Daniel Clement Dennett, Le idee, i geni, i memi.
“Una volta che i nostri cervelli hanno costruito le strade di entrata e di uscita per i veicoli del linguaggio, essi vengono rapidamente ‹parassitati› (in senso letterale […]) da entità che si sono evolute per prosperare proprio in tali nicchie: i ‹memi›.
Le linee fondamentali della teoria dell’evoluzione per selezione naturale sono chiare: l’evoluzione si verifica ogni volta che siano presenti le seguenti condizioni:
1. variazione: una continua abbondanza di elementi differenti
2. eredità o replicazione: gli elementi hanno la capacità di creare copie o repliche di se stessi.
3. «adeguatezza» differenziata: il numero di copie di un elemento che vengono create in un dato momento varia, a seconda delle interazioni tra le caratteristiche di quell’elemento (qualunque cosa sia ciò che lo rende differente dagli altri elementi) e le caratteristiche dell’ambiente in cui continuare ad esistere.
Si noti che in questa definizione, benché sia tratta dalla biologia, non si dice specificatamente nulla su molecole organiche, nutrimento o perfino vita. È una caratterizzazione molte generale ed astratta dell’evoluzione per selezione naturale.
Come lo zoologo Richard Dawkins* ha sottolineato, il principio fondamentale è
<che ogni genere di vita si evolve mediante la sopravvivenza differenziata di entità che si replicano … Il gene, la molecola di DNA, è l’entità replicante che si trova a predominare sul nostro pianeta. Ce ne possono essere altre. Se ci sono, purché siano soddisfatte certe altre condizioni, esse tenderanno quasi inevitabilmente a diventare la base di un processo evolutivo.
Ma è proprio necessario andare su mondi lontani per trovare altri generi replicanti e, di conseguenza, altri generi di evoluzione? Io credo che proprio su questo pianeta sia venuto recentemente alla luce un genere nuovo di replicante. L’abbiamo sotto gli occhi: è ancora in una fase infantile, si muove goffamente qua e là nel suo brodo primordiale, ma sta già conoscendo cambiamenti evolutivi a una velocità tale che il vecchio gene ansimante gli resta parecchio indietro.> (1976, p. 206)
Questi nuovi replicanti sono, grosso modo, le idee. Non le «idee semplici» di Locke e Hume (l’idea del rosso o l’idea del cerchio o del caldo o del freddo), ma quel tipo di idee complesse che si strutturano in distinte unità degne di essere memorizzate – come idee di
ruota
indossare vestiti
vendetta
triangolo retto
alfabeto
l’‹Odissea›
calcolo
sacchi
disegno prospettico
evoluzione per selezione naturale
impressionismo
la tarantella
il decostruzionismo
Intuitivamente queste sono delle unità culturali più o meno identificabili, ma possiamo dire qualcosa di più preciso sul modo in cui tracciamo i confini – sul perché «RE-Fa#-La› non è un’unità e lo è invece il tema dell’adagio della Settima Sinfonia di Beethoven: le unità sono gli elementi più piccoli che replicano se stessi con affidabilità e fecondità, Dawkins conia un termine per tali unità: ‹memi› –
<unità di trasmissione culturale o unità di ‹imitazione›. «Mimema» potrebbe andare, perché deriva da una radice greca appropriata, ma io voglio un bisillabo che suoni un po’ come «gene» … lo si può vedere come imparentato con «memoria» o con la parola francese ‹même›.
Esempi di memi sono le melodie, le idee, gli slogan e i modi di dire, le mode dell’abbigliamento, le tecniche per fabbricare vasi o per costruire archi. Come i geni si propagano nel fondo comune dei geni passando da un corpo all’altro con gli spermatozoi o gli ovuli, così i memi si propagano nel fondo comune dei memi passando da un cervello all’altro con un processo che, in senso lato, si può chiamare imitazione. Se uno scienziato legge o sente parlare di una buona idea, la trasmette ai suoi colleghi e ai suoi studenti, la menziona nei suoi articoli e nelle sue lezioni. Se l’idea attecchisce, si può dire che essa si propaga da sola diffondendosi da un cervello all’altro.> (1976).”
* [RICHARD DAWKINS (1941), “The Selfish Gene”, Oxford University Press, Oxford 1976 (“Il gene egoista”, trad. di G. Corte e A. Serra, Mondadori, Milano 1992)]
DANIEL CLEMENT DENNETT (1942), “Coscienza. Che cos’è” (1991), trad. di Lauro Colasanti, illustrazioni di Paul Weiner, Laterza, Roma-Bari 2009 (I ed. it. RCS Rizzoli 1993), Parte seconda ‘Una teoria empirica della mente’, 7. ‘L’evoluzione della coscienza’, 6. ‘Il terzo processo evoluzionistico: memi ed evoluzione culturale’, pp. 225 – 227.
