Il tesoro di Perseo, re di Macedonia, era così grande che, una volta portato nell'erario di Roma dopo la vittoria contro la Macedonia (168 a.C.), sollevò i cittadini romani dal pagamento di tributi per ben 125 anni, quindi fino al 43 a.C.
Non sempre chi comanda è stato rapace - (Livio)
Emilio Paolo, vinto Perseo, si impadronì di tutto il tesoro dei Macedoni, che fu grandissimo.
Fece offrire tanto denaro nell’erario che il bottino di un solo comandante fu più grande di tutti gli altri tributi. Ma quel famoso Paolo non portò nulla nella sua casa se non la memoria eterna del nome. L’Africano minore, distrutta Cartagine, fu di sicuro più ricco di quanto fu Paolo. Anche Lucio Mummio, che fu collega dell’Africano nella questura, quando distrusse dalle fondamenta Corinto, città ricchissima, divenne alquanto ricco, ma preferì abbellire l’Italia piuttosto che la sua casa. Nulla infatti è più turpe e vergognoso dell’avidità, soprattutto negli uomini che governano lo stato. Infatti coloro che cercano cariche pubbliche e comandi per arricchirsi con i furti, non solo sono uomini vergognosi ma anche senza cervello e malvagi. Una volta l’oracolo di Delfi predisse agli Spartani che la loro città non sarebbe caduta per nessun motivo se non per l’avidità. Apollo predisse ciò anche ad altri ricchi popoli. Bisogna infatti governare lo stato con moderazione e integrità morale.
Aemilius Paulus, Perseo victo, omni Macedonum gaza, quae fuit maxima, potitus erat. Sic tantam pecuniam in aerarium populi Romani invexit, ut unius imperatoris praeda maior omnibus tributis esset. At ille Paulus nihil domum suam intulit praeter memoriam nominis sempiternam. Africanus minor, Carthagine eversa, nihilo locupletior quam Paulum fuit. Lucius Mummius quoque, qui fuit Africani collega in quaestura, cum Corinthum, urbem copiosissimam funditus evertisset, copiosor factus est, sed Italiam ornare maluit potius quam domum suam. Nihil enim teatrium turpiusque est quam avaritia, praesertim in viris rem publicam regentibus. Nam qui magistratus atque imperia petunt ut furtis quaestum facerent, non solum turpes nomine sunt, sed etiam scelerati atque nefarii. Olim oraculum Apollinis Lacedaemonis praedixit eorum urbem nulla re nisi avaritia perituram esse. Id Apollo etiam illis opulentis populis praedixit. Regere enim rem publicam abstinentia continentiaque oportet.
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La Sventura Di Perseo, Re Di Macedonia .
Perseo, re dei macedoni, già in estrema rovina per l’inesperienza e l’avarizia in mano dei nemici, con i figli e il tesoro pubblico, venne. Paolo Emilio tuttavia, dopo la famosa vittoria di Pidna, celebrò a roma un trionfo. Per tre giorni ai cittadini i carri offrirono una magnifica forma di trionfi: questi trasportavano cose di grande valore, vasi di oro e argento, statue di bronzo, opere di arte. Alla fine avanza Paolo sul carro insigne per dignità di corpo e di stessa vecchiaia. Dietro il carro procedevano l’esercito dell’imperatore vincitore, poi la cavalleria e le coorti della fanteria. ma non solo Perseo offrì un triste documento (casuum) dei romani, condotto in catene per la città davanti al carro del vincitore, ma anche il vincitore Paolo, fulgido di oro e porpora. Infatti, negli stessi giorni del trionfo, il comandante romano vide i funerali dei suoi due figli.
Perseus, Macedoniae rex, iam in extrema pernicie propter imperitiam atque avaritiam in manus hostium, cum liberis et publico thesauro, venit.Paulus Aemilius autem, post claram victoriam apud pidnam, triumphum Romae celebravit. Per tres dies civibus magnificam spectaculi speciem praebuerunt currus: hi res magni pretii, vasa aurea et argentea, anea simulacra, artis opera, transportabant.Postremo Paulus in curru processit, corporis dignitate et senectute ipsa insignis. Post currum imperatoris incedebant victoris exercitus viri; deinde equitum turmae et peditum cohortes. Sed non solum Perseus triste documentum humanororumcasuum praebuit, ductus in catenis per urbem ante victoris currum; sed etiam victor Paulus, auro purpuraque fulgidus. Nam, iisdem diebus triumphi, dux Romanus duorum filiorum funera vidit.
Plutarco - Vite di Emilio Paolo e Timoleonte
PLUTARCO
LE VITE DI EMILIO PAOLO E TIMOLEONTE
(traduzione di Lucio Flavio Giuliana)
EMILIO PAOLO (229 a.C. – 160 a.C.)
[I] ἐμοὶ τῆς τῶν βίων ἅψασθαι μὲν γραφῆς συνέβη δι᾽ ἑτέρους, ἐπιμένειν δὲ καὶ φιλοχωρεῖν ἤδη καὶ δι᾽ ἐμαυτόν, ὥσπερ ἐν ἐσόπτρῳ τῇ ἱστορίᾳ πειρώμενον ἁμῶς γέ πως κοσμεῖν καὶ ἀφομοιοῦν πρὸς τὰς ἐκείνων ἀρετὰς τὸν βίον. οὐδὲν γὰρ ἀλλ᾽ ἢ συνδιαιτήσει καὶ συμβιώσει τὸ γινόμενον ἔοικεν, ὅταν ὥσπερ ἐπιξενούμενον ἕκαστον αὐτῶν ἐν μέρει διὰ τῆς ἱστορίας ὑποδεχόμενοι καὶ παραλαμβάνοντες ἀναθεωρῶμεν
‘ὅσσος ἔην οἷός τε,’
τὰ κυριώτατα καὶ κάλλιστα πρὸς γνῶσιν ἀπὸ τῶν πράξεων λαμβάνοντες.
[2] φεῦ, φεῦ· τί τούτου χάρμα μεῖζον ἂν λάβοις
καὶ πρὸς ἐπανόρθωσιν ἠθῶν ἐνεργότερον; Δημόκριτος μὲν γὰρ εὔχεσθαί φησι δεῖν ὅπως εὐλόγχων εἰδώλων τυγχάνωμεν, καὶ τὰ σύμφυλα καὶ τὰ χρηστὰ μᾶλλον ἡμῖν ἐκ τοῦ περιέχοντος ἢ τὰ φαῦλα καὶ τὰ σκαιὰ συμφέρηται, λόγον οὔτ᾽ ἀληθῆ καὶ πρὸς ἀπεράντους ἐκφέροντα δεισιδαιμονίας [3] εἰς φιλοσοφίαν καταβάλλων · ἡμεῖς δὲ τῇ περὶ τὴν ἱστορίαν διατριβῇ καὶ τῆς γραφῆς τῇ συνηθείᾳ παρασκευάζομεν ἑαυτούς, τὰς τῶν ἀρίστων καὶ δοκιμωτάτων μνήμας ὑποδεχομένους ἀεὶ ταῖς ψυχαῖς, εἴ τι φαῦλον ἢ κακόηθες ἢ ἀγεννὲς αἱ τῶν συνόντων ἐξ ἀνάγκης ὁμιλίαι προσβάλλουσιν, ἐκκρούειν καὶ διωθεῖσθαι, πρὸς τὰ κάλλιστα τῶν παραδειγμάτων ἵλεω καὶ πρᾳεῖαν ἀποστρέφοντες τὴν διάνοιαν. [4] ὧν ἐν τῷ παρόντι προκεχειρίσμεθά σοι τὸν Τιμολέοντος τοῦ Κορινθίου καὶ τὸν Αἰμιλίου Παύλου βίον, ἀνδρῶν οὐ μόνον ταῖς αἱρέσεσιν, ἀλλὰ καὶ ταῖς τύχαις ἀγαθαῖς ὁμοίως κεχρημένων ἐπὶ τὰ πράγματα, καὶ διαμφισβήτησιν παρεξόντων, πότερον εὐποτμίᾳ, μᾶλλον ἢ φρονήσει τὰ μέγιστα τῶν πεπραγμένων κατώρθωσαν.
[I] Ho preso a scrivere le vite per rendere un favore agli altri, ma poi ho continuato ed insistito nella scrittura per me stesso, tentando, tramite la Storia, come in uno specchio, di abbellire in qualche modo e conformare la mia vita alle virtù di quegli uomini illustri. Quanto avviene infatti non è dissimile da una convivenza, quando in parte, attraverso il racconto, accogliendo e tenendo presso di noi come un ospite ciascuno di questi personaggi, possiamo osservare attentamente
“quale e quanto grande sia stato” [Il. 24.630],
prendendo dalle loro azioni ciò che vi è di più autorevole e bello a conoscersi.
Oh, quale gioia più grande potresti ottenere [Sof. fr. 579 Nauck]
e più efficace nel rendere migliore il carattere ? Secondo Democrito infatti [Diels-Kranz Vorsokr. 55B] bisogna pregare gli dei di imbatterci in propizi simulacri e, dall’aria che ci circonda, in quello che è a noi connaturato ed utile, piuttosto che in realtà insignificanti e dannose; ma egli spinge nella filosofia una dottrina falsa e causa di infinite superstizioni. Noi invece, con lo studio della storia e la consuetudine della scrittura, ci disponiamo, rendendoci pronti a ricevere sempre nel nostro animo il ricordo dei migliori e dei più degni, se la frequentazione forzata con chi ci è accanto propone qualcosa di inutile o di turpe o di ignobile, ad affrontarlo e a respingerlo, volgendo invece un mite e benevolo pensiero verso gli esempi più illustri. Fra questi ho scelto ora per te la vita di Timoleonte corinzio e di Emilio Paolo, uomini che nelle loro azioni contarono in egual misura non soltanto su valide scelte, ma anche su valida sorte, e che per questo indurranno a chiedersi se nelle maggiori imprese ebbero successo in virtù della loro buona fortuna o della loro prudenza.
[II] τὸν Αἰμιλίων οἶκον ἐν Ῥώμῃ τῶν εὐπατριδῶν γεγονέναι καὶ παλαιῶν οἱ πλεῖστοι συγγραφεῖς ὁμολογοῦσιν. ὅτι δ᾽ ὁ πρῶτος αὐτῶν καὶ τῷ γένει τήν ἐπωνυμίαν ἀπολιπὼν Μάμερκος ἦν, Πυθαγόρου παῖς τοῦ σοφοῦ, δι᾽ αἱμυλίαν λόγου καὶ χάριν Αἰμίλιος προσαγορευθείς, εἰρήκασιν ἔνιοι τῶν Πυθαγόρᾳ τήν Νομᾶ τοῦ βασιλέως παίδευσιν ἀναθέντων. [2] οἱ μὲν οὖν πλεῖστοι τῶν εἰς δόξαν ἀπὸ τῆς οἰκίας ταύτης προελθόντων δι᾽ ἀρετὴν, ἣν ἐζήλωσαν, εὐτύχησαν, Λευκίου δὲ Παύλου τὸ περὶ Κάννας ἀτύχημα τήν τε φρόνησιν ἅμα καὶ τήν ἀνδρείαν ἔδειξεν. ὡς γὰρ οὐκ ἔπεισε τὸν συνάρχοντα κωλύων μάχεσθαι, τοῦ μὲν ἀγῶνος ἄκων μετέσχεν αὐτῷ, τῆς δὲ φυγῆς οὐκ ἐκοινώνησεν, ἀλλὰ τοῦ συνάψαντος τὸν κίνδυνον ἐγκαταλιπόντος αὐτὸς ἑστὼς καὶ μαχόμενος τοῖς πολεμίοις ἐτελεύτησε. [3] τούτου θυγάτηρ μὲν Αἰμιλία Σκηπίωνι τῷ μεγάλῳ συνῴκησεν, υἱὸς δὲ Παῦλος Αἰμίλιος, περὶ οὗ τάδε γράφεται, γεγονὼς ἐν ἡλικίᾳ κατὰ καιρὸν ἀνθοῦντα δόξαις καὶ ἀρεταῖς ἐπιφανεστάτων ἀνδρῶν καὶ μεγίστων, διέλαμψεν, οὐ ταὐτὰ τοῖς εὐδοκιμοῦσι τότε νέοις ἐπιτηδεύματα ζηλώσας, οὐδὲ τήν αὐτὴν ὁδὸν ἀπ᾽ ἀρχῆς πορευθείς. [4] οὔτε γὰρ λόγον ἤσκει περὶ δίκας, ἀσπασμούς τε καὶ δεξιώσεις καὶ φιλοφροσύνας, αἷς ὑποτρέχοντες οἱ πολλοὶ τὸν δῆμον ἐκτῶντο θεραπευτικοὶ καὶ σπουδαῖοι γενόμενοι, παντάπασιν ἐξέλιπε, πρὸς οὐδέτερον ἀφυῶς ἔχων, ὡς δ᾽ ἑκατέρου κρείττονα τήν ἀπ᾽ ἀνδρείας καὶ δικαιοσύνης καὶ πίστεως δόξαν αὑτῷ περιποιούμενος, οἷς εὐθὺς διέφερε τῶν καθ᾽ ἡλικίαν.
[II] La maggior parte degli storici è concorde nell’affermare che a Roma la famiglia degli Emili sia stata tra le più antiche del patriziato. Che il capostipite, e chi lasciò il nome gentilizio, fu Mamerco, figlio del saggio Pitagora, soprannominato Emilio per la dolcezza e la grazia della sua parola, lo hanno riferito alcuni fra quanti attribuirono a Pitagora l’educazione del re Numa. Moltissimi, di quelli che da questo casato raggiunsero la fama grazie al valore cui ambirono, ebbero successo, ma la sconfitta di Lucio Emilio presso Canne dimostrò insieme al coraggio anche saggezza. Difatti, poiché non riuscì a convincere il collega impedendogli di dare battaglia, contro la propria volontà prese parte con lui allo scontro, ma non ne condivise la fuga; quello che lo aveva esposto al pericolo lo abbandonò, ma egli rimase e morì combattendo il nemico. Sua figlia Emilia andò in sposa al grande Scipione, mentre il figlio Emilio Paolo, del quale viene narrata la vita, raggiunta la maturità in un momento in cui erano al culmine la gloria ed il valore degli uomini più potenti ed illustri, si distinse pur non avendo aspirato alla medesima educazione dei giovani che allora godevano di un buon nome, e senza aver intrapreso da principio la stessa loro strada. Non esercitò la parola nei processi, e tralasciò completamente i saluti, le lusinghe elettorali, le amichevoli accoglienze, insinuandosi sotto le quali molti, divenuti pieni di cure e di zelo, si guadagnavano il favore del popolo; e questo non perché non avesse disposizione per entrambe le cose, ma cercava piuttosto di ottenere una fama migliore rispetto all'una e all'altra ricorrendo al valore, alla giustizia e alla fedeltà, virtù per le quali si differenziò fin da subito dagli altri suoi coetanei.
