martedì 6 agosto 2013

Alessandro Magno incontrò Diogene, che era un mendicante nudo, possedeva solo una lampada – quella era la sua unica proprietà – che teneva accesa perfino di giorno. Ovviamente si comportava in modo strano e anche Alessandro dovette chiedergli: “Perchè tieni accesa questa lampada durante il giorno?” Lui alzò la lampada, guardò Alessandro in viso e disse: “Giorno e notte, cerco un vero uomo…e non lo trovo.”




ALESSANDRO MAGNO
Aveva una maledetta fretta, Alessandro il macedone, di arrivare lontano, più lontano che si poteva. Come se fosse in qualche modo consapevole che il tempo a sua disposizione era poco, molto poco. Ed infatti fece tutto in una decina d’anni: organizzò la falange macedone, che già suo padre Filippo II aveva strutturato ed usato con profitto contro i greci, la rese uno strumento militare irresistibile, e partì alla conquista del mondo. E nulla gli resistette, e nessuno, e solo la stanchezza dei suoi soldati lo costrinse a fermarsi. Era arrivato sulle rive del fiume Indo, ma lì ci fu un mezzo ammutinamento delle truppe, e dovette lasciar stare. Arrivato nella regione che oggi chiamiamo Afganistan, dovette affrontare i problemi che hanno molti secoli dopo inguaiato prima i russi e poi gli americani. Lui pensò di risolvere la questione, sposando la principessa locale Rossane, e costringendo un certo numero di suoi ufficiali a darsi una moglie afgana: la soluzione era la fusione dei due popoli. Ma lungo il suo cammino forsennato aveva seminato mogli figli e città, chiamate Alessandria (era un modesto il nostro) la più famosa delle quali è Alessandria d’Egitto. Nell’opera di fondazione si avvalse dei principi architettonici ed urbanistici adottati da Ippodamo di Mileto, quando un secolo e mezzo prima ricostruì la sua città, che era stata distrutta dai persiani all’inizio delle guerre persiane (499 a.C.). e l’aveva fatto per la prima volta nella storia servendosi di un piano regolatore, studiato a tavolino e disegnato su carta: l’urbanistica diveniva quasi una scienza.
Suo padre, Filippo II, era re della Macedonia, una regione greca che i greci non sentivano nemmeno tanto greca, lassù nel nord alla periferia del mondo che contava. Ma i greci dovettero subire la conquista di Filippo, nonostante la sorda e tenace opposizione dell’oratore ateniese Demostene. Aveva una tibia più corta dell’altra, e questo ha consentito pochi anni fa di attribuirgli una tomba ritrovata a Vergina, nel nord della Grecia: nel ricco corredo funebre c’erano anche due schinieri (nel calcio si chiamerebbero parastinchi), ed uno è più corto dell’altro. Filippo aveva sposato Olimpiade, una principessa dei molossi (Epiro, Albania), sorella maggiore del re dei molossi Alessandro I. Questi sposò Cleopatra, sorella del giovane Alessandro futuro Magno, così che Alessandro il molosso era nello stesso tempo zio e cognato del futuro Magno. [...]
Ma da dove nasce l’idea nella testa di Alessandro di conquistare il mondo? Schematicamente:
1. La sua ambizione sfrenata. Si dice che dormisse con la testa appoggiata all’Iliade, il poema di Omero, che cantava la gloria di Achille, di cui Alessandro voleva apparire emulo. Nel suo folle volo si fece accompagnare da storiografi, pittori (Apelle) e scultori (Lisippo), destinati a magnificare le sue epiche gesta. [...]
2. L’oratore Isocrate. In occasione dei giochi atletici di Olimpia si svolgevano anche veri e propri festival di oratoria, con premi e gloria. In una tale circostanza Isocrate presentò il suo Panegirico, orazione di elogio di Sparta (milizia) e di Atene (cultura e civiltà). Vi si sosteneva la superiorità della civiltà greca rispetto alle altre, specie quella persiana. Da ciò derivava ai greci il diritto di conquistare ed assimilare i popoli inferiori, ed il dovere di innalzarli ai loro livelli di civiltà. Insomma allora per la prima volta trovò sistemazione ideologica il pensiero dei diversi livelli tra le civiltà, che ha messo radici profonde in Europa, e spesso è stato un fasullo argomento del diritto/dovere degli europei e degli occidentali a portare civiltà e democrazia altrove. Poi magari s’è rubacchiato un po’, ma insomma ci devono sempre ringraziare! Così Alessandro “portò” la civiltà in Persia, con corredo di morti distruzione e delizie varie, tipiche di tutte le guerre. Ed Isocrate nella circostanza fu solo il brillante interprete di un sentimento diffuso in Grecia.