Daniel Clement Dennett. I primi giorni della vita.
Per vivere avete bisogno di energia. È stato il Sole a fornire la prima energia utile alla vita o sono state le sorgenti termali situate nelle viscere della Terra? Questa è, al momento, una questione aperta, con un allettante spettro di ipotesi sull’origine della vita, tutte in competizione tra loro e in attesa di conferma.
Comunque abbia avuto inizio, la vita – o comunque la maggior parte di essa – è alla fine diventata dipendente dalI’energia proveniente dal Sole. Per rimanere in vita e per riprodurvi avreste dovuto galleggiare nelle prossimità o sulla superficie delle acque, crogiolandovi alla luce solare. Si è prodotta un’innovazione rilevante quando alcuni di questi esseri mutarono, «scoprendo» in tal modo che, invece di fare tutto da soli, potevano ottenere di meglio ingoiando e scomponendo alcuni degli esseri vicini a loro, utilizzandoli come comoda scorta di pezzi di ricambio già costruiti. L’invasione è ciò che rende la vita interessante. Invasori e invasi hanno così inaugurato una corsa agli armamenti che ha condotto entrambi gli schieramenti a sviluppare nuove varietà. In poco tempo - più o meno in un miliardo di anni - sono emersi molti e vari «modi per guadagnarsi da vivere» (come Richard Dawkins ha sottolineato); ma questi modi non saranno mai nulla più di una trama «evanescente» di condizioni reali nell’«enorme» spazio delle possibilità logiche. Quasi tutte le combinazioni di queste componenti elementari rappresentano un modo di non essere vivi.
Una delle più importanti innovazioni in questa corsa agli armamenti della progettazione competitiva è stata la mutazione accidentale conosciuta come rivoluzione eucariotica, che è avvenuta più di un miliardo di anni fa. I primi esseri viventi, le cellule relativamente semplici note come procarioti, hanno avuto tutto il pianeta a loro disposizione per tre miliardi di anni, fino a quando uno di loro non è stato invaso da un vicino e la coppia risultante si è rivelata più adatta dei suoi parenti non modificati, quindi ha prosperato e si è moltiplicata passando tale predisposizione al lavoro di squadra alla propria progenie. Ecco un primo esempio di una sorta di cooperazione: la ‹simbiosi›, un caso in cui X e Y si scontrano, ma invece di avere una situazione in cui X distrugge Y, o quella opposta o, anche peggio, invece di avere la mutua distruzione – il risultato abituale degli scontri in questo mondo difficile –, X e Y uniscono le loro forze, creando Z, un essere nuovo, più grande e più versatile, con maggiori possibilità di scelta. Questo potrebbe essere accaduto molte volte nel mondo dei procarioti, ovviamente; ma quando successe la prima volta, il pianeta cambiò a beneficio delle forme di vita successive. Queste super-cellule, gli ‹eucarioti›, vivevano a fianco dei loro cugini procarioti ma, grazie ai loro «autostoppisti», erano enormemente più complessi, versatili e competenti. Questa era una cooperazione involontaria, ovviamente. I membri delle squadre eucarioti erano all’oscuro del lavoro di équipe nel quale erano impegnati! Non avevano – e non avevano bisogno di avere –alcuna comprensione della razionalità fluttuante che era alla base del loro vantaggio nella competizione. I primi eucarioti non erano nemmeno pluricellulari; ma dovevano aprire lo spazio dei progetti agli organismi pluricellulari, poiché si erano ritrovati con un sufficiente numero di pezzi di ricambio sì da specializzarsi in differenti modi.
DANIEL CLEMENT DENNETT (1942), “L’evoluzione della libertà”, trad. di Massimiliano Pagani, Cortina, Milano 2004 (I ed.), 5. ʻDa dove viene tutto il progetto?’, ‘I primi giorni’, pp. 191 – 192.
“ Once our brains have built the entrance and exit pathways for the vehicles of language, they swiftly become ‹parasitized› (and I mean that literally […]) by entities that have evolved to thrive in just such a niche: memes. The outlines of the theory of evolution by natural selection are clear: evolution occurs whenever the following conditions exist:
(1) variation: a continuing abundance of different elements
(2) heredity or replication: the elements have the capacity to create copies or replicas of themselves
(3) differential «fitness»: the number of copies of an element that are created in a given time varies, depending on interactions between the features of that element (whatever it is that makes it different from other elements) and features of the environment in which it persists.
Notice that this definition, though drawn from biology, says nothing specific about organic molecules, nutrition, or even life. It is a more general and abstract characterization of evolution by natural selection.
