Non sopporto che si giudichi un uomo non per quello che è ma per il gruppo a cui gli accade di appartenere.
Primo Levi, La tregua
Salvo casi di incapacità patologica, comunicare si può e si deve: è un modo utile e facile di contribuire alla pace altrui e propria, perché il silenzio, l'assenza di segnali, è a sua volta un segnale, ma ambiguo, e l'ambiguità genera inquietudine e sospetto.
Primo Levi, I sommersi e i salvati
La storia è fatta dei passi dell’uomo. ricordarne le cadute serve a rimanere in piedi.
Primo Levi
La memoria è come il mare: può restituire brandelli di rottami a distanza di anni.
Primo Levi
Il 31 luglio del 1919 nasceva Primo Levi.
Di questo grande scrittore italiano, testimone di una delle più tragiche pagine della storia del '900, si è già detto e scritto moltissimo.
Vorrei quindi parlarvi di una delle sue opere meno celebri ma al tempo stesso più belle e originali, “Il sistema periodico”, una serie di racconti più o meno autobiografici in cui Levi rievoca episodi e personaggi della propria esistenza collegando ognuno di essi ad un elemento della tavola periodica.
Con questo espediente il chimico Levi riesce a superare la tradizionale divisione tra letteratura e scienza, tra cultura umanistica e scientifica, una divisione della quale lui stesso aveva fatto notare l’arbitrarietà e l’assurdità:
«Una schisi innaturale, non necessaria, nociva, frutto di lontani tabù e della controriforma, quando non risalga addirittura a una interpretazione meschina del divieto biblico di mangiare un certo frutto.
Non la conoscevano Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, né Michelangelo; né la conoscono i buoni artigiani d’oggi, né i fisici esitanti sull’orlo dell’inconoscibile.»
Ho trovato particolarmente toccante il capitolo “Ferro” nel quale viene narrata l’amicizia giovanile tra Primo e il suo compagno di università Sandro Delmastro, un’amicizia curiosa, nata tra le provette del laboratorio di chimica, tra due persone che non avevano apparentemente nulla in comune, nulla se non il fatto di essere entrambi degli emarginati, degli outsider, all’interno della classe, Sandro per il carattere introverso e per le origini umili in una classe di studenti borghesi, Primo perché ebreo nell’Italia fascista:
«In mezzo a noi, Sandro era un isolato. Era un ragazzo di statura media, magro ma muscoloso, che neanche nei giorni più freddi portava mai il cappotto. Veniva a lezione con logori calzoni di velluto alla zuava, calzettoni di lana greggia, e talvolta una mantellina nera.
Aveva grandi mani callose, un profilo ossuto e scabro, il viso cotto dal sole, la fronte bassa sotto la linea dei capelli, che portava cortissimi e tagliati a spazzola: camminava col passo lungo e lento del contadino.
Da pochi mesi erano state proclamate le leggi razziali, e stavo diventando un isolato anch’io. I compagni cristiani erano gente civile, nessuno fra loro né fra i professori mi aveva indirizzato una parola o un gesto nemico, ma li sentivo allontanarsi, e, seguendo un comportamento antico, anch’io me ne allontanavo: ogni sguardo scambiato fra me e loro era accompagnato da un lampo minuscolo, ma percettibile, di diffidenza e di sospetto.
Che pensi tu di me?
Che cosa sono io per te?
Lo stesso di sei mesi addietro, un tuo pari che non va a messa, o il giudeo che “di voi tra voi non rida”?»
Sandro sembra invece del tutto estraneo a questi pregiudizi, probabilmente perché è una persona concreta che crede solo in ciò che vede, nella propria esperienza personale, non in ciò che gli è stato detto da altri; l’amicizia tra lui e Primo nasce paradossalmente proprio dalle loro differenze:
«Non era affatto l’amicizia fra due affini: al contrario, la diversità delle origini ci rendeva ricchi di “merci” da scambiare, come due mercanti che si incontrino provenendo da contrade remote e mutuamente sconosciute.
Avevamo molto da cederci a vicenda. Gli dissi che eravamo come un catione e un anione, ma Sandro non mostrò di recepire la similitudine» confermando di essere un tipo pratico che fatica a seguire le astruse metafore scientifiche dell’amico.
È grazie a Primo se Sandro incomincia a capire il fascino ed anche la “poesia” di quella cosa apparentemente noiosa e incomprensibile che si chiama chimica:
«Incominciammo a studiare fisica insieme, e Sandro fu stupito quando cercai di spiegargli alcune delle idee che a quel tempo confusamente coltivavo.
Che la nobiltà dell’Uomo, acquisita in cento secoli di prove e di errori, era consistita nel farsi signore della materia, e che io mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere fedele.
Che vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l’universo e noi stessi: e che quindi il Sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perfino le rime!»
Non solo: la chimica può essere anche un’ottima palestra politica, un isola di razionalità nell’oceano di irrazionalità che sta sommergendo l’Italia, l’Europa e il mondo:
«E infine, e fondamentalmente: lui, ragazzo onesto ed aperto, non sentiva il puzzo delle verità fasciste che ammorbava il cielo, non percepiva come un’ignominia che ad un uomo pensante venisse richiesto di credere senza pensare?
Non provava ribrezzo per tutti i dogmi, per tutte le affermazioni non dimostrate, per tutti gli imperativi?
Lo provava: ed allora, come poteva non sentire nel nostro studio una dignità e una maestà nuove, come poteva ignorare che la chimica e la fisica di cui ci nutrivamo, oltre che alimenti di per sé vitali, erano l’antidoto al fascismo che lui ed io cercavamo, perché erano chiare e distinte e ad ogni passo verificabili, e non tessuti di menzogne e di vanità, come la radio e i giornali?»
Così il povero e “ignorante” Sandro si appassiona alla materia, diventa uno studente migliore, fa salire la sua media dal 21 al 29 e alla fine si laurea con 95 su 100; ma anche lui, rustico montanaro piemontese, diventa un maestro per il “secchione” Primo facendolo uscire dal laboratorio ed iniziandolo all’alpinismo, alla vita vera, a contatto con la natura e il pericolo; se Primo è un maestro della teoria, Sandro lo è della pratica, ed entrambe le cose sono necessarie per diventare una persona completa e per sopravvivere in questo mondo:
«Per inconscia gratitudine, e forse anche per desiderio di rivalsa, prese a sua volta ad occuparsi della mia educazione, e mi fece intendere che era mancante. Potevo anche aver ragione: poteva essere la Materia la nostra maestra, e magari anche, in mancanza di meglio, la nostra scuola politica; ma lui aveva un’altra materia a cui condurmi, un’altra educatrice: non le polverine di Qualitativa, ma quella vera, l’autentica Urtstoff [materia] senza tempo, la pietra e il ghiaccio delle montagne vicine.
