Ora vi voglio raccontare, signori, che desideriate o no ascoltarlo, perché non sono riuscito a diventare nemmeno un insetto. Vi dirò solennemente che molte volte ho voluto diventare un insetto. Ma non mi sono meritato nemmeno questo. Vi giuro, signori, che l'eccesso di coscienza è una malattia, una vera e autentica malattia. Eppure sono convinto che non soltanto una coscienza eccessiva, ma la coscienza stessa è una malattia».
Fedor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Voi ridete; ridete, signori, però rispondete: sono calcolati del tutto esattamente i vantaggi umani?
Non ve ne sono di quelli che non solo non rientrano, ma neppure possono rientrare in alcuna classificazione? Voi infatti, signori, per quanto io sappia, avete ricavato tutta la vostra lista dei vantaggi umani dalla media dei dati statistici e delle formule della scienza economica. Infatti i vostri vantaggi sono il benessere, la ricchezza, la libertà, la tranquillità, eccetera, eccetera; cosicché l'uomo che, per esempio, andasse chiaramente e deliberatamente contro tutta questa lista, sarebbe, secondo voi, ma sì, naturalmente anche secondo me, un oscurantista o un pazzo completo, non è così?
Fedor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Voi ridete; ridete, signori, però rispondete: sono calcolati del tutto esattamente i vantaggi umani?
Non ve ne sono di quelli che non solo non rientrano, ma neppure possono rientrare in alcuna classificazione? Voi infatti, signori, per quanto io sappia, avete ricavato tutta la vostra lista dei vantaggi umani dalla media dei dati statistici e delle formule della scienza economica. Infatti i vostri vantaggi sono il benessere, la ricchezza, la libertà, la tranquillità, eccetera, eccetera; cosicché l'uomo che, per esempio, andasse chiaramente e deliberatamente contro tutta questa lista, sarebbe, secondo voi, ma sì, naturalmente anche secondo me, un oscurantista o un pazzo completo, non è così?
Fedor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
L'uomo ha una tale passione per il sistema e la deduzione logica che è disposto ad alterare la verità per non vedere il vedibile, a non udire l'udibile pur di legittimare la propria logica.
Fëdor Dostoevskij
"Ma l'uomo è tanto incline alla sistematicità e alla deduzione astratta che è pronto a deformare premeditatamente la verità, pronto a chiudere occhi ed orecchi, pur di giustificare la propria logica."
Fëdor Dostoevskij scrittore e filosofo russo 1821 – 1881
(Il sottosuolo, VII, 2010, p. 24).
Colpevole in primo luogo perché sono più intelligente di tutti quelli che mi circondano.
(Mi sono sempre considerato più intelligente di tutti quelli che mi circondavano, e talvolta, lo credereste?, me ne vergognavo perfino. Per lo meno, per tutta la vita ho guardato un po' di sbieco e non ho mai potuto fissare la gente dritto negli occhi.) Infine, colpevole perché se anche in me ci fosse della magnanimità, avrei solo maggior tormento per la consapevolezza di tutta la sua inutilità.
Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo.
Dal formicaio le rispettabili formiche hanno cominciato, e col formicaio certamente finiranno, il che torna a grande onore della loro perseveranza e della loro posatezza. Ma l’uomo è creatura avventata ed assurda, e forse a lui come al giocatore di scacchi interessa soltanto il processo di raggiungimento dello scopo, non già lo scopo stesso. E, chissà (nessuno può giurare il contrario), forse lo scopo a cui tende l’umanità consiste unicamente nel mantenere ininterrotto questo processo di raggiungimento, in altre parole è la vita medesima, e non propriamente la meta da raggiungere, la quale, si capisce, non può esser altro che il due piú due quattro, ossia una formula, ma questo due piú due quattro non è piú la vita, bensí il principio della morte.
Fëdor Dostoevskij - Memorie dal sottosuolo
«Dunque l'uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico.
Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos?».
Fëdor Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”
«Ma io, per esempio, come riuscirò a raggiungere la tranquillità?
Dove stanno, per me, le cause primarie per le quali ardere, dove stanno le ragioni? Dove le trovo?».
Fëdor Dostoevskij, “Memorie dal sottosuolo”
«A casa principalmente leggevo. Avevo bisogno di soffocare con sensazioni esterne tutto quello che mi s’era accumulato dentro. […] Le piccole passioni in me erano sempre acute, roventi a causa della mia congenita, morbosa sensibilità. Mi venivano degli attacchi isterici con lacrime e convulsioni. Mi assaliva una voglia isterica di contraddizioni, di contrasto. […] Fin d'allor mi portavo nell'anima il mio sottosuolo».
Fëdor Dostoevskij, “Memorie dal sottosuolo”
E perché siete così fermamente, così solennemente convinti che solo ciò che è normale e positivo - in una parola, solo il benessere, sia vantaggioso per l’uomo? Non si sbaglierà la ragione, sui vantaggi? E se l’uomo non amasse solo il benessere? Forse ama esattamente altrettanto la sofferenza? Forse la sofferenza gli è vantaggiosa esattamente quanto il benessere? E l’uomo talvolta ama pazzamente la sofferenza, addirittura con passione, e questo è un fatto. Qui non c’è neanche bisogno di rifarsi alla storia universale; chiedete a voi stessi, se solo siete uomini e avete vissuto almeno un po’... Per quanto poi riguarda la mia opinione personale, amare solo il benessere è perfino sconveniente, in un certo senso. Che sia bene o male, talvolta anche rompere qualcosa è molto piacevole. Io infatti qui non sono propriamente per la sofferenza, e neppure per il benessere. Sono per... per il mio capriccio e perché mi sia garantito, quando occorre. La sofferenza, per esempio, nei vaudevilles non è ammessa, lo so. Nel palazzo di cristallo è addirittura impensabile: la sofferenza è dubbio, è negazione, e che palazzo di cristallo sarebbe mai, se in esso si potesse dubitare? E intanto sono convinto che l’uomo non rinuncerà mai alla vera sofferenza, cioè alla distruzione e al caos.