[III] πρώτην γοῦν τῶν ἐπιφανῶν ἀρχῶν ἀγορανομίαν μετελθών, προεκρίθη δεκαδυοῖν ἀνδρῶν συναπογραψαμένων, οὓς ὕστερον ἅπαντας ὑπατεῦσαι λέγουσι. γενόμενος δ᾽ ἱερεὺς τῶν αὐγούρων προσαγορευομένων, οὓς τῆς ἀπ᾽ ὀρνίθων καὶ διοσημειῶν ἀποδεικνύουσι Ῥωμαῖοι μαντικῆς [2] ἐπισκόπους καὶ φύλακας, οὕτω προσέσχε τοῖς πατρῴοις ἔθεσι καὶ κατενόησε τὴν τῶν παλαιῶν περὶ τὸ θεῖον εὐλάβειαν ὥστε τιμήν τινα δοκοῦσαν εἶναι καὶ ζηλουμένην ἄλλως ἕνεκα δόξης τὴν ἱερωσύνην τῶν ἀκροτάτων μίαν ἀποφῆναι τεχνῶν, καὶ μαρτυρῆσαι τοῖς φιλοσόφοις, ὅσοι τὴν εὐσέβειαν ὡρίσαντο θεραπείας θεῶν ἐπιστήμην εἶναι. [3] πάντα γὰρ ἐδρᾶτο μετ᾽ ἐμπειρίας ὑπ᾽ αὐτοῦ καὶ σπουδῆς, σχολὴν τῶν ἄλλων ἄγοντος ὅτε γίγνοιτο πρὸς τούτῳ, καὶ παραλείποντος οὐδὲν οὐδὲ καινοτομοῦντος, ἀλλὰ καὶ τοῖς συνιερεῦσιν ἀεὶ καὶ περὶ τῶν μικρῶν διαφερομένου, καὶ διδάσκοντος ὡς εἰ τὸ θεῖον εὔκολόν τις ἡγεῖται καὶ ἀμεμφὲς εἶναι τῶν ἀμελειῶν, ἀλλὰ τῇ γε πόλει χαλεπὸν ἡ περὶ ταῦτα συγγνώμη καὶ παρόρασις · οὐδεὶς γὰρ ἐξ ἀρχῆς εὐθὺς μεγάλῳ παρανομήματι κινεῖ πολιτείαν, ἀλλὰ καὶ τὴν τῶν μειζόνων φρουρὰν καταλύουσιν οἱ προϊέμενοι τὴν ἐν τοῖς μικροῖς ἀκρίβειαν. [4] ὅμοιον δὲ καὶ τῶν στρατιωτικῶν ἐθῶν τε καὶ πατρίων ἐξεταστὴν καὶ φύλακα παρεῖχεν ἑαυτόν, οὐ δημαγωγῶν ἐν τῷ στρατηγεῖν, οὐδ᾽, ὥσπερ οἱ πλεῖστοι τότε, δευτέρας ἀρχὰς ταῖς πρώταις μνώμενος διὰ τοῦ χαρίζεσθαι καὶ πρᾷος εἶναι τοῖς ἀρχομένοις, ἀλλ᾽ ὥσπερ ἱερεὺς ἄλλων ὀργίων δεινῶν, τῶν περὶ τὰς στρατείας ἐθῶν ἐξηγούμενος ἕκαστα, καὶ φοβερὸς ὢν τοῖς ἀπειθοῦσι καὶ παραβαίνουσιν, ὤρθου τὴν πατρίδα, μικροῦ δεῖν πάρεργον ἡγούμενος τὸ νικᾶν τοὺς πολεμίους τοῦ παιδεύειν τοὺς πολίτας.
[III] Dopo aver dunque aspirato all’edilità, la prima fra le cariche importanti, fu eletto fra dodici candidati, i quali si dice che in seguito raggiunsero tutti il consolato. Divenuto sacerdote del collegio detto degli àuguri [192 a.C.], indicati dai Romani quali depositari e custodi dell’arte divinatoria, dal volo degli uccelli o dai segni del cielo, pose attenzione ai costumi patrii e comprese l’antico cerimoniale religioso tanto da dimostrare che il sacerdozio, ritenuto una semplice onorificenza e ricercato non altrimenti che per la gloria, era invece fra le più alte attività, e che avevano ragione quanti tra i filosofi definivano la devozione come conoscenza del culto reso agli dei. Tutto era svolto da lui con perizia ed attenzione, tralasciando il resto quando era impegnato in tali attività, senza dimenticare alcunché o aggiungere nulla di nuovo, anzi discutendo sempre con i colleghi di sacerdozio anche per le piccole questioni e mostrando che, se si crede la divinità benevola e lenta nel censurare atti di trascuratezza, nondimeno è per la città un danno quando si è negligenti e si tollerano queste cose. All’inizio infatti nessuno turba lo Stato con grandi violazioni, ma quelli che tralasciano la precisione nelle piccole cose, annullano anche la cura messa in quelle più grandi. Uguale accuratezza mostrò nel valutare e custodire le usanze e le tradizioni militari, senza fare il demagogo durante la sua carica di comandante, né, come moltissimi a quei tempi, aspirando a seconde cariche mediante le prime con l’ingraziarsi e mostrarsi mite verso i sottoposti; piuttosto, come un sacerdote di riti sconosciuti e venerandi, egli, dando spiegazione di ciascuna delle consuetudini militari ed incutendo timore a chi disobbediva e commetteva trasgressioni, risollevò le tradizioni patrie, in quanto era convinto che la vittoria sui nemici fosse secondaria rispetto all’educazione dei cittadini.
[IV] συστάντος δὲ τοῦ πρὸς Ἀντίοχον τὸν μέγαν πολέμου τοῖς Ῥωμαίοις, καὶ τῶν ἡγεμονικωτάτων ἀνδρῶν τετραμμένων πρὸς ἐκεῖνον, ἄλλος ἀπὸ τῆς ἑσπέρας ἀνέστη πόλεμος, ἐν Ἰβηρίᾳ κινημάτων μεγάλων γενομένων. ἐπὶ τοῦτον ὁ Αἰμίλιος ἐξεπέμφθη στρατηγός, οὐχ ἓξ ἔχων πελέκεις, ὅσους ἔχουσιν οἱ στρατηγοῦντες, ἀλλὰ προσλαβὼν ἑτέρους τοσούτους, ὥστε τῆς ἀρχῆς ὑπατικὸν γενέσθαι τὸ ἀξίωμα. [2] μάχῃ μὲν οὖν δὶς ἐκ παρατάξεως ἐνίκησε τοὺς βαρβάρους, περὶ τρισμυρίους ἀνελών, καὶ δοκεῖ τὸ κατόρθωμα τῆς στρατηγίας περιφανῶς γενέσθαι, χωρίων εὐφυΐᾳ καὶ ποταμοῦ τινος διαβάσει ῥᾳστώνην παρασχόντος αὐτοῦ πρὸς τὸ νίκημα τοῖς στρατιώταις, πόλεις δὲ πεντήκοντα καὶ διακοσίας ἐχειρώσατο δεξαμένας αὐτὸν ἑκουσίως. [3] εἰρήνῃ δὲ καὶ πίστει συνηρμοσμένην ἀπολιπὼν τὴν ἐπαρχίαν εἰς Ῥώμην ἐπανῆλθεν, οὐδὲ δραχμῇ μιᾷ γεγονὼς εὐπορώτερος ἀπὸ τῆς στρατείας. ἦν δὲ καὶ περὶ τἆλλα χρηματιστὴς ἀργότερος, εὐδάπανος δὲ καὶ ἀφειδὴς ἐκ τῶν ὑπαρχόντων. οὐ πολλὰ δ᾽ ἦν, ἀλλὰ καὶ φερνῆς ὀφειλομένης τῇ γυναικὶ μετὰ τὸν θάνατον αὐτοῦ γλίσχρως ἐξήρκεσεν.
[IV] Iniziata da parte dei Romani la guerra contro Antioco il Grande, ed inviati a gestirla i comandanti più capaci, un altro conflitto scoppiò ad occidente, poiché in Iberia vi erano state grosse agitazioni. A fronteggiarlo fu inviato Emilio in qualità di pretore [191 a.C.], non con sei littori, quanti ne avevano coloro che ricoprivano tale carica, ma avendone presi in aggiunta altrettanti, così che la dignità della sua magistratura fosse quella di un console. Vinse per due volte i barbari in campo aperto uccidendone circa tremila – e pare che il successo fosse chiaramente dipeso dalla sua abilità strategica, in quanto tramite la buona posizione dei luoghi scelti e l’attraversamento di un fiume aveva facilitato la vittoria dei soldati – e s’impadronì anche di duecentocinquanta città che lo accolsero spontaneamente. Dopo aver lasciato il governo della provincia ordinato in pace e fedeltà, fece ritorno a Roma, senza essersi arricchito di una sola dracma dalla campagna militare. Anche per quanto riguardava il resto fu un uomo assai indifferente negli affari, prodigo e poco portato al risparmio di quanto possedeva: non era molto e addirittura, dopo la sua morte, bastò appena a risarcire la dote dovuta alla moglie.
[V] ἔγημε δὲ Παπιρίαν, ἀνδρὸς ὑπατικοῦ Μάσωνος θυγατέρα, καὶ χρόνον συνοικήσας πολὺν ἀφῆκε τὸν γάμον, καίπερ ἐξ αὐτῆς καλλιτεκνότατος γενόμενος · αὕτη γὰρ ἦν ἡ τὸν κλεινότατον αὐτῷ Σκηπίωνα τεκοῦσα καὶ Μάξιμον Φάβιον. αἰτία δὲ γεγραμμένη τῆς διαστάσεως οὐκ ἦλθεν εἰς ἡμᾶς, ἀλλ᾽ ἔοικεν ἀληθής τις εἶναι λόγος περὶ γάμου λύσεως γενόμενος, ὡς ἀνὴρ Ῥωμαῖος ἀπεπέμπετο γυναῖκα, τῶν δὲ φίλων νουθετούντων αὐτόν, [2] ‘οὐχὶ σώφρων; οὐκ εὔμορφος; οὐχὶ παιδοποιός;’ προτείνας τὸ ὑπόδημα (κάλτιον αὐτὸ Ῥωμαῖοι καλοῦσιν) εἶπεν ‘οὐκ εὐπρεπὴς οὗτος; οὐ νεουργής; ἀλλ᾽ οὐκ ἂν εἰδείη τις ὑμῶν καθ᾽ ὅ τι θλίβεται μέρος οὑμὸς πούς.’ τῷ γὰρ ὄντι μεγάλαι μὲν ἁμαρτίαι καὶ ἀναπεπταμέναι γυναῖκας ἀνδρῶν ἄλλας ἀπήλλαξαν, τὰ δ᾽ ἔκ τινος ἀηδίας καὶ δυσαρμοστίας ἠθῶν μικρὰ καὶ πυκνὰ προσκρούσματα, λανθάνοντα τοὺς ἄλλους, ἀπεργάζεται τὰς ἀνηκέστους ἐν ταῖς συμβιώσεσιν ἀλλοτριότητας. [3] ὁ δὲ οὖν Αἰμίλιος ἀπαλλαγεὶς τῆς Παπιρίας ἑτέραν ἠγάγετο, καὶ δύο παῖδας ἄρρενας τεκούσης, τούτους μὲν ἐπὶ τῆς οἰκίας εἶχε, τοὺς δὲ προτέρους εἰσεποίησεν οἴκοις τοῖς μεγίστοις καὶ γένεσι τοῖς ἐπιφανεστάτοις, τὸν μὲν πρεσβύτερον τῷ Μαξίμου Φαβίου τοῦ πεντάκις ὑπατεύσαντος, τὸν δὲ νεώτερον Ἀφρικανοῦ Σκηπίωνος υἱὸς ἀνεψιὸν ὄντα θέμενος Σκηπίωνα προσηγόρευσε. [4] τῶν δὲ θυγατέρων τῶν Αἰμιλίου τὴν μὲν ὁ Κάτωνος υἱὸς ἔγημε, τὴν δὲ Αἴλιος Τουβέρων, ἀνὴρ ἄριστος καὶ μεγαλοπρεπέστατα Ῥωμαίων πενίᾳ χρησάμενος. ἦσαν γὰρ ἑκκαίδεκα συγγενεῖς, Αἴλιοι πάντες, οἰκίδιον δὲ πάνυ μικρὸν ἦν αὐτοῖς, καὶ χωρίδιον ἓν ἤρκει πᾶσι, μίαν ἑστίαν νέμουσι μετὰ παίδων πολλῶν καὶ γυναικῶν. [5] ἐν αἷς καὶ ἡ Αἰμιλίου τοῦδε θυγάτηρ ἦν δὶς ὑπατεύσαντος καὶ δὶς θριαμβεύσαντος, οὐκ αἰσχυνομένη τὴν πενίαν τοῦ ἀνδρός, ἀλλὰ θαυμάζουσα τὴν ἀρετὴν δι᾽ ἣν πένης ἦν. οἱ δὲ νῦν ἀδελφοὶ καὶ συγγενεῖς, ἂν μὴ κλίμασι καὶ ποταμοῖς καὶ διατειχίσμασιν ὁρίσωσι τὰ κοινά καὶ πολλὴν εὐρυχωρίαν ἒν μέσῳ λάβωσιν ἀπ᾽ ἀλλήλων, οὐ παύονται διαφερόμενοι. ταῦτα μὲν οὖν ἡ ἱστορία λογίζεσθαι καὶ παρεπισκοπεῖν δίδωσι τοῖς σῴζεσθαι βουλομένοις.
[V] Sposò Papiria, figlia del consolare Masone e, dopo aver vissuto con questa per lungo tempo, la ripudiò, anche se da lei ebbe dei figli bellissimi. Ella infatti fu colei che gli diede il famosissimo Scipione e Fabio Massimo. Il motivo della separazione non ci è giunto per iscritto, ma pare vero un racconto detto a proposito dei divorzi: un Romano aveva ripudiato la moglie, ma gli amici lo rimproveravano domandandogli: “non è forse virtuosa ? Non è bella ? Non ti dà dei figli ?”. Ed egli, mostrato il sandalo – i Romani lo chiamano calceus – disse: “non ha un bell’aspetto ? Non è nuovo ? Ma nessuno di voi potrebbe sapere dove mi stringe il piede”. In realtà ad allontanare le mogli dai mariti sono mancanze gravi ed evidenti, ma i piccoli e continui attriti, derivanti da una certa avversione ed inconciliabilità di caratteri, pur rimanendo nascosti agli occhi degli altri, producono le più insanabili diversità all’interno della convivenza. Emilio dunque, separatosi da Papiria, sposò un’altra donna, ed avendo questa dato alla luce due figli maschi, li tenne con sé in casa, mentre i primi due li fece adottare dai casati più potenti e dalle famiglie più illustri, il maggiore dalla famiglia di Fabio Massimo, che era stato per cinque volte console, al minore invece, dopo avere adottato quello che era suo cugino, il figlio di Scipione l’Africano diede il nome di Scipione. Delle figlie di Emilio una la sposò il figlio di Catone, un’altra Elio Tuberone, personaggio ricco di virtù, e che più di tutti fra i Romani sopportava la povertà in modo degno di un grande uomo. Erano sedici parenti, tutti Eli, avevano una casetta assai modesta ed un solo campicello bastava a tutti, che dividevano un unico focolare insieme ai figli e alle spose. Fra loro vi era anche la figlia di quell’Emilio due volte console e due volte portato in trionfo, non provando alcuna vergogna della povertà del marito, ma ammirando la virtù che lo rendeva povero. Oggi invece fratelli e congiunti, se non delimitano ciò che è comune con terrazzamenti, canali e muraglie, e non mettono nel mezzo ampi spazi di terreno per separare gli uni dagli altri, non pongono fine alle loro contese. La Storia dunque su queste cose spinge a riflettere e dà modo di osservare a chi voglia conservarne l’esempio.
