DANTE E L'ALLEGORIA
Uno dei motivi per cui gli
intendimenti di Dante - e di numerosi altri autori suoi contemporanei - restano
in parte IMPENETRABILI, è l'USO INTENSIVO DELL'ALLEGORIA, ovvero di SOVRAPPORRE
AL SENSO LETTERALE UN SENSO SUPERIORE, MORALE, ETICO O TEOLOGICO. Questa
modalità di espressione, che menti culturalmente deboli sul medioevo hanno
fatto degenerare nei secoli in esoterismi ingegnosi quanto lambiccati, risultò
indigesta anche a molti contemporanei. Un caso è quello del notaio valdelsano
Francesco da Barberino, contemporaneo e conoscente di Dante, già incontrato
varie volte nei nostri post.
Francesco critica l'uso
dell’allegoria, un ARTIFICIO RETORICO IN CUI DANTE SI RIVELÒ MAESTRO in larga
parte della sua produzione lirica, oltre naturalmente che nel poema sacro,
trascendendo a volte intenzionalmente nel cd. ‘PARLARE OSCURO’ o ‘PARLAR
COVERTO’.
IL DA BARBERINO CONTESTA
APERTAMENTE IL RICORSO A SIMILI TECNICISMI ESPRESSIVI CHE VELINO IL SIGNIFICATO
LETTERARIO, specie se in associazione con l’uso della rima:
NON VO’ CHE SIA LO TUO PARLARE
OSCHURO
ACCIÒ CH’AVERE A MENTE
con ogni donna possa dimorare;
né parlerai rimato
acciò che non ti parta
per forza di rima
del proprio intendimento
Reggimento e costumi di donna,
367 e segg.
Altri Passaggi su:
www.lavitadidante.it
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