11 Imperatori e mezzo dell’Antica Roma
Fanatismo religioso e ferocia guerresca, megalomania e fine capacità d'indagine psicologica di nemici e sottoposti: grazie alla capacità di crescere uomini capaci di unire questi opposti l'Illirico è stata la terra d'origine degli ultimi grandi imperatori latini.
Da Diocleziano che all'apice del potere si ritira nella sua villa a Spalato costruita come un immenso sarcofago faraonico, a Costantino il Vincitore che predica e consacra il pane come un nuovo Cristo dalla sua reggia di Bisanzio, fino Giuliano Imperatore che insegue la visione del Sole Invitto fino alla morte nelle sabbie del deserto partico, i monarchi solari illirici hanno difeso con le armi e la devozione l'Impero dalla invasioni esterne e dalla decadenza morale interna. Dopo di loro ci furono solo politici e militari, fantocci e barbari... di uomini non se ne ebbe più traccia.
Di
Quando pensiamo a Roma e agli imperatori romani, solitamente nella nostra testa scatta un’immagine epica, se si pensa a Marco Aurelio, oppure folle e tirannica, se si pensa a Nerone. Tuttavia la vita da imperatore non era facile, non solo per la difficoltà di dover gestire un impero delle dimensioni di Roma, con tutti i problemi derivanti, ma anche perché era necessario riuscire a sopravvivere abbastanza a lungo da potersi godere il potere.
La situazione più frequente, tra gli imperatori di cui si conoscono anche ipoteticamente le cause della morte, è l’assassinio (27 regnanti assassinati); subito dopo, strano ma vero, segue la morte di morte naturale con 12 decessi, anche se è doveroso sottolineare che in alcuni casi potrebbe essere stato a causa di una malattia. Al terzo posto nelle tipologie di morti troviamo, appunto, la morte per malattia, che va dalla malattia non specificata, alla peste o ad ipotetici attacchi cardiaci. Questo podio è variabile, perché in molti casi veniva indicato “morte per malattia” anche la morte da avvelenamento progressivo, di conseguenza scambiato per malattia.
Al quarto posto non può quindi mancare la morte per avvelenamento, che conta 5 decessi certi ed è spesso perpetrata dai familiari dell’imperatore (mogli, figli, fratelli). Le ultime due possibilità di morte sono quelle più dubbie e adatte a nascondere possibili omicidi: sto parlando della morte per suicidio, che conta 4 imperatori, e della morte in battaglia che ne conta tre. In questi ultimi sette casi la validità delle testimonianze è dubbia.
Dopo avervi proposto questi dati, vorrei presentarvi i primi 11 imperatori e mezzo dell’antica Roma, partendo da Giulio Cesare fino ad arrivare a Domiziano. Perché 11 imperatori e mezzo? State a vedere!
1
Cesare: Gaio Giulio Cesare (101/100 a.C. – 44 a.C.) Fu il primo condottiero ad essere guerriero, console, dittatore e scrittore romano. Con la tirannide di Giulio Cesare soccombe il governo repubblicano e nasce il potere dell’impero. Molti storici lo considerano il primo imperatore e il grande spartiacque nell’evoluzione della civiltà romana. Morì nella famosa congiura delle idi di Marzo (15 Marzo) del 44 a.C., ovviamente assassinato dai congiurati e persino dal figlio adottivo Bruto.
2
Augusto: Gaio Ottavio Turino (63 a.C. – 14 a.C.) Augusto ottenne il titolo di Princeps dal Senato, che acconsentì a indicarlo come “primo imperatore” tenendo, però, per se molti dei poteri politici e militari. Ad Augusto (o Ottaviano), vennero concessi i poteri di “Tribunicias Potestas” (assunzione del potere dei tribuni della plebe, cioè poter legiferare anche a nome del popolo), “Impegnum Proconsolare” (consentiva all’imperatore di porre il veto alle decisioni del senato e essere immune dalle pene comminate) e “Pontefice Massimo”(massimo potere religioso, anche sopra i sacerdoti). Augusto morì, secondo alcune fonti, per un avvelenamento che gli causò problemi intestinali per molto tempo. Secondo altre fonti i frequenti attacchi di malessere erano dovuti ad una malattia.
3
Tiberio: Tiberio Claudio Nerone ( 42 a.C. – 37 d.C.) Tiberio fu un princeps molto abile dal punto di vista militare perché estese, in momenti diversi, i confini dell’impero, riconoscendo i propri limiti. Una volta raggiunto un vasto territorio, che rese Roma potente e temuta, decise di interrompere le campagne di conquista per dedicarsi al mantenimento dei confini. Spesso e volentieri si recava in volontario esilio, per poi tornare e riprendere il proprio posto. Fu anche un abile politico e statista in grado di portare vantaggiose riforme sia nella politica interna ed estera, sia nell’economia. Tiberio trascorse l’ultima parte della sua vita in esilio a Capri ma, a causa di alcuni problemi con la successione al titolo di Princeps, decise di rientrare a Roma. A sette miglia dall’Urbe, intimorito dalle reazioni del popolo, cambiò strada e si diresse in Campania, dove venne colto da un malore. Da qui venne trasportato nella villa di Lucullo e, sfiancato da alcuni giorni di delirio, parve morto. Qualche giorno dopo riprese conoscenza e riuscì a trovare un briciolo di sanità mentale. A questo punto il popolo stava già acclamando il nuovo imperatore Caligola e il prefetto Macrone decise di far soffocare con le coperte il vecchio Tiberio.
Villa Jovis, di Tiberio, è nota per essere stata sia la dimora dell'imperatore romano Tiberio Giulio Cesare Augusto e sia il palazzo del governo di Roma nel periodo cui risale tra il 26 e il 37 d.C.. Dalla sua villa, Tiberio governò l'Impero per oltre undici anni. Alcuni cronisti dell'epoca, descrivono Tiberio come una persona distaccata, introversa, difficilmente riceveva ospiti tanto meno faceva i ricevimenti diplomatici. Durante gli undici anni sull'isola parte delle cariche dello Stato vennero trasferite da Roma a Capri. Svetonio descrisse le difficili relazioni che aveva l'Imperatore Tiberio con il Senato, le classi patrizie e i vertici militari caratterizzate da forti divergenze e resosi conto che qualcosa contro di lui era da tempo in atto, se non per sfuggire ad un possibile attentato lasciò la capitale appena in tempo per una «lunga convalescenza». La scelta appunto di venire a Capri ed abitare a Villa Jovis non fu casuale, fu proprio in ragione della sua incolumità.
