorità che devono essere soddisfatte.
L’analisi e il trattamento di questa problematica si assume all’interno di quel che tutta la società chiama Educazione. Ma la possibilità che dentro a un gruppo sociale sorgano forme di espressione complesse, tanto intellettuali quanto estetiche o etiche, dipende in larga parte dallo sviluppo cognitivo dei suoi membri e dal modo in cui questi affrontano problemi facendo, dell’integrazione dei diversi saperi e delle motivazioni, una costante.
Alla base di questa costante d’azione, c’è un processo psichico-intellettuale che potremmo identificare con la coppia motivazione-volizione.
Oggi si tende a vedere questi due processi come facce opposte di una stessa medaglia:
la motivazione ha come agente responsabile l’insegnante e dunque come soggetto dell’azione l’allievo; la volizione ha come responsabile lo studente, la sua volontà di apprendere. Su questi due termini si fa spesso confusione, accusando per esempio l’allievo di non essere motivato, cioè confondendo agente e agito.
C’è competenza e competenza…
Anche sulla competenza a volte non si fanno opportune distinzioni; nel campo della matematica, per esempio, è bene distinguere tra due tipologie, la competenza in matematica e la competenza matematica. La competenza in matematica si centra nella disciplina matematica, riconosciuta come scienza costituita, come oggetto proprio, specifico, di conoscenza. La competenza matematica si riconosce quando un individuo vede, interpreta e si comporta nel mondo in un senso matematico.
L’insegnante deve avere prima di tutto lui stesso competenza in matematica ed essere cosciente della problematica della competenza matematica. Oltre alla conoscenza della disciplina che insegna e della teoria della didattica specifica di quella disciplina, gli si deve richiedere una volontà e una capacità comunicative reali, per esempio quelle di saper / voler spiegare il mondo da un punto di vista matematico, senza forzarne i problemi, facendo sì che la matematica vi appaia in modo naturale.
La costante nell’azione dell’insegnante deve essere la rottura dell’equilibrio che si genera come punto di partenza per l’apprendimento, canalizzata nella direzione adeguata affinché essa si costituisca realmente in un apprendimento da parte dello studente. Lo scopo è quello di proporre situazioni di apprendimento che superino la risposta a un continuo interrogatorio (scritto o orale, in modalità diverse) e si convertano invece nella soddisfazione di una spontanea valorizzazione ed evidenziazione della propensione verso necessità, gusto, desiderio di sapere da parte dell’allievo.
Per giungere a un apprendimento che si converta in una competenza del primo tipo (competenza in matematica) da parte dell’allievo, l’azione didattica non può essere lineare né può banalmente ridursi a una sequenza di fasi che vanno (come si dice banalmente a volte) dal semplice al complesso, dato che in questo modo prende forza l’idea di una scala didattica forzata e troppo rigida. Si richiede una serie di nuovi e reiterati incontri con il sapere matematico, nei quali la riarticolazione sia proposta come parte di questo sapere organico e strutturato e non come una somma di saperi slegati e banali.
Alcuni suggerimenti pratici
Tenterò di riassumere in pochi punti la metodologia che, a mio avviso, in qualche modo privilegia lo sviluppo della competenza matematica.
- Lavorare su situazioni problematiche a-didattiche prese dalla realtà (quella dell’allievo, non necessariamente stereotipata).
- Organizzare lo sviluppo curricolare sulla base dei processi e non solo dei prodotti; questo delicatissimo punto va fatto capire allo studente.
- Proporre lavoro di aula sufficientemente ricco e stimolante, affinché l’elaborazione mentale che si richiede per affrontare il lavoro prosegua fuori dal tempo e dallo spazio scolastici.
- Stimolare la creatività e l’immaginazione degli studenti mediante diverse attività matematiche, tenendo presente che non sono i contenuti in sé stessi a costituire la meta da raggiungere tramite la scuola, ma che essi sono la base per costruzioni di livello educativo e culturale più alto.
- Riconoscere le concezioni che l’allievo ha elaborato in relazione alla matematica, il suo insegnamento e il suo apprendimento; un’idea stereotipata della matematica e della forma in cui la si presenta in aula, annullano un lavoro destinato allo sviluppo della competenza.
La valutazione viene allora a essere vista come il processo di analisi delle situazioni d’aula, in tutte le sue componenti: il curricolo, l’efficacia dell’azione dell’insegnante (insegnamento), l’allievo (apprendimento).
Ha senso evidenziare che l’allievo è tanto responsabile del processo di valutazione quanto lo sono l’insegnante o la società, se è vero che è l’allievo competente ad essere giudicato, dunque ad essere giudice e giudicato all’un tempo.
Per saperne di più
Fandiño Pinilla M.I. (2002). Curricolo e valutazione in matematica. Bologna: Pitagora.
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