Mi dimostrò senza fatica che non avevo le carte in regola per parlare di materia. Quale commercio, quale confidenza avevo io avuto, fino allora, coi quattro elementi di Empedocle?
Sapevo accendere una stufa?
Guadare un torrente?
Conoscevo la tormenta in quota?
Il germogliare dei semi?
No, e dunque anche lui aveva qualcosa di vitale da insegnarmi.»
Particolarmente eloquenti le parole con cui Levi descrive l’amore di Sandro e suo per le montagne:
«Vedere Sandro in montagna riconciliava col mondo, e faceva dimenticare l’incubo che gravava sull’Europa. Era il suo luogo, quello per cui era fatto, come le marmotte di cui imitava il fischio e il grifo: in montagna diventava felice, di una felicità silenziosa e contagiosa, come una luce che si accenda.
Suscitava in me una comunione nuova con la terra e il cielo, in cui confluivano il mio bisogno di libertà, la pienezza delle forze, e la fame di capire le cose che mi avevano spinto alla chimica.
Uscivamo all’aurora, strofinandoci gli occhi, ed ecco tutto intorno, appena toccate dal sole, le montagne candide e brune, nuove come create nella notte appena svanita, e insieme innumerabilmente antiche.
Erano un’isola, un altrove.»
Le escursioni in montagna prevedono anche esperienze estreme, come una notte passata all’addiaccio in mezzo alla neve e al vento serrati l’uno contro l’altro, quello che Sandro definisce «mangiare la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino.
Perciò sono grato a Sandro per avermi messo coscientemente nei guai, in quella ed in altre imprese insensate solo in apparenza, e so con certezza che queste mi hanno servito più tardi.»
In effetti il brillante chimico Levi non sarebbe probabilmente mai tornato da Auschwitz, dall’esperienza più estrema che possa capitare a un essere umano, senza le fondamentali lezioni di vita pratica impartitegli dal suo amico.
Purtroppo tutta l'esperienza di Sandro non è bastata a salvargli la vita.
Così si chiude amaramente il racconto di Levi:
«Sandro era Sandro Delmastro, il primo caduto del Comando Militare Piemontese del Partito d’Azione.
Dopo pochi mesi di tensione estrema, nell’aprile del 1944 fu catturato dai fascisti, non si arrese e tentò la fuga dalla Casa Littoria di Cuneo.
Fu ucciso, con una scarica di mitra alla nuca, da un mostruoso carnefice-bambino, uno di quegli sciagurati sgherri di quindici anni che la repubblica di Salò aveva arruolato nei riformatori.
Il suo corpo rimase a lungo abbandonato in mezzo al viale, perché i fascisti avevano vietato alla popolazione di dargli sepoltura.
Oggi so che è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta: un uomo come Sandro in specie.
Non era uomo da raccontare né da fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni, e, finite quelle, di lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto.»
Restano le parole, sì, tra cui quelle molto toccanti che Sandro scrisse poco prima di morire alla sua fidanzata Ester Valabrega, anche lei studentessa di chimica ed ebrea, per motivare la sua scelta di unirsi alla lotta partigiana:
«Vi è qualcosa che va oltre la vita e che trascende il senso della realtà momentanea, dà un significato al dolore e al sacrificio, anche quando sembra che tutto sia perduto.
Ciò che importa è l’ideale cui si deve improntare la nostra effimera esistenza su questa terra».
Jukebox Letterario
Primo Levi, La tregua
Salvo casi di incapacità patologica, comunicare si può e si deve: è un modo utile e facile di contribuire alla pace altrui e propria, perché il silenzio, l'assenza di segnali, è a sua volta un segnale, ma ambiguo, e l'ambiguità genera inquietudine e sospetto.
Primo Levi, I sommersi e i salvati
La storia è fatta dei passi dell’uomo. ricordarne le cadute serve a rimanere in piedi.
Primo Levi
La memoria è come il mare: può restituire brandelli di rottami a distanza di anni.
Primo Levi
Il 31 luglio del 1919 nasceva Primo Levi.
Di questo grande scrittore italiano, testimone di una delle più tragiche pagine della storia del '900, si è già detto e scritto moltissimo.
Vorrei quindi parlarvi di una delle sue opere meno celebri ma al tempo stesso più belle e originali, “Il sistema periodico”, una serie di racconti più o meno autobiografici in cui Levi rievoca episodi e personaggi della propria esistenza collegando ognuno di essi ad un elemento della tavola periodica.
Con questo espediente il chimico Levi riesce a superare la tradizionale divisione tra letteratura e scienza, tra cultura umanistica e scientifica, una divisione della quale lui stesso aveva fatto notare l’arbitrarietà e l’assurdità:
«Una schisi innaturale, non necessaria, nociva, frutto di lontani tabù e della controriforma, quando non risalga addirittura a una interpretazione meschina del divieto biblico di mangiare un certo frutto.
Non la conoscevano Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, né Michelangelo; né la conoscono i buoni artigiani d’oggi, né i fisici esitanti sull’orlo dell’inconoscibile.»
Ho trovato particolarmente toccante il capitolo “Ferro” nel quale viene narrata l’amicizia giovanile tra Primo e il suo compagno di università Sandro Delmastro, un’amicizia curiosa, nata tra le provette del laboratorio di chimica, tra due persone che non avevano apparentemente nulla in comune, nulla se non il fatto di essere entrambi degli emarginati, degli outsider, all’interno della classe, Sandro per il carattere introverso e per le origini umili in una classe di studenti borghesi, Primo perché ebreo nell’Italia fascista:
«In mezzo a noi, Sandro era un isolato. Era un ragazzo di statura media, magro ma muscoloso, che neanche nei giorni più freddi portava mai il cappotto. Veniva a lezione con logori calzoni di velluto alla zuava, calzettoni di lana greggia, e talvolta una mantellina nera.