Senz’altro le forze, non l’impenetrabilità, abbandonavano Tiberio: il rigore dell’animo era lo stesso. Irrigidito nel parlare [lett. “nel discorso”] e nel volto, talvolta nascondeva con affettata cordialità il deperimento, per quanto manifesto. Dopo aver cambiato località (sempre) più spesso, alla fine si stabilì presso il promontorio di Miseno in una villa che un tempo era appartenuta [lett. “di cui era stato proprietario”] a Lucio Lucullo. In quell’occasione si seppe che si stava avvicinando alla morte [lett. “ai funerali”]. C’era (lì) un medico notevole nel lavoro, di nome Caricle, certamente non solito regolare la salute del principe, ma piuttosto offrire abbondanza di consigli. Costui, come allontanandosi per affari propri, dopo avergli stretto la mano fingendo [lett. “sotto l’aspetto di”] un ossequio, sentì il battito delle vene e confermò a Macrone che lo spirito stava venendo meno e che non sarebbe sopravvissuto oltre due giorni. Il 16 marzo [lett. “il diciassettesimo giorno prima delle Calende di Aprile”], allontanatasi l’anima, si credette che avesse terminato la vita [lett. “la mortalità”], e tutti si stavano congratulando con Gaio Cesare, il nuovo principe, quando, improvvisamente, venne riferito che a Tiberio erano ritornati la voce e la vista. Il terrore, dunque, pervase tutti quelli che si erano rallegrati della sua morte, ma l’intrepido Macrone comandò di soffocare il vecchio stendendogli [lett. “con lo stendere”] sopra molte coperte. Così morì Tiberio nel settantottesimo anno d’età. [...]
Alla morte di Tiberio le casse dell’erario romano contenevano circa 2 miliardi e 700 milioni di sesterzi (Dione Cassio ne contava circa 3 miliardi e 300 milioni, considerando che la cifra ammontava a 4 anni di entrate tributarie che in quel tempo erano di circa 800 milioni di sesterzi l’anno)
4
Caligola: Gaio Giulio Cesare Germanico (12 a.C – 41 d.C.) Caligola fu il terzo imperatore romano dopo Cesare e, secondo l’opinione comune, un tipo eccentrico e stravagante, che nulla aveva a che spartire con Tiberio. In realtà le stravaganze, i vizi e i gusti eccentrici dell’imperatore, non influirono sul suo operato. Escludendo il fatto che spese gran parte del patrimonio ereditato in vizi, e vendette, anche lui fu un grande economista e un ottimo stratega. In pochissimi anni di regno riuscì a diminuire le tasse e mantenere saldi i confini rendendo minimo il dispendio e le perdite di soldati. Poco prima di essere assassinato iniziò a dare segni di malessere e di squilibrio mentale.
24 GENNAIO 41 d.C. : L’ASSASSINIO DI CALIGOLA.
Nato ad Anzio nel 12 d.C., Gaius Iiulius Caesar Augusto Germanicus era figlio del generale Germanico, molto amato dal popolo romano, e di Agrippina Maggiore. Divenne imperatore nel 37 d.C. dopo la morte del suo predecessore Tiberio, che aveva adottato Germanico. Regnante con il nome di Gaio Cesare, meglio conosciuto con il soprannome di Caligola, venne proclamato imperatore a soli 25 anni nel 37 d.C. .
Non passò molto tempo ed i suoi rapporti con il Senato giunsero ad un punto di rottura. Roma era inondata di pettegolezzi sulla corruzione, la condotta dissoluta e l’instabilità mentale dell’imperatore. Diversi complotti orditi per attentare alla sua vita erano falliti, ma a rivoltarsi contro di lui stavolta furono membri della sua stessa guardia pretoriana.
Svetonio ci racconta che il limite venne superato per i modi con cui Caligola scherniva e dileggiava il veterano Cassio Cherea che aveva prestato servizio con suo padre sul Reno. Ogni volta che Cassio si inginocchiava per baciare l’anello imperiale, Caligola piegava la mano in maniera allusiva; ogni volta che Cassio domandava la parola d’ordine serale Caligola suggeriva eufemismi di stampo sessuale.
All’inizio del 41 d.C. la sopportazione di Cassio aveva raggiunto il limite. Il 24 gennaio l’imperatore avrebbe dovuto presenziare ai giochi organizzati in memoria ed in onore del suo bisnonno e primo imperatore Augusto. Mentre percorreva un passaggio coperto per raggiungere l’anfiteatro, Caligola si soffermò un attimo ad osservare un gruppo di giovani aristocratici che stavano provando il loro spettacolo.
Fu allora che un gruppo di pretoriani entrà in azione: uno degli ufficiali, Cornelio Sabino, colpì con la spada il capo dell’imperatore. Subito gli altri congiurati si mossero, con Cassio Cherea in testa a tutti, trafiggendo e squarciando il corpo di Caligola. Almeno trenta colpi trafissero l’imperatore e nella foga dell’aggressione morirono anche la moglie Cesonia e la loro figlia ancora bambina Drusilla.
Dopo un breve periodo di caos durante il quale si pensò che il Senato stesse pianificando la restaurazione della repubblica, venne nominato il nuovo imperatore: Claudio, il balbuziente zio di Caligola. Egli prese immediatamente le distanze dal regicidio e Cassio venne condannato a morte. Gli fu concesso di essere giustiziato con la stessa arma che aveva usato per uccidere Caligola.
Antonio A. – Fonte: BBC History
5
Claudio: Tiberio Claudio Druso Nerone Germanico (10 a.C. – 54 a.C.) Claudio mostrò fin dalla nascita i segni di lievi squilibri mentali e, per questo motivo, venne tenuto lontano dalla politica fino a quando non rimase l’unico erede maschio adulto della gens Giulio-Claudia. Ottenuto il titolo di princeps fu un abile legislatore, molto prolifico, tanto che alcuni aneddoti gli attribuiscono l’emanazione di 20 editti in un giorno. Fu patrono dell’edilizia pubblica e sostenitore di varie campagne militari, ma queste sue abilità non furono viste di buon occhio dalla sua quarta moglie, Agrippina Minore, madre di Nerone. Se la prima moglie era stata condannata a morte per aver congiurato contro di lui e aver tentato di ucciderlo, Agrippina si mostrò molto più abile. Già in altri casi la donna si era macchiata di omicidio per avvelenamento e la morte di Claudio a causa di un piatto di funghi velenosi è quasi certamente opera sua.
Il 24 gennaio del 41 d.C. viene eletto imperatore Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico. Succeduto a Caligola, Claudio impostò il suo regno all’insegna del ritorno delle tradizioni repubblicane, ridando al senato il suo potere.
Molti maschi della dinastia giulio-claudia erano ormai morti assassinati, ma il nipote di Tiberio non venne interessato da queste "purghe" perché la sua ascesa al potere era considerata assai improbabile. La ragione di ciò stava nei suoi difetti fisici, considerati vergognosi in una società, come quella romana, che non amava la debolezza. I suoi familiari, infatti, avevano sempre disprezzato le sue frequenti malattie e guardato con disgusto al suo sbavare e alla balbuzie che caratterizzava il suo modo di parlare. Pertanto, quando diciassettenne, assunse la toga virile, non fu accompagnato in Campidoglio pubblicamente, ma a tarda notte e nascosto in una lettiga. Se per la madre, Antonia minore, era un "uomo mostruoso, non compiuto, ma solo un abbozzo della natura" e anche uno scemo, non meno insensibili erano le parole della nonna Livia Drusilla, che gli scriveva lettere dai toni aspri, e della sorella Claudia Livilla, che riteneva deplorevole una sua eventuale ascesa al potere. Eppure Claudio, che aveva avuto modo di condurre una vita appartata e di studiare, era un uomo colto (scrisse un trattato sugli etruschi, uno su Cartagine e altri sui giochi e sull'alfabeto, tutti perduti) e fu un accorto imperatore. Rispettò senatori e magistrati, migliorò Roma con opere pubbliche, rinnovò la pubblica amministrazione.