3. All’inizio del IV secolo a.C. la Persia fu travagliata da una grave crisi dinastica. Il legittimo re, Artaserse, dovette fronteggiare per un paio di volte delle trame eversive ad opera di suo fratello minore, Ciro il giovane, chissà perché preferito dalla loro madre. Scoprì la prima ed arrestò il fratello, che si salvò ottenendo il perdono grazie alla madre. Per tutto ringraziamento ci riprovò, organizzando un contingente armato, in cui erano arruolati anche diecimila mercenari greci. Ci fu la battaglia (Cunassa), nella quale il giovane Ciro morì. Che fare con questi diecimila greci armati? Artaserse convocò i capi del contingente, per venire ad un accordo, e li ammazzò tutti. I greci, rimasti senza capi ed in un territorio nemico ostile e sconosciuto, scelsero come loro guida lo storiografo Senofonte, anch’egli della partita: nei momenti difficili gli intellettuali e la cultura non fanno più storcere il nasino, ma se ne riconosce il ruolo di guida. In tempi normali o ritenuti tali, ma di profonda crisi, ci si affida a Maria De Filippi, tanto per fare un nome, o all’Uomo Della Provvidenza, che affossa ancor più gli incauti cittadini. E Senofonte con un’epica marcia, descritta nel suo libro intitolato “Anabasi” (=Ritorno), li riportò in patria. Cosa c’entra questo fatto? C’entra, perché i mercenari greci poterono muoversi con relativa libertà nel territorio del (presunto) potente impero persiano, dimostrandone l’intima fragilità. Qualche tempo dopo, un re spartano, Agesilao, si mosse da padrone nel territorio persiano, confermando nei greci la convinzione che la Persia fosse ormai un frutto maturo, e bastasse solo coglierlo. Ed Alessandro lo colse. Gli ci vollero tre battaglie condotte alla grande (Granico, Gaugamela, Isso), eliminò il re nemico Dario III e ne catturò l’intera famiglia, trattandola però in modo principesco.
In ogni territorio appena conquistato Alessandro insediò un suo luogotenente, ed andava avanti, con il disegno di riprenderseli tutti, una volta finita l’azione di conquista. Ma nel 323 morì molto giovane (malaria?), ed i suoi luogotenenti (detti Diadochi) si tennero i territori di competenza, fondando delle vere e proprie dinastie (regni ellenistici), in continua guerra tra loro per sopraffarsi, ottenendo solo un effetto di indebolimento, che consentì ai romani di papparseli tutti con relativa facilità
Divenne un esercizio di scuola, quasi, per i romani dibattere se in un ipotetico scontro tra romani ed Alessandro avrebbe vinto lui o i romani stessi. Ed arrivarono a definire l’ipotesi secondo me giusta: Alessandro era indispensabile per la sua creatura, mentre il popolo romano poteva prescindere dai suoi grandi condottieri, perché la sua forza stava nelle istituzioni ed in un popolo che condivideva nel profondo il progetto di ingrandimento della città nel mondo.
Cosa restò di Alessandro? Intanto il progetto di impero universale, ripreso e reso reale dai romani. E poi la diffusione della cultura greca in tutto il bacino mediterraneo, civiltà che noi denominiamo ellenistica, primo esempio di globalizzazione economica e culturale della Storia; e la città di Alessandria, autentico centro motore della cultura mediterranea. Ad Alessandria si seguì il piano regolatore per la sua fondazione; ad Alessandria si costituì la prima biblioteca pubblica della nostra storia, intesa non come polveroso deposito di libri, ma cuore pulsante per la conservazione valorizzazione delle opere antiche e la creazione di nuove; ad Alessandria la cultura prese la via delle specializzazioni e dello sviluppo scientifico; ad Alessandria si costruì il primo odeon, edificio per la musica; ad Alessandria la cultura da orale, che era sempre stata, divenne scritta, nel senso che la diffusione avviene attraverso uno strumento non nuovo, il libro, ma concepito in modo nuovo, come oggetto di cui appropriarsi, leggere e gustare a casa (ma era roba da ricchi: però il principio, ogni principio, una volta affermato, può avere sviluppi impensati), con nascita e sviluppo di un altro genere di attività economica, l’editoria. All’imboccatura del porto di Alessandria c’è un’isoletta, e su quell’isoletta costruirono la prima lanterna marittima della storia, che fece da modello in seguito a tutti i porti, per l’aiuto alla navigazione notturna. Dimenticavo: quell’isola si chiama FARO.
Un suggerimento: leggersi la poesia di Pascoli ALEXANDROS.



