Ronald David Laing,
Siamo nati in un mondo dove ci aspetta l'alienazione.
Siamo uomini potenzialmente, ma siamo in uno stato alienato
e questo stato non è semplicemente un sistema naturale.
L'alienazione, a cui oggi siamo destinati, è stata raggiunta solo tramite l'oltraggiosa violenza perpetrata da esseri umani ai danni di altri esseri umani.
Ronald David Laing, La politica dell'esperienza, 1967
Ronald David Laing (1927 – 1989), psichiatra britannico.
Se la specie umana sopravviverà, gli uomini del futuro considereranno la nostra epoca illuminata, immagino come un vero e proprio secolo d'oscurantismo. Saranno indubbiamente capaci di apprezzare l'ironia di questa situazione in modo più divertente di noi. È di noi che rideranno. Sapranno che ciò che noi chiamiamo schizofrenia era una delle forme sotto cui – spesso per il tramite di gente del tutto ordinaria – la luce ha cominciato a filtrare attraverso le fessure delle nostre menti chiuse. La follia non è necessariamente un crollo (breakdown); essa può essere anche una apertura (breakthrough)... L'individuo che fa l'esperienza trascendentale della perdita dell'ego può e non può perdere l'equilibrio, in diversi modi. Può allora essere considerato come pazzo. Ma essere pazzo non è necessariamente essere malato, anche se nel nostro mondo i due termini sono diventati complementari... Dal punto di partenza della nostra pseudosalute mentale tutto è equivoco. Questa salute non è una vera salute. La pazzia dei nostri pazienti è un prodotto della distruzione che imponiamo a loro e che essi impongono a se stessi. Nessuno immagini che ci imbattiamo nella vera pazzia, cosí come non siamo veramente sani di mente. La pazzia con cui abbiamo a che fare è un grossolano travestimento, una falsa apparenza, una grottesca caricatura di ciò che potrebbe essere la guarigione naturale da questa strana integrazione. La vera salute mentale implica in un modo o nell'altro la dissoluzione dell'ego normale...
Ronald David Laing, La politica dell'esperienza
CREATIVITA'
Se durante il periodo degli studi i giovani venissero stimolati a mettere in dubbio i dieci comandamenti, la santità della religione rivelata, il patriottismo, le leggi del profitto, il bipartitismo politico, la monogamia, e cosí via....ci sarebbe tanta di quella creatività che la società non saprebbe a che santo votarsi.
Ronald David Laing, La politica dell'esperienza
L'educazione non é mai stato uno strumento per rendere liberi la mente e lo spirito dell'uomo, ma, al contrario, per costringerli.
Ronald David Laing, "La politica dell:esperienza"
La persona "normalmente" alienata, per il fatto di agire più o meno come tutti gli altri, é presa per sana. Le altre forme di alienazione che non stanno al passo con lo stato di alienazione predominante sono quelle che vengono etichettate dalla maggioranza "normale" come nocive o folli.
La condizione di alienazione, quella di essere un dormiente, inconsapevole, fuori di sé, é la condizione dell'uomo normale.
La società fa un gran conto del suo uomo normale: educa i fanciulli a smarrire sé stessi e a divenire assurdi e ad essere, così, normali.
Ronald David Laing, "La politica dell'esperienza"
PERCHÉ PIACERE AGLI ALTRI?
Ricorre frequentemente l'accenno alla "stima degli altri".
Si suppone che, quale ragione di vita, un individuo desideri ottenere "il piacere della stima e dell'affetto degli altri", altrimenti é uno psicoticopatico.
Questa affermazione é, in un certo senso vera: descrive la creatura spaventata, domata, abbietta che siamo ammoniti ad essere se vogliamo essere considerati "normali", offrendoci l'uno l'altro protezione dalla nostra stessa violenza.
Ronald David Laing, "La politica dell'esperienza"
Molti di noi non sanno, o anche non vogliono credere, che ogni notte entriamo in zone del reale nelle quali scordiamo la vita di veglia con la stessa regolarità con la quale, svegliandoci, dimentichiamo nostri sogni.
Ronald David Laing, "La politica dell'esperienza"
Ricorre frequentemente l'accenno alla "stima degli altri".