La sofferenza... ma è l’unica origine della coscienza.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Infatti, affermare anche solo questa teoria del rinnovamento di tutto il genere umano grazie al sistema del suo tornaconto, equivale, secondo me, a... diciamo affermare, per esempio, con Buckle, che per effetto della civiltà l'uomo si ingentilisce, di conseguenza diventa meno sanguinario e meno incline alla guerra. Proprio secondo la logica, infatti, Buckle pare pervenire a questo risultato. Ma l'uomo ha tanta passione per il sistema e la deduzione astratta, che è disposto ad alterare deliberatamente la verità, è disposto a non vedere e non sentire, pur di giustificare la propria logica. Prendo questo esempio proprio perché è un esempio troppo lampante. Ma guardatevi attorno: il sangue scorre a fiumi, e oltretutto in maniera così allegra, come fosse champagne. Eccovi tutto il nostro diciannovesimo secolo, in cui è vissuto anche Buckle. Eccovi Napoleone - sia il grande, sia quello di oggi. Eccovi l'America del Nord - l'eterna Confederazione. Eccovi, infine, il caricaturale Schleswig-Holstein... E che cosa ingentilisce in noi la civiltà? La civiltà elabora nell'uomo solo una multiformità di sensazioni e... decisamente nient'altro. Anzi, attraverso lo sviluppo di questa multiformità l'uomo forse arriverà al punto di trovare piacere nel sangue. Questo infatti gli è già capitato. Avete notato che i sanguinari più raffinati erano quasi sempre dei signori più che civili, di cui certe volte tutti i vari Attila e Sten'ka Razin non valevano le suole delle scarpe; e se non balzano agli occhi violentemente come Attila e Sten'ka Razin, è proprio perché s'incontrano troppo spesso, sono troppo comuni, perfino scontati. O almeno, per effetto della civiltà l'uomo è diventato, se non più sanguinario, certamente sanguinario in modo peggiore, più abietto di prima. Prima vedeva nello spargimento di sangue un atto di giustizia, e con la coscienza tranquilla sterminava chi bisognava; adesso, invece, anche se consideriamo lo spargimento di sangue una nefandezza, tuttavia la pratichiamo, e ancor più di prima. Che cos'è peggio? Decidete voi.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Mi tormentava, allora, anche un’altra circostanza: il fatto che nessuno mi somigliava e io non somigliavo a nessuno. “Io sono solo, e loro sono tutti”, pensavo, e mi mettevo a riflettere.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Ammettiamo, signori, che l'uomo non sia stupido. (Effettivamente, non si può proprio dire questo di lui, se non altro perché se fosse stupido lui, ma chi sarebbe allora intelligente?) Ma se anche non è stupido, è comunque mostruosamente ingrato! Ingrato in modo fenomenale. Penso perfino che la migliore definizione dell'uomo sia questa: essere bipede e ingrato.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Non solo non ho saputo diventare cattivo, ma nemmeno nient'altro:
né cattivo, né buono, né mascalzone, né onesto, né eroe, né insetto. Ora poi finisco i miei giorni nel mio angoletto, stuzzicandomi con la maligna e perfettamente inutile consolazione che un uomo intelligente non può in effetti diventare sul serio niente, e diventa qualcosa solo uno stupido.
Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo
Ecco che ora mi faccio una domanda oziosa:
cos'è meglio una felicità a buon mercato
o sofferenze che innalzano?
E allora, cos'è meglio?
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
In fin dei conti, signori: è meglio non fare niente!
E' meglio una cosciente inerzia! Cosicché, evviva il sottosuolo!
E sebbene abbia detto di invidiare l'uomo normale fino al travaso di bile, ma nelle condizioni in cui lo vedo, non vorrei essere in lui (seppure comunque non cesserò di invidiarlo. No, no. Il sottosuolo, in ogni caso, è più vantaggioso!). Lì almeno si può... Eh! Ma ecco che mento di nuovo! Mento perché so da me, come due per due fa quattro, che non è affatto il sottosuolo ad essere migliore, ma qualcosa di diverso, del tutto diverso, al quale anelo, ma che non troverò mai! Al diavolo il sottosuolo!
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Colpevole in primo luogo perché sono più intelligente di tutti quelli che mi circondano.
(Mi sono sempre considerato più intelligente di tutti quelli che mi circondavano, e talvolta, lo credereste?, me ne vergognavo perfino. Per lo meno, per tutta la vita ho guardato un po' di sbieco e non ho mai potuto fissare la gente dritto negli occhi.) Infine, colpevole perché se anche in me ci fosse della magnanimità, avrei solo maggior tormento per la consapevolezza di tutta la sua inutilità.
Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo.
Dal formicaio le rispettabili formiche hanno cominciato, e col formicaio certamente finiranno, il che torna a grande onore della loro perseveranza e della loro posatezza. Ma l’uomo è creatura avventata ed assurda, e forse a lui come al giocatore di scacchi interessa soltanto il processo di raggiungimento dello scopo, non già lo scopo stesso. E, chissà (nessuno può giurare il contrario), forse lo scopo a cui tende l’umanità consiste unicamente nel mantenere ininterrotto questo processo di raggiungimento, in altre parole è la vita medesima, e non propriamente la meta da raggiungere, la quale, si capisce, non può esser altro che il due piú due quattro, ossia una formula, ma questo due piú due quattro non è piú la vita, bensí il principio della morte.
Fëdor Dostoevskij - Memorie dal sottosuolo
«Dunque l'uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico.
Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos?».
Fëdor Dostoevskij, “Memorie del sottosuolo”
«Ma io, per esempio, come riuscirò a raggiungere la tranquillità?
Dove stanno, per me, le cause primarie per le quali ardere, dove stanno le ragioni? Dove le trovo?».
Fëdor Dostoevskij, “Memorie dal sottosuolo”
Fëdor Dostoevskij, “Memorie dal sottosuolo”
E perché siete così fermamente, così solennemente convinti che solo ciò che è normale e positivo - in una parola, solo il benessere, sia vantaggioso per l’uomo? Non si sbaglierà la ragione, sui vantaggi? E se l’uomo non amasse solo il benessere? Forse ama esattamente altrettanto la sofferenza? Forse la sofferenza gli è vantaggiosa esattamente quanto il benessere? E l’uomo talvolta ama pazzamente la sofferenza, addirittura con passione, e questo è un fatto. Qui non c’è neanche bisogno di rifarsi alla storia universale; chiedete a voi stessi, se solo siete uomini e avete vissuto almeno un po’... Per quanto poi riguarda la mia opinione personale, amare solo il benessere è perfino sconveniente, in un certo senso. Che sia bene o male, talvolta anche rompere qualcosa è molto piacevole. Io infatti qui non sono propriamente per la sofferenza, e neppure per il benessere. Sono per... per il mio capriccio e perché mi sia garantito, quando occorre. La sofferenza, per esempio, nei vaudevilles non è ammessa, lo so. Nel palazzo di cristallo è addirittura impensabile: la sofferenza è dubbio, è negazione, e che palazzo di cristallo sarebbe mai, se in esso si potesse dubitare? E intanto sono convinto che l’uomo non rinuncerà mai alla vera sofferenza, cioè alla distruzione e al caos.