Est contro Ovest.
Due eserciti si ritrovarono per decidere le sorti del mondo allora conosciuto: da una parte i macedoni di Alessandro, dall'altra un orda sconfinata capeggiata dal Re dei re Dario di Persia.
Con un capolavoro tattico il condottiero macedone riuscì ad ovviare la soverchiante superiorità numerica persiana: lasciata la sinistra dello schieramento a Parmenione con il compito di trattenere la destra persiana, Alessandro con la sua destra allungò la sinistra nemica per evitare l'accerchiamento.
A un segnale convenuto si sganciò dallo schieramento per sfruttare il buco che si era creato tra il centro e la sinistra persiana. Il suo obbiettivo era Dario in persona.
Formò quindi una freccia, del quale lui stesso era la punta e si lanciò coraggiosamente verso la retroguardia persiana, dove stava il re. Fu un successo totale.
Dario fuggì intimorito, e presto tutte le altre truppe fecero altrettanto.
L'inseguimento fu impedito solamente dalla difficile situazione di Parmenione, al quale Alessandro dovette dare il suo aiuto. Nulla toglieva comunque a una battaglia che decise le sorti del mondo.
Alessandro, a soli 25 anni, divenne così il signore del 90% delle terre allora conosciute. #renovatioimperii



RITRATTI: ALESSANDRO MAGNO
Nato a Pella nel 356 a.C. da Filippo II, re macedone, e Olimpiade, fu educato dal filosofo Aristotele, che gli insegnò la medicina, la scienza, l'arte e il greco. Salì al trono nel 336 a.C. e durante il suo regno, conquistò l'intero impero persiano, giungendo fino all'India e ai confini della Cina. Tra le battaglie che combatté le più famose furono Granico, Isso, Gaugamela. Il suo successo militare fu reso possibile dalla falange macedone, dalla sua straordinaria intelligenza militare e dal forte ascendente che aveva sui soldati, a fianco dei quali combatteva, senza sottrarsi alle asprezze della guerra. Morì nel 323 a.C. (tre anni dopo l'amato cavallo Bucefalo) a Babilonia, forse per una pancreatite acuta dovuta alle eccessive libagioni di quel giorno, ma fu sepolto ad Alessandria, città fatta costruire da lui stesso. La sua tomba fu visitata da Augusto, che, dopo aver posto una corona d'oro e dei fiori sopra il corpo del macedone, si rifiutò di vedere anche la salma di Tolomeo, dicendo che desiderava vedere un re, non dei cadaveri. D'aspetto era tarchiato, aveva una voce aspra, capelli crespi e occhi di colore diverso. Inoltre aveva poca barba, segno di virilità a quei tempi: perciò introdusse l'usanza di radersi, a cui costrinse i suoi dignitari per non sfigurare tra loro. Il suo mito, alimentato anche dalla capacità di Alessandro di farsi propaganda, viaggiò attraverso i secoli fino a noi: è l'unico personaggio antico che Warhol abbia ritratto e
persino gli Iron Maiden, nel 1986, gli dedicarono la canzone Alexander the Great, che inizia con le leggendarie parole del padre Filippo II: "My son, ask for thyself another kingdom,
for that which I leave is too small for thee". Potenza del mito!

https://youtu.be/fd5T2xX95Os

Straordinaria sequenza tratta dal capolavoro di Oliver Stone,
in cui Alessandro Magno viene colpito e cade dal suo cavallo Bucefalo.





https://youtu.be/OGL_L0fok10












Alessandro nacque nel 356 a.C.
Figlio di re Filippo di Macedonia, famoso per essere un grande stratega, bevitore, festaiolo e donnaiolo tutto contemporaneamente e di Olimpia, una madre che era tutto un programma, crebbe felice e libero di fare sempre quello che voleva cercando di non sfidare troppo le ossessioni della mamma che lo tormentarono sin da piccolo.
Olimpia era bellissima, intelligente, ovviamente principessa, un’invasata con i riti Dionisiaci, danze, preghiere e oracoli dalla mattina alla sera fino a portarsi a letto serpenti ammaestrati. Pure lei sempre tutto contemporaneamente.