"..ac si quem socordiae argueret, "stultiorem", aiebat, "filio suo Claudio"..., cioè..."se voleva offendere qualcuno, diceva che era più stupido di suo figlio Claudio..." Così l'attendibile Svetonio nel suo "De vita Caesarum" ci fa capire quale considerazione avesse la madre Antonia del figlio Claudio, che persino la nonna Augusta "...pro despectissimo semper habuit..." (considerò sempre col massimo disprezzo). Tarato nel fisico e nella mente, fu acclamato Imperatore quasi per assenza di alternative ed in modo comico. Nel tumulto seguito all'assassinio di Caligola, infatti, si era nascosto dietro ad una tenda e solo i suoi piedi sporgenti lo fecero ritrovare da alcuni pretoriani, che iniziarono ad acclamarlo Imperatore, proprio quando invece lui era convinto che lo avrebbero ammazzato. All'inizio del suo Principato, restituì al Senato quell'autorità che Caligola gli aveva tolto e cercò di puntellare la sua autorità con provvedimenti assai sensati e popolari, quali l'elargizione di generose prebende che gli valsero la fedeltà dell'esercito, la costruzione di opere pubbliche essenziali come l'acquedotto dell'"Acqua Claudia" ed una politica interna improntata al principio del "panem et circenses", cioè rifornimenti annonari abbondanti e poco cari oltre a frequenti giochi circensi (spettacoli gladiatori, naumachie, corse su bighe...), per tenersi buono il popolo. La sua maggior impresa bellica fu la conquista della Britannia, che incredibilmente gli riuscì quasi senza colpo ferire. Ciò non tolse che i suoi difetti (pavidità, manie persecutorie, instabilità, crudeltà, ma anche μετέωρια e αβλεΨια, cioè smemoratezza e distrazione, come ci dice sempre Svetonio) non tardarono a manifestarsi con comportamenti anche grotteschi, specie quando era chiamato a rendere giustizia. Famosa la sentenza da lui resa al termine di un processo civile, dove sulla tavoletta giudiziaria scrisse che lui "...secundum eos se sentire, qui vera proposuissent..." (si sentiva favorevole a coloro, che gli avessero detto la verità)! Fece assassinare non senza qualche valida ragione la moglie Messalina, per poi risposarsi con la cognata vedova Agrippina. Alla sua morte i Romani tirarono un respiro di sollievo, salvo presto rimpiangerlo dopo essersi ritrovati come successore Nerone.
Per lo più riluttante a rivestire la porpora imperiale e tenuto in disparte in ragione del suo handicap fisico ( probabilmente una forma di paralisi invalidante) e mentale, Claudio fu trascinato al potere nel 41 d.c., dopo gli eccessi tirannici di Tiberio e Caligola. Personaggio di notevole cultura ed erudizione, come nota Cassio Dione "era di un'intelligenza non comune, anche perchè si manteneva costantemente istruito"; mostrò vivo interesse per la Storia (grazie anche all'amicizia con Tito Livio) e scrisse una storia di Roma, in cui ricostruiva l'arco storico - temporale a partire dall'assassinio di Cesare fino al termine del Principato di Augusto, unitamente alle storie degli etruschi e di Cartagine, ormai perdute, a cui probabilmente, avrebbe voluto aggiungere anche quella della Britannia con l'intento di mantenere alto l'onore familiare dei suoi venerati, rispettivamente fratello e padre, Germanico e Druso, ma anche per completare la cronaca del suo trionfo in Britannia. Di carattere schivo e sobrio, tributò pochi onori alla sua persona, come racconta Svetonio; pur ristabilendo l'autorità senatoriale, ne limitò l'influenza introducendo una nuova "lectio senatus" con cui lui stesso si arrogava il diritto di scegliere i senatori fra le classi dirigenti provinciali. Ristabilì l'ordine giuridico che, come sostiene Seneca, era stato "sconvolto dalla follia del suo predecessore", realizzò riforme pubbliche e amministrative, progetti edilizi, costruì l'acquedotto "Aqua Claudia" e terminò l' "Anio novus" iniziato da Caligola; promosse una politica prevalentemente populista per ottenere maggiori consensi e proseguì con successo il progetto cesariano della conquista della Britannia che trasformò in provincia imperiale. La saggezza e la lungimiranza con cui cercò di portare a compimento il suo operato furono però fiaccate dalla corruzione e dall'ingerenza delle mogli intriganti che lo condussero alla distruzione e alla morte (avvenuta nel 54 d.c., probabilmente per veneficio).
Spezziamo una lancia a suo favore : nel 48 d.C. pronunciò lo storico discorso al Senato per accogliere nello stesso Senato i notabili provinciali della Gallia comata. Un notevole esempio di integrazione e di "soft-power" che però non fu ben accolto, soprattutto dai senatori più tradizionalisti.
Consiglio la lettura di: "Claudio, l'imperatore balbuziente" di Dimitri Landeschi.
L'autore cerca in questo libro di ricostruirne la vera identità, attraverso vicende pubbliche e private.
Alessandra Cortese.
LA CONGIURA DI AGRIPPINA.
La fase conclusiva della congiura guidata da Cassio Cherea contro Caligola,
il 24 gennaio del 41, doveva riservare ancora un colpo di scena.
Dopo aver ucciso l'imperatore, i cospiratori entrarono nel suo palazzo.
Qui si trovava il suo zio paterno Claudio. Spaventato dalla notizia dell'attentato subito dal nipote, si era nascosto dapprima in una stanza, poi dietro le tende che stavano davanti alla porta di una terrazza. Un soldato aveva intravisto per caso i suoi piedi e, incuriosito, lo aveva tirato fuori da quel nascondiglio. Ancora più intimorito, Claudio gli si era gettato ai piedi.
Ma il soldato, avendolo riconosciuto, lo aveva salutato come imperatore.
Il giorno dopo anche il popolo aveva cominciato a invocarlo come tale,
e così il Senato non poteva che eleggerlo a capo dell'impero.
In poche parole, a decidere che Claudio sarebbe diventato il nuovo imperatore al posto di Caligola fu un gran colpo di fortuna. Cassio Cherea e i suoi complici, infatti, si erano talmente concentrati sul come togliere di mezzo Caligola, che si erano dimenticati di designare il suo successore.
Tiberio Claudio Cesare Nerone Germanico saliva al trono cinquantenne e vi sarebbe rimasto per tredici anni, fino cioè alla morte. Nato a Lione il 1° agosto del 10 a.C., era figlio di Antonia Minore e di Druso Maggiore. Fino alla sua nomina a capo dell'impero, era stato considerato, sia in Senato che in famiglia, poco più che un inetto. In realtà possedeva una cultura molto estesa, che riusciva a coniugare alla sua innata saggezza.