La sofferenza... ma è l’unica origine della coscienza.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Mi tormentava, allora, anche un’altra circostanza: il fatto che nessuno mi somigliava e io non somigliavo a nessuno. “Io sono solo, e loro sono tutti”, pensavo, e mi mettevo a riflettere.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Ammettiamo, signori, che l'uomo non sia stupido. (Effettivamente, non si può proprio dire questo di lui, se non altro perché se fosse stupido lui, ma chi sarebbe allora intelligente?) Ma se anche non è stupido, è comunque mostruosamente ingrato! Ingrato in modo fenomenale. Penso perfino che la migliore definizione dell'uomo sia questa: essere bipede e ingrato.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Non solo non ho saputo diventare cattivo, ma nemmeno nient'altro:
né cattivo, né buono, né mascalzone, né onesto, né eroe, né insetto. Ora poi finisco i miei giorni nel mio angoletto, stuzzicandomi con la maligna e perfettamente inutile consolazione che un uomo intelligente non può in effetti diventare sul serio niente, e diventa qualcosa solo uno stupido.
Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo
Ecco che ora mi faccio una domanda oziosa:
cos'è meglio una felicità a buon mercato
o sofferenze che innalzano?
E allora, cos'è meglio?
cos'è meglio una felicità a buon mercato
o sofferenze che innalzano?
E allora, cos'è meglio?
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
In fin dei conti, signori: è meglio non fare niente!
E' meglio una cosciente inerzia! Cosicché, evviva il sottosuolo!
E sebbene abbia detto di invidiare l'uomo normale fino al travaso di bile, ma nelle condizioni in cui lo vedo, non vorrei essere in lui (seppure comunque non cesserò di invidiarlo. No, no. Il sottosuolo, in ogni caso, è più vantaggioso!). Lì almeno si può... Eh! Ma ecco che mento di nuovo! Mento perché so da me, come due per due fa quattro, che non è affatto il sottosuolo ad essere migliore, ma qualcosa di diverso, del tutto diverso, al quale anelo, ma che non troverò mai! Al diavolo il sottosuolo!
E' meglio una cosciente inerzia! Cosicché, evviva il sottosuolo!
E sebbene abbia detto di invidiare l'uomo normale fino al travaso di bile, ma nelle condizioni in cui lo vedo, non vorrei essere in lui (seppure comunque non cesserò di invidiarlo. No, no. Il sottosuolo, in ogni caso, è più vantaggioso!). Lì almeno si può... Eh! Ma ecco che mento di nuovo! Mento perché so da me, come due per due fa quattro, che non è affatto il sottosuolo ad essere migliore, ma qualcosa di diverso, del tutto diverso, al quale anelo, ma che non troverò mai! Al diavolo il sottosuolo!
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Nei ricordi di ogni uomo ci sono certe cose che egli non svela a tutti, ma forse soltanto agli amici. Ce ne sono altre che non svelerà neppure agli amici, ma forse solo a sé stesso, e comunque in gran segreto. Ma ve ne sono infine, di quelle che l'uomo ha paura di svelare perfino a sé stesso, e ogni uomo perbene accumula parecchie cose del genere.
Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo
Chiedetemi pure perché mai io alterassi e tormentassi me stesso in questo modo. Risposta: perché mi annoiavo moltissimo a starmene con le mani in mano, e allora mi abbandonavo ai ghirigori della fantasia. È così. Osservatevi meglio, signori, e allora capirete che è proprio così. M'inventavo avventure e mi costruivo una vita per vivere in qualche modo. Quante volte mi capitava… per esempio, di offendermi, così apposta, senza nessuna ragione. Eppure lo sapevo benissimo che non avevo alcun motivo di offendermi, ed era solo esibizione, eppure mi caricavo talmente che alla fine mi sentivo davvero offeso. Ho sempre provato un'attrazione irresistibile per questo genere di scherzi tanto che a poco a poco ho cominciato a perdere il dominio di me stesso. Una volta mi è venuta voglia di innamorarmi, anzi due volte. Mi tormentavo, signori, ve lo garantisco. Nel fondo dell'anima non ci credevo, alla mia sofferenza: mi sfrugugliava dentro lo scherno, e tuttavia soffrivo, e perfino di un dolore autentico, genuino: ero geloso, ero fuori di me… E tutto per noia, signori, tutto per noia; l'inerzia mi opprimeva. Perché il diretto, conseguente, immediato frutto della consapevolezza è l'inerzia, cioè l'inoperosità consapevole.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Ancora sedicenne, li osservavo con cupa meraviglia; già allora mi stupivano la grettezza del loro pensiero, la stupidità delle occupazioni, dei giochi, dei discorsi loro. Non capivano certe cose cosí indispensabili, non s'interessavano di argomenti cosí suggestivi e impressionanti che per forza presi a considerarli inferiori a me. Non era la vanità offesa che mi ci spingeva, e, per amor di Dio, non venitemi avanti con le obiezioni convenzionali, rancide fino alla nausea, che io non facevo che sognare, mentre essi già allora capivano la vita reale. Nulla essi capivano, nessuna vita reale, e vi giuro che questo, appunto, era ciò che piú m'indignava in loro. Al contrario, la realtà piú evidente, piú abbagliante la percepivano in modo fantasticamente sciocco e già allora si abituavano ad inchinarsi nient'altro che al successo. Tutto ciò che era giusto, ma umile e avvilito, di quello ridevano crudelmente e vergognosamente. Il grado lo prendevano per intelletto; a sedici anni già parlavano di posticini al caldo.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Lasciateci soli, senza i libri, e subito ci confonderemo, ci smarriremo: non sapremo che partito pigliare, a cosa attenerci; che cosa amare e che cosa odiare, che cosa rispettare e che cosa disprezzare! Ci è di peso perfino essere uomini – uomini con un corpo e sangue vero, nostro; ce ne vergogniamo, lo consideriamo un disonore e ci sforziamo di essere non so che ipotetici uomini universali. Siamo nati morti, e da tempo non nasciamo più da padri vivi, e la cosa ci piace sempre di più. Ci prendiamo gusto. Presto escogiteremo il modo di nascere da un'idea.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