In pratica il piccolo Alessandro aveva due genitori che erano tranquilli solo quando dormivano.
Anzi no.

La bella mamma, un giorno, andò dicendo che durante una notte fu colpita da un fulmine mandato da Ammone trasformatosi poi in serpente, tanto per rimanere in tema di animali domestici preferiti, e con lei concepì proprio Alessandro.

Dopo quella storia, Filippo si guardò bene dal frequentare ancora la moglie e se ne cercò un’altra meno pericolosa e un po’ più normale. Quando Alessandro iniziò a diventare grandino e ogni tanto si comportava da invasato, si convinse che suo figlio qualcosa di divino forse ce lo aveva sul serio.

Due genitori che non erano proprio un modello di normalità e di equilibrio, miracolosamente, non si capisce come, gli diedero come maestro nientepopodimeno che Aristotele.

Diciamocelo pure, senza dubbio Alessandro aveva del talento tutto suo, riuscire ad emergere in una famiglia del genere bisognava essere bravi per forza.

Aristotele avrà fatto il resto.

A complicare una giovane personalità in crescita e che non fece che rafforzare le manie del ragazzino, ci fu la lontana discendenza bis-bis centenaria di Olimpia, che si diceva nipote di Achille.

Già a 15 anni dichiarava che alle Olimpiadi, lui che era velocissimo a correre, non ci sarebbe andato a meno che gli altri concorrenti non fossero stati tutti dei re.

Era tanto sicuro delle sue capacità che iniziò a lamentarsi che il padre non faceva altro che conquistare popoli e terre a destra e a manca senza così lasciare a lui niente da fare quando avrebbe ereditato il regno.

Ma alla fine lo ereditò.

Aveva 20 anni.
E adesso che si fa? pensò aggrottando le sopracciglia.
Sellò Bucefalo.

Dopo aver sistemato i territori della Grecia con alle spalle un regno piuttosto stabile si dedicò anima e corpo al suo sogno e alla sua cavalcata ventre a terra verso deserti sconosciuti.

Spinto da oracoli che lo favorivano e che lo volevano il conquistatore del mondo si fermò a Troia sulla tomba di Achille e tutto nudo le corse intorno osannando le sue gesta.

L’esercito lo guardò dall’alto della collina, pensando certamente che la testa non ce l’avesse proprio a posto, ma fino ad allora le sue vittorie lampo e la fuga di Dario davanti al loro esercito dovevano essere un segno che gli dei lo amavano nonostante fosse così strampalato.

Finita la sceneggiata galoppò verso sud, arrivò in Egitto, pregò il suo papà divino Ammone, gli costruì un tempio più grande, fondò Alessandria e ripartì.

Ogni tanto cambiava cavallo perché Bucefalo invecchiava più velocemente di lui perciò preferiva usarlo solo in battaglia.

Una volta gli fu rubato.

Con una divinità per capello minacciò l’ambasciatore che era venuto a chiedergli il riscatto, che se non glielo riportava nel giro di due minuti, avrebbe sellato un altro cavallo, sarebbe andato a casa sua, avrebbe ucciso tutta quanta la sua famiglia, nonne e nonni compresi e già che c’era avrebbe raso al suolo tutto il villaggio.

Bucefalo gli fu restituito in un nanosecondo insieme alle chiavi del villaggio

Arrivarono fino in Pakistan. In dieci anni conquistò tutto quello che ebbe davanti. Fondò una decina di altre Alessandrie e anche una Bucefalia quando il suo amato destriero decise di lasciarlo a piedi.

Si svegliava la mattina, guardava l’orizzonte e diceva:

Voglio andare là.

Là dove?

Non lo sapeva neanche lui.

Lui partiva per seguire il suo sogno, non l’impresa.

E tutti quanti dietro.

Vinceva sempre.

Non mandava neanche degli esploratori a controllare cosa celasse quell’orizzonte. Ci andava lui direttamente. Perché se incontrava da solo qualcuno con cui menar le mani o farsi una corsetta per vedere chi era più veloce, si divertiva di più.

Le ricchezze di quei popoli lo resero un Creso, l’esercito era sempre più rimpinzato di bottini e lui era visto come un dio.