Aveva trascorso buona parte della vita a leggere e scrivere di letteratura, filologia e storia, in particolare quella etrusca e quella cartaginese. Anche alla carica di console era arrivato piuttosto tardi, a quarantasette anni e sempre grazie a suo nipote.
A differenza di quest'ultimo, Claudio fondò il suo mandato sulla moderazione e, anche se il suo governo partì con la condanna a morte di Cassio Cherea e di altri che avevano preso parte alla congiura contro il nipote, si concentrò sulla realizzazione di una serie di interventi destinati a migliorare l'assetto sia politico che amministrativo dell'impero.
Anche con il Senato riuscì a costruire un rapporto più collaborativo rispetto a quello di Caligola. Ciononostante, consapevole che la sua nomina non era piaciuta a più di un senatore, si presentava in aula protetto da una nutrita scorta armata.
Riorganizzò la struttura burocratica dello Stato suddividendola in vari dicasteri diretti da liberti di sua fiducia e chiese al Senato che si giurasse su Augusto e non su di lui. Rinunciò a vari onori tranne a quello di pater patriae e si oppose all'assegnazione di un giorno festivo in onore di Caligola. Introdusse pene per chiunque avesse ucciso il proprio schiavo, vietò la tortura e ridusse le tasse.
Fece poi tornare a Roma le sorelle di Caligola e tutti gli esuli, e scarcerare quei detenuti su cui non esistevano sufficienti prove di colpevolezza. Grazie a lui furono eretti e riparati acquedotti, fontane e dighe, costruite strade ed edifici pubblici, edificato un porto sulla foce del Tevere il cui progetto risaliva al periodo di Giulio Cesare.
Si impegnò anche a favore di una romanizzazione delle diverse province dell'impero, limitando gli abusi dei governatori locali, concedendo il diritto di cittadinanza a diverse popolazioni, ma a patto che imparassero la lingua e le tradizioni latine.
Come tutti gli imperatori che si rispettino, anche Claudio fu oggetto di varie congiure, l'ultima delle quali, ordita dalla quarta moglie Agrippina, gli fu fatale. Si narra di un primo tentativo da parte di uno sconosciuto che, pugnale in mano, era riuscito a infilarsi nella sua camera da letto, ma era poi stato fermato appena in tempo dalle guardie.
Nel 42, invece, c'era stato un tentativo di insurrezione, poi rientrato, da parte di due legioni comandate da Furio Scribano. Poi erano state scoperte due trame, l'una ordita da Tauro Statilio Crovino e Asinio Gallo, l'altra capeggiata da Gneo Nonio, entrambe concluse con un nulla di fatto.
A parte la condanna a morte per i congiurati.
Chi invece sarebbe riuscita nel suo intento cospiratorio fu Agrippina Minore, sua quarta moglie e madre del futuro imperatore Nerone. Claudio si sposò quattro volte:
- la prima con Plauzia Urgulanilla, da cui ebbe due figli:
Druso Claudio, morto in giovanissima età, e Claudia, non riconosciuta dall'imperatore poiché la moglie era stata sospettata di adulterio e poi allontanata;
- il secondo matrimonio fu con Elia Petina che, dopo avergli dato una figlia, Antonia, fu cacciata "per offese di poco conto", così almeno racconta Svetonio;
- poi fu il turno della giovane e sensuale Valeria Messalina, donna astuta e crudele che, dopo averlo tradito più volte, si innamorò follemente di uno degli uomini più affascinanti di Roma, Gaio Silio. Quando a Claudio fu raccontato che Messalina s'era sposata, neanche tanto in segreto, con l'amante, cosa peraltro non certa, lui li fece giustiziare entrambi;
- nonostante avesse giurato che Messalina sarebbe stata la sua ultima sposa, dopo qualche tempo Claudio cominciò a pensare a una quarta moglie. E tra le varie candidate che gli furono proposte, la scelta cadde su Agrippina, figlia di suo fratello Germanico e dunque sua nipote.
La donna, che già era stata moglie di Gneo Domizio Enobarbo (da cui aveva avuto il futuro imperatore Nerone) e di Caio Passieno Crispo, entrambi morti, viene descritta tanto sensuale quanto scaltra. Accusata di aver congiurato contro il fratello Caligola, aveva vissuto l'esilio, da cui tornò soltanto con l'avvento di Claudio.
Divenuta sua moglie, Agrippina cominciò a sostituirlo nella gestione del potere. Fece giustiziare tutti coloro che avrebbero potuto minacciare la sua nuova posizione di imperatrice, donne o uomini che fossero. Ma il suo vero obiettivo era quello di riuscire a far salire al trono suo figlio Lucio Domizio Enobarbo, detto Nerone.
Dapprima convinse Claudio ad adottare il ragazzo, poi a darlo in sposa a sua figlia Ottavia. Rimaneva, però, il problema di Britannico, figlio naturale dell'imperatore e molto amato dal popolo romano. Ma quando Agrippina venne a sapere dalle sue spie di palazzo che il marito intendeva nominarlo suo erede, entrò in azione per risolvere la questione.
Approfittando di un periodo di assenza del più stretto collaboratore di Claudio, il liberto Narcisso, la donna riuscì, con l'aiuto della grande esperta di veleni Locusta, ad aggiungere una sostanza mortale nella cena del consorte. Ma la tempra del vecchio imperatore sembrava essere più forte del veleno.
A quel punto Agrippina convocò il medico Senofonte che, con la scusa di volergli somministrare un farmaco, gli fece deglutire un'altra dose di veleno. A sessantaquattro anni Claudio morì. Era il 13 ottobre del 54 d.C. e aveva governato per quattordici anni.
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6
Nerone: Lucio Domizio Enobarbo Nerone (37 d.C. – 68 d.C.) Solitamente, quando si parla di Nerone, si pensa immediatamente all’imperatore folle che incendiò Roma e incolpò i cristiani. In realtà non era un folle, si era semplicemente adeguato alla follia che imperversava a Roma, alla situazione politica e sociale e alle scelte strategiche del predecessore Caligola, cercando di ingraziarsi il popolo con elargizioni di cibo e giochi circensi. Unica falla nel suo piano, fu il fatto che ignorò completamente l’aristocrazia. Cominciò a mostrare segni di paranoia quando condannò a morte chiunque fosse anche vagamente sospettato di congiura nei suoi confronti, persino sua madre. Tale atteggiamento paranoide era dovuto alle sue scelte politiche filo-popolari che lo resero scomodo alla classe dominante. Nerone si suicidò a 30 anni.
7
Galba: Servio Suplicio Galba (3 d. C. – 69 d.C.) Prima di assumere il titolo di princeps intraprese una lunga e ricca carriera politica, completa di ogni carica sostenibile. Alla morte di Nerone divenne imperatore, dopo essere stato acclamato dalle truppe spagnole, ma governò per soli sette mesi, dal giugno del 68 d.C. al gennaio del 69 d. C., quando venne assassinato dai sostenitori militari di Otone. Vi sembrerà poco un regno di sette mesi, in realtà non era così raro. Il potere politico, per soli sette mesi e nelle mani giuste, avrebbe potuto essere vantaggioso.