L’uomo si vendica perché vede in questo la giustizia. Dunque, ha trovato la causa prima, ha trovato il fondamento, ovverosia la giustizia. Quindi è tranquillo da tutti i lati, e di conseguenza si vendica tranquillamente ed efficacemente, essendo convinto di fare una cosa onesta e giusta. Mentre io qui di giustizia non ne vedo, e anche di virtù non ce ne trovo alcuna, e di conseguenza, se mi metterò a vendicarmi, sarà forse soltanto per cattiveria. La cattiveria, naturalmente, potrebbe vincere tutto, tutti i miei dubbi e, dunque, potrebbe assai efficacemente fungere da causa prima, proprio perché non è una causa. Ma che farci, se non ho neppure cattiveria? Il rancore, in me, di nuovo in conseguenza di quelle maledette leggi della coscienza, è soggetto a decomposizione chimica. Guardi e l’oggetto si volatilizza, le ragioni evaporano, il colpevole non si trova, l’offesa diventa non offesa, ma fato, qualcosa come il mal di denti, di cui nessuno è colpevole, e di conseguenza ancora una volta non resta che la solita via d’uscita, cioè picchiare dolorosissimamente con la testa contro il muro.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Infatti raccontare, per esempio, lunghe storie su come ho mancato la mia vita per la corruzione morale consumata nel mio cantuccio, per la mancanza di un ambiente sociale, la disabitudine alla vita e il vano risentimento covato nel sottosuolo - quanto è vero Dio, non è interessante; in un romanzo ci vuole un eroe, e qui sono raccolte apposta tutte le caratteristiche di un antieroe, e l’essenziale è che tutto ciò produrrà un’impressione spiacevole, perché siamo tutti disabituati alla vita, tutti zoppichiamo, chi più chi meno. Anzi, siamo talmente disabituati che talvolta sentiamo per l’autentica “vita vera” una sorta di ripugnanza, e perciò non possiamo sopportare che ce la rammentino. Infatti siamo arrivati al punto da considerare l’autentica “vita vera” quasi una fatica, poco meno che un lavoro, e siamo tutti d’accordo, in cuor nostro, che sui libri è meglio. E perché ci arrabattiamo talvolta, perché facciamo stravaganze, che cosa chiediamo? Non sappiamo neppure noi che cosa. E staremmo peggio, se le nostre stravaganti richieste venissero accolte. Ebbene, provate un po’ a darci, per esempio, più indipendenza, slegate le mani a chiunque di noi, ampliate la nostra sfera di attività, indebolite la tutela, e noi... ma ve l’assicuro: chiederemo subito di ritornare sotto tutela.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
A casa, in primo luogo,più che tutto leggevo. Avevo voglia di soffocare con sensazioni esteriori tutto ciò che ribolliva incessantemente dentro di me. E fra le sensazioni esteriori rientrava nelle mie possibilità soltanto la lettura. La lettura, naturalmente, mi aiutava molto: mi agitava, mi dilettava e mi tormentava. Ma di tempo in tempo mi veniva tremendamente a noia. Avevo pur sempre voglia di muovermi, e tutt'a un tratto mi affondavo in un'oscura, sotterranea, disgustosa, non dico depravazione, ma depravazionucola. Quelle passionucole in me erano acute, cocenti, per via della mia perpetua morbosa irritabilità. Avevo degli slanci isterici, con lacrime e convulsioni. Oltre la lettura, non avevo dove andare, cioè non c'era nulla che allora io potessi rispettare nel mio ambiente e verso di cui mi sentissi attratto. Per di più, mi ribolliva dentro la malinconia; mi veniva un'isterica sete di contraddizioni, di contrasti, così mi buttavo alla depravazione......
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Signori, io, si capisce, scherzo, e so da me che i miei scherzi non sono riusciti, ma pure non si può tutto prendere a scherzo quello che dico. Io forse scherzo colla bava alla bocca. Signori, c’è dei problemi che mi tormentano; risolvetemeli. Cosí per esempio voi volete distogliere l’uomo dalle sue antiche abitudini e correggere la sua volontà secondo quanto esigono la scienza e il buonsenso. Ma che cosa vi fa esser sicuri che non soltanto si può, ma si deve trasformare cosí l’uomo? Che cosa vi fa concludere che la volontà umana deve assolutamente esser corretta? Insomma, che cosa vi fa esser sicuri che una tale riforma tornerà davvero a vantaggio dell’uomo? E, per dir tutto, come mai siete tanto convinti che il non contrastare ai suoi veri e normali interessi, garantiti dagli argomenti della ragione e dell’aritmetica, sia davvero sempre vantaggioso per l’uomo e sia legge dell’umanità tutta? Ma questa, per adesso, è soltanto una vostra ipotesi! E poniamo pure che sia una legge della logica; ma forse non lo è affatto dell’umanità. Voi forse pensate, signori, che io sia pazzo? Lasciate però che mi spieghi. D’accordo: l’uomo è animale prevalentemente costruttore, condannato a tendere coscientemente a uno scopo e a esercitar l’arte dell’ingegnere, ossia a tracciarsi in eterno e senza posa una via, anche se non si sa dove meni. Ma forse appunto perché è condannato a tracciarsi questa via gli vien voglia ogni tanto di buttarsi fuoristrada, e magari anche perché, sia stupido l’uomo immediato e d’azione quanto si vuole, gli balena però talvolta pel capo che la via, come risulta, quasi sempre mena non si sa dove, e che l’importante poi non è dove meni, ma piuttosto e soltanto che, insomma proceda, e che il bravo ragazzo non sia portato a spregiare la propria arte d’ingegnere e non s’abbandoni cosí al rovinoso ozio, il quale è il noto padre di tutti i vizi. Dunque l’uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico. Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos? Rispondete un pò a questo! Ma su questo punto vorrei io stesso dirvi due parole in particolare. Non sarebbe forse dovuto, questo suo grande amore per la distruzione e pel caos (che talvolta li ami assai è anche pacifico e indiscutibile), al fatto che lui stesso istintivamente ha paura di raggiungere lo scopo e di portare a termine la costruzione? Che ne sapete, magari a lui l’edificio gli piace soltanto da lontano e da vicino niente affatto; magari viverci non gli piace, ma soltanto costruirlo, per poi lasciarlo aux animaux domestiques, quali formiche, pecoroni ecc. ecc. Le formiche però hanno tutt’altri gusti. Hanno, loro, una meravigliosa costruzione del genere, che sfida i secoli: il formicaio.