Un giorno però si stufò di sentirselo dire, che la smettessero di ripeterlo accidenti!! Lui era un uomo non un dio!! Si ferì pure il braccio per far vedere che nelle vene aveva sangue e non linfa divina.

Barlume di senno? non si sa…

Massacrò con ferocia chi osava oltraggiare la sua Grecia. Distrusse e rase al suolo Persepoli perché i suoi regnanti avevano torturato e ucciso dieci prigionieri greci. Il suo popolo non si toccava. Non c’erano processi, ma sentenze immediate.

E se qualcuno dei suoi amici si azzardava a dirgli che così non si faceva, lui di tutta risposta si rinchiudeva nella sua tenda, da solo, per tre giorni senza mangiare e senza parlare con nessuno tenendo il muso.

Vi ricorda qualcuno?

(Achille e il suo broncio sotto le mura di Troia).

Onestamente affascinato dai popoli orientali comunque cercò sempre di integrarsi e di fare in modo che il suo esercito e la sua gente facesse lo stesso. Era convinto che la grecità fosse superiore ma non disdegnava l’idea che si mescolasse con quella orientale. Sposò una donna persiana per dimostrarlo e rimase affascinato da come alcuni sacerdoti con la sola forza del pensiero si suicidarono sedendosi su una pira in fiamme senza proferire un suono.

Si può immaginare la sua espressione nell’osservare una tale scena. Quale dio che lui non conosceva e con cui non aveva mai parlato poteva mai dar loro una tale forza?

Andava incontro alla morte senza farsene una preoccupazione, si riteneva invincibile.

Non solo in battaglia dove era sempre in prima fila, ma anche nella sua tenda non se ne curò affatto, quando malato da giorni e quasi in fin di vita, nessun medico osò curarlo perché la paura di essere poi messi a morte se non sopravviveva era troppo grande.

Lui era sicuro che non sarebbe morto, ma alla fine il suo medico personale e amico, osò farsi avanti perché in fondo gli voleva bene, nonostante il giorno prima ad Alessandro fu recapitata una lettera che diceva che il medico era in realtà un traditore e che lo avrebbe avvelenato.

Arrivato il medico, Alessandro gli diede la lettera e mentre quello la leggeva a voce alta, lui beveva dalla coppa che gli aveva appena dato. Una scena da teatro.

“Tu leggi pure, io bevo” gli disse.

Ma un giorno l’esercitò si stancò.

Arrivati in India quando Alessandro si alzò, guardò fuori dalla tenda, puntò il dito all’orizzonte e disse:

Andiamo là!

Gli risposero:

Vacci da solo.

Un esercito che fu ammaliato per un decennio da quel ragazzino con un carisma inarrestabile, che nelle battaglie si inventava stratagemmi incredibili per ingannare il nemico molto superiore a lui, era arrivato alla frutta.

Una notte in riva all’Eufrate fece sbattere a tutti quanti e per tutta la notte pentole, padelle e spade così da far credere all’esercito nemico, che era sull’altra sponda, che li avrebbero attaccati proprio con il favore del buio. Quelli ci cascarono e scapparono.

Nonostante questo genio militare quell’esercito decise di abbandonarlo al suo sogno.

Loro erano stufi. Iniziarono i complotti per eliminarlo. Tornati a Babilonia, Alessandro morì dopo alcuni giorni di agonia, forse avvelenato, forse malato, forse per i troppi bagordi dell’ultima festa. Non si sa.

Ma fino all’ultimo il suo fascino catturò le persone intorno al suo letto, che avidi di sapere a chi lasciava tutto quel ben di dio lui rispose:

“Al migliore” e subito dopo morì,  a 32 anni, senza dire chi fosse.

Marameo
https://verbavolantmonumentamanent.com/2016/03/03/alessandro-magno-ci-era-o-ci-faceva/