- il 15 gennaio del 69 d.C. moriva l'imperatore Galba.
Servio Sulpicio Galba, nacque il 24 dicembre del 4 a.C. nei pressi di Terracina, in una delle famiglie più antiche e illustri di Roma. Svetonio ricorda che fu uno dei favoriti di Livia, la moglie di Augusto (Galba, 5):
"Galba ebbe una particolare venerazione per Livia Augusta. che lo favorì immensamente da viva, e col suo testamento, quasi lo arricchì dopo morta. Infatti primo fra i legatari, Livia gli aveva lasciato cinquanta milioni di sesterzi: ma poiché la somma era stata lasciata in cifre e non a piene lettere, il suo erede Tiberio la ridusse a cinquecentomila sesterzi; Galba, del resto, non ricevette nemmeno quelli."
Ricoprì la carica di pretore, di consolo e poi fu governatore in Germania, in Africa e in Spagna. Durante il suo comando nella Spagna Tarraconense sotto il regno dell'instabile Nerone, come ricorda Svetonio (Galba, 9):
"Galba a poco a poco diventò pigro e trascurato per non farsi notare da Nerone, perché come ripeteva spesso: "Nessuno deve rendere conto di ciò che non fa."
Nel 68 d.C. fu uno dei principali protagonisti della rivolta contro l'imperatore Nerone, e l'8 giugno dello stesso anno il Senato lo proclamò imperatore di Roma. Ma l'entusiasmo con cui venne accolto all'impero durò molto poco visto che diede prova della sua avarizia e crudeltà, offendendo senatori e cavalieri, ma soprattutto i soldati. Svetonio (Galba, 14) ricorda inoltre che: "L'imperatore si faceva governare dal capriccio di tre uomini che abitavano con lui nel Palazzo e che non lo abbandonavano mai di un passo, tanto che il popolo li chiamava i suoi "pedagoghi": Tito Vinio, suo legato in Spagna, uomo di avidità smodata; Cornelio Lacone, elevato di colpo da assessore a prefetto del pretorio, uomo intollerabile per la sua arroganza e la sua nullità; il suo liberto Icelo, da poco insignito dell'anello d'oro e del cognome Marciano, e già candidato al massimo incarico dell'ordine equestre. Galba si rimise totalmente a questi malfattori, afflitti da ogni genere di vizi, permettendo loro di abusare a tal punto di lui da non rimanere nemmeno conseguente con se stesso, ora aspro e avaro in modo eccessivo, ora eccessivamente debole e prodigo."
Così lo scontento generale permise a Marco Salvio Otone, amico di Nerone, di attuare il suo piano per sbarazzarsi dell'imperatore e prendere il suo posto. Così il 15 gennaio del 69 d.C. Galba seppe della rivolta di Otone che aveva conquistato i Castra Praetoria, ma timoroso degli eventi si rifugiò sul Palatino. Questo il racconto di Svetonio (Galba, 19-20):
"Fu attirato fuori dal palazzo dalle false voci sparse dai congiurati allo scopo di farlo uscire in strada. In realtà poiché alcuni affermavano, senza sapere niente, che la questione era sistemata, che i soldati in rivolta erano stati sopraffatti e che altri arrivavano in massa per felicitarsi con lui, pronti a obbedirgli in tutto, egli uscì per correre loro incontro con tanta fiducia che ad un soldato, che si vantava di aver ucciso Otone, domandò: "Per ordine di chi?"; dopo di che avanzò fino al Foro. Qui i cavalieri, che avevano ricevuto l'ordine di ucciderlo, allontanando la folla, visto l'imperatore da lontano, si fermarono un momento, poi, spronati nuovamente i loro cavalli, trovandolo abbandonato dai suoi, lo trucidarono. La maggior parte dice che egli offrì spontaneamente la gola, dicendo: "Su, uccidete, fate quello che avete deciso!" Galba fu sgozzato presso il lago di Curzio e il suo cadavere tu lasciato così com'era, finché un soldato semplice, tornando dalla ricerca della sua razione di grano, gettò il suo carico e gli staccò la testa; poiché non poteva afferrarla per i capelli, in un primo tempo la nascose in grembo, poi, infilato il pollice nella bocca la portò ad Otone. Costui la regalò ai vivandieri e ai garzoni d'armata che la piantarono in cima a una picca e la portarono in giro per il campo, non senza scherno, gridando continuamente: "Galba, dio dell'amore, godi della tua gioventù!" A questo tipo di scherzo lascivo li eccitava soprattutto il fatto che, secondo voci corse qualche giorno prima, Galba aveva risposto ad uno che lo complimentava per la sua figura ancora fiorente e vigorosa: "Le mie forze sono ancora intatte." Un liberto di Petrobio Neroniano riscattò la testa per cento monete d'oro e le gettò nel luogo stesso dove il suo padrone era stato messo a morte per ordine di Galba. Più tardi infine il suo intendente Argivo la seppellì, con il resto del corpo, nei giardini privati dell'imperatore, situati lungo la via Aurelia."
Galba morì a settantatré anni, sette mesi dopo essere diventato imperatore. Otone salì al potere, ma l'anno (69 d.C.) che passerà alla storia come "l'anno dei quattro imperatori" era appena iniziato e uno solo dei quattro era caduto.
Gabriele Romano
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7 ½
Otone: Marco Salvio Otone (32 d.C. – 69 d.C.) Regnò dal 15 gennaio del 69 al 16 aprile del 69. Siamo giunti al nostro “mezzo imperatore”. Alla morte di Galba e dei suoi fedeli Otone venne immediatamente proclamato princeps ma il suo potere non durò che tre mesi perché, nello stesso frangente in Germania, le truppe acclamarono imperatore Vitellio. Dopo aver tentato un accordo i due imperatori si scontrarono sulle rive del Po e, a causa dell’impazienza di Otone che non volle attendere le truppe in arrivo dalla Dalmazia, lo scontro diede la vittoria a Vitellio. Visto il numero di morti per un suo errore, Otone si ritirò per dormire e al mattino si suicidò, probabilmente augurandosi di porre fine alle guerre civili che stavano sconvolgendo l’impero.
8
Vitellio: Aulo Vitellio (15 d.C. – 69 d.C.) Regnò dal 17 aprile del 69 al 20 dicembre del 69. In seguito alla prima battaglia di Bedriaco, nella quale Vitellio sconfisse Otone, nelle regioni orientali dell’impero venne acclamato imperatore Vespasiano, che raggiunse con le sue legioni lo stesso punto della prima battaglia. In questo secondo combattimento fu Vitellio a perdere, costretto ad abdicare in favore dell’altro. L’ex imperatore non poté nemmeno sperare di andarsene, venne ucciso dai sostenitori di Vespasiano.