Dal formicaio le rispettabili formiche hanno cominciato, e col formicaio certamente finiranno, il che torna a grande onore della loro perseveranza e della loro posatezza. Ma l’uomo è creatura avventata ed assurda, e forse a lui come al giocatore di scacchi interessa soltanto il processo di raggiungimento dello scopo, non già lo scopo stesso. E, chissà (nessuno può giurare il contrario), forse lo scopo a cui tende l’umanità consiste unicamente nel mantenere ininterrotto questo processo di raggiungimento, in altre parole è la vita medesima, e non propriamente la meta da raggiungere, la quale, si capisce, non può esser altro che il due piú due quattro, ossia una formula, ma questo due piú due quattro non è piú la vita, bensí il principio della morte.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
"Chi è l’io narrante delle Memorie dal sottosuolo? Al contrario di quanto avviene di solito negli altri racconti e romanzi di Dostoevskij, non è un proprietario di terre, non è un professionista, non è neppure un membro dell’intellighenzia, non è, insomma, un uomo socialmente riconoscibile. Egli è, in realtà, soltanto un uomo “del sottosuolo” cioè un uomo che non si reprime come è d’obbligo nell’appartamento del primo piano per la buona ragione che non fa parte di alcuna società e allora a che serve reprimersi se si è fuori dalla società? È un uomo, però, sincero fino all’indecenza, fino alla spudoratezza, fino all’autoflagellazione. Insomma è un uomo “che si confessa”; ossia, diciamolo pure una buona volta, un’anima. Adoperiamo apposta questa parola, anche se Dostoevskij non se ne serve, perché abbiamo l’impressione che lo scrittore, nella lunga parte introduttiva, abbia voluto isolare e descrivere una situazione che, in mancanza di un termine più appropriato, doveva apparirgli come esclusivamente spirituale, sia pure di una degradata e sordida spiritualità. “Io” e, dunque, un’anima di tipo romantico e byroniano, che dalle tenebre del sottosuolo in cui si è rifugiata come in una fortezza, lancia, in nome dell’irriducibile “male”, una sfida proterva agli abitanti dei piani superiori, tutta gente perbene, debitamente credente nella ragione borghese ed europea.Cosa è avvenuto in realtà in questo straordinario spostamento dell’attenzione realistica dal sociale allo spirituale? È avvenuto che, senza rendersene conto, Dostoevskij, con le Memorie dal sottosuolo, ha creato un personaggio nuovo destinato a dominare la narrativa occidentale nei prossimi cent’anni: il personaggio dell’antieroe nel quale è privilegiata non già la vita sociale ma la vita interiore. È il romanzo che, poi, sarà chiamato esistenzialista, al quale è possibile riallacciare scrittori così diversi come Joyce e Kafka. È stato detto che il romanzo in genere si occupa della società. Questo, però, è vero soprattutto per il romanzo dell’Ottocento. Anche a un osservatore superficiale non può sfuggire che nel romanzo tradizionale i personaggi sono quasi soltanto descritti nel loro agire sociale; e, infatti, non è un caso che da Stendhal a Tolstoj la narrativa ottocentesca è piena di descrizioni di ricevimenti, pranzi, feste, riunioni, cacce, cavalcate e altre simili occasioni mondane; e che i sentimenti dei personaggi siano sempre descritti in riferimento al posto che essi occupano nella società. È vero che Julien Sorel o Anna Karenina frequentano i salotti per incontrarvi l’uomo o la donna che amano; ma bisogna notate che questi salotti sono così importanti per loro che esserne esclusi spinge il primo al delitto e la seconda al suicidio. Insomma, i personaggi del romanzo ottocentesco sono determinati dai loro rapporti con la società; e ben poco sappiamo dei loro sentimenti, diciamo così, privati, cioè non collegati col fatto sociale. Con l’io delle Memorie dal sottosuolo, comincia invece la sua carriera il personaggio esistenziale per il quale il rapporto sociale non è che una proiezione tra le tante della vita interiore. E infatti nel racconto capostipite di Dostoevskij, tutto ciò che vi accade, non accade per motivi sociali ma unicamente interiori, oggi diremmo nevrotici. È la nevrosi che spinge “io” a intrufolarsi nel pranzo degli ex compagni di università; la nevrosi che gli fa inseguire i suoi carnefici fin nel bordello; la nevrosi infine che gli detta il contraddittorio comportamento con la prostituta Liza. Ma Dostoevskij non lo sa. Egli pensa soltanto di utilizzare la parte più “indecorosa” di se stesso per descrivere una certa situazione spirituale. Siamo ancora, come si vede, a quella fase dell’esplorazione del sottosuolo in cui l’esploratore, partito, come Colombo, per arrivare in India, non si accorge di avere invece scoperto il Nuovo Mondo.
Ad ogni modo le date, come abbiamo già osservato, nel caso di Dostoevskij scrittore anticipatore e profetico, sono importanti. Siamo nel 1864, Sigmund Freud, che è nato nel 1856, ha già otto anni. Dunque il sottosuolo, questa crisalide dell’inconscio freudiano, durerà ancora circa trent’anni. Poi cambierà nome e carattere; starà a indicare non più un mistero impenetrabile in molti modi, ma una struttura psicologica rigorosamente articolata e relativamente prevedibile. In Dostoevskij, il sottosuolo era la sede del “male”, vecchio mostro inconoscibile. Con Freud diventa l’inconscio, teatro sotterraneo di un dramma recitato sempre nello stesso modo, sempre dagli stessi tre attori. Del “male” non si parlerà più; esso c’è, beninteso, ma è conoscibile e, in qualche misura, evitabile. Per il decadentismo europeo, poi, questo “male” diventerà, a livello politico-letterario, addirittura il “bene”.
Ma cos’è questo male, alla fine, di cui Dostoevskij si serve per dare scacco alla ragione? Esaminato alla luce della ragione, non quella degli illuministi ma quella della psicanalisi, il cosiddetto “male” nel caso delle Memorie dal sottosuolo, sembra essere un caso parossistico di sadomasochismo principalmente dovuto a una frustrazione di specie sociale. Naturalmente una simile definizione non riguarda il risultato artistico che fa delle Memorie dal sottosuolo uno dei capolavori fondamentali di Dostoevskij; ma riguarda quella che chiameremo l’appropriazione mitopoietica dostoevskiana. In altri termini, il racconto contrassegna una presa di possesso di specie strutturale, dopo la quale l’argomento o non verrà più trattato affatto oppure, come abbiamo già accennato, sarà sviluppato in direzioni nuove dal romanzo esistenzialista.
È istruttivo notare come il sadomasochismo del protagonista delle Memorie dal sottosuolo costituisca, con la sua altalena tra soffrire e far soffrire, la struttura portante di tutto il racconto. La lunga introduzione è sadica nei riguardi della ragione europea e borghese, sfiduciata e svillaneggiata, e masochista nei riguardi del personaggio stesso afflitto da un inestirpabile senso di colpa. Poi “Io” è masochista, in maniera abnorme, nella scena al ristorante, con i suoi ex compagni di università che lo umiliano e lo respingono e continua a esserlo allorché decide di seguirli al bordello e chiede a loro il denaro per pagare la prostituta. Ma una volta in presenza di Liza, nel bordello, diventa immediatamente e raffinatamente sadico. “Io” torna a casa ed è al tempo stesso sadico e masochista con il servo Apollon, capostipite di tutta una serie di servi dostoevskiani insieme mistici e complici; come, del resto, Liza è a sua volta la capostipite di una lunga serie di donne innocenti e profanate. Ma Liza sopravviene e allora per tutta la prima metà della scena finale “io” è sadico; quando però Liza gli lascia sul tavolo il biglietto da cinque rubli con il quale lui ha voluto, sadicamente, umiliarla, è la sua volta di soffrire masochisticamente, come per un crudele e definitivo schiaffo morale. E così via. Alla fine, nella conclusione, il protagonista confermerà che è la nevrosi, in attesa di Freud, il grande integratore sociale, a escluderlo dal mondo. “Raccontare, ormai, per filo e per segno, come io abbia fallito la mia vita per solitaria depravazione morale, per la mancanza di una società, per il mio essere disavvezzo a ciò che si vive e pel mio assiduo rancore nel sottosuolo, vivaddio, non sarebbe interessante”.