[VI] ὁ δὲ Αἰμίλιος ὕπατος ἀποδειχθεὶς ἐστράτευσεν ἐπὶ τοὺς παραλπίους Λίγυας, οὓς ἔνιοι καί Λιγυστίνους ὀνομάζουσι, μάχιμον καί θυμοειδὲς ἔθνος, ἐμπείρως δὲ πολεμεῖν διδασκόμενον ὑπὸ Ῥωμαίων διὰ τὴν γειτνίασιν. τὰ γὰρ ἔσχατα τῆς Ἰταλίας καί καταλήγοντα πρὸς τάς Ἄλπεις αὐτῶν τε τῶν Ἄλπεων τὰ κλυζόμενα τῷ Τυρρηνικῷ πελάγει καί πρὸς τὴν Λιβύην ἀνταίροντα νέμονται, μεμιγμένοι Γαλάταις καί τοῖς παραλίοις Ἰβήρων. [2] τότε δὲ καί τῆς θαλάττης ἁψάμενοι σκάφεσι πειρατικοῖς ἀφῃροῦντο καί περιέκοπτον τάς ἐμπορίας, ἄχρι στηλῶν Ἡρακλείων ἀναπλέοντες. ἐπιόντος οὖν τοῦ Αἰμιλίου, τετρακισμύριοι γενόμενοι τὸ πλῆθος ὑπέστησαν · ὁ δὲ τοὺς σύμπαντας ὀκτακισχιλίους ἔχων πενταπλασίοις οὖσιν αὐτοῖς συνέβαλε, καί τρεψάμενος καί κατακλείσας εἰς τὰ τείχη διέδωκε λόγον φιλάνθρωπον καί συμβατικόν · οὐ γὰρ ἦν βουλομένοις τοῖς Ῥωμαίοις παντάπασιν ἐκκόψαι τὸ Λιγύων ἔθνος, ὥσπερ ἕρκος ἢ πρόβολον ἐμποδὼν κείμενον τοῖς Γαλατικοῖς κινήμασιν ἐπαιωρουμένοις ἀεὶ περὶ τὴν Ἰταλίαν. [3] πιστεύσαντες οὖν τῷ Αἰμιλίῳ τάς τε ναῦς καί τάς πόλεις ἐνεχείρισαν. ὁ δὲ τάς μὲν πόλεις οὐδὲν ἀδικήσας ἢ μόνον τὰ τείχη περιελών ἀπέδωκε, τάς δὲ ναῦς ἁπάσας ἀφείλετο, καί πλοῖον οὐδὲν αὐτοῖς τρισκάλμου μεῖζον ἀπέλιπε · τοὺς δὲ ἡλωκότας ὑπ᾽ αὐτῶν κατὰ γῆν ἢ κατὰ θάλατταν ἀνεσώσατο πολλοὺς καί ξένους καὶ Ῥωμαίους εὑρεθέντας. ἐκείνη μὲν οὖν ἡ ὑπατεία τάς εἰρημένας πράξεις ἐπιφανεῖς ἔσχεν. [4] ὕστερον δὲ πολλάκις ποιήσας φανερὸν αὑτὸν αὖθις ὑπατεῦσαι βουλόμενον καί ποτε καί παραγγείλας, ὡς ἀπέτυχε καί παρώφθη, τὸ λοιπὸν ἡσυχίαν εἶχε, τῶν ἱερῶν ἐπιμελούμενος καί τοὺς παῖδας ἀσκῶν τὴν μὲν ἐπιχώριον παιδείαν καί πάτριον ὥσπερ αὐτὸς ἤσκητο, τὴν δὲ Ἑλληνικὴν φιλοτιμότερον. [5] οὐ γὰρ μόνον γραμματικοὶ καί σοφισταὶ καί ῥήτορες, ἀλλὰ καί πλάσται καί ζωγράφοι καί πώλων καί σκυλάκων ἐπιστάται καί διδάσκαλοι θήρας Ἕλληνες ἦσαν περὶ τοὺς νεανίσκους. ὁ δὲ πατήρ, εἰ μή τι δημόσιον ἐμποδὼν εἴη, παρῆν ἀεὶ μελετῶσι καί γυμναζομένοις, φιλοτεκνότατος Ῥωμαίων γενόμενος.
[VI] Eletto console Emilio condusse una spedizione militare contro i Liguri che abitano ai piedi delle Alpi [182 a.C.], e che alcuni chiamano Ligustini, popolo bellicoso e pieno di coraggio, istruito con perizia nel combattimento per via della vicinanza con i Romani. Abitano le parti estreme dell’Italia, quelle che confinano con le Alpi e delle Alpi i territori bagnati dal Tirreno e che si levano dinanzi all’Africa; essi vivono mescolati ai Galli e agli Iberi delle terre costiere. In quel tempo, raggiunto il mare, con navi piratesche ostacolavano ed intercettavano le rotte commerciali., spingendosi fino alle Colonne d’Ercole. Quando giunse Emilio lo affrontarono in quarantamila. Egli, disponendo in tutto di ottomila uomini, diede loro battaglia, che erano in un numero cinque volte superiore, e, dopo averli messi in fuga e rinchiusi nelle loro mura, offrì condizioni di pace benevole e concilianti. I Romani infatti non volevano distruggere interamente il popolo ligure, poiché rappresentava una difesa o un baluardo contro le turbolenze dei Galli, pronti sempre a minacciare l’Italia. Convinti consegnarono dunque ad Emilio le navi e le città. Quello, senza aver commesso alcuna ingiustizia nei loro confronti, ma avendone solo fatto abbattere le mura, le restituì; requisì invece tutte le navi e non lasciò loro imbarcazioni che avessero più di tre scalmi. Liberò quanti erano stati fatti prigionieri in terra o in mare, che erano molti, sia stranieri che Romani. Il consolato annoverò dunque le suddette imprese illustri. In seguito, pur avendo manifestato spesso il desiderio di essere rieletto console, ed essendosi una volta anche candidato, poiché non ebbe successo e non venne preso in considerazione, trascorse il resto del tempo in tranquillità, dedicandosi ai sacri rituali ed esercitando i figli nell’educazione tradizionale, secondo il costume romano, nella quale egli stesso si era esercitato, ma in maniera più ambiziosa in quella greca. Infatti non solamente i maestri, i filosofi, i retori, ma anche i grammatici, gli scultori, i pittori, gli addestratori di cavalli e di cani, i maestri di caccia posti accanto ai giovani erano greci. Il padre, se non lo impediva qualche impegno pubblico, presenziava sempre all’istruzione e alle esercitazioni, poiché tra tutti i Romani era il più amorevole verso i figli.
[VII] τῶν δὲ δημοσίων πράξεων καιρὸς ἦν ἐκεῖνος τότε καθ᾽ ὃν Περσεῖ τῷ Μακεδόνων βασιλεῖ πολεμοῦντες ἐν αἰτίαις τοὺς στρατηγοὺς εἶχον, ὡς δι᾽ ἀπειρίαν καὶ ἀτολμίαν αἰσχρῶς καὶ καταγελάστως τοῖς πράγμασι χρωμένους καὶ πάσχοντας κακῶς μᾶλλον ἢ ποιοῦντας. [2] ἄρτι μὲν γὰρ Ἀντίοχον τὸν ἐπικληθέντα μέγαν εἴξαντα τῆς ἄλλης Ἀσίας ὑπὲρ τὸν Ταῦρον ἐκβαλόντες καὶ κατακλείσαντες εἰς Συρίαν, ἐπὶ μυρίοις καὶ πεντακισχιλίοις ταλάντοις ἀγαπήσαντα τὰς διαλύσεις, ὀλίγῳ δὲ πρόσθεν ἐν Θεσσαλίᾳ συντρίψαντες Φίλιππον καὶ τοὺς Ἕλληνας ἀπὸ Μακεδόνων ἐλευθερώσαντες, ᾧ τε βασιλεὺς οὐδεὶς παραβλητὸς εἰς τόλμαν ἢ δύναμιν, Ἀννίβαν καταπολεμήσαντες, [3] οὐκ ἀνεκτὸν ἡγοῦντο Περσεῖ καθάπερ ἀντιπάλῳ τῆς Ῥώμης ἴσον φερόμενοι συμπεπλέχθαι πολὺν ἤδη χρόνον, ἀπὸ τῶν λειψάνων τῆς πατρῴας ἥττης πολεμοῦντι πρὸς αὐτούς, ἀγνοοῦντες ὅτι πολλῷ τὴν Μακεδόνων δύναμιν ἡττηθεὶς Φίλιππος ἐρρωμενεστέραν καὶ μαχιμωτέραν ἐποίησε. περὶ ὧν δίειμι βραχέως ἄνωθεν ἀρξάμενος.
[VII] In quel momento, per quanto riguardava gli affari pubblici, essendo in guerra contro il re dei Macedoni Perseo, i Romani accusavano i loro generali poiché per inesperienza e codardia gestivano il conflitto in modo vergognoso e ridicolo, subendo danni più che infliggerli. Dopo aver appena da poco respinto oltre la catena del Tauro Antioco detto il Grande, che aveva ceduto il resto dell’Asia, e rinchiusolo in Siria, avendo egli accettato le condizioni di pace dietro un’indennità di quindicimila talenti, dopo aver non molto tempo prima schiacciato Filippo in Tessaglia e liberato i Greci dai Macedoni, e dopo aver vinto definitivamente un personaggio rispetto al quale nessun re era paragonabile per audacia e potenza, Annibale, trovandosi costretti ed implicati, già da lungo tempo, in un conflitto alla pari con Perseo, come con un avversario degno di Roma, che portava avanti la guerra contro di loro contando sui resti della sconfitta paterna, lo giudicavano intollerabile, senza però aver saputo che, sebbene fosse stato sconfitto, Filippo aveva reso l’esercito macedone molto più forte e combattivo. In merito a questo argomento darò una breve spiegazione partendo dall’inizio.
[VIII] Ἀντίγονος μέγιστον δυνηθεὶς τῶν Ἀλεξάνδρου διαδόχων καὶ στρατηγῶν, κτησάμενος ἑαυτῷ καὶ γένει τὴν τοῦ βασιλέως προσηγορίαν, υἱόν ἔσχε Δημήτριον, οὗ παῖς Ἀντίγονος ἦν ὁ Γονατᾶς ἐπονομασθείς · τούτου δὲ Δημήτριος, ὃς αὐτός τε βασιλεύσας χρόνον οὐ πολύν, υἱόν τε παῖδα τὴν ἡλικίαν ἀπολιπὼν Φίλιππον ἐτελεύτησε. [2] δείσαντες δὲ τὴν ἀναρχίαν οἱ πρῶτοι Μακεδόνων Ἀντίγονον ἐπάγονται τοῦ τεθνηκότος ἀνεψιὸν ὄντα, καὶ συνοικίσαντες αὐτῷ τὴν μητέρα τοῦ Φιλίππου, πρῶτον μὲν ἐπίτροπον καὶ στρατηγόν, εἶτα πειρώμενοι μετρίου καὶ κοινωφελοῦς βασιλέα προσηγόρευσαν. ἐπεκλήθη δὲ Δώσων ὡς ἐπαγγελτικὸς, οὐ τελεσιουργὸς δὲ τῶν ὑποσχέσεων. [3] μετὰ τοῦτον βασιλεύσας ὁ Φίλιππος ἤνθησεν ἐν τοῖς μάλιστα τῶν βασιλέων ἔτι μειράκιον ὢν, καὶ δόξαν ἔσχεν ὡς ἀναστήσων Μακεδονίαν εἰς τὸ παλαιὸν ἀξίωμα καὶ μόνος ἐπὶ πάντας ἤδη τὴν Ῥωμαίων δύναμιν αἰρομένην καθέξων. ἡττηθεὶς δὲ μεγάλῃ μάχῃ περὶ Σκότουσσαν ὑπὸ Τίτου Φλαμινίνου τότε μὲν ἔπτηξε καὶ πάντα τὰ καθ᾽ ἑαυτὸν ἐπέτρεψε Ῥωμαίοις, καὶ τυχὼν ἐπιτιμήσεως μετρίας ἠγάπησεν. [4] ὕστερον δὲ βαρέως φέρων, καὶ τὸ βασιλεύειν χάριτι Ῥωμαίων ἡγούμενος αἰχμαλώτου τρυφὴν ἀγαπῶντος εἶναι μᾶλλον ἢ φρόνημα καὶ θυμὸν ἔχοντος ἀνδρός, ἐπεῖχε τῷ πολέμῳ τὴν γνώμην καὶ συνετάττετο λάθρα καὶ πανούργως. τῶν γὰρ πόλεων τὰς ἐνοδίους καὶ παραθαλαττίους ἀσθενεῖς γενομένας περιορῶν καὶ ὑπερήμους, ὡς καταφρονεῖσθαι, [5] πολλὴν ἄνω συνῆγε δύναμιν, καὶ τὰ μεσόγεια χωρία καὶ φρούρια καὶ πόλεις ὅπλων καὶ χρημάτων πολλῶν καὶ σωμάτων ἀκμαζόντων ἐμπεπληκώς ἐσωμάσκει τὸν πόλεμον καὶ συνεῖχεν ὥσπερ ἐγκεκρυμμένον ἀδήλως, ὅπλων μὲν γὰρ ἀργούντων ἀπέκειντο τρεῖς μυριάδες, ὀκτακόσιαι δὲ σίτου μεδίμνων ἦσαν ἐγκατῳκοδομημένου τοῖς τείχεσι, χρημάτων δὲ πλῆθος ὅσον ἤρκει μισθοφόρους ἔτη δέκα μυρίους τρέφειν προπολεμοῦντας τῆς χώρας. [6] ἀλλ᾽ ἐκεῖνος μὲν οὐκ ἔφθη ταῦτα κινῆσαι καὶ προαγαγεῖν εἰς ἔργον, ὑπὸ λύπης καὶ δυσθυμίας προέμενος τὸν βίον · ἔγνω γὰρ ἀδίκως τὸν ἕτερον τῶν υἱῶν Δημήτριον ἐκ διαβολῆς τοῦ χείρονος ἀνῃρηκώς: ὃ δὲ ἀπολειπόμενος υίὸς αὐτοῦ Περσεὺς ἅμα τῇ βασιλείᾳ διεδέξατο τὴν πρὸς Ῥωμαίους ἔχθραν, οὐκ ὢν ἐχέγγυος ἐνεγκεῖν διὰ μικρότητα καὶ μοχθηρίαν ἤθους, ἐν ᾧ παθῶν τε παντοδαπῶν καὶ νοσημάτων ἐνόντων ἐπρώτευεν ἡ φιλαργυρία. [7] λέγεται δὲ μηδὲ γνήσιος φῦναι, λαβεῖν δὲ αὐτὸν ἡ συνοικοῦσα τῷ Φιλίππῳ νεογνὸν ἀκεστρίας τινὸς Ἀργολικῆς Γναθαινίου τοὔνομα τεκούσης, καὶ λαθεῖν ὑποβαλομένη. δι᾽ ὃ καὶ μάλιστα δοκεῖ τὸν Δημήτριον φοβηθεὶς ἀποκτεῖναι, μὴ γνήσιον ἔχων ὃ οἶκος διάδοχον ἀποκαλύψῃ τὴν ἐκείνου νοθείαν.