Si suppone che, quale ragione di vita, un individuo desideri ottenere "il piacere della stima e dell'affetto degli altri", altrimenti é uno psicoticopatico.
Questa affermazione é, in un certo senso vera: descrive la creatura spaventata, domata, abbietta che siamo ammoniti ad essere se vogliamo essere considerati "normali", offrendoci l'uno l'altro protezione dalla nostra stessa violenza.
Ronald David Laing, "La politica dell'esperienza"
Molti di noi non sanno, o anche non vogliono credere, che ogni notte entriamo in zone del reale nelle quali scordiamo la vita di veglia con la stessa regolarità con la quale, svegliandoci, dimentichiamo nostri sogni.
Ronald David Laing, "La politica dell'esperienza"
Mentre era ancora a Chicago, Laing fu invitato da alcuni medici per esaminare una ragazza diagnosticata come schizofrenica.
La ragazza era rinchiusa in una cella imbottita in un ospedale speciale, e lì stava seduta nuda, trascorrendo l'intera giornata a dondolarsi avanti e indietro.
I medici chiesero a Laing la sua opinione.
Che cosa avrebbe fatto con lei?
Inaspettatamente,
Laing
si denudò lui stesso
ed entrò nella sua cella,
le si sedette accanto,
dondolando al suo ritmo.
Dopo circa venti minuti
la ragazza
cominciò a parlare,
cosa che non aveva fatto
da diversi mesi.
I medici erano stupiti.
"'Forse
non vi è mai venuto in mente
di fare questo?'
Laing commentò
in un secondo momento,
con finta ingenuità.
Da quel (poco) che ho letto in suo proposito sembra che non facesse differenza fra un sè e un loro.
E' chiaro che viene da pensare che stia comunicando con lei, e di fatto questo avviene.
Ma c'è un altro piano di comunicazione, meno visibile:
sta comunicando anche con i colleghi che assistono.
Noi vediamo la sua (non nostra) comunicazione con lei, in tal modo incarniamo coloro che assistono.
Pensiamo che stia usando una 'tecnica', ma mettersi nelle condizioni della ragazza non è tanto facile, soprattutto se bisogna 'denudarsi'.
Fra lui e lei non c'è più differenza, lui vede loro (i suoi colleghi) come li vede lei.
E loro sono costretti a vedere se stessi in lui perché collega, ed allo stesso tempo lui uguale a lei.
Lui ha 'potuto' fare quel gesto, loro no. Lui può denudarsi e dondolarsi, 'può', loro sono impediti a fare una azione simile.
Non poterlo fare è un impedimento.
Lui non ha impedimento, in tal modo anche il gesto della ragazza diventa un 'non impedimento'. Loro due possono, gli altri non possono.
Quale delle due parti dunque è veramente 'pazza'?
Lui beveva, si drogava, la sua famiglia si lamentava di lui, diceva "si occupa di tutti ma non è capace di occuparsi di noi', sua figlia è scritto che abbia detto di lui 'è merda':
eppure fu un grande.
Io non parlerei di scendere a loro livello.. si tratta di ricalco.. che produce empatia ..
quindi si crea fiducia riconoscendosi ..e si comunica
A me vengono in mente le urla di una ragazza schizofrenica che ho conosciuto tanti anni fa in una comunità terapeutica che credeva di avere la polizia nella pancia ed io per tranquillizzarla le ho proposto di andare in farmacia a prendere una purga per liberarsi di questo corpo estraneo . La mia proposta sortì un grande effetto nella ragazza e mentre da sola si liberava dentro al bagno facendo rumori strani , io mi trovavo dietro la porta ad imitare, seguendo quei rumori il suono delle sirene. La ragazzo cominciò a ridere tanto e così tornammo a parlare.
Ecco come si esprime Ronald Laing, psichiatra scozzese (1927/1989) uno degli esponenti più noti del movimento antipsichiatrico, su una parte della psichiatria che considera violenta e distruttiva..