Alessandro il Grande incontra Diogene il Cinico.
E' un episodio che oggi viene ricordato da tutti i greci per la particolarità che ebbe al tempo in cui si verificò. Non è necessario studiare la storia per conoscere questo evento, viene tramandato nei racconti in famiglia. Alessandro rappresenta l'apice del potere e della ricchezza, Diogene il rifiuto di tutto ciò e la scelta di vivere una vita di stenti.
Era il 336 a.C, Alessandro viene inviato dal Padre Filippo a Korinto per chiedere il sostegno delle altre città greche contro la minaccia persiana. Viene a sapere che in città si trova Diogene, il massimo rappresentate della Filosofia Cinica, che vive nella massima povertà dormendo dentro una botte. Alessandro pensava si al potere, ma era anche affascinato dalla Storia e dalla Filosofia.
Si diceva che dormisse con l'Iliade sotto il cuscino e ogni volta che incontrava un personaggio particolare voleva conoscerlo (del resto ebbe Aristotele come maestro).
Diogene si trovava a Korinto perchè era stato pedagogo presso una famiglia aristocratica e quando il padrone gli diede la libertà rimase a Korinto insegnando per le strade.
La fama di Diogene era giunta ad Alessandro in Macedonia, durante la sua formazione scolastica, e appena arrivò a Korinto la prima cosa che fece (anteponendole agli impegni politici) fu chiedere di incontrare Diogene. Mandò quindi un soldato:

"O Vasilià" Alessandro chiede di vederti."
la risposta di Diogene fu:
"Io non voglio vederlo. Se è lui a volerlo che venga qui."
Alessandro non fece una piega e si recò da lui:
«Είμαι ο Άρχων Αλέξανδρος» (Ime o Archoon Alècsandros)
«Και ΄γώ είμαι ο Διογένης ο Κύων» (Ke Egò ime o Dioghènis o Kìoon) (Io sono Diogene il Cane - così venivano detti i cinici per il loro modo di vivere)
Alessandro fu infastidito dalle parole del Filosofo:
«Δεν με φοβάσαι;» (Den me fovàse?) (Non hai paura di me?)
Diogene rispose:
«Και τί είσαι; Καλό ή κακό;» (Ke ti ise? kalò ì Kakò) (Cosa sei? Buono o Cattivo?)
Alessandro non poteva dire di essere cattivo, ma neanche di essere buono perchè un Vasilià deve essere temuto. Fuggì la domanda e rispose:
«Τί χάρη θές να σου κάνω;» (Ti chàri thès na su kàno) (Che favore vuoi che ti faccia?)
Diogene rispose:
«Αποσκότησων με» (Aposkòtison me) (Smettila di farmi ombra)
ovvero
«Σταμάτα να μου κρύβεις τον ήλιο» (Stamatà na mu krìvis ton Ilio)
(Smettila di nascondermi il Sole)
La base della filosofia cinica sta infatti nel pensare che tutto ciò di cui ha bisogno l'uomo è la visione e il calore del Sole, nessuna ricchezza è necessaria.
Alessandro che non era uno sprovveduto capì cosa volesse dire Diogene e ne fu ancora più impressionato.
Si intrattenne con lui in una lunga conversazione chiedendo consigli su come avesse potuto regnare rettamente sulla Grecia.
Tra i vari consigli Diogene gli disse:
<<ένας βασιλέας είναι ωφέλιμος στο λαό>>
Un Vasilià (re) deve giovare al popolo.
Se anche conquistassi il mondo intero ma il popolo non ne trarrebbe giovamenti, non saresti un buon re.
Alla fine della conversazione Alessandro disse:
«Αν δεν ήμουν Αλέξανδρος θα ήθελα να ήμουν Διογένης»
(An den ìmun Alècsandros tha ìthela na ìmun Dioghènis)
Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene
Da allora il legame tra i due fu talmente forte che il giorno in cui Alessandro all'età di 33 anni lasciava questo mondo a Babilonia, morì anche Diogene a Korintho.


La folla è madre dei tiranni
Diogene di Sinope.

Non si ha idea di quanto un uomo debba perdere per avere il coraggio di sfidare tutte le convenzioni, non si ha idea di quanto abbia perduto Diogene per diventare l'uomo che si è permesso tutto, che ha tradotto in azione i suoi pensieri più intimi con un'insolenza soprannaturale, come potrebbe fare un dio della conoscenza libidinoso e puro allo stesso tempo. Nessuno è stato più franco; caso limite di sincerità e lucidità, come pure esempio di quello che potremmo essere noi se l'educazione e l'ipocrisia non raffrenassero i nostri desideri e i nostri gesti. "Un giorno un uomo lo fece entrare in una casa riccamente arredata e gli disse: - mi raccomando non sputare per terra -. Diogene, che aveva voglia di sputare, gli lanciò uno sputo in faccia, gridandogli che quello era l'unico posto sporco che avesse trovato e dove potesse farlo".
Emil Cioran. Sommario di decomposizione