Aveva grandi mani callose, un profilo ossuto e scabro, il viso cotto dal sole, la fronte bassa sotto la linea dei capelli, che portava cortissimi e tagliati a spazzola: camminava col passo lungo e lento del contadino.
Da pochi mesi erano state proclamate le leggi razziali, e stavo diventando un isolato anch’io. I compagni cristiani erano gente civile, nessuno fra loro né fra i professori mi aveva indirizzato una parola o un gesto nemico, ma li sentivo allontanarsi, e, seguendo un comportamento antico, anch’io me ne allontanavo: ogni sguardo scambiato fra me e loro era accompagnato da un lampo minuscolo, ma percettibile, di diffidenza e di sospetto.
Che pensi tu di me?
Che cosa sono io per te?
Lo stesso di sei mesi addietro, un tuo pari che non va a messa, o il giudeo che “di voi tra voi non rida”?»
Sandro sembra invece del tutto estraneo a questi pregiudizi, probabilmente perché è una persona concreta che crede solo in ciò che vede, nella propria esperienza personale, non in ciò che gli è stato detto da altri; l’amicizia tra lui e Primo nasce paradossalmente proprio dalle loro differenze:
«Non era affatto l’amicizia fra due affini: al contrario, la diversità delle origini ci rendeva ricchi di “merci” da scambiare, come due mercanti che si incontrino provenendo da contrade remote e mutuamente sconosciute.
Avevamo molto da cederci a vicenda. Gli dissi che eravamo come un catione e un anione, ma Sandro non mostrò di recepire la similitudine» confermando di essere un tipo pratico che fatica a seguire le astruse metafore scientifiche dell’amico.
È grazie a Primo se Sandro incomincia a capire il fascino ed anche la “poesia” di quella cosa apparentemente noiosa e incomprensibile che si chiama chimica:
«Incominciammo a studiare fisica insieme, e Sandro fu stupito quando cercai di spiegargli alcune delle idee che a quel tempo confusamente coltivavo.
Che la nobiltà dell’Uomo, acquisita in cento secoli di prove e di errori, era consistita nel farsi signore della materia, e che io mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere fedele.
Che vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l’universo e noi stessi: e che quindi il Sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perfino le rime!»
Non solo: la chimica può essere anche un’ottima palestra politica, un isola di razionalità nell’oceano di irrazionalità che sta sommergendo l’Italia, l’Europa e il mondo:
«E infine, e fondamentalmente: lui, ragazzo onesto ed aperto, non sentiva il puzzo delle verità fasciste che ammorbava il cielo, non percepiva come un’ignominia che ad un uomo pensante venisse richiesto di credere senza pensare?
Non provava ribrezzo per tutti i dogmi, per tutte le affermazioni non dimostrate, per tutti gli imperativi?
Lo provava: ed allora, come poteva non sentire nel nostro studio una dignità e una maestà nuove, come poteva ignorare che la chimica e la fisica di cui ci nutrivamo, oltre che alimenti di per sé vitali, erano l’antidoto al fascismo che lui ed io cercavamo, perché erano chiare e distinte e ad ogni passo verificabili, e non tessuti di menzogne e di vanità, come la radio e i giornali?»
Così il povero e “ignorante” Sandro si appassiona alla materia, diventa uno studente migliore, fa salire la sua media dal 21 al 29 e alla fine si laurea con 95 su 100; ma anche lui, rustico montanaro piemontese, diventa un maestro per il “secchione” Primo facendolo uscire dal laboratorio ed iniziandolo all’alpinismo, alla vita vera, a contatto con la natura e il pericolo; se Primo è un maestro della teoria, Sandro lo è della pratica, ed entrambe le cose sono necessarie per diventare una persona completa e per sopravvivere in questo mondo:
«Per inconscia gratitudine, e forse anche per desiderio di rivalsa, prese a sua volta ad occuparsi della mia educazione, e mi fece intendere che era mancante. Potevo anche aver ragione: poteva essere la Materia la nostra maestra, e magari anche, in mancanza di meglio, la nostra scuola politica; ma lui aveva un’altra materia a cui condurmi, un’altra educatrice: non le polverine di Qualitativa, ma quella vera, l’autentica Urtstoff [materia] senza tempo, la pietra e il ghiaccio delle montagne vicine.
Mi dimostrò senza fatica che non avevo le carte in regola per parlare di materia. Quale commercio, quale confidenza avevo io avuto, fino allora, coi quattro elementi di Empedocle?
Sapevo accendere una stufa?
Guadare un torrente?
Conoscevo la tormenta in quota?
Il germogliare dei semi?
No, e dunque anche lui aveva qualcosa di vitale da insegnarmi.»
Particolarmente eloquenti le parole con cui Levi descrive l’amore di Sandro e suo per le montagne:
«Vedere Sandro in montagna riconciliava col mondo, e faceva dimenticare l’incubo che gravava sull’Europa. Era il suo luogo, quello per cui era fatto, come le marmotte di cui imitava il fischio e il grifo: in montagna diventava felice, di una felicità silenziosa e contagiosa, come una luce che si accenda.
Suscitava in me una comunione nuova con la terra e il cielo, in cui confluivano il mio bisogno di libertà, la pienezza delle forze, e la fame di capire le cose che mi avevano spinto alla chimica.
Uscivamo all’aurora, strofinandoci gli occhi, ed ecco tutto intorno, appena toccate dal sole, le montagne candide e brune, nuove come create nella notte appena svanita, e insieme innumerabilmente antiche.
Erano un’isola, un altrove.»
Le escursioni in montagna prevedono anche esperienze estreme, come una notte passata all’addiaccio in mezzo alla neve e al vento serrati l’uno contro l’altro, quello che Sandro definisce «mangiare la carne dell’orso: ed ora, che sono passati molti anni, rimpiango di averne mangiata poca, poiché, di tutto quanto la vita mi ha dato di buono, nulla ha avuto, neppure alla lontana, il sapore di quella carne, che è il sapore di essere forti e liberi, liberi anche di sbagliare, e padroni del proprio destino.
Perciò sono grato a Sandro per avermi messo coscientemente nei guai, in quella ed in altre imprese insensate solo in apparenza, e so con certezza che queste mi hanno servito più tardi.»