...“come può uno psichiatra considerare direttamente il paziente per descriverlo, se il vocabolario psichiatrico a sua disposizione serve solo a tenerlo a distanza? I termini del vocabolario tecnico corrente, infatti hanno o l’una o l’altra di queste proprietà: o si riferiscono. ad un uomo in isolamento rispetto agli altri e al mondo (cioè ad una entità ,la cui qualità essenziale non è quella di essere in rapporto con gli altri e col mondo) o si riferiscono ad aspetti falsamente elevati a sostanza di questa entità isolata..
Ronald Laing,psichiatra scozzese, 1927 –1989 dell'Antipsichiatria, L'io diviso
"Quelli che pensano di conoscere bene tutto questo, lo considerano come un sistema di violenza e di controviolenza. In realtà uomini chiamati chirurghi del cervello hanno ficcato coltelli nel cervello di centinaia di migliaia di persone negli ultimi venti anni: persone che probabilmente non hanno mai usato un coltello contro nessuno. Forse hanno rotto qualche finestra, talvolta hanno urlato, ma hanno fatto molte meno vittime del resto della popolazione; molte, molte di meno, se si considerano le distruzioni in massa delle guerre, dichiarate e non dichiarate, volute dai membri "sani" della società"
Ronald Laing
Ronald Laing
L'io diviso è un saggio di psichiatria, considerato l'opera più importante di Ronald Laing,
psichiatra e filosofo scozzese.
Titolo originale The Divided Self
Autore Ronald Laing
1ª ed. originale 1955
Genere Psichiatria
Il falso io si forma nella sottomissione alle intenzioni e aspettative degli altri, vere o immaginarie. L'elemento essenziale della componente di sottomissione presente nel falso io é ben espresso nella frase di James:
"io sono soltanto una risposta a ciò che gli altri dicono che io sono".
Ronald David Laing, "L'io diviso"
"Taluni soggetti hanno una notevole attitudine a tenere gli altri legati in catene.
Sembra che ciò avvenga, per lo più, del tutto inconsciamente ed é impressionante vedere quanto sia difficile, in molti casi, per l'autore di simili trame, di rendersi conto di esse e di ammetterle".
Ronald David Laing, "L'io e gli altri - Psicopatologia dei processi interattivi"
La gamma di ciò che pensiamo e facciamo
è limitata da ciò che non riusciamo a notare.
E finché non riusciamo a notare
ciò che non riusciamo a notare
c'è poco che possiamo fare
per cambiare
fino a quando notiamo
come non riusciamo a notare
le forme dei nostri pensieri e azioni.
Ronald David Laing
La donna ha bisogno di un figlio che le conferisca la sua identità di madre.
L'uomo ha bisogno di una moglie per essere marito.
Un amante, senza la persona amata, è soltanto un amante potenziale.
Questa è la fonte della nostra tragedia, o della nostra commedia, a seconda dei punti di vista.
La maggior parte delle identità richiedono la presenza di un altro.
L'altro, per parte sua, tramite le proprie azioni, può imporre all'io una identità non desiderata: è probabile che al marito tradito, tale identità venga imposta contro il suo volere.
Ronald David Laing, L'io e gli altri
In un sogno la paziente veniva spinta in un angolo da un uomo che tentava di assalirla.
Pareva che non avesse scampo. Era alla fine delle forze quando, sempre in sogno, cercò di rifugiarsi in una coscienza sveglia, ma seguitò ad essere stretta contro il muro e, stavolta, era anche peggio, perché era una cosa reale. Così si rifugiò di nuovo nel sogno che “si trattava, in ogni caso, soltanto di un sogno”.
Ronald Laing, L’io e gli altri
"Stanno giocando a un gioco. Stanno giocando a non giocare a un gioco. Se mostro loro che li vedo giocare, infrangerò le regole e mi puniranno. Devo giocare al loro gioco, di non vedere che vedo il gioco."
Ronald David Laing, Nodi - Paradigmi di rapporti intrapsichici e interpersonali, 1970, ed.it. Einaudi 1974 pag.5.