[VIII] Antigono, divenuto potentissimo tra i successori e i generali di Alessandro, acquisito il titolo regale per sé stesso e la sua discendenza, ebbe un figlio, Demetrio, il cui figlio fu Antigono, soprannominato Gonata. Il figlio di costui, Demetrio, dopo aver regnato per non molto tempo ed aver lasciato il figlio Filippo ancora in giovane età, morì. Temendo l’anarchia i nobili macedoni chiamarono Antigono, che era il cugino del morto, ed avendogli data in sposa la madre di Filippo, da principio lo nominarono tutore e generale, in seguito, sperimentandone la modestia ed il bene che avrebbe potuto dare a tutti, gli conferirono il titolo di re. Fu soprannominato Dosone poiché prometteva con facilità, ma poi non realizzava quanto promesso. Dopo di lui Filippo, salito al trono, pur essendo ancora giovane, mostrò appieno le qualità proprie dei re, e nell’opinione comune fu ritenuto come colui che avrebbe risollevato la Macedonia all’antica dignità e, solo rispetto a tutti, avrebbe frenato l’ascesa della potenza romana. Tuttavia, sconfitto da Tito Flaminino in una grande battaglia presso Scotusa [197 a.C.], si piegò per la paura e consegnò tutti i suoi interessi nelle mani di Roma, e fu lieto d’aver ricevuto una modesta punizione. Eppur col passare del tempo, mal sopportando la situazione e ritenendo che regnare per benevolenza dei Romani fosse il comportamento di un prigioniero cui basta vivere nelle mollezze più che quello di un uomo con volontà e coraggio, pose mente alla guerra e fece preparativi clandestinamente, alla maniera di un astuto furfante. Infatti, lasciate le città lungo le strade e la costa deboli e desolate, così da non attirare sospetti, raccolse all’interno del paese un grande esercito e, dopo aver riempito i territori centrali, le fortezze e le città di armi, denaro e uomini nel pieno delle forze, si preparava alla guerra, ma la teneva celata in segreto. Vennero ammassate in riserva armi per trentamila uomini, stipati nelle mura vi erano otto milioni di medimni di frumento ed una quantità di denaro sufficiente a pagare per dieci anni mercenari in difesa del territorio. Ma Filippo non ebbe il tempo di mettere in moto e realizzare questo progetto, poiché si lasciò morire per il dolore e l’afflizione: venne infatti a conoscenza di aver fatto uccidere ingiustamente uno dei due figli, Demetrio, dietro l’accusa falsa dell’altro, che era il peggiore. Perseo, il figlio rimasto, insieme al regno ricevette in eredità anche l’inimicizia verso i Romani, senza però essere capace di sostenerla a causa della grettezza e della perversità del suo carattere nel quale, fra i mali e i difetti presenti, primeggiava l’avarizia. Si diceva che non fosse neppure figlio legittimo del re, ma che la sposa di Filippo lo avesse preso appena nato dalla madre, una cucitrice argolica di nome Gnatenio, e che furtivamente lo fece passare come suo. Pare che soprattutto per questo motivo Perseo timoroso fece uccidere Demetrio, perché il casato, avendo un erede legittimo, non rivelasse la sua origine bastarda.
[IX] οὐ μὴν ἀλλὰ, καίπερ ὢν ἀγεννὴς καὶ ταπεινός, ὑπὸ ῥώμης τῶν πραγμάτων ἀναφερόμενος πρὸς τὸν πόλεμον ἔστη καὶ διηρείσατο πολὺν χρόνον, ἡγεμόνας τε Ῥωμαίων ὑπατικοὺς καὶ στρατεύματα καὶ στόλους μεγάλους ἀποτριψάμενος, ἐνίων δὲ καὶ κρατήσας. [2] Πόπλιόν τε γὰρ Λικίννιον ἐμβαλόντα πρῶτον εἰς Μακεδονίαν τρεψάμενος ἱππομαχίᾳ δισχιλίους πεντακοσίους ἄνδρας ἀγαθοὺς ἀπέκτεινε καὶ ζῶντας ἄλλους ἑξακοσίους ἔλαβε, τοῦ τε ναυστάθμου περὶ Ὠρεὸν ὁρμοῦντος ἀπροσδόκητον ἐπίπλουν θέμενος εἴκοσι μὲν αὐτοφόρτους ὁλκάδας ἐχειρώσατο, τὰς δ᾽ ἄλλας σίτου γεμούσας κατέδυσεν. ἐκράτησε δὲ καὶ πεντηρικά τέσσαρα, [3] καὶ μάχην ἐπολέμησε τὸ δεύτερον, ἐν ᾗ τὸν ὑπατικὸν Ὁστίλιον ἀπεκρούσατο καταβιαζόμενον κατὰ τὰς Ἐλιμίας · λάθρα δὲ διὰ Θεσσαλίας ἐμβαλόντα προκαλούμενος εἰς μάχην ἐφόβησε. πάρεργον δὲ τοῦ πολέμου στρατείαν ἐπὶ Δαρδανεῖς θέμενος, ὡς δὴ τοὺς Ῥωμαίους ὑπερορῶν καὶ σχολάζων, μυρίους τῶν βαρβάρων κατέκοψε καὶ λείαν ἠλάσατο πολλήν. [4] ὑπεκίνει δὲ καὶ Γαλάτας τοὺς περὶ τὸν Ἴστρον ᾠκημένους, οἳ Βαστέρναι καλοῦνται, στρατὸν ἱππότην καὶ μάχιμον, Ἰλλυριούς τε διὰ Γενθίου τοῦ βασιλέως παρεκάλει συνεφάψασθαι τοῦ πολέμου. καὶ λόγος κατέσχεν ὡς τῶν βαρβάρων μισθῷ πεπεισμένων ὑπ᾽ αὐτοῦ διὰ τῆς κάτω Γαλατίας παρὰ τὸν Ἀδρίαν ἐμβαλεῖν εἰς τὴν ' Ἰταλίαν.
[IX] Ad ogni modo, pur essendo un personaggio ignobile e misero, condotto alla guerra sotto la spinta degli eventi, per lungo tempo resistette e si oppose fermamente, avendo respinto sia generali con dignità consolare che eserciti e grandi flotte, su alcuni riportando anche la vittoria. Difatti dopo aver messo in fuga in uno scontro equestre Publio Licinio, che per primo aveva attaccato la Macedonia, uccise duemilacinquecento uomini validi e ne catturò vivi altri seicento e, mentre la flotta romana era ancorata ad Oreo, con un attacco improvviso s’impadronì di venti navi mercantili insieme a tutto il carico, affondò altre stipate di grano e s'impadronì anche di quattro quinqueremi; combatté una seconda battaglia in cui respinse Ostilio, uno dei consolari che tentava di forzare il passaggio ad Elimie [170 a.C.]. Sfidandolo allo scontro, dopo che questi in segreto aveva portato un attacco attraverso la Tessaglia, lo mise in fuga terrorizzandolo. Avendo condotto, quale appendice, una spedizione contro i Dardani, poiché non si curava dei Romani ed aveva tempo a sua disposizione, uccise diecimila barbari e portò via molto bottino. Mise in agitazione i Galli stanziati lungo l’Istro, sono chiamati Basterni, un bellicoso esercito di cavalieri, ed invitò pure gli Illiri, attraverso il re Gentio, a partecipare alla guerra come alleati. Presto si diffuse la voce che i barbari dietro ricompensa erano stati da lui convinti a passare attraverso la Gallia inferiore, lungo le coste dell’Adriatico e a fare un’incursione in Italia.
[X] ταῦτα τοῖς Ῥωμαίοις πυνθανομένοις ἐδόκει τὰς τῶν στρατηγιώντων χάριτας καὶ παραγγελίας ἐάσαντας αὐτοὺς καλεῖν ἐπὶ τὴν ἡγεμονίαν ἄνδρα νοῦν ἔχοντα καὶ πράγμασι χρῆσθαι μεγάλοις ἐπιστάμενον. οὗτος ἦν Παῦλος Αἰμίλιος, ἡλικίας μὲν ἤδη πρόσω καὶ περὶ ἑξήκοντα γεγονὼς ἔτη, ῥώμῃ δὲ σώματος ἀκμάζων, πεφραγμένος δὲ κηδεσταῖς καὶ παισὶ νεανίαις καὶ φίλων πλήθει καὶ συγγενῶν μέγα δυναμένων, οἳ πάντες αὐτὸν ὑπακοῦσαι καλοῦντι τῷ δήμῳ πρὸς τὴν ὑπατείαν ἔπειθον. [2] ὁ δὲ κατ᾽ ἀρχὰς μὲν ἐθρύπτετο πρὸς τοὺς πολλούς καὶ διέκλινε τὴν φιλοτιμίαν αὐτῶν καὶ σπουδήν, ὡς μὴ δεόμενος τοῦ ἄρχειν, φοιτώντων δὲ καθ᾽ ἡμέραν ἐπὶ θύρας καὶ προκαλουμένων αὐτὸν εἰς ἀγορὰν καὶ καταβοώντων ἐπείσθη · καὶ φανεὶς εὐθὺς ἐν τοῖς μετιοῦσι τὴν ὑπατείαν ἔδοξεν οὐκ ἀρχὴν ληψόμενος, ἀλλὰ νίκην καὶ κράτος πολέμου κομίζων καὶ διδοὺς τοῖς πολίταις [3] καταβαίνειν εἰς τὸ πεδίον · μετὰ τοσαύτης ἐλπίδος καὶ προθυμίας ἐδέξαντο πάντες αὐτὸν καὶ κατέστησαν ὕπατον τὸ δεύτερον, οὐκ ἐάσαντες κλῆρον γενέσθαι, καθάπερ εἰώθει, περὶ τῶν ἐπαρχιῶν, ἀλλ᾽ εὐθὺς ἐκείνῳ ψηφισάμενοι τοῦ Μακεδονικοῦ πολέμου τὴν ἡγεμονίαν. λέγεται δ᾽ αὐτόν, ὡς ἀνηγορεύθη κατὰ τοῦ Περσέως στρατηγός, ὑπὸ τοῦ δήμου παντὸς οἴκαδε προπεμφθέντα λαμπρῶς εὑρεῖν τὸ θυγάτριον τὴν Τερτίαν [4] δεδακρυμένην ἔτι παιδίον οὖσαν · ἀσπαζόμενον οὖν αὐτὴν ἐρωτᾶν ἐφ᾽ ὅτῳ λελύπηται · τὴν δὲ περιβαλοῦσαν καὶ καταφιλοῦσαν, ‘οὐ γὰρ οἶσθα,’ εἰπεῖν, ‘ὦ πάτερ, ὅτι ἡμῖν ὁ Περσεὺς τέθνηκε ;’ λέγουσαν κυνίδιον σύντροφον οὕτω προσαγορευόμενον · καὶ τὸν Αἰμίλιον ‘ἀγαθῇ τύχῃ,’ φάναι, ‘ὦ θύγατερ, καὶ δέχομαι τὸν οἰωνόν.’ ταῦτα μὲν οὖν Κικέρων ὁ ῥήτωρ ἐν τοῖς περὶ μαντικῆς ἱστόρηκεν.
[X] Ai Romani, venuti a sapere queste cose, parve opportuno, lasciati da parte i favori e le promesse di quanti desideravano ricoprire il comando in guerra, chiamare alla guida un uomo che avesse intelligenza e che sapesse gestire affari di grande importanza. Quest’uomo era Emilio Paolo, già avanti negli anni e circa sessantenne, ma nel pieno del vigore fisico, circondato da generi e giovani figli e da una folla di amici e familiari assai potenti, i quali tutti insieme lo esortavano ad ascoltare la richiesta del popolo che lo voleva console. Egli in un primo tempo si schermiva con la maggior parte delle persone e rifiutava le loro richieste, poiché non desiderava ricoprire un incarico di comando. Ma dal momento che ogni giorno una folla si recava presso la sua porta, lo chiamava nel Foro e gridava a gran voce il suo nome, si convinse. E, messosi subito in evidenza fra quelli che correvano per il consolato, diede l’impressione di scendere al Campo non per prendere il potere, ma recando con sé e consegnando ai cittadini una forte vittoria in guerra. Con tale speranza ed entusiasmo tutti lo accolsero e lo elessero console per la seconda volta, senza aver consentito che vi fosse un sorteggio, come era d’abitudine in merito al governo delle province, ma decretandogli fin da subito con un voto il comando della guerra in Macedonia. Si racconta che, non appena venne proclamato comandante in capo della guerra contro Perseo, accompagnato a casa da tutto il popolo in uno splendido corteo, trovò la figlioletta Terzia, ancora bambina, in lacrime: salutandola le domandò per quale motivo fosse addolorata e quella abbracciatolo e baciandolo teneramente “non sai – rispose – padre, che il nostro Perseo è morto ?” alludendo ad un cagnolino che viveva con lei e che aveva questo nome. “Con buona sorte, figlia – esclamò allora Emilio – e faccio mio l’auspicio!”. Di tale episodio parla l’oratore Cicerone nell’opera sulla divinazione [ 1, 103].
[XI] εἰωθότων δὲ τῶν ὑπατείαν λαβόντων οἷον ἀνθομολογεῖσθαί τινα χάριν καὶ προσαγορεύειν φιλοφρόνως τὸν δῆμον ἀπὸ τοῦ βήματος, Αἰμίλιος εἰς ἐκκλησίαν συναγαγὼν τοὺς πολίτας τὴν μὲν προτέραν ὑπατείαν μετελθεῖν ἔφη αὐτὸς ἀρχῆς δεόμενος, τὴν δὲ δευτέραν ἐκείνων στρατηγοῦ δεομένων · [2] δι᾽ ὃ μηδεμίαν αὐτοῖς χάριν ἔχειν, ἀλλ᾽, εἰ νομίζουσι δι᾽ ἑτέρου βέλτιον ἕξειν τὰ κατὰ τὸν πόλεμον, ἐξίστασθαι τῆς ἡγεμονίας, εἰ δὲ πιστεύουσιν αὐτῷ, μὴ παραστρατηγεῖν μηδὲ λογοποιεῖν, ἀλλ᾽ ὑπουργεῖν σιωπῇ τὰ δέοντα πρὸς τὸν πόλεμον, ὡς, ἐὰν ἄρχοντος ἄρχειν ζητῶσιν, ἔτι μᾶλλον ἢ νῦν καταγελάστους ἐν ταῖς στρατείαις ἐσομένους. [3] ἀπὸ τούτων τῶν λόγων πολλὴν μὲν αἰδῶ πρὸς αὑτὸν ἐνεποίησε τοῖς πολίταις, μεγάλην δὲ προσδοκίαν τοῦ μέλλοντος, ἡδομένων ἁπάντων ὅτι τοὺς κολακεύοντας παρελθόντες εἵλοντο παρρησίαν ἔχοντα καὶ φρόνημα στρατηγόν. οὕτως ἐπὶ τῷ κρατεῖν καὶ μέγιστος εἶναι τῶν ἄλλων ἀρετῆς καὶ τοῦ καλοῦ δοῦλος ἦν ὁ Ῥωμαίων δῆμος.