In effetti il brillante chimico Levi non sarebbe probabilmente mai tornato da Auschwitz, dall’esperienza più estrema che possa capitare a un essere umano, senza le fondamentali lezioni di vita pratica impartitegli dal suo amico.
Purtroppo tutta l'esperienza di Sandro non è bastata a salvargli la vita.
Così si chiude amaramente il racconto di Levi:
«Sandro era Sandro Delmastro, il primo caduto del Comando Militare Piemontese del Partito d’Azione.
Dopo pochi mesi di tensione estrema, nell’aprile del 1944 fu catturato dai fascisti, non si arrese e tentò la fuga dalla Casa Littoria di Cuneo.
Fu ucciso, con una scarica di mitra alla nuca, da un mostruoso carnefice-bambino, uno di quegli sciagurati sgherri di quindici anni che la repubblica di Salò aveva arruolato nei riformatori.
Il suo corpo rimase a lungo abbandonato in mezzo al viale, perché i fascisti avevano vietato alla popolazione di dargli sepoltura.
Oggi so che è un’impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta: un uomo come Sandro in specie.
Non era uomo da raccontare né da fargli monumenti, lui che dei monumenti rideva: stava tutto nelle azioni, e, finite quelle, di lui non resta nulla; nulla se non parole, appunto.»
Restano le parole, sì, tra cui quelle molto toccanti che Sandro scrisse poco prima di morire alla sua fidanzata Ester Valabrega, anche lei studentessa di chimica ed ebrea, per motivare la sua scelta di unirsi alla lotta partigiana:
«Vi è qualcosa che va oltre la vita e che trascende il senso della realtà momentanea, dà un significato al dolore e al sacrificio, anche quando sembra che tutto sia perduto.
Ciò che importa è l’ideale cui si deve improntare la nostra effimera esistenza su questa terra».
Jukebox Letterario
Incominciammo a studiare fisica insieme, e Sandro fu stupito quando cercai di spiegargli alcune idee che a quel tempo confusamente coltivavo. Che la nobiltà dell'Uomo, acquisita in cento secoli di prove e di errori, era consistita nel farsi signore della materia, e che io mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere fedele. Che vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l'universo e noi stessi: e che quindi il Sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perfino le rime! Che, se cercava il ponte, l’anello mancante, fra il mondo delle carte e il mondo delle cose, non lo doveva cercare lontano: era lì, nell’Autenrieth, in quei nostri laboratori fumosi, e nel nostro futuro mestiere.
E infine, e fondamentalmente: lui, ragazzo onesto ed aperto, non sentiva il puzzo delle verità fasciste che ammorbava il cielo, non percepiva come un’ignominia che ad un uomo pensante venisse richiesto di credere senza pensare? Non provava ribrezzo per tutti i dogmi, per tutte le affermazioni non dimostrate, per tutti gli imperativi? Lo provava: ed allora, come poteva non sentire nel nostro studio una dignità e una maestà nuove, come poteva ignorare che la chimica e la fisica di cui ci nutrivamo, oltre che alimenti di per sé vitali, erano l’antidoto al fascismo che lui ed io cercavamo, perché erano chiare e distinte e ad ogni passo verificabili, e non tessuti di menzogne e di vanità, come la radio e i giornali?
Primo Levi, Il sistema periodico, Einaudi, p. 44
Cercavo te nelle stelle
quando le interrogavo bambino.
Ho chiesto te alle montagne,
ma non mi diedero che poche volte
solitudine e breve pace.
Perché mancavi, nelle lunghe sere
meditai la bestemmia insensata
che il mondo era uno sbaglio di Dio,
io uno sbaglio del mondo.
E quando, davanti alla morte,
ho gridato di no da ogni fibra,
che non avevo ancora finito,
che troppo ancora dovevo fare,
era perché mi stavi davanti,
tu con me accanto, come oggi avviene,
un uomo una donna sotto il sole.
Sono tornato perché c’eri tu.
Primo Levi, l'11 febbraio 1946
Da Ad ora incerta
La poesia è dedicata a Lucia Morpurgo, che l'autore sposerà l’anno successivo.
Ciò che comunemente intendiamo per "comprendere" coincide con "semplificare". Senza una profonda semplificazione, il mondo intorno a noi sarebbe un groviglio infinito e indefinito che sfiderebbe la nostra capacità di orientarci e decidere le nostre azioni. Siamo insomma costretti a ridurre il conoscibile a schema. A questo scopo tendono i mirabili strumenti che ci siamo costruiti nel corso dell'evoluzione e che sono specifici del genere umano, il linguaggio ed il pensiero concettuale
Primo Levi
I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi; sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e ad obbedire senza discutere, come Eichmann, come Hòss comandante di Auschwitz, come Stangl comandante di Treblinka, come i militari francesi di vent'anni dopo, massacratori in Algeria,
come i militari americani di trent'anni dopo, massacratori in Vietnam.
Occorre dunque essere diffidenti con chi cerca di convincerci con strumenti diversi dalla ragione, ossia con i capi carismatici: dobbiamo essere cauti nel delegare ad altri il nostro giudizio e la nostra volontà.
Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis.
E’ meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate.
Primo Levi - “Se questo è un uomo”
Esiste un contagio del male: chi è non-uomo disumanizza gli altri, ogni delitto si irradia, si trapianta intorno a sé, corrompe le coscienze e si circonda di complici sottratti con la paura o la seduzione al campo avverso.
Primo Levi
Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. In questo libro se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto o del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea.
Primo Levi
Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. In questo libro se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto o del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea.
Primo Levi
"Ognuno è ebreo di qualcuno". Oggi i Palestinesi sono gli ebrei di Israele.
Primo Levi
Ivano, lo sapevi che questa frase
"Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i Palestinesi sono gli ebrei di Israele"
attribuita sul web a Primo Levi è falsa?
Ecco la vera storia di questa frase FALSA, che gira molto sul Web.