As the zoologist Richard Dawkins has pointed out, the fundamental principle is
<that all life evolves by the differential survival of replicating entities…
The gene, the DNA molecule, happens to be the replicating entity which prevails on our own planet. There may be others. If there are, provided certain other conditions are met, they will almost inevitably tend to become the basis for an evolutionary process.
But do we have to go to distant worlds to find other kinds of replication and other, consequent, kinds of evolution? I think that a new kind of replicator has recently emerged on this very planet. It is staring us in the face. It is still in its infancy, still drifting clumsily about in its primeval soup, but already it is achieving evolutionary change at a rate which leaves the old gene panting far behind.> [1976, p. 206]
These new replicators are, roughly, ideas. Not the «simple ideas» of Locke and Hume (the idea of red, or the idea of round or hot or cold), but the sort of complex ideas that form themselves into distinct memorable units — such as the ideas of
wheel
wearing clothes
vendetta
right triangle
alphabet
calendar
the Odyssey
calculus
chess
perspective drawing
evolution by natural selection
impressionism
«Greensleeves»
deconstructionism
Intuitively these are more or less identifiable cultural units, but we can say something more precise about how we draw the boundaries — about why ‹D-F# -A› isn’t a unit, and the theme from the slow movement of Beethoven’s Seventh Symphony is: the units are the smallest elements that replicate themselves with reliability and fecundity. Dawkins coins a term for such units: memes —
<a unit of cultural transmission, or a unit of ‹imitation›. «Mimeme» comes from a suitable Greek root, but I want a monosyllable that sounds a bit like «gene»… it could alternatively be thought of as
being related to memory' or to the French word même…
Examples of memes are tunes, ideas, catch-phrases, clothes fashions, ways of making pots or of building arches. Just as genes propagate themselves in the gene pool by leaping from body to body via sperm or eggs, so memes propagate themselves in the meme pool by leaping from brain to brain via a process which, in the broad sense, can be called imitation. If a scientist hears, or reads about, a good idea, he passes it on to his colleagues and students. He mentions it in his articles and his lectures. If the idea catches on, it can be said to propagate itself, spreading from brain to brain.> [1976, p. 206]”
DANIEL CLEMENT DENNETT, “Consciousness explained”, illustrated by Paul Weiner, Back Bay Books-Little, Brown and Company, New York 1991 (First Paperback Edition), Part II ‘An empirical theory of the mind’, 7 ‘The evolution of Consciousness’, 6. ‘The Third Evolutionary Process: Memes and Cultural Evolution’, pp. 200 – 202.
“ To live you need energy. Did the first energy exploited for life come from the sun, or from thermal sources deep in the earth? This is currently an open question, with a tantalizing array of hypotheses about the origins of life competing for confirmation. However it got started, life – most of it, in any case – eventually became dependent on energy from the sun. To stay alive and reproduce you had to float on or near the surface of the sea, basking in sunlight. A major innovation occurred when some of the baskers mutated, «discovering» thereby that instead of doing it all themselves, they could do better by engulfing and dissembling some of their neighbors, using them as a handy store of fancy spare parts already constructed. Encroachment is what makes life interesting. Encroachers and encroachees inaugurated an arms race, leading to new varieties of both. Soon – in billion years or so – there were many «ways of making a living» (as Richard Dawkins has put it), but these many ways will always be but a Vanishing thread of faculty in the Vast space of logical possibility. Almost every combination of building blocks is a way of not being alive.
One of the most important innovations in this arms race of competitive design was the accident known as the eukaryotic revolution, which happened some billion years ago. The first living things, the relatively simple cells known as prokaryotes, had the planet to themselves for around three billion years, until one of them got invaded by a neighbor, and the resulting team-of-two more fit than their uninfected cousins, so they prospered and multiplied, passing their teamwork on to their offspring. It was an early instance of a sort of cooperation: ‹symbiosis›, a case in which X and Y collide, but instead of X destroying Y, or vice versa, or even worse, mutual self-destruction – the usual result of collisions in this hard world – X and Y join forces, creating Z, a new, bigger, more versatile thing, with better options. This may have happened many times in the prokaryotic world, of course, but once it happened the first time, the planet was changed for all subsequent life. These super-cells, eukaryotes, lived alongside their prokaryotic cousin, but were enormously more complex, versatile, and competent thanks to their hitchhikers. This was unwitting cooperation, of course. The eukaryotic teams were utterly oblivious of the teamwork in which they engaged. They had – and needed – no appreciation of free-floating rationale for their advantage over the competition. The early eukaryotes were not themselves multicellular, but they opened up the design space of multicellular organisms since they had enough spare parts to become different kinds of specialists.”
DANIEL CLEMENT DENNETT, “Freedom Evolves”, Viking, New York 2003, Chapter 5 ‘Where does all the design come from?’, ‘Early Days’, pp. 144 – 145.
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