[XI] Dato che chi otteneva il consolato era solito, in un certo modo, esprimere riconoscenza e salutare il popolo dalla tribuna, Emilio, convocati i cittadini in assemblea, disse di aver aspirato una prima volta al consolato perché desiderava una carica, la seconda volta perché essi avevano bisogno di un generale: non aveva dunque motivo di ringraziarli, ma, se credevano che la campagna militare avrebbe avuto maggiore successo per opera di qualcun altro, egli rinunciava al comando; se invece avevano fiducia in lui, allora non dovevano interferire nelle decisioni del generale, né mettere bocca, bensì occuparsi in silenzio di quanto era necessario per la guerra, perché, qualora avessero tentato di dare ordini a chi dava ordini, nelle campagne militari si sarebbero coperti di ridicolo più di quanto già lo fossero allora. Con queste parole infuse nell’animo del popolo un gran senso di rispetto nei suoi confronti ed una grandissima aspettativa degli eventi futuri, nell’unanime soddisfazione data dal fatto che, tralasciati quelli dediti alle lusinghe elettorali, avevano scelto un generale sincero ed orgoglioso. In questo modo il popolo Romano per poter dominare ed essere superiore a tutti gli altri si assoggettava alla virtù e all’onore di un solo uomo.
[XII] Αἰμίλιον δὲ Παῦλον, ὡς ἐξώρμησεν ἐπὶ στρατείαν, πλοῦ μὲν εὐτυχίᾳ καὶ ῥᾳστώνῃ χρήσασθαι πορείας κατὰ δαίμονα τίθημι, σὺν τάχει καὶ μετ᾽ ἀσφαλείας εἰς τὸ στρατόπεδον κομισθέντα · τοῦ δὲ πολέμου καὶ τῆς στρατηγίας αὑτοῦ τὸ μὲν τόλμης ὀξύτητι, τὸ δὲ βουλεύμασι χρηστοῖς, τὸ δὲ φίλων ἐκθύμοις ὑπηρεσίαις, τὸ δὲ τῷ παρὰ τὰ δεινὰ θαρρεῖν καὶ χρῆσθαι λογισμοῖς ἀραρόσιν ὁρῶν διαπεπραγμένον, οὐκ ἔχω τῇ λεγομένῃ τοῦ ἀνδρὸς εὐτυχίᾳ λαμπρὸν ἀποδοῦναι καὶ διάσημον ἔργον οἷον ἑτέρων στρατηγῶν. [2] εἰ μή τις ἄρα τὴν Περσέως φιλαργυρίαν Αἰμιλίῳ τύχην ἀγαθὴν περὶ τὰ πράγματα γενέσθαι φησίν, ἣ λαμπρὰ καὶ μεγάλα πρὸς τὸν πόλεμον ἀρθέντα ταῖς ἐλπίσι τὰ Μακεδόνων ἀνέτρεψε καὶ κατέβαλε, πρὸς ἀργύριον ἀποδειλιάσαντος. ἧκον μὲν γὰρ αὐτῷ δεηθέντι Βαστέρναι, μύριοι μὲν ἱππεῖς, μύριοι δὲ παραβάται, μισθοφόροι πάντες, ἄνδρες οὐ γεωργεῖν εἰδότες, οὐ πλεῖν, οὐκ ἀπὸ ποιμνίων ζῆν νέμοντες, ἀλλ᾽ ἓν ἔργον καὶ μίαν τέχνην μελετῶντες ἀεὶ μάχεσθαι καὶ κρατεῖν τῶν ἀντιταττομένων. [3] ὡς δὲ περὶ τὴν Μαιδικὴν καταστρατοπεδεύσαντες ἐπεμίγνυντο τοῖς παρὰ τοῦ βασιλέως ἄνδρες ὑψηλοὶ μὲν τὰ σώματα, θαυμαστοὶ δὲ τὰς μελέτας, μεγάλαυχοι δὲ καὶ λαμπροὶ ταῖς κατὰ τῶν πολεμίων ἀπειλαῖς, θάρσος παρέστησαν τοῖς Μακεδόσι καὶ δόξαν ὡς τῶν Ῥωμαίων οὐχ ὑπομενούντων, ἀλλ᾽ ἐκπλαγησομένων τὴν ὄψιν αὐτὴν καὶ τὴν κίνησιν ἔκφυλον οὖσαν καὶ δυσπρόσοπτον. [4] οὕτω διαθεὶς τοὺς ἀνθρώπους ὁ Περσεύς καὶ τοιούτων ἐμπλήσας ἐλπίδων, αἰτούμενος καθ᾽ ἕκαστον ἡγεμόνα χιλίους, πρὸς τὸ γιγνόμενον τοῦ χρυσίου πλῆθος ἰλιγγιάσας καὶ παραφρονήσας ὑπὸ μικρολογίας ἀπείπατο καὶ προήκατο τὴν συμμαχίαν, ὥσπερ οἰκονομῶν, οὐ πολεμῶν Ῥωμαίοις, καὶ λογισμὸν ἀποδώσων ἀκριβῆ τῆς εἰς τὸν πόλεμον δαπάνης οἷς ἐπολέμει · καίτοι διδασκάλους εἶχεν ἐκείνους, οἷς ἄνευ τῆς ἄλλης παρασκευῆς στρατιωτῶν δέκα μυριάδες ἦσαν ἠθροισμέναι καὶ παρεστῶσαι ταῖς χρείαις. [5] ὁ δὲ πρὸς δύναμιν ἀνταίρων τηλικαύτην καὶ πόλεμον οὗ τοσοῦτον ἦν τὸ παρατρεφόμενον, διεμέτρει καὶ παρεσημαίνετο τὸ χρυσίον, ἅψασθαι δεδιὼς ὥσπερ ἀλλοτρίων. καὶ ταῦτ᾽ ἔπραττεν οὐ Λυδῶν τις οὐδὲ Φοινίκων γεγονώς, ἀλλὰ τῆς Ἀλεξάνδρου καὶ Φιλίππου κατὰ συγγένειαν ἀρετῆς μεταποιούμενος, οἳ τῷ τὰ πράγματα τῶν χρημάτων ὠνητά, μὴ τὰ χρήματα τῶν πραγμάτων ἡγεῖσθαι πάντων ἐκράτησαν. [6] ἐρρέθη γοῦν ὅτι τὰς πόλεις αἱρεῖ τῶν Ἑλλήνων οὐ Φίλιππος, ἀλλὰ τὸ Φιλίππου χρυσίον. Ἀλέξανδρος δὲ τῆς ἐπ᾽ Ἰνδοὺς στρατείας ἁπτόμενος, καὶ βαρὺν ὁρῶν καὶ δύσογκον ἤδη τὸν Περσικὸν ἐφελκομένους πλοῦτον τοὺς Μακεδόνας, πρώτας ὑπέπρησε τὰς βασιλικὰς ἁμάξας, εἶτα τοὺς ἄλλους ἔπεισε ταὐτὸ ποιήσαντας ἐλαφροὺς ἀναζεῦξαι πρὸς τὸν πόλεμον ὥσπερ λελυμένους. [7] Περσεύς δὲ τὸν χρυσὸν αὐτὸς αὑτοῦ καὶ τέκνων καὶ βασιλείας καταχεάμενος οὐκ ἠθέλησε δι᾽ ὀλίγων σωθῆναι χρημάτων, ἀλλὰ μετὰ πολλῶν κομισθεὶς ὁ πλούσιος αἰχμάλωτος ἐπιδείξασθαι Ῥωμαίοις ὅσα φεισάμενος ἐτήρησεν αὐτοῖς.
[XII] Il fatto che Emilio Paolo, non appena partì per la spedizione, poté contare su una navigazione favorevole e su un viaggio facile lo attribuisco alla volontà di un dio, essendo egli giunto all’accampamento in tempi brevi e in sicurezza. Ma vedendo che in merito alla guerra ed alla sua conduzione un episodio va ascritto alla sua acuta intraprendenza, uno a sagge decisioni, un altro al sostegno appassionato degli amici, un altro ancora al coraggio di fronte ai pericoli e all’uso di adeguate riflessioni, non posso assegnare l’evidente ed insigne successo alla sua celebrata fortuna, come per gli altri generali, a meno che qualcuno non indichi nell’avarizia di Perseo il motivo della buona sorte di Emilio in guerra, avarizia con la quale egli, temendo in maniera gretta per il proprio denaro, fece crollare le grandi e brillanti prospettive dei Macedoni legate alle speranze di vittoria. Erano infatti giunti in soccorso alle sue richieste i Basterni, diecimila cavalieri e diecimila armati alla leggera al loro fianco, tutti mercenari, uomini che non conoscevano l’agricoltura, né la navigazione e neppure vivevano di pastorizia, ma che si esercitavano sempre in una sola attività e disciplina: combattere e vincere chi si opponeva loro. E non appena ebbero posto l’accampamento nella Medica e si furono mescolati alle truppe regie, questi uomini dalla statura imponente, straordinari nell’addestramento, vanagloriosi e rinomati per le minacce che lanciavano ai nemici, diedero fiducia ai Macedoni e li convinsero che i Romani non avrebbero resistito, ma sarebbero rimasti terrorizzati dal loro aspetto ed incedere, che era sconosciuto ed orribile a vedersi. Ma Perseo, dopo aver disposto in tal modo l’animo degli uomini ed averli riempiti di speranze, quando per ciascun comandante dei mercenari gli venne chiesto un compenso di mille monete, egli preso dalle vertigini per la quantità di oro che veniva a pagare, e divenuto pazzo a causa della sua spilorceria, rinunciò all’alleanza e l’abbandonò, come se fosse l’amministratore e non l’avversario dei Romani, e dovesse rendere a coloro che combatteva una dettagliata contabilità delle spese sostenute per la guerra. Eppure gli stessi Romani gli avrebbero insegnato quello che doveva fare, essi avevano a disposizione, senz’altro equipaggiamento, non meno di centomila uomini radunati e pronti per le necessità. Egli invece, pur affrontando un tale esercito ed una guerra, il cui mantenimento era così dispendioso, contava l’oro e vi apponeva il proprio sigillo, temendo di toccarlo come se fosse d’altri. Si comportava in questo modo senza che fosse figlio di qualche lidio o fenicio, ma rivendicando in linea di parentela la grandezza di Alessandro e di Filippo, i quali avevano ottenuto un dominio assoluto proprio in quanto convinti che le ricchezze andassero spese in favore dello Stato, e non lo Stato sacrificato alle ricchezze. Si disse infatti che a conquistare le città greche non fu Filippo, ma l’oro di Filippo. Alessandro, quando intraprese la spedizione in India, vedendo che i Macedoni si trascinavano dietro a fatica ed oramai con ingombro le ricchezze sottratte ai Persiani, per prima cosa fece bruciare i carri reali, e poi convinse gli altri, fatta la stessa cosa, a levare il campo alleggeriti, come liberi da un impaccio. Perseo invece non volle salvarsi ad un prezzo esiguo, versando egli l'oro per sé stesso, i figli ed il regno, ma, portato in trionfo insieme a grandi tesori come un ricco prigioniero, mostrare ai Romani quanto, risparmiando, avesse messo da parte per loro.
[XIII] οὐ γὰρ μόνον ἀπέπεμψε τοὺς Γαλάτας ψευσάμενος, ἀλλὰ καὶ Γένθιον ἐπάρας τὸν Ἰλλυριὸν ἐπὶ τριακοσίοις ταλάντοις συνεφάψασθαι τοῦ πολέμου τὰ μὲν χρήματα τοῖς παρ᾽ αὐτοῦ πεμφθεῖσι προὔθηκεν ἠριθμημένα καὶ κατασημήνασθαι παρέσχεν ὡς δὲ πεισθεὶς ἔχειν ἃ ᾔτησεν ὁ Γένθιος ἔργον ἀσεβὲς καὶ δεινὸν ἔδρασε πρέσβεις γὰρ ἐλθόντας Ῥωμαίων πρὸς αὐτὸν [2] συνέλαβε καὶ κατέδησεν, ἡγούμενος ὁ Περσεὺς οὐδὲν ἔτι δεῖσθαι τῶν χρημάτων τὴν ἐκπολέμωσιν, ἄλυτα τοῦ Γενθίου προδεδωκότος ἔχθρας ἐνέχυρα καὶ διὰ τηλικαύτης ἀδικίας ἐμβεβληκότος ἑαυτὸν εἰς τὸν πόλεμον, ἀπεστέρησε τὸν κακοδαίμονα τῶν τριακοσίων ταλάντων, καὶ περιεῖδεν ὀλίγῳ χρόνῳ μετὰ τέκνων καὶ γυναικὸς ὡς ἀπὸ νεοττιᾶς ἀρθέντα τῆς βασιλείας ὑπὸ Λευκίου Ἀνικίου στρατηγοῦ πεμφθέντος ἐπ᾽ αὐτὸν μετὰ δυνάμεως. [3] ἐπὶ τοιοῦτον ἀντίπαλον ἐλθὼν ὁ Αἰμίλιος αὐτοῦ μὲν κατεφρόνει, τὴν δ᾽ ὑπ᾽ αὐτῷ παρασκευὴν καὶ δύναμιν ἐθαύμαζεν. ἦσαν γὰρ ἱππεῖς μὲν τετρακισχίλιοι, πεζοὶ δ᾽ εἰς φάλαγγα τετρακισμυρίων οὐ πολλοῖς ἀποδέοντες. ἱδρυμένος δὲ πρὸ τῆς θαλάττης παρὰ τὴν Ὀλυμπικὴν ὑπώρειαν ἐπὶ χωρίων οὐδαμόθεν προσαγωγὴν ἐχόντων καὶ πάντοθεν ὑπ᾽ αὐτοῦ διαπεφραγμένων ἐρύμασι καὶ προτειχίσμασι ξυλίνοις πολλὴν ἄδειαν ἦγεν, ἀποτρύσειν χρόνῳ καὶ χρημάτων δαπάνῃ τὸν Αἰμίλιον ἡγούμενος, [4] ὁ δὲ τῇ γνώμῃ μὲν ἦν ἐνεργός ἐπὶ πᾶν βούλευμα καὶ πᾶσαν τρεπόμενος πεῖραν, ὑπ᾽ ἀδείας δὲ τῆς πρόσθεν τὸν στρατὸν ὁρῶν δυσανασχετοῦντα καὶ λόγῳ πολλὰ διαστρατηγοῦντα τῶν ἀπράκτων, ἐπετίμησεν αὐτοῖς, καὶ παρήγγειλε μηδὲν πολυπραγμονεῖν μηδὲ φροντίζειν, ἀλλ᾽ ἢ τὸ σῶμα τὸ ἑαυτοῦ καὶ τὴν πανοπλίαν ἕκαστον ὅπως ἐνεργὸν παρέξει καὶ χρήσεται Ῥωμαϊκῶς τῇ μαχαίρᾳ, τὸν καιρὸν παραδόντος τοῦ στρατηγοῦ, [5] τὰς δὲ νυκτερινὰς ἐκέλευσε φυλακὰς ἄνευ λόγχης φυλάττειν, ὡς μᾶλλον προσέξοντας καὶ διαμαχουμένους πρὸς τὸν ὕπνον, ἂν ἀμύνασθαι τοὺς πολεμίους μὴ δύνωνται προσιόντας.