Primo Levi NON ha mai pronunciato questa frase: “Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”. La sua, è invece questa frase generica, scritta nel suo romanzo “Se non ora, quando?”, del 1982, “Ognuno è l’ebreo di qualcuno”. Primo Levi, che pure fu sempre critico verso le azioni militari israeliane, a proposito della presunta analogia tra la condizione dei palestinesi di quel momento e quella degli ebrei durante la Shoa, rifiutò espressamente la grossolana equazione, ricordando che “non esiste un piano di sterminio del popolo palestinese”. Ma, in un articolo apparso il giorno su il Manifesto, la famosa frase “Ognuno è l’ebreo di qualcuno” fu riportata, tra virgolette, e commentata dall’articolista (correttamente, dopo la chiusura delle virgolette) con la successiva annotazione: “E oggi i palestinesi sono gli ebrei degli israeliani”. Un’aggiunta, quest’ultima, che Levi non ha mai scritto, mai detto, mai pensato. E’ semplicemente l’opinione del giornalista del Manifesto.
Ivano, lo sapevi che questa frase
"Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i Palestinesi sono gli ebrei di Israele"
attribuita sul web a Primo Levi è falsa?
Ecco la vera storia di questa frase FALSA, che gira molto sul Web.
Primo Levi NON ha mai pronunciato questa frase: “Ognuno è l’ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”. La sua, è invece questa frase generica, scritta nel suo romanzo “Se non ora, quando?”, del 1982, “Ognuno è l’ebreo di qualcuno”. Primo Levi, che pure fu sempre critico verso le azioni militari israeliane, a proposito della presunta analogia tra la condizione dei palestinesi di quel momento e quella degli ebrei durante la Shoa, rifiutò espressamente la grossolana equazione, ricordando che “non esiste un piano di sterminio del popolo palestinese”. Ma, in un articolo apparso il giorno su il Manifesto, la famosa frase “Ognuno è l’ebreo di qualcuno” fu riportata, tra virgolette, e commentata dall’articolista (correttamente, dopo la chiusura delle virgolette) con la successiva annotazione: “E oggi i palestinesi sono gli ebrei degli israeliani”. Un’aggiunta, quest’ultima, che Levi non ha mai scritto, mai detto, mai pensato. E’ semplicemente l’opinione del giornalista del Manifesto.
E ricordate un’ultima cosa: la storia è stata scritta dagli uomini, ma gli uomini non la possono omettere o cancellare perché tutto questo, ed altro ancora, è stato e, se dimentichiamo, sarà di nuovo
Primo Levi
"A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager.
Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo."
Primo Levi, Se questo è un uomo
"A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager.
Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo."
Primo Levi, Se questo è un uomo
Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
... Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per la via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi, numero 174.517 del campo di concentramento di Auschwitz
da " Se questo è un uomo " - Einaudi, 1947
Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti. Pochi sanno tacere, e rispettare il silenzio altrui.
Primo Levi, Se questo è un uomo
Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti. Pochi sanno tacere, e rispettare il silenzio altrui.
Primo Levi, Se questo è un uomo
Ogni tempo ha il suo fascismo. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando e distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti sottili modi la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano “l’ordine”.
Primo Levi. Un passato che credevamo non dovesse tornare più
Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi e più deformi
Primo Levi. Se questo è un uomo
La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è proprietà della sostanza umana. Gli uomini liberi danno a questo scopo molti nomi, e sulla sua natura molto pensano e discutono, ma per noi la questione è più semplice. Oggi e qui, il nostro scopo è di arrivare a primavera
Primo Levi. Se questo è un uomo
La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è proprietà della sostanza umana. Gli uomini liberi danno a questo scopo molti nomi, e sulla sua natura molto pensano e discutono, ma per noi la questione è più semplice. Oggi e qui, il nostro scopo è di arrivare a primavera
Primo Levi. Se questo è un uomo
Con tutte le nostre forze abbiamo lottato perchè l'inverno non venisse. Ci siamo aggrappati a tutte le ore tiepide, a ogni tramonto abbiamo cercato di trattenere il sole in cielo ancora un poco ma tutto è stato inutile. Ieri sera il sole si è coricato irrevocabilmente in un intrico di nebbia sporca, di ciminiere e di fili, e stamattina è inverno. [...] Nel corso di questi mesi, su dieci di noi, sette morranno. Chi non morrà, soffrirà minuto per minuto, per ogni giorno, per tutti i giorni: dal mattino avanti l'alba fino alla distribuzione della zuppa serale dovrà tenere costantemente i muscoli tesi, danzare da un piede all'altro per resistere al freddo... Quando abbiamo visto i primi fiocchi di neve, abbiamo pensato che, se l'anno scorso a quest'epoca ci avessero detto che avremmo visto ancora un inverno nel Lager, saremmo andati a toccare il reticolato elettrico; e che anche adesso ci andremmo, SE FOSSIMO LOGICI, se non fosse per questo INSENSATO PAZZO RESIDUO DI SPERANZA INCONFESSABILE...
Primo Levi. "Se questo è un uomo"
Primo Levi, DELEGA
Il nostro aspetto ci sta dinanzi, riflesso in cento volti lividi, in cento pupazzi miserabili e sordidi.
Eccoci trasformati nei fantasmi intravisti ieri sera. Per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. Si immagini ora un uomo a cui vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto.
Primo Levi. Se questo è un uomo
Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà si è rivelata: siamo arrivati in fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di far sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.
Primo Levi
Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso.
Primo Levi
Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale. Ma neppure la virtù immacolata esiste, o se esiste è detestabile.
Primo Levi , Il sistema periodico
Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso.
Primo Levi
Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale. Ma neppure la virtù immacolata esiste, o se esiste è detestabile.
Primo Levi , Il sistema periodico
Siamo chimici, cioè cacciatori: nostre sono "le due esperienze della vita adulta" di cui parlava Pavese, il successo e l'insuccesso, uccidere la balena bianca o sfasciare la nave; non ci si deve arrendere alla materia incomprensibile, non ci si deve sedere. Siamo qui per questo, per sbagliare e correggerci, per incassare colpi e renderli. Non ci si deve mai sentire disarmati: la natura è immensa e complessa, ma non è impermeabile all'intelligenza; devi girarle intorno, pungere sondare, cercare il varco o fartelo.
Primo Levi, Il sistema periodico
Così una nuova molecola d’anidride carbonica ritornò all’atmosfera, ed una parcella dell’energia che il sole aveva ceduta al tralcio passò dallo stato di energia chimica a quello di energia meccanica e quindi si adagiò nella ignava condizione di calore, riscaldando impercettibilmente l’aria smossa dalla corsa ed il sangue del corridore. «Così è la vita», benché raramente essa venga così descritta: un inserirsi, un derivare a suo vantaggio, un parassitare il cammino in giù dell’energia, dalla sua nobile forma solare a quella degradata di calore a bassa temperatura. Su questo cammino all’ingiù, che conduce all’equilibrio e cioè alla morte, la vita disegna un’ansa e ci si annida.