9
Vespasiano: Tito Flavio Vespasiano (9 d.C. – 79 d.C.) Vespasiano fu l’ultimo imperatore eletto nell’ “Anno dei 4 imperatori”, il 69 d. C. In seguito alla morte di Nerone nel giro di un anno vennero eletti quattro imperatori: Galba in Spagna, Otone a Roma, Vitellio in Germania e Vespasiano in oriente. Vespasiano regnò per 10 anni e morì di morte naturale, secondo gli storici, ma anche lui come Augusto, a causa di problemi intestinali.
"Un servo favorito aveva chiesto un incarico per un tizio dicendo che era suo fratello. Vespasiano rimandò la risposta e, chiamato il candidato in sua presenza, dopo aver riscosso la somma che questi aveva promesso a chi lo avesse raccomandato, gli concesse immediatamente l'incarico. Quando il servo ritornò da lui per avere la risposta, Vespasiano gli disse:
- Cercati un altro fratello, perché questo è fratello mio! - "
Svetonio, Vita dei Cesari, Vespasiano, n. 23
Il bicchiere d'argento per bambini.
"Vespasiano nacque in Sabina in un modesto villaggio oltre Rieti, chiamato Falacrine. Venne educato in campagna, vicino a Cosa (nei pressi di Orbetello), sotto la guida della nonna materna e, per questo, anche da imperatore, tornava spesso nei luoghi della sua infanzia, avendo lasciato la villa come era a quei tempi per non cambiare nulla di quel che i suoi occhi avevano fissato nel ricordo; e aveva una tale venerazione per la memoria della nonna che nei giorni festivi e solenni, sempre beveva nel suo piccolo bicchiere d'argento"
Svetonio, Vita dei Cesari, Vespasiano, n.2
Quest'uso del bicchierino d'argento per bambini, rimasto in vigore almeno fino alla metà del secolo scorso, è dunque più antico di quanto si poteva immaginare. La sua diffusione andò molto oltre i confini d'Italia. Bertrand Russell ricorda nella sua autobiografia di aver chiesto allo scrittore Joseph Conrad, di cui aveva grandissima stima personale anche morale, di esser padrino al battesimo del suo primo figlio, John-Conrad. Lo scrittore acconsentì e, meticoloso come era in tutte le sue cose, corse subito ad ordinare il rituale bicchierino d'argento.
Novecentosessanta furono le vittime, comprendendo nel numero anche le donne e i bambini, e la data dell’eccidio fu il quindici del mese di Xanthico. I romani, che s’aspettavano di dover ancora combattere, verso l’alba si approntarono e, gettate delle passerelle per poter avanzare dai terrapieni, si lanciarono all’attacco. Non vedendo alcun nemico, ma dovunque una paurosa solitudine e poi dentro fiamme e silenzio, non riuscivano a capire che cosa fosse accaduto […] Quando furono di fronte alla distesa dei cadaveri, ciò che provarono non fu l’esultanza di aver annientato il nemico, ma l’ammirazione per il nobile proposito e per il disprezzo della morte con cui tanta moltitudine l’aveva messo in atto.”
Giuseppe Flavio
10
Tito: Tito Flavio Vespasiano (39 d.C. – 81 d.C.) Tito, primo figlio di Vespasiano, si distinse subito per la brillante carriera militare e per la forza d’animo e la solidarietà dimostrata in due terribili occasioni: l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e l’incendio di Roma dell’anno successivo. Svetonio stesso lo definisce “Amore e delizia del genere umano”. Le ipotesi sulla sua morte sono due: secondo alcuni storici potrebbe essere morto di malaria, contratta durante il servizio in aiuto ai malati. Secondo Svetonio, invece, sarebbe stato avvelenato dal su medico Valeno, su ordine di Domiziano.
11
Domiziano: Tito Flavio Domiziano (51 d.C. – 96 d.C.) Fu un imperatore corretto e leale, disinteressato alle conquiste ma solo al mantenimento dei confini. Abbellì Roma dando il via a una nuova stagione dell’edilizia pubblica. Resosi conto della difficoltà da parte del popolo di sostenere i dualismo governativo di Senato e imperatore cercò di trovare un compromesso che gli costò una prima congiura che Lucio Antonio Saturnino fallì. Al secondo tentativo Domiziano non ebbe scampo e morì assassinato.
Questi sono solo 12 degli imperatori della storia romana, tuttavia la successione al potere non cambia, assassini, avvelenamenti, suicidi erano i metodi migliori per un cambio al vertice. Se i greci non esitavano a raccontare anche gli aneddoti più umilianti, i romani cercavano, invece, di mantenere una certa virtus anche nel ricordo della morte, rispettando le qualità e le doti dei condottieri.
Figlio di Marco Aurelio e Faustina minore, Commodo era salito al trono alla morte del padre nel 180, dimostrando fin da subito la sua eccentricità. Appassionato di combattimenti di gladiatori, ai quali partecipava in prima persona, lasciò a più riprese le redini del governo ai suoi sottoposti, come il prefetto del pretorio Perenne e il liberto Cleandro, entrambi poi uccisi per tradimento. La situazione iniziò a degenerare quando l'imperatore pretese di far chiamare tutto con l'epiteto Commodiano, come il Senato Commodiano, l'esercito commodiano, i mesi dell'anno erano chiamati commodiani, perfino la stessa Roma venne chiamata Colonia Commodiana.
L'imperatore inoltre cominciò a farsi chiamare come gli dei, Giove, Marte e, il suo preferito, Ercole, che amava impersonare nei combattimenti con gladiatori nell'arena.
Sopravvisse ad una congiura di palazzo organizzata nel 182 dalla stessa sorella Lucilla e dal cugino Marco Numidio Quadrato, ma non riuscì a sopravvivete alla congiura organizzata nel 192 dal prefetto del pretorio Quinto Emilio Leto e dal suo servitore Ecletto, e alla quale parteciparono la sua amante Marcia e molti senatori. Così il 31 dicembre, durante la cena, gli fu servito del cibo avvelenato, ma vedendo che agiva troppo lentamente i congiurati lo fecero strangolare da un ex gladiatore di nome Narcisso, che fu anche suo maestro per i combattimenti nell'arena.
Queste le parole riportate nella Historia Augusta (Commodo 17) sulla fine di Commodo:
"Fisicamente era un uomo di aspetto comune, con il volto ebete tipico degli avvinazzati; parlava in modo rozzo e sconnesso; portava i capelli sempre curati e cosparsi di polvere d'oro e si bruciava la barba e i capelli per timore del barbiere. Il popolo e il Senato avrebbero voluto che il suo corpo fosse trascinato nel Tevere con un uncino, ma Pertinace ottenne che fosse sepolto nella tomba di Adriano."
Gabriele Romano
192 d.C.: Terza congiura e assassinio dell'imperatore Commodo.