La capacità di sentirsi autonomo significa che si è riusciti a rendersi conto di sé come persona separata da tutti gli altri. Per quanto profondamente io sia legato, nella gioia o nel dolore, a un'altra persona, questa non è me né io sono lei. Per quanto ci si possa sentire soli o tristi, si può continuare a esistere anche da soli. Il fatto che l'altra persona, nella sua realtà, non sia me, sussiste accanto all'altro fatto, ugualmente reale, che il mio attaccamento per lei fa parte di me, così che se muore o parte l'attaccamento persiste anche senza di lei. Ma io non posso morire la morte di un altro in sua vece, nè lui può morire la mia. Anzi, come nota Sartre a proposito di questo pensiero di Heidegger, lui non può amare in vece mia, o prendere le mie decisioni, e ugualmente io non posso fare queste cose per lui. In breve, lui non può essere me e io non posso essere lui.
Ma se l'individuo non si sente autonomo, allora egli non può sentire in modo normale nè la sua separazione né la sua relazione con l'altro. La mancanza del senso di autonomia implica che egli senta il proprio essere avvolto nell'altro, o viceversa, in modo da trasgredire la realtà della struttura dei rapporti umani. Significa che in luogo di un senso di rapporto e di attaccamento nei confronti dell'altro, fondato su una genuina reciprocità, si ha la sensazione di essere in uno stato di dipendenza ontologica, cioè che si dipende dall'altro per esistere, e che il totale distacco, il completo isolamento è la sola alternativa ad un'attaccamento da ostrica, o da vampiro, in cui il sangue e la vita dell'altro sono necessari per la propria sopravvivenza, ma al tempo stesso la mettono in pericolo. Perciò, anziché la separazione e il rapporto, i due poli sono il completo isolamento e la completa fusione dell'identità. L'individuo è in perpetua oscillazione fra questi estremi, entrambi ugualmente impossibili, e si trova, alla fine, a vivere non diversamente da quei giocattoli meccanici provvisti di un tropismo positivo che li spinge verso uno stimolo, fino a raggiungere un dato punto; al che un tropismo negativo, che hanno dentro, li dirige in senso opposto finché di nuovo il tropismo positivo non abbia ripreso il sopravvento, e così all'infinito
Ronald David Laing,, "L'io diviso"pag. 46 - 47
[Estratto su autonomia e dipendenza].
Un uomo che dice che gli uomini sono macchine può essere un grande scienziato, ma uno che dice di essere lui stesso una macchina è, nel gergo psichiatrico, 'spersonalizzato'.
Ronald David Laing
[Estratto su autonomia e dipendenza].
Un uomo che dice che gli uomini sono macchine può essere un grande scienziato, ma uno che dice di essere lui stesso una macchina è, nel gergo psichiatrico, 'spersonalizzato'.
Ronald David Laing
Dall'uomo all'uomo vero, il cammino passa attraverso l'uomo folle.
Michel Foucault
"(...) Scopo fondamentale di questo primo studio, (...), è di rendere comprensibile la pazzia, e comprensibili i processi che ad essa conducono.
(...) Un altro scopo del libro è di descrivere alcune forme di follia col linguaggio di tutti i giorni, e in termini esistenziali: (...)”
[Prefazione dell’autore all’edizione originale, p. 13]
“(...) è possibilissimo capire gli psicotici. (...) la necessità di capire il loro contesto sociale, e particolarmente la distribuzione del potere nella loro famiglia: (...)
Freud ha detto che la nostra è una civiltà repressiva, (...)
La nostra civiltà non reprime soltanto gli "istinti" o la sessualità, ma anche ogni forma di trascendenza. Fra uomini a una dimensione non c'è da meravigliarsi se qualcuno, avendo esperienze insistenti di altre dimensioni e non potendo né rinnegarle né dimenticarle completamente, è disposto a correre il rischio di farsi distruggere dagli altri o di tradire ciò che conosce.
Nel contesto della follia che attualmente ci circonda, e che chiamiamo normalità, salute, libertà, tutti i nostri sistemi di riferimento sono destinati a restare ambigui ed equivoci. Un uomo che preferisce la morte al comunismo è normale; ma uno che dice di aver perduto la sua anima è matto. Un uomo che dice che gli uomini sono macchine può essere un grande scienziato; ma uno che dice di essere lui stesso una macchina è, nel gergo psichiatrico, "spersonalizzato". Un uomo che dice che i negri sono una razza inferiore può ottenere stima e rispetto; ma uno che dice che la bianchezza della sua pelle è una forma di cancro perde i diritti civili.