Un giorno mentre Diogene stava mangiando un piatto di lenticchie, si avvicinò Aristippe, di cui l'esistenza era più che confortevole perché adorava il re, e le disse : "Se tu avessi imparato a prosternarti davanti al re non saresti costretto a mangiare quelle orrende lenticchie". "Ma, rispose Diogene, se tu avessi imparato a mangiare queste orrende lenticchie non saresti costretto ad adorare il re"


Alessandro Magno incontrò Diogene, che era un mendicante nudo, possedeva solo una lampada – quella era la sua unica proprietà – che teneva accesa perfino di giorno. Ovviamente si comportava in modo strano e anche Alessandro dovette chiedergli: “Perchè tieni accesa questa lampada durante il giorno?” Lui alzò la lampada, guardò Alessandro in viso e disse: “Giorno e notte, cerco un vero uomo…e non lo trovo.” Alessandro rimase sconvolto: un mendicante nudo osava dire a lui, il conquistatore del mondo, una cosa simile. Ma poté vedere che Diogene era avvolto in una rara munificenza, pur nella sua nudità. I suoi occhi erano così silenziosi, il suo volto era così in pace, le sue parole avevano una tale autorità, la sua presenza era così quieta e calma e rilassante che, sebbene Alessandro si sentisse insultato, non poté reagire. La presenza di quell’uomo era così travolgente, che perfino Alessandro sembrava un mendicante al suo fianco. E nel suo diario scrisse: “Per la prima volta ho sentito che la ricchezza è qualcos’altro, del tutto diverso dall’avere denaro. Ho incontrato un uomo ricco.”

A mio padre devo la vita, al mio maestro una vita che vale la pena essere vissuta.
Alessandro Magno





la Scuola di Atene di Raffaello. (1509-1511)
<<Cinquantotto personaggi variamente raggruppati animano uno degli spettacoli più belli prodotti dall’arte rinascimentale, la Scuola di Atene di Raffaello.
La scena, simmetrica e fluttuante allo stesso tempo, prende vita con un andamento corale da tragedia greca. E il tutto all’insegna del doppio. Due sono i protagonisti, Platone e Aristotele, cui  sono regalati l’onore della posizione centrale, del convergere delle linee di fuga. Due i gruppi che sigillano, a destra e a sinistra, la base dell’affresco. Due i personaggi che, in primo piano ostentano tutto il loro imbronciato isolamento. Due le ali di filosofi che sciamano ondeggiando attorno alle figure centrali. Infine due i numi tutelari che, dalla loro fissità marmorea, legittimano quanto ai loro piedi sta avvenendo: il brulicare del pensiero nel suo farsi.>>
(A.Fiegna)

<<La lettura dovrebbe avvenire da sinistra a destra. La direzione non è casuale ma suggerita da Raffaello stesso attraverso una serie di indizi. Per esempio, gli unici personaggi sicuramente identificabili si presentano in ordine cronologico da sinistra a destra. Diogene, semisdraiato sui gradini e figura isolata, indica il rifiuto di salire i “gradini della conoscenza”. Diogene (V-IV sec.) infatti, fu definito da Platone un “Socrate impazzito”. E' un “anarchico”. : segue la legge di natura piuttosto che il percorso teorico indicato da Platone e Aristotele. Tante sono le interpretazioni dell'opera, ma su una cosa tutti convengono e cioè il soggetto: la filosofia. L’affresco “resiste con successo ai nostri più energici sforzi di interpretarlo una volta per tutte: in fondo tutto ciò che possiamo leggervi è la sua stessa impenetrabilità. Ed è proprio questa la ragione per cui non smette mai di affascinarci” (G.W.Most)

(Glenn W. Most, Leggere Raffaello – La Scuola di Atene e il suo pre-testo– Einaudi 2001
Reinhard Brandt, Filosofia nella pittura– Mondadori 2003
Giovanni Reale, La Scuola di Atene di Raffaello– Bompiani 2005)





Gimnosofistao ginnosofista, termine con cui gli scrittori greci designavano gli asceti indiani che vivevano nudi nei boschi, cibandosi solo di erbe e di frutti
¶ Dal gr. ghymnosophistái pl., comp. di ghymno- ‘gimno-’ e sophist ¢s ‘sapiente’; propr. ‘sapiente nudo’.
http://www.sapere.it/sapere/dizionari/dizionari/Italiano/G/GI/gimnosofista.html