[XIII] Non solo rimandò indietro i Galli dopo averli ingannati, ma, persuaso anche il re illirico Gentio a partecipare alla guerra con la promessa di trecento talenti, pose il denaro contato davanti agli uomini da questo inviati ed acconsentì a che fosse sigillato: tuttavia, non appena Gentio, convinto di ottenere ciò che aveva richiesto, si rese colpevole di un’azione terribile e sacrilega – difatti aveva dato ordine di catturare e di mettere in catene gli ambasciatori romani giunti presso di lui – Perseo, ritenendo che non vi fosse più bisogno di denaro per spingerlo alle ostilità, visto che Gentio aveva dato una garanzia indissolubile di inimicizia contro Roma e con questo atto indegno si era lanciato nella guerra, privò lo sventurato dei trecento talenti e poco tempo dopo lasciò che fosse allontanato dal regno, come da un nido, assieme ai figli e alla moglie per opera del generale Lucio Anicio, inviato con un esercito a fronteggiarlo [primavera del 168 a.C.]. Emilio, giunto al confronto con un tale avversario, lo disprezzava, ma ne ammirava l’apparato bellico e l’esercito ai suoi ordini. Vi erano infatti quattromila cavalieri e i fanti che costituivano la falange erano poco meno di quarantamila. Accampatosi davanti al mare alle pendici dell’Olimpo, su di un terreno che non consentiva l’accesso da nessuna parte e circondato da lui stesso con baluardi e fortificazioni lignee, Perseo era molto tranquillo, credendo di logorare Emilio col passare del tempo in una guerra dispendiosa. Ma questo, che aveva una mente pronta ed energica, capace di volgersi verso ogni proposito e possibilità, vedendo che gli uomini, per via della precedente libertà di condotta, erano scontenti e a parole assumevano atteggiamenti da generale in merito a piani irrealizzabili, li rimproverò ed ordinò loro di non immischiarsi, di pensare a nient’altro che alla propria vita e alla propria armatura, e a tenersi preparati, ad impugnare la spada alla maniera romana, quando il generale ne avesse dato l’occasione. Ordinò anche che le sentinelle durante la notte vegliassero senza lancia, per guardarsi maggiormente dal sonno e combatterlo, se non erano in grado di respingere l’assalto del nemico.
[XIV] Ἐνοχλουμένων δὲ τῶν ἀνθρώπων μάλιστα περὶ τὴν τοῦ ποτοῦ χρείαν καὶ γὰρ ὀλίγον καὶ πονηρὸν ἐπίδυε καὶ συνελείβετο παρ᾽ αὐτὴν τὴν θάλατταν, ὁρῶν ὁ Αἰμίλιος μέγα καὶ κατηρεφὲς δένδρεσιν ὄρος τὸν Ὄλυμπον ἐπικείμενον, καὶ τεκμαιρόμενος τῇ χλωρότητι τῆς ὕλης ναμάτων ἔχειν ἀρχὰς διὰ βάθους ὑποφερομένων, ἀναπνοὰς αὐτοῖς καὶ φρέατα πολλὰ παρὰ τὴν ὑπώρειαν ὤρυττε. [2] τὰ δ᾽ εὐθὺς ἐπίμπλατο ῥευμάτων καθαρῶν, ἐπισυνδιδόντων ὁλκῇ καὶ φορᾷ τοῦ θλιβομένου πρὸς τὸ κενούμενον. καίτοι τινὲς οὔ φασιν ὑδάτων ἑτοίμων κεκρυμμένων πηγὰς ἐναποκεῖσθαι τοῖς τόποις ἐξ ὧν ῥέουσιν, οὐδ᾽ ἀποκάλυψιν οὐδὲ ῥῆξιν εἶναι τὴν ἐκβολὴν αὐτῶν, ἀλλὰ γένεσιν καὶ σύστασιν ἐνταῦθα τῆς ὕλης ἐξυγραινομένης · ἐξυγραίνεσθαι δὲ πυκνότητι καὶ ψυχρότητι τὴν νοτερὰν ἀναθυμίασιν, ὅταν ἐν βάθει καταθλιβεῖσα ῥευστικὴ γένηται. [3] καθάπερ γὰρ οἱ μαστοὶ τῶν γυναικῶν οὐχ ὥσπερ ἀγγεῖα πλήρεις εἰσὶν ἐπιρρέοντος ἑτοίμου γάλακτος, ἀλλὰ μεταβάλλοντες τὴν τροφὴν ἐν αὑτοῖς ἐργάζονται γάλα καὶ διηθοῦσιν, οὕτως οἱ περίψυκτοι καὶ πιδακώδεις τόποι τῆς γῆς ὕδωρ μὲν οὐκ ἔχουσι καλυπτόμενον, οὐδὲ κόλπους ῥεύματα καὶ βάθη ποταμῶν τοσούτων ἐξ ἑτοίμης καὶ ὑποκειμένης ἀφιέντας ἀρχῆς, τὸ δὲ πνεῦμα καὶ τὸν ἀέρα τῷ πιέζειν καὶ καταπυκνοῦν ἀποθλίβοντες εἰς ὕδωρ τρέπουσι. [4] τὰ γοῦν ὀρυττόμενα τῶν χωρίων μᾶλλον ἀναπιδύει καὶ διανάει πρὸς τὴν τοιαύτην ψηλάφησιν, ὥσπερ οἱ μαστοὶ τῶν γυναικῶν πρὸς τὸν θηλασμόν, ἀνυγραίνοντα καὶ μαλάττοντα τὴν ἀναθυμίασιν ὅσα δ᾽ ἀργὰ τῆς γῆς συμπέφρακται, τυφλὰ πρὸς γένεσιν ὑδάτων ἐστίν, οὐκ ἔχοντα τὴν ἐργαζομένην τὸ ὑγρὸν κίνησιν. [5] οἱ δὲ ταῦτα λέγοντες ἐπιχειρεῖν δεδώκασι τοῖς ἀπορητικοῖς, ὡς οὐδὲ τὸ αἷμα τοῖς ζῴοις ἔνεστιν, ἀλλὰ γεννᾶται πρὸς τὰ τραύματα πνεύματός τινος ἢ σαρκῶν μεταβολῇ, ῥύσιν ἀπεργασαμένῃ καὶ σύντηξιν. ἐλέγχονται δὲ τοῖς πρὸς τοὺς ὑπονόμους καὶ τὰς μεταλλείας ἀπαντῶσιν εἰς βάθη ποταμοῖς, οὐ κατ᾽ ὀλίγον συλλεγομένοις, ὥσπερ εἰκός ἐστιν εἰ γένεσιν ἐκ τοῦ παραχρῆμα κινουμένης τῆς γῆς λαμβάνουσιν, ἀλλ᾽ ἀθρόοις ἀναχεομένοις. ὁρῶν δὲ καὶ πέτρας πληγῇ ῥαγείσης ἐξεπήδησε ῥεῦμα λάβρον ὕδατος, εἶτα ἐπέλιπε. ταῦτα μὲν περὶ τούτων.
[XIV] Ma quando gli uomini furono in difficoltà per la mancanza d’acqua – poca e cattiva infatti ne sgorgava e scorreva nei pressi del mare – Emilio scorgendo l’altezza sovrastante del monte Olimpo e i boschi che lo ricoprivano, convinto che il verde della vegetazione testimoniasse la presenza in profondità di falde da cui scaturivano sorgenti sotterranee, fece scavare lungo le pendici del monte numerosi pozzi e condotti. Questi si riempirono immediatamente di correnti limpide, poiché l’acqua che stava compressa era convogliata verso il vuoto per forza d’attrazione ed era riportata verso l’alto. Eppure alcuni negano che sorgenti d’acqua nascoste e disponibili siano accumulate in quei luoghi da cui poi scaturiscono, e che la scaturigine non consista in una frattura né in una fuoriuscita, ma nella produzione e nella condensazione di un materiale, che in quel luogo passa allo stato liquido. Il vapore diviene acqua poiché si addensa e a causa della bassa temperatura, quando, dopo essere stato compresso in profondità, diventa fluido. Difatti come le mammelle delle donne non sono piene di latte pronto a fuoriuscire quali fossero vasi, ma, mutando il nutrimento al loro interno, producono latte e lo spremono, così i luoghi molto freddi e ricchi di sorgenti non possiedono acqua nascosta né cavità che da una scaturigine disponibile e sottostante mandino fuori profonde correnti di fiumi tanto grandi, piuttosto, schiacciando l’aria ed il vapore attraverso un’opera di compressione e condensazione, li trasformano in acqua. Dunque i luoghi dove si praticano degli scavi effondono maggiormente l’acqua e la fanno scorrere in conseguenza di questa palpazione, come le mammelle delle donne quando allattano, poiché rendono molle e liquido il vapore. Quei luoghi invece che sono chiusi non consentono il formarsi di acque poiché non sono soggetti a quel movimento che crea l’umido. Quanti affermano queste cose hanno però dato ai dubbiosi la possibilità di obiettare che neppure il sangue si trova all’interno degli animali, ma è generato, in conseguenza delle ferite, attraverso il mutamento di un certo vapore o delle carni, mutamento che produrrebbe una dissoluzione e un flusso di liquidi. Tuttavia costoro vengono contraddetti da quelli che, mettendo mine per le gallerie o per le miniere, incontrano in profondità fiumi i quali non si raccolgono in tempi lunghi, come sarebbe naturale se si venissero a formare all’istante per il sommovimento della terra, ma fluiscono tutti insieme. E dalla roccia fessurata con un colpo zampilla un violento getto d’acqua, e poi si asciuga. Questo è quanto concerne tali fatti.
[XV] ὁ δ᾽ Αἰμίλιος ἡμέρας μέν τινας ἠρέμει, καί φασι μήποτε τηλικούτων στρατοπέδων ἐγγὺς οὕτω συνελθόντων ἡσυχίαν γενέσθαι τοσαύτην. ἐπεὶ δὲ κινῶν ἅπαντα καὶ πειρώμενος ἐπυνθάνετο μίαν εἰσβολὴν ἔτι μόνον ἄφρουρον ἀπολείπεσθαι, τὴν διὰ Περραιβίας παρὰ τὸ Πύθιον καί τὴν Πέτραν, τῷ μὴ φυλάττεσθαι τὸν τόπον ἐλπίσας μᾶλλον ἢ δι᾽ ἣν οὐκ ἐφυλάττετο δυσχωρίαν καί τραχύτητα δείσας ἐβουλεύετο. [2] πρῶτος δὲ τῶν παρόντων ὁ Νασικᾶς ἐπικαλούμενος Σκηπίων, γαμβρὸς Ἀφρικανοῦ Σκηπίωνος, ὕστερον δὲ μέγιστον ἐν τῇ συγκλήτῳ δυνηθείς, ὑπεδέξατο τῆς κυκλώσεως ἡγεμὼν γενέσθαι, δεύτερος δὲ Φάβιος Μάξιμος, ὁ πρεσβύτατος τῶν Αἰμιλίου παίδων, ἔτι μειράκιον ὤν, ἀνέστη προθυμούμενος, [3] ἡσθεὶς οὖν ὁ Αἰμίλιος δίδωσιν αὐτοῖς οὐχ ὅσους Πολύβιος εἴρηκεν, ἀλλ᾽ ὅσους αὐτὸς ὁ Νασικᾶς λαβεῖν φησι, γεγραφὼς περὶ τῶν πράξεων τούτων ἐπιστόλιον πρός τινα τῶν βασιλέων, οἱ μέν ἐκτὸς τάξεως Ἰταλικοὶ τρισχίλιοι τὸ πλῆθος ἦσαν, τὸ δ᾽ εὐώνυμον κέρας εἰς πεντακισχιλίους, [4] τούτοις προσλαβὼν ὁ Νασικᾶς ἱππεῖς ἑκατὸν εἴκοσι καί τῶν παρ’ Ἁρπάλῳ Θρᾳκῶν καί Κρητῶν ἀναμεμιγμένων διακοσίους, ἐξώρμησε τῇ πρὸς θάλασσαν ὁδῷ, καί κατεστρατοπέδευσε παρὰ τὸ Ἡράκλειον, ὡς δὴ ταῖς ναυσὶ μέλλων ἐκπεριπλεῖν καί κυκλοῦσθαι τὸ στρατόπεδον τῶν πολεμίων, [5] ἐπεὶ δ᾽ ἐδείπνησαν οἱ στρατιῶται καί σκότος ἐγένετο, τοῖς ἡγεμόσι φράσας τὸ ἀληθὲς ἦγε διὰ νυκτὸς τὴν ἐναντίαν ἀπὸ θαλάττης, καί καταλύσας ἀνέπαυε τὴν στρατιὰν ὑπὸ τὸ Πύθιον. ἐνταῦθα τοῦ Ὀλύμπου τὸ ὕψος ἀνατείνει πλέον ἢ δέκα σταδίους: σημαίνεται δὲ ἐπιγράμματι τοῦ μετρήσαντος οὕτως ·
[6] Οὐλύμπου κορυφῆς ἐπὶ Πυθίου Ἀπόλλωνος
ἱερὸν ὕψος ἔχει, πρός κάθετον δὲ μέτρον,
πλήρη μέν δεκάδα σταδίων μίαν, αὐτὰρ ἐπ᾽ αὐτῇ
πλέθρον τετραπέδῳ λειπόμενον μεγέθει.
Εὐμήλου δέ μιν υἱὸς ἐθήκατο μέτρα κελεύθου
Ξειναγόρης: σὺ δ᾽, ἄναξ, χαῖρε καί ἐσθλὰ δίδου.
[7] καίτοι λέγουσιν οἱ γεωμετρικοὶ μήτε ὄρους ὕψος μήτε βάθος θαλάττης ὑπερβάλλειν δέκα σταδίους. ὁ μέντοι Ξεναγόρας οὐ παρέργως, ἀλλὰ μεθόδῳ καί δι᾽ ὀργάνων εἰληφέναι δοκεῖ τὴν μέτρησιν.
[XV] Emilio rimase fermo per alcuni giorni e si dice che, pur stando accampati di fronte eserciti così imponenti, mai vi fu una tale quiete. Ad ogni modo, dopo che considerando ogni cosa e facendo ripetuti tentativi venne a sapere di un unico passo rimasto incustodito, quello attraverso la Perrebia nei pressi di Pitio e Petra, riposta fiducia nell’assenza di sorveglianza del luogo piuttosto che farsi prendere dal timore dell’impervia asprezza del terreno, per la quale il passo non era custodito, convocò un consiglio di guerra. Tra i presenti Scipione soprannominato Nasica, genero di Scipione l’Africano, divenuto in seguito assai potente all’interno del Senato, per primo accettò di guidare la manovra di aggiramento. Per secondo si alzò in piedi pieno di coraggio Fabio Massimo, il maggiore dei figli di Emilio, che era ancora un ragazzo. Emilio allora rallegratosi affidò loro non il numero di uomini riportato da Polibio, ma quello che lo stesso Nasica dice di aver ottenuto, visto che in merito a questi episodi scrisse una breve lettera ad un re. Gli Italici al di fuori delle legioni erano tremila, e l’ala sinistra era costituita da quindicimila uomini. Con questi Nasica, presi centoventi cavalieri oltre a duecento traci e cretesi mescolati tra loro al comando di Arpalo, si mise in viaggio lungo il sentiero diretto al mare e pose l’accampamento nei pressi del tempio di Eracle come per doppiare con le navi il nemico ed accerchiarlo. Ma, dopo che gli uomini ebbero mangiato e calò il buio, Nasica, esposto ai comandanti il vero motivo della spedizione, durante la notte guidò l’esercito in direzione opposta al mare e, sospesa in seguito la marcia, diede riposo all’esercito sotto il santuario di Apollo. Lì il monte Olimpo si erge per più di dieci stadi, e così viene indicato da un’iscrizione posta da chi ha compiuto la misura:
l’altezza della sacra vetta dell’Olimpo
sopra il santuario di Apollo Pitico
raggiunge per intero una decade di stadi
(la misura è presa lungo un lato perpendicolare)
oltre ad un pletro mancante di quattro piedi.