Non sarebbe interessante perché, oltre tutto, l’ha già fatto; finito di leggere il racconto, noi sappiamo benissimo perché il protagonista e tanti come lui falliscano la loro vita. Semmai le Memorie dal sottosuolo offrono un altro interesse, il quale riguarda piuttosto l’autore che il personaggio che dice “io”. È vero, dopo Freud, il sottosuolo non sembrerà più così misterioso; cambiando nome, diventando l’inconscio, perderà parte del suo fascino. Ma il vero mistero, che il sempre misterioso Dostoevskij addita nel suo racconto è, in fondo, quello della creazione artistica. L’io narrante descrive non soltanto l’inconscio ma anche la probabile operazione sublimatoria che ha permesso a Dostoevskij di scriverlo. Nelle Memorie dal sottosuolo, infatti, oltre alla storia di una nevrosi si può facilmente ricostruire una storia della trasformazione della nevrosi stessa in racconto. La lunga ma non sproporzionata introduzione psicologico-ideologica premessa alla vicenda vera e propria ci narra in realtà anche un’altra vicenda, quella dell’artista alle prese con la sua materia. Un po’ come Pirandello nei Sei personaggi in cerca d’autore, Dostoevskij ci fa capire che il vero mistero non è quello del protagonista ma quello dell’autore che dalle sordide complessità del “sottosuolo” ha saputo ricavare personaggi indimenticabili, veramente misteriosi questi, di una misteriosità rembrandtiana, quali “io”, Liza, Apollon, gli ex compagni di università. La forza delle Memorie dal sottosuolo deriva soprattutto da questa analisi dell’ispirazione artistica; cioè dal profilarsi dell’autore e del suo rapporto con la materia dietro il protagonista e il suo rapporto con gli altri personaggi."
Alberto Moravia, dall’introduzione a “Memorie dal sottosuolo”, ed. Rizzoli
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Ancora sedicenne, li osservavo con cupa meraviglia; già allora mi stupivano la grettezza del loro pensiero, la stupidità delle occupazioni, dei giochi, dei discorsi loro. Non capivano certe cose cosí indispensabili, non s'interessavano di argomenti cosí suggestivi e impressionanti che per forza presi a considerarli inferiori a me. Non era la vanità offesa che mi ci spingeva, e, per amor di Dio, non venitemi avanti con le obiezioni convenzionali, rancide fino alla nausea, che io non facevo che sognare, mentre essi già allora capivano la vita reale. Nulla essi capivano, nessuna vita reale, e vi giuro che questo, appunto, era ciò che piú m'indignava in loro. Al contrario, la realtà piú evidente, piú abbagliante la percepivano in modo fantasticamente sciocco e già allora si abituavano ad inchinarsi nient'altro che al successo. Tutto ciò che era giusto, ma umile e avvilito, di quello ridevano crudelmente e vergognosamente. Il grado lo prendevano per intelletto; a sedici anni già parlavano di posticini al caldo.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Lasciateci soli, senza i libri, e subito ci confonderemo, ci smarriremo: non sapremo che partito pigliare, a cosa attenerci; che cosa amare e che cosa odiare, che cosa rispettare e che cosa disprezzare! Ci è di peso perfino essere uomini – uomini con un corpo e sangue vero, nostro; ce ne vergogniamo, lo consideriamo un disonore e ci sforziamo di essere non so che ipotetici uomini universali. Siamo nati morti, e da tempo non nasciamo più da padri vivi, e la cosa ci piace sempre di più. Ci prendiamo gusto. Presto escogiteremo il modo di nascere da un'idea.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
L’uomo si vendica perché vede in questo la giustizia. Dunque, ha trovato la causa prima, ha trovato il fondamento, ovverosia la giustizia. Quindi è tranquillo da tutti i lati, e di conseguenza si vendica tranquillamente ed efficacemente, essendo convinto di fare una cosa onesta e giusta. Mentre io qui di giustizia non ne vedo, e anche di virtù non ce ne trovo alcuna, e di conseguenza, se mi metterò a vendicarmi, sarà forse soltanto per cattiveria. La cattiveria, naturalmente, potrebbe vincere tutto, tutti i miei dubbi e, dunque, potrebbe assai efficacemente fungere da causa prima, proprio perché non è una causa. Ma che farci, se non ho neppure cattiveria? Il rancore, in me, di nuovo in conseguenza di quelle maledette leggi della coscienza, è soggetto a decomposizione chimica. Guardi e l’oggetto si volatilizza, le ragioni evaporano, il colpevole non si trova, l’offesa diventa non offesa, ma fato, qualcosa come il mal di denti, di cui nessuno è colpevole, e di conseguenza ancora una volta non resta che la solita via d’uscita, cioè picchiare dolorosissimamente con la testa contro il muro.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Infatti raccontare, per esempio, lunghe storie su come ho mancato la mia vita per la corruzione morale consumata nel mio cantuccio, per la mancanza di un ambiente sociale, la disabitudine alla vita e il vano risentimento covato nel sottosuolo - quanto è vero Dio, non è interessante; in un romanzo ci vuole un eroe, e qui sono raccolte apposta tutte le caratteristiche di un antieroe, e l’essenziale è che tutto ciò produrrà un’impressione spiacevole, perché siamo tutti disabituati alla vita, tutti zoppichiamo, chi più chi meno. Anzi, siamo talmente disabituati che talvolta sentiamo per l’autentica “vita vera” una sorta di ripugnanza, e perciò non possiamo sopportare che ce la rammentino. Infatti siamo arrivati al punto da considerare l’autentica “vita vera” quasi una fatica, poco meno che un lavoro, e siamo tutti d’accordo, in cuor nostro, che sui libri è meglio. E perché ci arrabattiamo talvolta, perché facciamo stravaganze, che cosa chiediamo? Non sappiamo neppure noi che cosa. E staremmo peggio, se le nostre stravaganti richieste venissero accolte. Ebbene, provate un po’ a darci, per esempio, più indipendenza, slegate le mani a chiunque di noi, ampliate la nostra sfera di attività, indebolite la tutela, e noi... ma ve l’assicuro: chiederemo subito di ritornare sotto tutela.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
A casa, in primo luogo,più che tutto leggevo. Avevo voglia di soffocare con sensazioni esteriori tutto ciò che ribolliva incessantemente dentro di me. E fra le sensazioni esteriori rientrava nelle mie possibilità soltanto la lettura. La lettura, naturalmente, mi aiutava molto: mi agitava, mi dilettava e mi tormentava. Ma di tempo in tempo mi veniva tremendamente a noia. Avevo pur sempre voglia di muovermi, e tutt'a un tratto mi affondavo in un'oscura, sotterranea, disgustosa, non dico depravazione, ma depravazionucola. Quelle passionucole in me erano acute, cocenti, per via della mia perpetua morbosa irritabilità. Avevo degli slanci isterici, con lacrime e convulsioni. Oltre la lettura, non avevo dove andare, cioè non c'era nulla che allora io potessi rispettare nel mio ambiente e verso di cui mi sentissi attratto. Per di più, mi ribolliva dentro la malinconia; mi veniva un'isterica sete di contraddizioni, di contrasti, così mi buttavo alla depravazione......