Gimnosofista (o ginnosofista) s. m. [dal gr. Γυνμνοσοϕισταί (plur.), lat. Gymnosophistae] (pl. -i). – Denominazione usata dagli antichi Greci per indicare, con allusione sia all’unione di sapienza e dottrina sia all’esercizio di pratiche ascetiche che comportavano una nudità totale o parziale, gli asceti e i mistici indiani di cui vennero a conoscenza dall’epoca della spedizione di Alessandro Magno (sec. 4° a. C.).
www.treccani.it/vocabolario/gimnosofista/



Il colloquio fra Alessandro Magno e i Gimnosofisti: analisi e prospettive
di Cristiano Dognini

"Il noto colloquio fra Alessandro Magno e i dieci gimnosofisti indiani, incontrati durante la campagna militare in Oriente, ha suscitato numerose riprese e citazioni nelle letterature di tutto il mondo1, senza però consentire agli studiosi moderni di sciogliere alcune perplessità che il colloquio genera. Il termine gimnosofisti   con cui vengono normalmente designati i filosofi indiani, è molto significativo: LA NUDITÀ IN INDIA È SPESSO CONGIUNTA CON L'ASCETISMO E CON L'IDENTIFICAZIONE DELL'UOMO COL DIVINO. [...] La nostra ricerca non pretende certo di risolvere tutti i problemi legati ai gimnosofìsti, ma soltanto analizzare le più antiche testimonianze del loro colloquio col Macedone, per verificare la presenza di autentiche dottrine indiane nelle risposte dei dieci asceti.

Le due versioni più antiche sono quelle riportate da Plutarco Vita di Alessandro 64 e dal papiro di Berlino 13044.

Secondo Plutarco Alex. 64. 1 
Alessandro aveva fatto arrestare dieci gimnosofìsti. accusati di sedizione a seguito della rivolta del re Sambhu, e aveva deciso di condannare a morte il primo di costoro che non avesse risposto correttamente alle sue domande, secondo il giudizio del più anziano tra loro.

Plutarco Alex. 64. 2-12. 
continua cosi: 
"Al primo fu chiesto se a suo giudizio erano più numerosi i vivi o i morti; rispose: 
«I vivi, perché i morti non ci sono più»
Al secondo fu chiesto se dà vita ad animali più grossi il mare o la terra; rispose: «La terra, perché anche il mare è parte d'essa»
Chiese al terzo qual è l'animale più astuto. Rispose: «Quel che l'uomo non ha ancora conosciuto». Al quarto chiese per quale ragione avesse indotto Sabba alla rivolta; rispose: «Perché volevo che vivesse nobilmente o nobilmente morisse»
Al quinto fu chiesto se pensava che fosse stato prima il giorno o la notte: «Il giorno» disse «e precede d'un giorno». Il re rimase stupito, ed egli aggiunse: «È logico che per domande impossibili ci siano risposte impossibili». 
Passato al sesto, Alessandro chiese come uno possa farsi amare in sommo grado: 
«Se è potentissimo, ma non ispira timore», disse. 
Tra gli ultimi tre, quello interrogato su come uno da uomo potrebbe diventare dio, rispose: «Se fa quanto non è possibile che un uomo faccia»
All'altro fu chiesto se è più forte la vita o la morte; rispose che la vita é più forte, perché sa sopportare cosi grandi mali
l'ultimo poi, cui chiese fin quando è bene che l'uomo viva, rispose: «Fino a quando non ritiene che l'essere morto sia meglio del vivere»
Alla fine si volse al giudice e lo invitò ad emanare il verdetto. 
Egli disse che avevano dato tutti una risposta che era l'una peggiore dell'altra, «Allora» disse Alessandro «tu morrai per primo, per questo giudizio». «No, o re.» ribatté l'altro «a meno che tu non avessi mentito quando dicesti che avresti messo a morte per primo colui che avesse risposto peggio»". 

Alla fine Alessandro congeda i sofisti con ricchi doni e concede loro salva la vita.
Il papiro 13044 del Berliner Museum, risalente al 100 a.C. circa e diviso in sei colonne, di cui la prima è pressoché illeggibile, tramanda la più antica versione delle dieci domande ai gimnosofìsti. 
Il papiro5, un pò frammentario, inizia già con l'asserzione che solo il giudice, posto che giudichi rettamente, potrà vivere, mentre gli altri saranno giustiziati. [...]

http://www2.lingue.unibo.it/studi%20indo-mediterranei/QSIM%201.pdf






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