Primo Levi, Il sistema periodico
Primo Levi, Il sistema periodico
Primo Levi, Il sistema periodico
Sulle dispense stava scritto un dettaglio che alla prima lettura mi era sfuggito e cioè che il così tenero e delicato zinco, così arrendevole davanti agli acidi, che ne fanno un solo boccone, si comporta invece in modo assai diverso quando è molto puro: allora resiste ostinatamente all’attacco. Se ne potevano trarre due conseguenze filosofiche tra loro contrastanti: l’elogio della purezza, che corregge dal male come un usbergo; l’elogio dell’impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita. Scartai la prima, disgustosamente moralistica, e mi attardai a considerare la seconda, che mi era più congeniale. Perché la ruota giri, perché la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze.
Primo Levi, Il sistema periodico
Primo Levi, Il sistema periodico
Il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l'Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata.
Primo Levi. Il sistema periodico
Avevo una enorme, radicata, sciocca fiducia nella benevolenza del destino, e uccidere e morire mi parevano cose estranee e letterarie. I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li rimpiangevo, tutti erano densi e positivi; l'avvenire mi stava davanti come una grande ricchezza.
Primo Levi
Primo Levi, DELEGA
Non spaventarti se il lavoro è molto:
C’è bisogno di te che sei meno stanco.
Poiché hai sensi fini, senti
Come sotto i tuoi piedi suona cavo.
Rimedita i nostri errori:
C’è stato pure chi, fra noi,
S’è messo in cerca alla cieca
Come un bendato ripeterebbe un profilo,
E chi ha salpato come fanno i corsari,
E chi ha tentato con volontà buona.
Aiuta, insicuro. Tenta, benché insicuro,
Perché insicuro. Vedi
Se puoi reprimere il ribrezzo e la noia
Dei nostri dubbi e delle nostre certezze.
Mai siamo stati così ricchi, eppure
Viviamo in mezzo a mostri imbalsamati,
Ad altri mostri oscenamente vivi.
Non sgomentarti delle macerie
Né del lezzo delle discariche: noi
Ne abbiamo sgomberate a mani nude
Negli anni in cui avevamo i tuoi anni.
Reggi la corsa, del tuo meglio. Abbiamo
Pettinato la chioma alle comete,
Decifrato i segreti della genesi,
Calpestato la sabbia della luna,
Costruito Auschwitz e distrutto Hiroshima.
Vedi: non siamo rimasti inerti.
Sobbarcati, perplesso;
Non chiamarci maestri.
Rimedita i nostri errori:
C’è stato pure chi, fra noi,
S’è messo in cerca alla cieca
Come un bendato ripeterebbe un profilo,
E chi ha salpato come fanno i corsari,
E chi ha tentato con volontà buona.
Aiuta, insicuro. Tenta, benché insicuro,
Perché insicuro. Vedi
Se puoi reprimere il ribrezzo e la noia
Dei nostri dubbi e delle nostre certezze.
Mai siamo stati così ricchi, eppure
Viviamo in mezzo a mostri imbalsamati,
Ad altri mostri oscenamente vivi.
Non sgomentarti delle macerie
Né del lezzo delle discariche: noi
Ne abbiamo sgomberate a mani nude
Negli anni in cui avevamo i tuoi anni.
Reggi la corsa, del tuo meglio. Abbiamo
Pettinato la chioma alle comete,
Decifrato i segreti della genesi,
Calpestato la sabbia della luna,
Costruito Auschwitz e distrutto Hiroshima.
Vedi: non siamo rimasti inerti.
Sobbarcati, perplesso;
Non chiamarci maestri.
Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso... si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni affinità umana... si comprenderà allora il duplice significato del termine "campo di annientamento" e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo.
Primo Levi
"Cuore di legno":
Il mio vicino di casa è robusto.
E' un ippocastano di Corso Re Umberto;
ha la mia età ma non la dimostra.
Alberga passeri e merli, e non ha vergogna,
in aprile, di spingere gemme e foglie,
fiori fragili a maggio;
a settembre ricci dalle spine innocue
con dentro lucide castagne tànniche.
E' un impostore, ma ingenuo: vuole farsi credere
emulo del suo bravo fratello di montagna
signore di frutti dolci e di funghi preziosi.
Non vive bene.
Gli calpestano le radici
i tram numero otto e diciannove
ogni cinque minuti; ne rimane intronato
e cresce storto, come se volesse andarsene.
Anno per anno, succhia lenti veleni
dal sottosuolo saturo di metano,
è abbeverato d'orina di cani.
Le rughe del suo sughero sono intasate
dalla polvere settica dei viali;
sotto la scorza pendono crisalidi
morte, che non diventeranno mai farfalle.
Eppure, nel suo torpido cuore di legno
sente e gode il tornare delle stagioni.
Primo Levi, Cuore di Legno
Primo Levi, la chimica immagine del mondo.
Stanno per finire gli anni 50, quando l’inglese Charles Percy Snow getta il sasso nello stagno e, con un libro destinato a fare storia, denuncia un fatto a suo dire molto grave: l’avvenuta separazione tra «le due culture», quella scientifica e quella umanistica. Più che un sasso, la tesi di Snow è un macigno: se molti scienziati naturali sono disponibili a utilizzare quelle che in Italia Leonardo Sinisgalli chiama “le lime del pensiero” e a confrontarsi con le scienze umane, sempre più umanisti rifiutano il confronto. È per questo che le due culture tendono a divergere. Anzi, si sono già separate.
Molti intellettuali sono colpiti dalla provocazione, ma non tutti si lasciano sommergere dalle onde sollevate dal macigno del chimico e scrittore inglese. Alcuni reagiscono. In Italia interviene prontamente un altro chimico e scrittore: Primo Levi. Che scrive: «Sovente ho messo piede sui ponti che uniscono (o dovrebbero unire) la cultura scientifica con quella letteraria scavalcando un crepaccio che mi è sempre sembrato assurdo». E poi aggiunge: questa separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica, se c’è, è «una schisi innaturale, non necessaria, nociva, frutto di lontani tabù e della controriforma, quando non risalga addirittura a una interpretazione meschina del divieto biblico di mangiare un certo frutto.