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Signori, io, si capisce, scherzo, e so da me che i miei scherzi non sono riusciti, ma pure non si può tutto prendere a scherzo quello che dico. Io forse scherzo colla bava alla bocca. Signori, c’è dei problemi che mi tormentano; risolvetemeli. Cosí per esempio voi volete distogliere l’uomo dalle sue antiche abitudini e correggere la sua volontà secondo quanto esigono la scienza e il buonsenso. Ma che cosa vi fa esser sicuri che non soltanto si può, ma si deve trasformare cosí l’uomo? Che cosa vi fa concludere che la volontà umana deve assolutamente esser corretta? Insomma, che cosa vi fa esser sicuri che una tale riforma tornerà davvero a vantaggio dell’uomo? E, per dir tutto, come mai siete tanto convinti che il non contrastare ai suoi veri e normali interessi, garantiti dagli argomenti della ragione e dell’aritmetica, sia davvero sempre vantaggioso per l’uomo e sia legge dell’umanità tutta? Ma questa, per adesso, è soltanto una vostra ipotesi! E poniamo pure che sia una legge della logica; ma forse non lo è affatto dell’umanità. Voi forse pensate, signori, che io sia pazzo? Lasciate però che mi spieghi. D’accordo: l’uomo è animale prevalentemente costruttore, condannato a tendere coscientemente a uno scopo e a esercitar l’arte dell’ingegnere, ossia a tracciarsi in eterno e senza posa una via, anche se non si sa dove meni. Ma forse appunto perché è condannato a tracciarsi questa via gli vien voglia ogni tanto di buttarsi fuoristrada, e magari anche perché, sia stupido l’uomo immediato e d’azione quanto si vuole, gli balena però talvolta pel capo che la via, come risulta, quasi sempre mena non si sa dove, e che l’importante poi non è dove meni, ma piuttosto e soltanto che, insomma proceda, e che il bravo ragazzo non sia portato a spregiare la propria arte d’ingegnere e non s’abbandoni cosí al rovinoso ozio, il quale è il noto padre di tutti i vizi. Dunque l’uomo ama costruire, e tracciare strade, è pacifico. Ma da che viene che ami appassionatamente anche la distruzione e il caos? Rispondete un pò a questo! Ma su questo punto vorrei io stesso dirvi due parole in particolare. Non sarebbe forse dovuto, questo suo grande amore per la distruzione e pel caos (che talvolta li ami assai è anche pacifico e indiscutibile), al fatto che lui stesso istintivamente ha paura di raggiungere lo scopo e di portare a termine la costruzione? Che ne sapete, magari a lui l’edificio gli piace soltanto da lontano e da vicino niente affatto; magari viverci non gli piace, ma soltanto costruirlo, per poi lasciarlo aux animaux domestiques, quali formiche, pecoroni ecc. ecc. Le formiche però hanno tutt’altri gusti. Hanno, loro, una meravigliosa costruzione del genere, che sfida i secoli: il formicaio.
Dal formicaio le rispettabili formiche hanno cominciato, e col formicaio certamente finiranno, il che torna a grande onore della loro perseveranza e della loro posatezza. Ma l’uomo è creatura avventata ed assurda, e forse a lui come al giocatore di scacchi interessa soltanto il processo di raggiungimento dello scopo, non già lo scopo stesso. E, chissà (nessuno può giurare il contrario), forse lo scopo a cui tende l’umanità consiste unicamente nel mantenere ininterrotto questo processo di raggiungimento, in altre parole è la vita medesima, e non propriamente la meta da raggiungere, la quale, si capisce, non può esser altro che il due piú due quattro, ossia una formula, ma questo due piú due quattro non è piú la vita, bensí il principio della morte.
Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
"Chi è l’io narrante delle Memorie dal sottosuolo? Al contrario di quanto avviene di solito negli altri racconti e romanzi di Dostoevskij, non è un proprietario di terre, non è un professionista, non è neppure un membro dell’intellighenzia, non è, insomma, un uomo socialmente riconoscibile. Egli è, in realtà, soltanto un uomo “del sottosuolo” cioè un uomo che non si reprime come è d’obbligo nell’appartamento del primo piano per la buona ragione che non fa parte di alcuna società e allora a che serve reprimersi se si è fuori dalla società? È un uomo, però, sincero fino all’indecenza, fino alla spudoratezza, fino all’autoflagellazione. Insomma è un uomo “che si confessa”; ossia, diciamolo pure una buona volta, un’anima. Adoperiamo apposta questa parola, anche se Dostoevskij non se ne serve, perché abbiamo l’impressione che lo scrittore, nella lunga parte introduttiva, abbia voluto isolare e descrivere una situazione che, in mancanza di un termine più appropriato, doveva apparirgli come esclusivamente spirituale, sia pure di una degradata e sordida spiritualità. “Io” e, dunque, un’anima di tipo romantico e byroniano, che dalle tenebre del sottosuolo in cui si è rifugiata come in una fortezza, lancia, in nome dell’irriducibile “male”, una sfida proterva agli abitanti dei piani superiori, tutta gente perbene, debitamente credente nella ragione borghese ed europea.Cosa è avvenuto in realtà in questo straordinario spostamento dell’attenzione realistica dal sociale allo spirituale? È avvenuto che, senza rendersene conto, Dostoevskij, con le Memorie dal sottosuolo, ha creato un personaggio nuovo destinato a dominare la narrativa occidentale nei prossimi cent’anni: il personaggio dell’antieroe nel quale è privilegiata non già la vita sociale ma la vita interiore. È il romanzo che, poi, sarà chiamato esistenzialista, al quale è possibile riallacciare scrittori così diversi come Joyce e Kafka. È stato detto che il romanzo in genere si occupa della società. Questo, però, è vero soprattutto per il romanzo dell’Ottocento. Anche a un osservatore superficiale non può sfuggire che nel romanzo tradizionale i personaggi sono quasi soltanto descritti nel loro agire sociale; e, infatti, non è un caso che da Stendhal a Tolstoj la narrativa ottocentesca è piena di descrizioni di ricevimenti, pranzi, feste, riunioni, cacce, cavalcate e altre simili occasioni mondane; e che i sentimenti dei personaggi siano sempre descritti in riferimento al posto che essi occupano nella società. È vero che Julien Sorel o Anna Karenina frequentano i salotti per incontrarvi l’uomo o la donna che amano; ma bisogna notate che questi salotti sono così importanti per loro che esserne esclusi spinge il primo al delitto e la seconda al suicidio. Insomma, i personaggi del romanzo ottocentesco sono determinati dai loro rapporti con la società; e ben poco sappiamo dei loro sentimenti, diciamo così, privati, cioè non collegati col fatto sociale. Con l’io delle Memorie dal sottosuolo, comincia invece la sua carriera il personaggio esistenziale per il quale il rapporto sociale non è che una proiezione tra le tante della vita interiore. E infatti nel racconto capostipite di Dostoevskij, tutto ciò che vi accade, non accade per motivi sociali ma unicamente interiori, oggi diremmo nevrotici. È la nevrosi che spinge “io” a intrufolarsi nel pranzo degli ex compagni di università; la nevrosi che gli fa inseguire i suoi carnefici fin nel bordello; la nevrosi infine che gli detta il contraddittorio comportamento con la prostituta Liza. Ma Dostoevskij non lo sa. Egli pensa soltanto di utilizzare la parte più “indecorosa” di se stesso per descrivere una certa situazione spirituale. Siamo ancora, come si vede, a quella fase dell’esplorazione del sottosuolo in cui l’esploratore, partito, come Colombo, per arrivare in India, non si accorge di avere invece scoperto il Nuovo Mondo.