Commodo sopravvisse a ben due congiure. La prima (132 d.C.) nacque in ambito familiare falli per l'incapacità dell'esecutore che prima ancora di colpirlo disse "Qui c'è il pugnale che ti spedisce il Senato": le guardie personali dell'imperatore prontamente lo disarmarono, hi seguito mandanti ed esecutori furono messi a morte, mentre le personalità indirettamente coinvolte esiliate ) e poi fatte assassinare ). Anche la seconda falli in misero modo. Quella che riusci, la terza, vide il coinvolgimento diretto del Senato. I senatori avevano dalla loro parte la concubina preferita dell'imperatore, che lo avvelenò a cena. Commodo però si senti appesantito dalla cena e vomitò quanto ingerito, veleno compreso. La sera stessa si provvide a corrompere Xarcisso, maestro dei gladiatori, che strangolò l'imperatore. Il giorno seguente fu messa in giro la voce della morte improvvisa, e il Senato proclamò la damnatio memorine.«Che il ricordo dell'assassino e del gladiatore sia cancellato del tutto. Lasciate che le statue dell'assassino e del gladiatore siano rovesciate. Lasciate die la memoria dell'osceno gladiatore sia completamente cancellata. Gettate il gladiatore nell'ossario. Ascolta o Cesare: lascia die l'onddda sia trasdnato con un gando. alla maniera dd ìiostri padri, lasda die l'assassino del Senato sia trasdnato con il gando. Più feroce di Domiziano, più turpe di Nerone, Ciò che ìia fatto agli altri, sia fatto a lui stesso. Sia da salvare invece il ricordo di dà è senza colpa. Si ripiistino gli onori degli innocenti, vi prego.» [Historia Augusta]
I congiurati trovarlo modo di nascondere abilmente l'omicidio facendo spargere la voce che l'imperatore fosse morto per un sopraggiunto ictus: la morte aveva pertanto evitato l'assassinio dei consoli designati progettato dall'imperatore che a sua volta, sempre a detta dei congiurati, avrebbe voluto assumere anche il consolato da solo. Viene offerta la porpora imperiale al Prefectus Urbi Publio Elvio Pertinace, che accetta solo quando vede il cadavere di Commodo. Ironia della sorte, due armi dopo l'imperatore Settimio Severo riabilitò la figura di Commodo, che passò dalla condizione di hoitis a quella di dimis (con tanto di divinizzazione ).
Commodo imperatore romano
Il 31 agosto del 161 d.C. nacque Aurelio Commodo, figlio dell’imperatore-filosofo Marco Aurelio.
Nel 175 Marco Aurelio associò al principato il figlio Aurelio Commodo, violando il principio dell’adozione, per il quale il successore doveva essere indicato per le sue qualità, a prescindere dalla discendenza.
Nel 180 Marco Aurelio morì di peste a Vindobona (Vienna), durante la terza campagna contro i Quadi e i Marcomanni iniziata nel 178 d.C., e Commodo gli successe (18 marzo 180 – 31 dicembre 192).
Tanto il padre era stato sobrio, rigoroso, persino ascetico, tanto il figlio si rivelò sregolato, volgare, violento. Il nuovo imperatore, che non amava i campi di battaglia, si affrettò a concludere la pace con i Quadi e i Marcomanni e rientrò a Roma in Trionfo.
Commodo voleva essere, come Nerone, l’imperatore della plebe romana: si atteggiava a nuovo Ercole e si esibiva nell’arena vestito di una pelle di leone e di una clava (gli attributi tipici dell’eroe Ercole), per dare la caccia alle belve; elargì donativi e ludi sontuosi, prosciugando le casse dello Stato.
La crisi economica – dovuta al dilagare della peste bubbonica (la prima nella storia del Mediterrraneo) – e militare – dovuta all’aggressione dei nemici esterni: i Parti in Oriente e i Germani, nell’Europa centrale, si aggravava di giorno in giorno. Eppure Commodo abbandonò a se stessa l’amministrazione dello Stato, dedicandosi più che altro al culto della sua persona. Questi atteggiamenti gli alienarono le simpatie dell’aristocrazia senatorie e degli ambienti altolocati delle province, causando ripetute congiure, fallite contro di lui, puntualmente seguite da esecuzioni capitali e confische… Fino a quella del 31 dicembre del 192.
La morte dell’imperatore Commodo – Il 31 dicembre del 192, Commodo venne assassinato in un complotto di alcuni senatori e della sua concubina Marcia, per mano del suo maestro di lotta, l’ex gladiatore Narcisso. Ebbe così fine la dinastia degli Antonini (che era iniziata nel 117 con Antonino il Pio). Il senato lo sottopose alla damnatio memoriae.
I successori di Commodo – Il successore di Commodo, Pertinace, designato dal senato, fu imperatore per meno di tre mesi. Figlio di un liberto, Pertinace aveva fatto carriera sino a diventare prefetto dell’Urbe.
Pertinace cercò di mettere ordine nelle dissestate finanze pubbliche, rendendosi così inviso ai pretoriani, che lo eliminarono acclamando al suo posto Didio Giuliano, un senatore milanese che aveva promesso loro un generoso donativo. Le province, tuttavia, forti del peso politico che davano loro le legioni di stanza, cercarono di imporre alla guida dell’impero personaggi in grado di rappresentare le loro esigenze: le province orientali proclamarono il governatore di Siria, Pescennio Nigro, quelle occidentali il governatore della Britannia, Clodio Albino, quelle danubiane Settimio Severo, governatore della Pannonia (l’esercito tornava così ad avere un ruolo determinante nella nomina del principe). Nel giro di poco tempo fu proprio Settimio Severo a impadronirsi del potere, dopo aver sconfitto i rivali con le armi.
http://www.studiarapido.it/commodo-imperatore-romano/#.VoWu9RXhDIW
Commodo imperatore romano
Il 31 agosto del 161 d.C. nacque Aurelio Commodo, figlio dell’imperatore-filosofo Marco Aurelio.
Nel 175 Marco Aurelio associò al principato il figlio Aurelio Commodo, violando il principio dell’adozione, per il quale il successore doveva essere indicato per le sue qualità, a prescindere dalla discendenza.
Nel 180 Marco Aurelio morì di peste a Vindobona (Vienna), durante la terza campagna contro i Quadi e i Marcomanni iniziata nel 178 d.C., e Commodo gli successe (18 marzo 180 – 31 dicembre 192).
Tanto il padre era stato sobrio, rigoroso, persino ascetico, tanto il figlio si rivelò sregolato, volgare, violento. Il nuovo imperatore, che non amava i campi di battaglia, si affrettò a concludere la pace con i Quadi e i Marcomanni e rientrò a Roma in Trionfo.
Commodo voleva essere, come Nerone, l’imperatore della plebe romana: si atteggiava a nuovo Ercole e si esibiva nell’arena vestito di una pelle di leone e di una clava (gli attributi tipici dell’eroe Ercole), per dare la caccia alle belve; elargì donativi e ludi sontuosi, prosciugando le casse dello Stato.
La crisi economica – dovuta al dilagare della peste bubbonica (la prima nella storia del Mediterrraneo) – e militare – dovuta all’aggressione dei nemici esterni: i Parti in Oriente e i Germani, nell’Europa centrale, si aggravava di giorno in giorno. Eppure Commodo abbandonò a se stessa l’amministrazione dello Stato, dedicandosi più che altro al culto della sua persona. Questi atteggiamenti gli alienarono le simpatie dell’aristocrazia senatorie e degli ambienti altolocati delle province, causando ripetute congiure, fallite contro di lui, puntualmente seguite da esecuzioni capitali e confische… Fino a quella del 31 dicembre del 192.