Una ricoverata,una ragazzina di 17 anni, mi disse una volta di essere in preda al terrore perché aveva dentro di sé la bomba atomica. Questo è un delirio: ma gli uomini di stato che vantano minacciosamente il possesso dell'arma finale sono di gran lunga più pericolosi e più estraniati dalla "realtà" di molti ai quali è stata applicata l'etichetta di "psicotico".
(...) Ecco perché voglio ripetere che il nostro stato "normale" e "ben adattato" non è, molto spesso, che una rinuncia all'estasi, un tradimento delle nostre più vere potenzialità; e che molti di noi riescono fin troppo bene a costruirsi un falso io, per adattarsi a false realtà.
Ma per ora basta. Questa è l'opera di un uomo giovane e vecchio al tempo stesso: oggi sono più vecchio, ma sono anche più giovane.
Londra, Settembre 1964"
[Prefazione dell’autore all’edizione Pelikan, p. 15]
R.D. Laing, L'io diviso. Studio di psichiatria esistenziale, Einaudi
(Libro scritto da R.D. Laing all’età di 28 anni e pubblicato a 34 anni).
La mente umana è determinata da un programma che essa eseguirebbe senza conoscerlo?
...pensare secondo regole predefinite significa pensare come una macchina. Siamo allora macchine? ....o possiamo, in qualche modo, far deviare la mente fino a sganciarla da questi programmi? Possiamo immaginare un processo di pensiero che nessuna macchina di Turing sarebbe in grado di riprodurre? Ossia formulare altre regole, un modo di ragionare che sarebbe inaudito (come nessuno ne ha ancora immaginato uno), oppure provare che la mente umana è in grado di pensare senza eseguire alcuna regola meccanica e, in questo senso, liberamente?
Pierre Cassou, "I demoni di Goedel"
Ronald David Laing, Il dualismo rispetto al corpo.
“La persona corporea possiede il senso di essere fatta di carne, di sangue e di ossa, e di essere biologicamente viva e reale e sostanziale; essendo completamente «dentro» il suo corpo, avrà anche il senso della sua continuità nel tempo. Si sentirà soggetta a tutti i pericoli cui va soggetto il suo corpo: lesioni, mutilazioni, malattie, decadimento e morte; e sarà suscettibile ai desideri, ai piaceri e alle frustrazioni del corpo. In tal modo l’individuo parte dall’esperienza del proprio corpo, ed è su questa base che diventa una persona come le altre.
Naturalmente, sebbene il suo essere non sia dissociato in due parti (se stesso come spirito e se stesso come corpo) questo individuo può trovarsi in molti modi diviso contro se stesso, e in un certo senso la sua condizione è più precaria di quella di un individuo diviso dal proprio corpo, giacché gli manca quel senso di immunità dal male fisico di cui talvolta quest’ ultimo sente di godere.
Per esempio, un paziente, che era stato ricoverato a due riprese per due lunghi episodi schizofrenici, una volta mi raccontò le reazioni che aveva avuto, in un periodo in cui stava bene, contro due uomini che l’avevano aggredito. Camminava di notte in un vicolo quando i due gli si fecero incontro, e lo colpirono con un manganello. Il colpo non era ben diretto e lo stordí solo per un momento; subito si riprese e, senza badare al dolore, passò al contrattacco; dopo una breve lotta gli aggressori fuggirono.