Ad ogni modo le date, come abbiamo già osservato, nel caso di Dostoevskij scrittore anticipatore e profetico, sono importanti. Siamo nel 1864, Sigmund Freud, che è nato nel 1856, ha già otto anni. Dunque il sottosuolo, questa crisalide dell’inconscio freudiano, durerà ancora circa trent’anni. Poi cambierà nome e carattere; starà a indicare non più un mistero impenetrabile in molti modi, ma una struttura psicologica rigorosamente articolata e relativamente prevedibile. In Dostoevskij, il sottosuolo era la sede del “male”, vecchio mostro inconoscibile. Con Freud diventa l’inconscio, teatro sotterraneo di un dramma recitato sempre nello stesso modo, sempre dagli stessi tre attori. Del “male” non si parlerà più; esso c’è, beninteso, ma è conoscibile e, in qualche misura, evitabile. Per il decadentismo europeo, poi, questo “male” diventerà, a livello politico-letterario, addirittura il “bene”.
Ma cos’è questo male, alla fine, di cui Dostoevskij si serve per dare scacco alla ragione? Esaminato alla luce della ragione, non quella degli illuministi ma quella della psicanalisi, il cosiddetto “male” nel caso delle Memorie dal sottosuolo, sembra essere un caso parossistico di sadomasochismo principalmente dovuto a una frustrazione di specie sociale. Naturalmente una simile definizione non riguarda il risultato artistico che fa delle Memorie dal sottosuolo uno dei capolavori fondamentali di Dostoevskij; ma riguarda quella che chiameremo l’appropriazione mitopoietica dostoevskiana. In altri termini, il racconto contrassegna una presa di possesso di specie strutturale, dopo la quale l’argomento o non verrà più trattato affatto oppure, come abbiamo già accennato, sarà sviluppato in direzioni nuove dal romanzo esistenzialista.
È istruttivo notare come il sadomasochismo del protagonista delle Memorie dal sottosuolo costituisca, con la sua altalena tra soffrire e far soffrire, la struttura portante di tutto il racconto. La lunga introduzione è sadica nei riguardi della ragione europea e borghese, sfiduciata e svillaneggiata, e masochista nei riguardi del personaggio stesso afflitto da un inestirpabile senso di colpa. Poi “Io” è masochista, in maniera abnorme, nella scena al ristorante, con i suoi ex compagni di università che lo umiliano e lo respingono e continua a esserlo allorché decide di seguirli al bordello e chiede a loro il denaro per pagare la prostituta. Ma una volta in presenza di Liza, nel bordello, diventa immediatamente e raffinatamente sadico. “Io” torna a casa ed è al tempo stesso sadico e masochista con il servo Apollon, capostipite di tutta una serie di servi dostoevskiani insieme mistici e complici; come, del resto, Liza è a sua volta la capostipite di una lunga serie di donne innocenti e profanate. Ma Liza sopravviene e allora per tutta la prima metà della scena finale “io” è sadico; quando però Liza gli lascia sul tavolo il biglietto da cinque rubli con il quale lui ha voluto, sadicamente, umiliarla, è la sua volta di soffrire masochisticamente, come per un crudele e definitivo schiaffo morale. E così via. Alla fine, nella conclusione, il protagonista confermerà che è la nevrosi, in attesa di Freud, il grande integratore sociale, a escluderlo dal mondo. “Raccontare, ormai, per filo e per segno, come io abbia fallito la mia vita per solitaria depravazione morale, per la mancanza di una società, per il mio essere disavvezzo a ciò che si vive e pel mio assiduo rancore nel sottosuolo, vivaddio, non sarebbe interessante”.
Non sarebbe interessante perché, oltre tutto, l’ha già fatto; finito di leggere il racconto, noi sappiamo benissimo perché il protagonista e tanti come lui falliscano la loro vita. Semmai le Memorie dal sottosuolo offrono un altro interesse, il quale riguarda piuttosto l’autore che il personaggio che dice “io”. È vero, dopo Freud, il sottosuolo non sembrerà più così misterioso; cambiando nome, diventando l’inconscio, perderà parte del suo fascino. Ma il vero mistero, che il sempre misterioso Dostoevskij addita nel suo racconto è, in fondo, quello della creazione artistica. L’io narrante descrive non soltanto l’inconscio ma anche la probabile operazione sublimatoria che ha permesso a Dostoevskij di scriverlo. Nelle Memorie dal sottosuolo, infatti, oltre alla storia di una nevrosi si può facilmente ricostruire una storia della trasformazione della nevrosi stessa in racconto. La lunga ma non sproporzionata introduzione psicologico-ideologica premessa alla vicenda vera e propria ci narra in realtà anche un’altra vicenda, quella dell’artista alle prese con la sua materia. Un po’ come Pirandello nei Sei personaggi in cerca d’autore, Dostoevskij ci fa capire che il vero mistero non è quello del protagonista ma quello dell’autore che dalle sordide complessità del “sottosuolo” ha saputo ricavare personaggi indimenticabili, veramente misteriosi questi, di una misteriosità rembrandtiana, quali “io”, Liza, Apollon, gli ex compagni di università. La forza delle Memorie dal sottosuolo deriva soprattutto da questa analisi dell’ispirazione artistica; cioè dal profilarsi dell’autore e del suo rapporto con la materia dietro il protagonista e il suo rapporto con gli altri personaggi."
Alberto Moravia, dall’introduzione a “Memorie dal sottosuolo”, ed. Rizzoli
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