La morte dell’imperatore Commodo – Il 31 dicembre del 192, Commodo venne assassinato in un complotto di alcuni senatori e della sua concubina Marcia, per mano del suo maestro di lotta, l’ex gladiatore Narcisso. Ebbe così fine la dinastia degli Antonini (che era iniziata nel 117 con Antonino il Pio). Il senato lo sottopose alla damnatio memoriae.
I successori di Commodo – Il successore di Commodo, Pertinace, designato dal senato, fu imperatore per meno di tre mesi. Figlio di un liberto, Pertinace aveva fatto carriera sino a diventare prefetto dell’Urbe.
Pertinace cercò di mettere ordine nelle dissestate finanze pubbliche, rendendosi così inviso ai pretoriani, che lo eliminarono acclamando al suo posto Didio Giuliano, un senatore milanese che aveva promesso loro un generoso donativo. Le province, tuttavia, forti del peso politico che davano loro le legioni di stanza, cercarono di imporre alla guida dell’impero personaggi in grado di rappresentare le loro esigenze: le province orientali proclamarono il governatore di Siria, Pescennio Nigro, quelle occidentali il governatore della Britannia, Clodio Albino, quelle danubiane Settimio Severo, governatore della Pannonia (l’esercito tornava così ad avere un ruolo determinante nella nomina del principe). Nel giro di poco tempo fu proprio Settimio Severo a impadronirsi del potere, dopo aver sconfitto i rivali con le armi.
http://www.studiarapido.it/commodo-imperatore-romano/#.VoWu9RXhDIW
PERTINACE
Il Senato nomina imperatore Pertinace 1 gennaio 93 d.C.
Immagine da ArtCoinsDeaMoneta : Aureo, Roma, 1 Gennaio - 28 Marzo del 193 d.C.,
CAES P HELV - PERTIN AVG, testa laureata a d, PROVID - DEOR COS II,
la Providentia stante verso sinistra, alza la mano destra. verso un astro e tiene la sinistra. sul seno. La personificazione della Providentia ha il fine di trasferire all’imperatore la capacità di prevedere il futuro e di provvedere al benessere materiale e spirituale della sua persona, della sua famiglia e del suo popolo. Il rovescio della moneta in esame ben si accorda alla politica saggia ma inquieta di Pertinace, che ben cosciente del pericolo a cui andava incontro assumendo il potere, rifiutò gli attributi imperiali per la moglie ed il figlio, al fine di proteggerli dalle conseguenze del proprio assassinio.Diocleziano
Il 20 novembre del 284 d.C. si ricorda la morte dell'imperatore Marco Aurelio Numeriano (254-284) e la proclamazione di Diocleziano.
In questo giorno, infatti, nei pressi di Nicomedia, durante la marcia di ritorno verso gli accampamenti sul Danubio dopo la disfatta contro i Persiani, l'imperatore Numeriano fu trovato morto nella sua lettiga. Impossibile, in quei drammatici momenti, determinare se fosse morto per le conseguenze di una malattia o fosse stato assassinato.
Il Prefetto del pretorio e suocero Arrio Apro, che aveva vegliato l'imperatore per tutto il tempo, non aveva avvertito subito le truppe della morte di Numeriano. Come mai?
Iniziarono subito a serpeggiare i sospetti e scoppiarono tumulti tra i soldati, che volevano sapere come fosse morto Numeriano. Prima di tutto però, come da prassi consolidata in questa epoca storica, gli ufficiali superiori scelsero il nuovo imperatore e lo fecero acclamare dalle truppe.
Ad essere acclamato Augusto dai soldati fu Caio Valerio Diocles il comandante dei Protectores Domestici, la guardia dell'imperatore.
Solo allora fu eretto il palco. Di fronte si schierò l'esercito.
Diocles salì sul palco e prese la parola per il suo primo discorso da Augusto; era stato il comandante delle guardie e responsabile della salute dell'imperatore e i soldati volevano prima capire come fosse morto Numeriano.
Diocles colse l'occasione. Sguainò la spada e chiamando a testimone il Sol Invictus, di cui era devoto, professò la sua innocenza.
Poi si avvicinò ad Apro, che era al suo fianco e lo trafisse improvvisamente gridando: "questo è l'assassino di Numeriano". Apro così non ebbe neppure modo di difendersi e Diocles iniziò il suo regno ventennale, assumendo il nome latino di Diocleziano.
Difficile che anche Diocles non sapesse dell'avvenuta morte di Numeriano, ma la morte di Apro impedì ogni possibile accertamento.
Fin qui gli eventi storici, sui quali si innesta una leggenda connessa al significato del nome Apro, che in latino significa "cinghiale", e che spiega perché Diocleziano abbia voluto uccidere personalmente il prefetto del pretorio come primo cruento atto del suo regno.
Riportiamo direttamente il brano della Historia Augusta
(Vita di Caro, 14-15), che narra la leggenda:
"Non credo risulti ozioso né banale riportare un aneddoto su Diocleziano Augusto che viene qui a proposito, in quanto l’episodio fu interpretato come un presagio del suo futuro impero – mio nonno disse di averlo appreso direttamente da Diocleziano.
‘Una volta’, raccontava, ‘Diocleziano che allora militava ancora nei ranghi inferiori e si trovava in Gallia nel paese dei Tungri, alloggiato in una locanda, stava facendo i conti del suo vitto quotidiano con una donna che era una druidessa; a un certo punto questa gli disse: «Diocleziano, tu sei troppo avido e spilorcio!», al che egli replicò in tono scherzoso: «quando sarò imperatore, allora darò con larghezza».
Si dice che allora la druidessa rispondesse:
«Diocleziano, non scherzare, perché tu sarai imperatore dopo che avrai ucciso il cinghiale»’.
Diocleziano nutrì sempre in sé l’ambizione di diventare imperatore, e non ne fece mistero né con Massimiano né con mio nonno, al quale aveva riferito egli stesso le parole della druidessa. E dunque, da persona superiore quale era, rise e non ne parlò più. Nondimeno, durante la caccia, quando aveva l’opportunità, uccideva sempre dei cinghiali. E quando arrivarono al potere imperiale Aureliano, e poi Probo, Tacito e lo stesso Caro, Diocleziano diceva: «Io non faccio che ammazzare cinghiali, ma la carne la mangiano gli altri».
È poi noto e risaputo che, dopo aver ucciso il prefetto del pretorio Apro, egli – come si racconta – esclamò: «Finalmente ho ucciso il Cinghiale fatidico!».
Sempre mio nonno diceva che Diocleziano stesso affermava che l’unico scopo per cui aveva ucciso di sua mano Apro era stato quello di realizzare la profezia della druidessa e di rendere saldo il proprio potere.
Non avrebbe desiderato infatti rendersi noto come uomo crudele, in particolare nei primissimi giorni del suo impero, se la necessità non lo avesse portato a compiere quella spietata uccisione".
https://www.facebook.com/etegoinarcadia/posts/1545678465518782
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