La Quercia e le Canne.
Ancora un MONITO DAL MONDO DELLE PIANTE: chi muore combattendo è più felice di chi rimane in vita cedendo di fronte al più forte e accontentandosi di una miserabile vita.
Il vento sradicò una quercia e la gettò nel fiume. Essa, mentre veniva trascinata, chiese alle canne: “Perché voi, essendo deboli e sottili, non venite sradicate dai venti violenti?”. Queste risposero: “Voi combattete con i venti e venite sradicati; noi invece, piegandoci a qualsiasi vento, rimaniamo illese”. E la quercia disse: “Allora preferisco la morte a una vita miserabile: io infatti muoio avendo combattuto libera, voi invece salvate la vita cedendo a qualsiasi potere e a qualsiasi forza”.
L'altra riflessione che potrebbe ispirare questa favola sempre moderna potrebbe essere questa: "Se, nella vita, tieni troppo duro, tutti sono tentati di spezzarti; ma se cedi facilmente, non ci trovano gusto, e ti lasciano in pace" ma non so quanto possa essere valida in tempi più moderni...
*Esopo è considerato l’iniziatore della favola come forma letteraria scritta. Le favole di Esopo si possono descrivere come archetipiche; la stessa definizione corrente di "favola" è basata principalmente sulla favola esopica. Si tratta di componimenti brevi, in genere con personaggi che sono animali personificati, con lo scopo esplicito di comunicare una morale. Molte di queste favole sono talmente celebri da aver acquisito nella cultura moderna il ruolo di proverbio.
Le Favole di Esopo [Per "Favole di Esopo" (in lingua greca: Αἰσώπου μῦθοι) si intende la raccolta di 358 favole contenute nell’edizione critica curata da Émile Chambry costituite probabilmente da un nucleo primario di favole a cui nel corso dei secoli se ne sono aggiunte altre di varia origine] è, insieme alla Bibbia, il libro illustrato con più continuità dall’inizio della storia della stampa. Diversamente dalla Bibbia, però, è di argomento laico e questo ha fatto sì che sia stato anche illustrato con grande diversità e libertà nel corso dei secoli. [...]
***********************
Nella seconda favola di J. De La Fontaine**, il quale si è ispirato al suo predecessore greco, la superba quercia si crede fortunata con la cresta sempre esposta al sole e incurante del vento, più in gamba della canna che, invece, è costretta ad abbassare la testa. La canna sembra essere la più debole, ma a conti fatti risulta più forte della quercia, perchè si piega senza spezzarsi. La quercia, invece, per quanto robusta può venire sradicata. Anche qui ritorna il tema del rigore morale, ma pure quello del giudizio, delle apparenze e non ultimo della perseveranza: la quercia infatti, può resistere ai forti venti e agli uragani per un tempo limitato in quanto troppo esposta. La duplice morale che ci suggerisce la favola di la Fontaine potrebbe essere questa: fare resistenza ingrandisce l'orgoglio ma spezza i rami della perseveranza.
Non giudicare mai dalle apparenze, non essere rigidi, ma sapere, al momento opportuno scegliere di piegarsi per "vincere".
Guardando alla vita di La Fontaine (nonostante fosse di spirito indipendente, visse quasi sempre sotto la protezione dei nobili dell'epoca) si può avere la percezione di questa favola in termini meno "rigidi" rispetto al giudizio morale sulle canne... Un proverbio sicilano dice "calati juncu, passa la china" che vuol dire "piegati giunco, sta per arrivare la piena" (dopo che la piena sarà passata, il giunco si raddrizzerà).
Rimangono dopo aver letto entrambe le favole gli stessi interrogativi: vince nella vita chi ha talvolta l'umiltà di piegarsi, ed è questa la vera forza, oppure la forza sta nel rigore morale e nella perseveranza?
Si vince alla lunga distanza e vincere è resistenza o anche nella morte c'è una vincita seppure meno manifesta? Ma soprattutto mi vien da pensare... davvero alla fine conta chi vince? E cosa mai si vince?
Si vince alla lunga distanza e vincere è resistenza o anche nella morte c'è una vincita seppure meno manifesta? Ma soprattutto mi vien da pensare... davvero alla fine conta chi vince? E cosa mai si vince?
"La Canna e la Quercia"
di J.De La Fontaine
Disse la Quercia ad una Canna un giorno:
- Infelice nel mondo è il tuo destino:
non ti si posa addosso un uccellino,
né un soffio d’aria ti svolazza intorno,
che tu non abbia ad abbassar la testa.
Guarda me, che gigante a un monte eguale,
non solo innalzo contro il sol la cresta,
ma sfido il temporale.
Per te sembra tempesta ogni sospiro,
un sospiro a me sembra ogni tempesta.
Pazienza ancor, se concedesse il Cielo
che voi nasceste all’ombra mia sicura:
ma vuole la natura
farvi nascer di solito alla riva
delle paludi, in mezzo ai venti e al gelo.
- La tua pietà capisco che deriva
da buon cuore, - rispose a lei la Canna. -
Il vento che mi affanna
mi può piegar, non farmi troppo male,
ciò che non sempre anche alle querce arriva.
Tu sei forte, ma chi fino a dimani
può garantirti il legno della schiena? -
E detto questo appena,
il più forte scoppiò degli uragani,
come il polo non soffia mai l’uguale.
La molle Canna piegasi,
e resiste la Quercia anche ai più forti
colpi del vento, per un po’, ma infine
sradica il vento il tronco,
che mandava le foglie al ciel vicine,
e le barbe nel Regno imo dei morti.
Favole classiche - J.De La Fontaine (Libro I favola XXII)
Traduzione di Emilio De Marchi (XIX secolo)
**Jean de La Fontaine (Château-Thierry, 8 luglio 1621 – Parigi, 13 aprile 1695) è stato uno scrittore e poeta francese, autore di celebri favole con intenti moralisti.
Le sue favole, popolate da animali parlanti ma ricche di riferimenti critici e ironici al potere, sono caratterizzate da uno stile allo stesso tempo raffinato e semplice, e vengono considerate capolavori della letteratura francese. Nonostante fosse di spirito indipendente, visse quasi tutta la sua vita sotto la protezione dei nobili dell'epoca. A Parigi, prese a condurre una vita piuttosto oziosa entrando sotto la protezione di Nicolas Fouquet, politico in auge a quell'epoca che amava circondarsi di letterati; per compiacerlo, la Fontaine scrisse per lui varie opere.Quando però Fouquet cadde in disgrazia, La Fontaine coraggiosamente prese le parti del suo protettore scrivendo in sua difesa L'elégie aux nymphes de vaux: questo lo fece cadere a sua volta in disgrazia e in gravi difficoltà finanziarie. Poco tempo dopo, divenne "gentiluomo servente" sotto la protezione di Madame d'Orleans di Lussemburgo e dopo la morte di questa passò sotto la protezione di Madame de la Sablière, intenditrice di filosofia e scienza, il cui salotto era frequentato dai personaggi più ingegnosi dell'epoca. Frequentò letterati del calibro di Jean Racine, Molière e Madame de La Fayette. Nel 1683 fu eletto membro dell'Académie Française. Morta la sua protettrice, il poeta, fece pubblica sconfessione dei suoi Racconti e si dedicò a ferventi pratiche religiose.(wikipedia)
Nessun commento:
Posta un commento