L’interesse sta nel modo con cui il paziente ha vissuto il fatto. La prima reazione fu di sorpresa; poi, mentre era ancora un po’ stordito, pensò che l’aggressione era stupida e inutile. Non aveva denaro con sé; i due non potevano prendergli niente. «Potevano solo picchiarmi, ma in realtà non potevano farmi niente». Voleva dire che nessun danno fatto al suo corpo avrebbe potuto fargli male ‹realmente›. In un certo senso, naturalmente, un atteggiamento simile può rappresentare il massimo della saggezza, come quando, per esempio, Socrate sostiene che nessun male può essere fatto all’uomo buono. Ma in questo caso il paziente era dissociato dal proprio corpo, e si trovava in condizioni di sentire molto meno paura della persona comune, perché non aveva niente da perdere che gli appartenesse veramente. D’altra parte, però, la sua vita era piena di ansie che la persona comune non conosce. Dal conto suo questa, completamente immersa com’è nei desideri, nei bisogni e nelle azioni del proprio corpo, è soggetta al senso di colpa e all’ansietà attinenti a tali bisogni, azioni e desideri; alle frustrazioni e ai piaceri del corpo; per lei esso non è un rifugio contro possibili autocondanne schiaccianti, né abitarlo è una garanzia contro la disperazione, o contro il senso della propria inutilità. Bisogna andare oltre al proprio corpo per sapere chi si è veramente; e di esso, del proprio corpo, si può avvertire il decadimento, la malattia, lo sfacelo. In breve l’io corporeo non è una fortezza inviolabile che difenda contro il deterioramento prodotto dai dubbi e dalle incertezze ontologiche: in se stesso non può garantire l’immunità dalla psicosi. E reciprocamente, una dissociazione nel modo di sentire il proprio essere, una divisione in una parte corporea e una incorporea, non è un indizio di psicosi latente, più di quanto una corporeità totale sia garanzia di salute mentale.
Tuttavia, per quanto non si possa dire che un individuo che abbia una genuina base nel proprio corpo sia necessariamente una persona per ogni verso unitaria, si può dire che possiede almeno un punto di partenza in direzione di tale integrità. Questo punto di partenza è condizione preliminare per tutta una serie di possibilità diverse da quelle che si aprono alla persona che vive se stessa in un dualismo rispetto al corpo.”
RONALD DAVID LAING (1927 – 1989), “L’io diviso. Studio di psichiatria esistenziale” (1959), prefazione di Mario Rossi Monti, trad. di David Mezzacapa, Einaudi, Torino 2010 (IV ed., I ed. 1969), Parte seconda, IV. ‘L’io corporeo e l’io incorporeo’, pp. 61 – 63.
“ The embodied person has a sense of being flesh and blood and bones, of being biologically alive and real: he knows himself to be substantial. To the extent that he is thoroughly «i n» his body, he is likely to have a sense of personal continuity in time. He will experience himself as subject to the dangers that threaten his body, the dangers of attack, mutilation, disease, decay, and death. He is implicated in bodily desire, and the gratifications and frustrations of the body. The individual thus has as his starting-point an experience of his body as a base from which he can be a person with other human beings.
However, although his being is not cleft into himself as 'mind' and himself as body, he can, nevertheless, be divided against himself in many ways. In some ways, his position is more precarious than that of the individual who is somewhat divorced from his body, since the first individual lacks that sense of being inviolate from physical harm sometimes felt by the partially embodied person.
For instance, a man who had been a mental hospital patient for two long periods with schizophrenic breakdowns told me of his reactions on being attacked in an alleyway at night, at a time when he was quite sane. As he walked along the alley two men approached him from the opposite direction. When they were level with him, one of them suddenly hit at him with a cosh. The blow was not accurately aimed and stunned him only momentarily. He staggered but recovered enough to turn round and attack his assailants although he himself was unarmed; after a brief scuffle they ran off.
What is interesting is this man's way of experiencing the incident. When he was struck his first reaction was of surprise; then, while he was still partially stunned, he thought how pointless it was for these men to hit him. He had no money on him. They could get nothing from him. 'They could only beat me up but they could not do me any real harm.' That is, any damage to his body could not really hurt him. There is a sense of course, in which such an attitude could be the height of wisdom when, for example, Socrates maintains
that no harm can possibly be done to a good man. In this case, 'he' and his 'body' were dissociated. In such a situation he felt much less afraid than the ordinary person, because from his position he had nothing to lose that essentially belonged to him. But, on the other hand, his life was full of anxieties that do not arise for the ordinary person. The embodied person, fully implicated in his body's desires, needs, and acts, is subject to the guilt and anxiety attendant on such desires, needs, and actions. He is subject to the body's frustrations as well as to its gratifications. Being in his body is no haven from possibly crushing self-condemnation. Being embodied as such is no insurance against feelings of hopelessness or meaninglessness. Beyond his body, he still has to know who he is. His body may come to be experienced as decayed, poisoned, dying. In short, the body-self is not an inviolable stronghold against the corrosion of ontological doubts and uncertainties: it is not in itself a bulwark against psychosis. Conversely, the split in the experience of one's own being into unembodied and embodied parts is no more an index of latent psychosis than is total embodiment any guarantee of sanity.