Senagora, il figlio di Eumelo, quest’iscrizione
quale calcolo della distanza ha posto.
A te, o Signore, il saluto
e concedimi prosperità.
Eppure chi è esperto di geometria afferma che né l’altezza di un monte né la profondità di un mare superi i dieci stadi. Ma pare che Senagora abbia compiuto la misurazione non in modo impreciso, bensì seguendo la regola e tramite una strumentazione.
[XVI] ὁ μὲν οὖν Νασικᾶς ἐνταῦθα διενυκτέρευσε · τῷ δὲ Περσεῖ τὸν Αἰμίλιον ἀτρεμοῦντα κατὰ χώραν ὁρῶντι καὶ μὴ λογιζομένῳ τὸ γινόμενον ἀποδρὰς ἐκ τῆς ὁδοῦ Κρὴς αὐτόμολος ἧκε μηνύων τὴν περίοδον τῶν Ῥωμαίων. ὁ δὲ συνταραχθείς τὸ μὲν στρατόπεδον οὐκ ἐκίνησε, μυρίους δὲ μισθοφόρους ξένους καὶ δισχιλίους Μακεδόνας Μίλωνι παραδοὺς ἐξαπέστειλε, παρακελευσάμενος ταχῦναι καὶ καταλαβεῖν τὰς ὑπερβολάς. [2] τούτοις ὁ μὲν Πολύβιός φησιν ἔτι κοιμωμένοις ἐπιπεσεῖν τοὺς Ῥωμαίους, ὁ δὲ Νασικᾶς ὀξὺν ἀγῶνα περὶ τοῖς ἄκροις γενέσθαι καὶ κίνδυνον, αὐτὸς δὲ Θρᾷκα μισθοφόρον εἰς χεῖρας συνδραμόντα τῷ ξυστῷ διὰ τοῦ στήθους πατάξας καταβαλεῖν, ἐκβιασθέντων δὲ τῶν πολεμίων, καὶ τοῦ Μίλωνος αἴσχιστα φεύγοντος ἄνευ τῶν ὅπλων μονοχίτωνος, ἀσφαλῶς ἀκολουθεῖν, ἅμα καταβιβάζων εἰς τὴν χώραν τὸ στράτευμα. [3] τούτων δὲ τῷ Περσεῖ προσπεσόντων κατὰ τάχος ἀναζεύξας ἦγεν ὀπίσω, περίφοβος γεγονὼς καὶ συγκεχυμένος ταῖς ἐλπίσιν. αὐτοῦ δ᾽ ὅμως πρὸ τῆς Πύδνης ὑπομένοντα πειρᾶσθαι μάχης ἀναγκαῖον ἦν, ἢ τῷ στρατῷ σκεδασθέντι περὶ τὰς πόλεις δέχεσθαι τὸν πόλεμον, ἐπείπερ ἅπαξ ἐμβέβηκε τῇ χώρᾳ, δίχα πολλοῦ φόνου καὶ νεκρῶν ἐκπεσεῖν μὴ δυνάμενον. [4] πλήθει μὲν οὖν ἀνδρῶν αὐτόθεν περιεῖναι, προθυμίαν δὲ πολλὴν ὑπάρχειν ἀμυνομένοις περὶ τέκνων καὶ γυναικῶν, ἐφορῶντος ἕκαστα τοῦ βασιλέως καὶ προκινδυνεύοντος. ἐκ τούτων ἐθάρσυνον οἱ φίλοι τὸν Περσέα · καὶ βαλόμενος στρατόπεδον συνετάττετο πρὸς μάχην, καὶ τὰ χωρία κατεσκοπεῖτο, καὶ διῄρει τὰς ἡγεμονίας, ὡς εὐθὺς ἐξ ἐφόδου τοῖς Ῥωμαίοις ἀπαντήσων. [5] ὁ δὲ τόπος καὶ πεδίον ἦν τῇ φάλαγγι βάσεως ἐπιπέδου καὶ χωρίων ὁμαλῶν δεομένῃ, καὶ λόφοι συνεχεῖς ἄλλος ἐξ ἄλλου τοῖς γυμνητεύουσι καὶ ψιλοῖς ἀναφυγὰς καὶ περιδρομὰς ἔχοντες, διὰ μέσου δὲ ποταμοὶ ῥέοντες Αἴσων καὶ Λεῦκος οὐ μάλα βαθεῖς τότε - θέρους γὰρ ἦν ὥρα φθίνοντος - ἐδόκουν τινὰ δυσεργίαν ὅμως τοῖς Ῥωμαίοις παρέξειν.
[XVI] Nasica dunque passò lì la notte. Ma da Perseo, il quale vedeva Emilio tranquillo nella pianura e non era al corrente di quanto accadeva, giunse, fuggito dalla marcia, un disertore cretese svelando la manovra di aggiramento dei Romani. Perseo, pur turbato, non mosse l’esercito, ma affidati a Milone diecimila mercenari stranieri e duemila Macedoni, l’inviò con l’ordine di affrettarsi ed occupare i passi. Polibio [29, 15] dice che i Romani piombarono su di loro mentre ancora dormivano, Nasica invece afferma che sopra le alture vi fu un aspro e pericoloso conflitto, egli stesso racconta di aver respinto un mercenario trace, che si era lanciato contro di lui, dopo avergli trapassato il petto con la punta dell’asta e cacciati i nemici, mentre Milone si dava vergognosamente alla fuga senz’armi e con indosso la sola tunica, li inseguì portando nel frattempo l’esercito verso la pianura. Abbattutesi su Perseo tali notizie, levato in fretta il campo condusse indietro l’esercito, preso dal timore e sconvolto nelle sue speranze. Si trovava tuttavia costretto o a tentare la battaglia rimanendo davanti a Pidna oppure attendere la guerra con l’esercito sparso nelle città, ma proprio per questo, una volta che la guerra fosse arrivata nel territorio, non poteva allontanarla senza un grande spargimento di sangue e perdite umane. In quanto a numero di uomini Perseo in quel momento era superiore, e chi combatteva in difesa delle mogli e dei figli possedeva molto coraggio, anche perché il re assisteva ad ogni cosa ed era pronto ad affrontare per primo il pericolo. Per questi motivi gli amici incoraggiavano Perseo ed egli, dopo aver mosso l’esercito, lo schierò per la battaglia, esplorò il terreno e suddivise i comandi, nell’intenzione di affrontare subito i Romani al primo contatto. Il luogo pareva molto adatto poiché vi era una spianata per la falange, che necessita di una andatura in piano e di terreni regolari, e delle colline, le une accanto alle altre, che offrivano possibilità di aggiramento e vie di fuga per gli schermagliatori e quelli armati alla leggera. I fiumi che scorrevano nel mezzo, l’Esone e il Leuco, non molto profondi in quel periodo dell’anno (si era al fine dell’estate), sembravano tuttavia in grado di arrecare ai Romani una qualche difficoltà di azione.
[XVII] ὁ δ᾽ Αἰμίλιος, ὡς εἰς ταὐτὸν συνέμιξε τῷ Νασικᾷ, κατέβαινε συντεταγμένος ἐπὶ τοὺς πολεμίους, ὡς δ᾽ εἶδε τὴν παράταξιν αὐτῶν καὶ τὸ πλῆθος, θαυμάσας ἐπέστησε τὴν πορείαν, αὐτός τι πρὸς ἑαυτὸν συλλογιζόμενος. οἱ δ᾽ ἡγεμονικοὶ νεανίσκοι προθυμούμενοι μάχεσθαι παρελαύνοντες ἐδέοντο μὴ μέλλειν, καὶ μάλιστα πάντων ὁ Νασικᾶς τῇ περὶ τὸν Ὄλυμπον εὐτυχίᾳ τεθαρρηκώς. [2] ὁ δ᾽ Αἰμίλιος, μειδιάσας, ‘εἴ γε τὴν σὴν,’ εἶπεν, ‘ἡλικίαν εἶχον αἱ δὲ πολλαί με νῖκαι διδάσκουσαι τὰ τῶν ἡττωμένων ἁμαρτήματα, κωλύουσιν ἐξ ὁδοῦ μάχην τίθεσθαι πρὸς φάλαγγα συντεταγμένην ἤδη καὶ συνεστῶσαν.’ ἐκ τούτου τὰ μὲν πρῶτα καὶ καταφανῆ πρὸς τοὺς πολεμίους ἐκέλευσεν εἰς σπείρας καθιστάμενα ποιεῖν σχῆμα παρατάξεως, τοὺς δ᾽ ἀπ᾽ οὐρᾶς στραφέντας ἐν χώρᾳ χάρακα βαλέσθαι καὶ στρατοπεδεύειν. [3] οὕτω δὲ τῶν συνεχῶν τοῖς τελευταίοις καθ᾽ ὑπαγωγὴν ἐξελιττομένων ἔλαθε τὴν παράταξιν ἀναλύσας καὶ καταστήσας ἀθορύβως εἰς τὸν χάρακα πάντας. ἐπεὶ δὲ νὺξ γεγόνει καὶ μετὰ δεῖπνον ἐτράποντο πρὸς ὕπνον καὶ ἀνάπαυσιν, αἰφνίδιον ἡ σελήνη πλήρης οὖσα καὶ μετέωρος ἐμελαίνετο καὶ τοῦ φωτὸς ἀπολιπόντος αὐτὴν χρόας ἀμείψασα παντοδαπὰς ἠφανίσθη. [4] τῶν δὲ Ῥωμαίων, ὥσπερ ἐστὶ νενομισμένον, χαλκοῦ τε πατάγοις ἀνακαλουμένων τὸ φῶς αὐτῆς καὶ πυρὰ πολλὰ δαλοῖς καὶ δᾳσὶν ἀνεχόντων πρὸς τὸν οὐρανόν, οὐδὲν ὅμοιον ἔπραττον οἱ Μακεδόνες, ἀλλὰ φρίκη καὶ θάμβος τὸ στρατόπεδον κατεῖχε καὶ λόγος ἡσυχῇ διὰ πολλῶν ἐχώρει, βασιλέως τὸ φάσμα σημαίνειν ἔκλειψιν. [5] ὁ δ᾽ Αἰμίλιος οὐκ ἦν μὲν ἀνήκοος οὐδ᾽ ἄπειρος παντάπασι τῶν ἐκλειπτικῶν ἀνωμαλιῶν, αἳ τὴν σελήνην περιφερομένην εἰς τὸ σκίασμα τῆς γῆς ἐμβάλλουσι τεταγμέναις περιόδοις καὶ ἀποκρύπτουσιν, ἄχρι οὗ παρελθοῦσα τὴν ἐπισκοτουμένην χώραν πάλιν ἐπιλάμψῃ πρὸς τὸν ἥλιον οὐ μὴν ἀλλὰ τῷ θείῳ πολὺ νέμων καὶ φιλοθύτης ὢν καὶ μαντικός, ὡς εἶδε πρῶτον τὴν σελήνην ἀποκαθαιρομένην, ἕνδεκα μόσχους αὐτῇ κατέθυσεν. [6] ἅμα δ᾽ ἡμέρᾳ τῷ Ἡρακλεῖ βουθυτῶν οὐκ ἐκαλλιέρει μέχρις εἴκοσι: τῷ δὲ πρώτῳ καὶ εἰκοστῷ παρῆν τὰ σημεῖα καὶ νίκην ἀμυνομένοις ἔφραζεν. εὐξάμενος οὖν κατὰ βοῶν ἑκατὸν καὶ ἀγῶνος ἱεροῦ τῷ θεῷ, προσέταξε διακοσμεῖν τοῖς ἡγεμόσι τὸν στρατὸν εἰς μάχην αὐτός δὲ τὴν ἀπόκλισιν καὶ περιφορὰν ἀναμένων τοῦ φωτός, ὅπως μὴ κατὰ προσώπου μαχομένοις αὐτοῖς ἕωθεν ἥλιος ἀντιλάμποι, παρῆγε τὸν χρόνον ἐν τῇ σκηνῇ καθεζόμενος ἀναπεπταμένῃ πρὸς τὸ πεδίον καὶ τὴν στρατοπεδείαν τῶν πολεμίων.
[XVII] Emilio, non appena si congiunse con Nasica, scese schierato contro il nemico. Tuttavia, come ne vide la disposizione in campo ed il numero, meravigliatosi fece sospendere la marcia, meditando fra sé. I giovani ufficiali pronti a combattere, passandogli accanto a cavallo, non sopportavano l’attesa, e più di tutti Nasica, incoraggiato dalla vittoria ottenuta presso il monte Olimpo. “Di sicuro attaccherei, se avessi la tua età – disse Emilio sorridendo – ma le numerose vittorie, dalle quali apprendo gli errori degli sconfitti, mi impediscono di ingaggiare battaglia appena terminata la marcia e contro una falange schierata, già serrata in posizione di battaglia”. Perciò diede ordine che la parte anteriore dell’esercito, quella ben visibile al nemico, dispiegandosi in manipoli, assumesse la formazione schierata, mentre gli altri, staccatisi indietro dalla retroguardia, piantassero una palizzata e tirassero su il campo. In questo modo mentre quelli vicini alla retroguardia si voltavano con un graduale movimento di ritirata, egli in segreto sciolse lo schieramento e senza rumore fece entrare tutti nella palizzata. Sopraggiunta la notte e dopo che tutti in seguito alla cena si volsero al sonno ed al riposo, d’improvviso la luna, che era piena ed alta nel cielo, si oscurò e mentre la luce la abbandonava, mutando ogni sorta di colore, scomparve. Ma, se da una parte i Romani, come è loro consuetudine, richiamavano la luce della luna percuotendo i bronzi e sollevando verso il cielo numerosi fuochi di torce e fiaccole, i Macedoni invece non facevano nulla di simile, piuttosto un terribile sgomento prendeva l’esercito ed una voce di nascosto si diffondeva tra molti, ovvero che il segno celeste indicava l’eclissarsi del re. Emilio invece non ignorava né era del tutto all’oscuro delle anomalie dovute alle eclissi, le quali in momenti stabiliti spingono la luna, nel suo passaggio, verso l’ombra della terra e la nascondono fino a che, superata la zona avvolta nel buio, torna a brillare al cospetto del sole. Ad ogni modo, poiché attribuiva un grande onore alla divinità, essendo interessato ai sacrifici rituali e un conoscitore dell’arte divinatoria, non appena vide la luna oscurarsi, le fece immolare undici vitelli. Nella medesima giornata, sacrificando buoi ad Eracle, non ottenne presagi favorevoli fino alla ventesima vittima, ma nella ventunesima si mostrarono dei segni ed indicavano la vittoria per chi si fosse difeso. Dopo aver dunque promesso al dio un sacrificio di cento buoi e sacre competizioni, fece preparare agli ufficiali l’esercito per la battaglia. Egli, attendendo che i raggi del sole superassero il mezzogiorno e declinassero, perché la luce da oriente non colpisse nel volto gli uomini che combattevano, trascorse il tempo seduto nella sua tenda, che era aperta verso la pianura e il campo dei nemici.