Non la conoscevano Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, né Michelangelo; né la conoscono i buoni artigiani d’oggi, né i fisici esitanti sull’orlo dell’inconoscibile».
Primo Levi è uno dei più grandi scrittori italiani.
È uno scrittore testimone del suo tempo. Con Se questo è un uomo, che ha iniziato a scrivere nel dicembre 1945 e pubblicato nel 1947, racconta dell’indicibile cui ha assistito: il più grande misfatto che, probabilmente, l’umanità abbia mai commesso. L’Olocausto. Levi racconta quello che ha vissuto in prima persona, all’interno del campo di Auschwitz dove è stato deportato in quanto ebreo. È uno dei pochi sopravvissuti, grazie alla chimica.
La chimica, per la verità, attraversa tutte le quattro fasi della sua vita da giovane e poi da adulto. Prima della guerra, da studente. Durante la guerra è un chimico che lavora nell’industria. Con la deportazione è un chimico in un luogo particolare: in un campo di sterminio.
Divenuto scrittore, il chimico ritorna nelle sue opere.
Tra queste Il sistema periodico che, pubblicato nel 1975, è eletto nell’ottobre 2006 “più bel libro di scienza mai scritto” dalla Royal Institution di Londra. Mentre lui, Primo Levi, viene definito il miglior scrittore di scienza di ogni tempo, battendo l’etologo Konrad Lorenz che, con L’anello di Re Salomone, giunge secondo.
Primo Levi rientra, dunque, in quel novero ristretto ma non ristrettissimo di scrittori che alimentano, per dirla con Italo Calvino, la «vocazione profonda della letteratura italiana», perché nelle sue opere – proprio come in quelle di Calvino, oltre che di Dante, di Galileo e di Leopardi – si consuma il ménage a trois tra letteratura, filosofia e scienza. Solo che mentre Calvino è uno scrittore “cosmico e lunare” (per usare una definizione che lo scrittore sanremese usa proprio a proposito di Dante, Galileo e Leopardi oltre che di Ariosto), Primo Levi è uno scrittore “chimico e molecolare”, attento più che al tutto armoniosamente ordinato dei Greci (il cosmo appunto), alle sue singole e cangianti parti materiali. D’altra parte è lui stesso a riconoscerlo: «Scrivo proprio perché sono un chimico, si può dire che il mio vecchio mestiere si è largamente trasfuso nel nuovo».
Già, ma cosa significa mettere «piede sui ponti che uniscono la cultura scientifica con quella letteraria» da chimico? In primo luogo, significa avere un rapporto speciale con la materia. Come lo stesso Levi scrive, ricordando l’iscrizione nel 1937 al corso di Chimica dell’Università di Torino: «la nobiltà dell’uomo, acquisita in cento secoli di prove ed errori, era consistita nel farsi signore della materia (…) mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere fedele (…) vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere noi stessi, e che quindi il sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo» (Ferro, Il sistema periodico). La chimica, dunque, come visione del mondo. Come filosofia: «Pensavo di trovare nella chimica la risposta agli interrogativi che la filosofia lascia irrisolti. Cercavo un’immagine del mondo piuttosto che un mestiere». In realtà un mestiere Levi lo trova, appena subito dopo la laurea a Lanzo, in una cava di amianto. E poi l’anno dopo, a Milano, presso la Wander, un’industria svizzera di medicinali, dove lavora fino al 13 dicembre 1943, quando viene arrestato come partigiano e deportato nei lager tedeschi.
Primo Levi non è uno scienziato.
Come ricorda Mimma Bresciani Califano è e si definisce un chimico-tecnologo. È in questa dimensione di chimico di laboratorio industriale che Levi ritrova, come scrive Gaspare Polizzi: «la paziente lentezza del metodo» e apprende «l’“arte di separare, pesare e distinguere”, essenziale per l’esercizio della scrittura. A questo esercizio si unisce il ‘peso’ semantico di verbi come filtrare, cristallizzare, distillare e di qualità dei corpi come nero, amaro, vischioso, tenace, greve, fetido, volatile, inerte, infiammabile, che dicono poco al lettore-scrittore comune».
PIETRO GRECO
http://bit.ly/2bt6MMu
"Cuore di legno":
Il mio vicino di casa è robusto.
E' un ippocastano di Corso Re Umberto;
ha la mia età ma non la dimostra.
Alberga passeri e merli, e non ha vergogna,
in aprile, di spingere gemme e foglie,
fiori fragili a maggio;
a settembre ricci dalle spine innocue
con dentro lucide castagne tànniche.
E' un impostore, ma ingenuo: vuole farsi credere
emulo del suo bravo fratello di montagna
signore di frutti dolci e di funghi preziosi.
Non vive bene.
Gli calpestano le radici
i tram numero otto e diciannove
ogni cinque minuti; ne rimane intronato
e cresce storto, come se volesse andarsene.
Anno per anno, succhia lenti veleni
dal sottosuolo saturo di metano,
è abbeverato d'orina di cani.
Le rughe del suo sughero sono intasate
dalla polvere settica dei viali;
sotto la scorza pendono crisalidi
morte, che non diventeranno mai farfalle.
Eppure, nel suo torpido cuore di legno
sente e gode il tornare delle stagioni.
Primo Levi, Cuore di Legno
Primo Levi, la chimica immagine del mondo.
Stanno per finire gli anni 50, quando l’inglese Charles Percy Snow getta il sasso nello stagno e, con un libro destinato a fare storia, denuncia un fatto a suo dire molto grave: l’avvenuta separazione tra «le due culture», quella scientifica e quella umanistica. Più che un sasso, la tesi di Snow è un macigno: se molti scienziati naturali sono disponibili a utilizzare quelle che in Italia Leonardo Sinisgalli chiama “le lime del pensiero” e a confrontarsi con le scienze umane, sempre più umanisti rifiutano il confronto. È per questo che le due culture tendono a divergere. Anzi, si sono già separate.