However, although it by no means follows that the individual genuinely based on his body is an otherwise unified and whole person, it does mean that he has a starting-point integral in this respect at least. Such a starting-point will be the precondition for a different hierarchy of possibilities from those open to the person who experiences himself in terms of a self-body dualism.”
RONALD DAVID LAING, “The Divided Self. An Existential Study in Sanity and Madness”, Penguin Books, London 1990 (I ed. Tavistock Publications, London 1959), Part Two, 4 ‘The embodied and unembodied self’, pp. 67 – 68.
Nel libro di Carlos Castaneda "Il fuoco dal profondo " si parla dei "pinches tiranos".
In italiano sarebbero i "rompicoglioni". La classificazione che ne viene fatta é simpatica, spiritosa e sommamente realistica. Per il guerriero il rompipalle é un dono di Dio. Don Juan dice a Castaneda, che nel caso in cui il destino non te ne ponga di terribili di fronte, sarai costretto ad andarteli a cercare. [...]
Bellissimo tema quello della volontà.....C'é un bellissimo libro, per chi volesse approfondire l'argomento, dal titolo "Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza" che entra nei dettagli del funzionamento del cervello per spiegare, come citavi della Montalcini, che di cervelli ne abbiamo, almeno, due. Verrebbe da domandarsi, di conseguenza: anche due tipi di volontà?
Il "Pinche Tiraño".
Piccoli movimenti porterebbero a piccoli cambiamenti nella percezione, ma grandi movimenti porterebbero a cambiamenti radicali. E sono questi che un guerriero cerca.
Secondo Castaneda, il suo maestro don Juan gli aveva spiegato che, secondo gli antichi stregoni messicani, per ottenere questo "movimento" si ricorreva a varie tecniche. Una di queste, era sfruttare la dinamica (energetica) di certe "reazioni emotive" e comportamentali (arte dell'agguato).
Da qui l'adozione, o la "ricerca" (folle, per un "essere ordinario", ossia per colui che non sia un guerriero) di "andarseli proprio a cercare" i problemi, soprattutto di gente che ci renda "la vita impossibile"; don Juan li definisce "pinches tiraños", cioè tiranni meschini (per distinguerli dall'unico vero tiranno: il dio), e sarebbero vere benedizioni... solo per un guerriero che sappia quello che sta facendo e cercando.
Ironicamente è lo stesso don Juan (nel libro "il potere del silenzio") che giustifica la scelta di Castaneda come apprendista in quanto la presenza dello scrittore per lui rappresentava quanto di più fastidioso e irritante potesse esistere, dicendo anche di trarre da ciò energia per sé stesso ed il proprio viaggio.
Fermare il "Dialogo interno"
In tutto questo e altro, i "pinche tiranos" ma anche varie tecniche (agguato, sogno, intento) ed eventi imprevisti (eventualmente orditi dal maestro) ci aiuterebbero a raggiungere una delle mete supreme, la "spietatezza". Il "dialogo interiore" è una "chiave di volta" che mantiene l'assetto ordinario della mente e impedisce di "percepire" più liberamente il mondo conosciuto e l'ignoto. Il dialogo interiore è caratteristico della mente umana.
Ciò che si chiama ordinariamente un "fatto", non è la realtà come apparirebbe a una intuizione immediata, ma un adattamento del reale agli interessi della pratica ed alle esigenze della vita sociale.
Henri Bergson
La nostra esperienza è un prodotto, ottenuto secondo una formula, un insieme di regole che stabiliscono quali distinzioni fare: quando? Dove? Su che cosa?
R. D. Laing
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