Molti intellettuali sono colpiti dalla provocazione, ma non tutti si lasciano sommergere dalle onde sollevate dal macigno del chimico e scrittore inglese. Alcuni reagiscono. In Italia interviene prontamente un altro chimico e scrittore: Primo Levi. Che scrive: «Sovente ho messo piede sui ponti che uniscono (o dovrebbero unire) la cultura scientifica con quella letteraria scavalcando un crepaccio che mi è sempre sembrato assurdo». E poi aggiunge: questa separazione tra cultura scientifica e cultura umanistica, se c’è, è «una schisi innaturale, non necessaria, nociva, frutto di lontani tabù e della controriforma, quando non risalga addirittura a una interpretazione meschina del divieto biblico di mangiare un certo frutto.
Non la conoscevano Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, né Michelangelo; né la conoscono i buoni artigiani d’oggi, né i fisici esitanti sull’orlo dell’inconoscibile».
Primo Levi è uno dei più grandi scrittori italiani.
È uno scrittore testimone del suo tempo. Con Se questo è un uomo, che ha iniziato a scrivere nel dicembre 1945 e pubblicato nel 1947, racconta dell’indicibile cui ha assistito: il più grande misfatto che, probabilmente, l’umanità abbia mai commesso. L’Olocausto. Levi racconta quello che ha vissuto in prima persona, all’interno del campo di Auschwitz dove è stato deportato in quanto ebreo. È uno dei pochi sopravvissuti, grazie alla chimica.
La chimica, per la verità, attraversa tutte le quattro fasi della sua vita da giovane e poi da adulto. Prima della guerra, da studente. Durante la guerra è un chimico che lavora nell’industria. Con la deportazione è un chimico in un luogo particolare: in un campo di sterminio.
Divenuto scrittore, il chimico ritorna nelle sue opere.
Tra queste Il sistema periodico che, pubblicato nel 1975, è eletto nell’ottobre 2006 “più bel libro di scienza mai scritto” dalla Royal Institution di Londra. Mentre lui, Primo Levi, viene definito il miglior scrittore di scienza di ogni tempo, battendo l’etologo Konrad Lorenz che, con L’anello di Re Salomone, giunge secondo.
Primo Levi rientra, dunque, in quel novero ristretto ma non ristrettissimo di scrittori che alimentano, per dirla con Italo Calvino, la «vocazione profonda della letteratura italiana», perché nelle sue opere – proprio come in quelle di Calvino, oltre che di Dante, di Galileo e di Leopardi – si consuma il ménage a trois tra letteratura, filosofia e scienza. Solo che mentre Calvino è uno scrittore “cosmico e lunare” (per usare una definizione che lo scrittore sanremese usa proprio a proposito di Dante, Galileo e Leopardi oltre che di Ariosto), Primo Levi è uno scrittore “chimico e molecolare”, attento più che al tutto armoniosamente ordinato dei Greci (il cosmo appunto), alle sue singole e cangianti parti materiali. D’altra parte è lui stesso a riconoscerlo: «Scrivo proprio perché sono un chimico, si può dire che il mio vecchio mestiere si è largamente trasfuso nel nuovo».
Già, ma cosa significa mettere «piede sui ponti che uniscono la cultura scientifica con quella letteraria» da chimico? In primo luogo, significa avere un rapporto speciale con la materia. Come lo stesso Levi scrive, ricordando l’iscrizione nel 1937 al corso di Chimica dell’Università di Torino: «la nobiltà dell’uomo, acquisita in cento secoli di prove ed errori, era consistita nel farsi signore della materia (…) mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere fedele (…) vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere noi stessi, e che quindi il sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo» (Ferro, Il sistema periodico). La chimica, dunque, come visione del mondo. Come filosofia: «Pensavo di trovare nella chimica la risposta agli interrogativi che la filosofia lascia irrisolti. Cercavo un’immagine del mondo piuttosto che un mestiere». In realtà un mestiere Levi lo trova, appena subito dopo la laurea a Lanzo, in una cava di amianto. E poi l’anno dopo, a Milano, presso la Wander, un’industria svizzera di medicinali, dove lavora fino al 13 dicembre 1943, quando viene arrestato come partigiano e deportato nei lager tedeschi.
Primo Levi non è uno scienziato.
Come ricorda Mimma Bresciani Califano è e si definisce un chimico-tecnologo. È in questa dimensione di chimico di laboratorio industriale che Levi ritrova, come scrive Gaspare Polizzi: «la paziente lentezza del metodo» e apprende «l’“arte di separare, pesare e distinguere”, essenziale per l’esercizio della scrittura. A questo esercizio si unisce il ‘peso’ semantico di verbi come filtrare, cristallizzare, distillare e di qualità dei corpi come nero, amaro, vischioso, tenace, greve, fetido, volatile, inerte, infiammabile, che dicono poco al lettore-scrittore comune».
PIETRO GRECO
http://bit.ly/2bt6MMu
Mi auguro che la memoria sia anche per i nativi americani, gli indios, gli Armeni, le genti della ex-Jugoslavia...che la memoria non riguardi solo l'attenzione verso un popolo perseguitato e sterminato sistematicamente, ma anche rattenzione verso tutti, indistintamente, quelli che hanno sopportato e sopportano persecuzioni. Ho un sacco di amici semiti, come ne ho palestinesi, e di mezzo mondo, e mi fa male vedere che la giornata della memoria stia diventando una sorta di vessillo da tirar fuori a mo' di giustificazione per le ingiustizie che anche il popolo ebreo continua a perpetrare nei confronrti di quello palestinese. Il popolo ebreo, proprio perchè perseguitato e sterminato, dovrebbe insegnare al mondo la tolleranza e il rispetto, mi sembra che non lo faccia. Ciò detto, orrore infinito per quanto l'olocausto è stato. Speriamo che non si tratti di memoria selettiva, ma che si tratti di esperienza e che come tale divenga insegnamento che riguarda tutti.
[...] Primo Levi, il grande testimone dell’olocausto. Nacque a Torino il 31 luglio del 1919. Il 22 febbraio 1944 fu internato nel campo di concentramento di Auschwitz, vide l'inferno su questa terra e ne fu per sempre Testimone. In realtà non usci mai completamente da Auschwitz, visse sempre pensando a quell'inferno, che riviveva giorno dopo giorno, fino a quel tragico 11 aprile 1987, quando mori, in una situazione non del tutto chiara, cadendo dalle scale del palazzo dove abitava .
http://youtu.be/zwpZVQ1EN-8
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