[XVIII] περὶ δὲ δείλην οἱ μὲν αὐτοῦ φασι τοῦ Αἰμιλίου τεχνάζοντος ἐκ τῶν πολεμίων γενέσθαι τὴν ἐπιχείρησιν, ἀχάλινον ἵππον ἐξελάσαντας ἐμβαλεῖν αὐτοῖς τοὺς Ῥωμαίους, καὶ τοῦτον ἀρχὴν μάχης διωκόμενον παρασχεῖν οἱ δὲ Ῥωμαϊκῶν ὑποζυγίων χορτάσματα παρακομιζόντων ἅπτεσθαι Θρᾷκας, ὧν Ἀλέξανδρος ἡγεῖτο, πρὸς δὲ τούτους ἐκδρομὴν ὀξεῖαν ἑπτακοσίων Λιγύων γενέσθαι: παραβοηθούντων δὲ πλειόνων ἑκατέροις οὕτω συνάπτεσθαι τὴν μάχην ἀμφοτέρων. [2] ὁ μὲν οὖν Αἰμίλιος ὥσπερ κυβερνήτης τῷ παρόντι σάλῳ καὶ κινήματι τῶν στρατοπέδων τεκμαιρόμενος τὸ μέγεθος τοῦ μέλλοντος ἀγῶνος, ἐκ τῆς σκηνῆς προῆλθε καὶ τὰ τάγματα τῶν ὁπλιτῶν ἐπιὼν παρεθάρρυνεν, ὁ δὲ Νασικᾶς ἐξιππασάμενος πρὸς τοὺς ἀκροβολιζομένους ὁρᾷ πάντας ὅσον οὔπω τοὺς πολεμίους ἐν χερσὶν ὄντας. [3] πρῶτοι δ᾽ οἱ Θρᾷκες ἐχώρουν, ὧν μάλιστά φησιν ἐκπλαγῆναι τὴν ὄψιν, ἄνδρες ὑψηλοὶ τὰ σώματα, λευκῷ καὶ περιλάμποντι θυρεῶν καὶ περικνημίδων ὁπλισμῷ μέλανας ὑπενδεδυμένοι χιτῶνας, ὀρθὰς δὲ ῥομφαίας βαρυσιδήρους ἀπὸ τῶν δεξιῶν ὤμων ἐπισείοντες, παρὰ δὲ τοὺς Θρᾷκας οἱ μισθοφόροι παρενέβαλλον, ὧν σκευαί τε παντοδαπαὶ, καὶ μεμιγμένοι Παίονες ἦσαν ἐπὶ δὲ τούτοις ἄγημα τρίτον οἱ λογάδες, αὐτῶν Μακεδόνων ἀρετῇ καὶ ἡλικίᾳ τὸ καθαρώτατον, ἀστράπτοντες ἐπιχρύσοις ὅπλοις καὶ νεουργοῖς φοινικίσιν. [4] οἷς καθισταμένοις εἰς τάξιν αἱ τῶν χαλκασπίδων ἐπανατέλλουσαι φάλαγγες ἐκ τοῦ χάρακος ἐνέπλησαν αὐγῆς σιδήρου καὶ λαμπηδόνος χαλκοῦ τὸ πεδίον, κραυγῆς δὲ καὶ θορύβου παρακελευομένων τὴν ὀρεινήν. οὕτω δὲ θρασέως καὶ μετὰ τάχους ἐπῄεσαν ὥστε τοὺς πρώτους νεκροὺς ἀπὸ δυεῖν σταδίων τοῦ Ῥωμαϊκοῦ χάρακος καταπεσεῖν.
[XVIII] Alcuni dicono che nel pomeriggio, per un artificio escogitato dallo stesso Emilio in modo da far muovere a battaglia per primi i nemici, spinto innanzi un cavallo senza briglie i Romani lo lanciarono contro di loro, e l’inseguimento del cavallo diede inizio all’attacco: secondo altri invece i Traci, di cui era al comando Alessandro, attaccarono le bestie da soma dei Romani mentre trasportavano foraggio ed in risposta vi fu l’immediata carica di settecento Liguri. In questo modo dunque, poiché un numero sempre maggiore di uomini veniva in soccorso dell’uno e dell’altro gruppo, s’ingaggiò battaglia da entrambi gli schieramenti. Emilio, deducendo come un nocchiero dall’ondeggiare e dall’agitarsi in quel momento degli eserciti la grandezza dell’imminente scontro, uscì dalla tenda ed avvicinandosi alle schiere dei soldati li incoraggiò. Nasica, uscito a cavallo verso gli schermagliatori, vede che l’intero esercito nemico non è ancora schierato. Per primi marciavano i Traci, alla cui vista più di tutto egli dice di essere rimasto sbigottito, uomini di alta statura, che indossavano tuniche nere sotto l’equipaggiamento bianco e scintillante degli scudi oblunghi e degli schinieri, che dalla spalla destra brandivano dritte e lunghe spade dalla lama di ferro pesante. Dietro i Traci muovevano schierati i mercenari, il cui armamento era vario, ed a questi erano mescolati quelli della Peonia. Oltre a loro, in terza fila, venivano le truppe scelte, la parte migliore dell’esercito macedone per valore ed età, sfolgoranti nelle loro armature ricoperte d’oro e nei mantelli color porpora di recente lavorazione. Dietro a questi, che si disponevano in formazione, le falangi degli scudi bronzei, uscendo fuori dal campo, riempirono la pianura di bagliori e di riflessi di bronzo, e le colline con grida e clamore di quanti si esortavano a vicenda. Si avvicinarono con così grande velocità ed audacia che i primi morti caddero alla distanza di due stadi dall’accampamento romano.
[XIX] γιγνομένης δὲ τῆς ἐφόδου παρῆν ὁ Αἰμίλιος, καὶ κατελάμβανεν ἤδη τοὺς ἐν τοῖς ἀγήμασι Μακεδόνας ἄκρας τάς σαρίσας προσερηρεικότας τοῖς θυρεοῖς τῶν Ῥωμαίων καὶ μὴ προσιεμένους εἰς ἐφικτὸν αὐτῶν τάς μαχαίρας, ἐπεὶ δὲ καὶ τῶν ἄλλων Μακεδόνων τάς τε πέλτας ἐξ ὤμου περισπασάντων καὶ ταῖς σαρίσαις ἀφ᾽ ἑνὸς συνθήματος κλιθείσαις ὑποστάντων τοὺς θυρεοφόρους εἶδε τήν τε ῥώμην τοῦ συνασπισμοῦ καὶ τήν τραχύτητα τῆς προβολῆς, ἔκπληξις αὐτὸν ἔσχε καὶ δέος, ὡς οὐδὲν ἰδόντα πώποτε θέαμα φοβερώτερον · [2] καὶ πολλάκις ὕστερον ἐμέμνητο τοῦ πάθους ἐκείνου καὶ τῆς ὄψεως, τότε δὲ πρὸς τοὺς μαχομένους ἐπιδεικνύμενος ἵλεω καὶ φαιδρὸν ἑαυτόν ἄνευ κράνους καὶ θώρακος ἵππῳ παρήλαυνεν. ὁ δὲ τῶν Μακεδόνων βασιλεύς, ὥς φησι Πολύβιος, τῆς μάχης ἀρχὴν λαμβανούσης ἀποδειλιάσας εἰς πόλιν ἀφιππάσατο, σκηψάμενος Ἡρακλεῖ θύειν, δειλὰ παρὰ δειλῶν ἱερὰ μὴ δεχομένῳ μηδ᾽ εὐχὰς ἀθεμίτους ἐπιτελοῦντι. [3] θεμιτὸν γὰρ οὐκ ἔστιν οὔτε τόν μὴ βάλλοντα κατευστοχεῖν οὔτε τόν μὴ μένοντα κρατεῖν οὔθ᾽ ὅλως τόν ἄπρακτον εὐπραγεῖν οὔτε τόν κακὸν εὐδαιμονεῖν. ἀλλὰ ταῖς Αἰμιλίου παρῆν εὐχαῖς ὁ θεός · εὔχετο γὰρ κράτος πολέμου καὶ νίκην δόρυ κρατῶν, καὶ μαχόμενος παρεκάλει σύμμαχον τόν θεόν. [4] οὐ μὴν ἀλλὰ Ποσειδώνιός τις ἐν ἐκείνοις τοῖς χρόνοις καὶ ταῖς πράξεσι γεγονέναι λέγων, ἱστορίαν δὲ γεγραφὼς περὶ Περσέως ἐν πλείοσι βιβλίοις, φησὶν αὐτὸν οὐχ ὑπὸ δειλίας οὐδὲ τήν θυσίαν ποιησάμενον αἰτίαν ἀπελθεῖν, ἀλλὰ τῇ προτέρᾳ τῆς μάχης τυχεῖν λελακτισμένον ὑφ᾽ ἵππου τὸ σκέλος · ἐν δὲ τῇ μάχῃ, καίπερ ἔχοντα δυσχρήστως καὶ κωλυόμενον ὑπὸ τῶν φίλων, ἵππον αὑτῷ κελεῦσαι τῶν φορέων προσαγαγεῖν καὶ περιβάντα συμμῖξαι τοῖς ἐπὶ τῆς φάλαγγος [5] ἀθωράκιστον. φερομένων δὲ παντοδαπῶν ἑκατέρωθεν βελῶν, παλτὸν ἐμπεσεῖν ὁλοσίδηρον αὐτῷ, καὶ τῇ μὲν ἀκμῇ μὴ θιγεῖν, ἀλλὰ πλάγιον παρὰ τήν ἀριστερὰν πλευρὰν παραδραμεῖν, ῥύμῃ δὲ τῆς παρόδου τόν τε χιτῶνα διακόψαι καὶ τήν σάρκα φοινίξαι τυφλῷ μώλωπι, πολὺν χρόνον διαφυλάξαντι τόν τύπον, ταῦτα μὲν οὖν ὁ Ποσειδώνιος ὑπὲρ τοῦ Περσέως ἀπολογεῖται.
[XIX] Durante l’attacco Emilio era presente e s’accorse che i Macedoni schierati avevano già piantato la punta delle aste negli scudi romani e non consentivano ai gladi di avvicinarsi. Ma, nel momento in cui, mentre gli altri Macedoni, tirata giù dalle spalle la pelta, con le aste abbassate ad un unico segnale si opponevano ai portatori di scudi, egli vide sia la resistenza di quell’ordine compatto che l’asprezza di quel baluardo, un timore lo prese lasciandolo sbigottito, poiché mai aveva assistito ad uno spettacolo più spaventoso, e spesso anche in seguito ricordava quell’emozione e quanto aveva visto. Allora però, mostrandosi agli uomini che combattevano sereno ed imperturbato, passò a cavallo accanto a loro senza elmo né corazza. Il re dei Macedoni invece, come dice Polibio [29, 18], iniziata la battaglia, assalito dal terrore, si allontanò a cavallo verso la città, con il pretesto di andare a sacrificare ad Eracle, il quale però non accoglie dai vili offerte vili e neppure esaudisce preghiere inique. Non è giusto infatti né che chi non colpisce vada a segno, né che chi fugge vinca, né che, insomma, l’indolente prosperi e che al malvagio arrida la fortuna. Ma il dio assisteva le preghiere di Emilio: brandendo la lancia pregò per ottenere superiorità e vittoria in battaglia, e combattendo invocò il dio come alleato. Tuttavia un certo Posidonio, che dice di essere vissuto in quei tempi e di aver assistito a quegli eventi, avendo composto un’opera storiografica in molti libri riguardanti Perseo [ FGrH 169 F1], afferma che questo non si allontanò per viltà, né avendo preso come scusa il sacrificio, ma il giorno prima della battaglia in un incidente venne colpito da un cavallo alla gamba, ed anzi in battaglia, nonostante avesse difficoltà e fosse trattenuto dagli amici, ordinò che gli portassero un cavallo di quelli da soma e, salito in sella, si unì alla falange senza alcuna protezione: e, mentre da una parte e dall’altra volava ogni sorta di proiettile, un giavellotto di ferro pieno lo colpì, non lo ferì con la punta, gli passò accanto obliquo lungo il fianco sinistro, ma per il violento attrito provocato dal passaggio squarciò la tunica e fece arrossare la pelle con una livida vescica, che a lungo mantenne il segno del colpo ricevuto. Questo scrive Posidonio a giustificazione di Perseo.
[XX] τῶν δὲ Ῥωμαίων, ὡς ἀντέστησαν τῇ φάλαγγι, μὴ δυναμένων βιάζεσθαι, Σάλουιος ὁ τῶν Πελιγνῶν ἡγούμενος ἁρπάσας τὸ σημεῖον τῶν ὑφ᾽ αὑτὸν εἰς τοὺς πολεμίους ἔρριψε. τῶν δὲ Πελιγνῶν οὐ γάρ ἐστιν Ἰταλοῖς θεμιτὸν οὐδ᾽ ὅσιον ἐγκαταλιπεῖν σημεῖον ἐπιδραμόντων πρὸς ἐκεῖνον τὸν τόπον ἔργα δεινὰ καὶ πάθη παρ᾽ ἀμφοτέρων ἀπήντα συμπεσόντων. [2] οἱ μὲν γὰρ ἐκκρούειν τε τοῖς ξίφεσι τὰς σαρίσας ἐπειρῶντο καὶ πιέζειν τοῖς θυρεοῖς καὶ ταῖς χερσὶν αὐταῖς ἀντιλαμβανόμενοι παραφέρειν, οἱ δὲ τὴν προβολὴν κρατυνάμενοι δι᾽ ἀμφοτέρων καὶ τοὺς προσπίπτοντας αὐτοῖς ὅπλοις διελαύνοντες, οὔτε θυρεοῦ στέγοντος οὔτε θώρακος τὴν βίαν τῆς σαρίσης, ἀνερρίπτουν ὑπὲρ κεφαλὴν τὰ σώματα τῶν Πελιγνῶν καὶ Μαρρουκινῶν, κατ᾽ οὐδένα λογισμὸν, ἀλλὰ θυμῷ θηριώδει, πρὸς ἐναντίας πληγὰς καὶ προὖπτον ὠθουμένων θάνατον. [3] οὕτω δὲ τῶν προμάχων διαφθαρέντων ἀνεκόπησαν οἱ κατόπιν αὐτῶν ἐπιτεταγμένοι: καὶ φυγὴ μὲν οὐκ ἦν, ἀναχώρησις δὲ πρὸς ὄρος τὸ καλούμενον Ὀλόκρον, ὥστε καὶ τὸν Αἰμίλιον ἰδόντα φησὶν ὁ Ποσειδώνιος καταρρήξασθαι τὸν χιτῶνα, τούτων μὲν ἐνδιδόντων, τῶν δ᾽ ἄλλων Ῥωμαίων διατρεπομένων τὴν φάλαγγα προσβολὴν οὐκ ἔχουσαν, ἀλλ᾽ ὥσπερ χαρακώματι τῷ πυκνώματι τῶν σαρισῶν ὑπαντιάζουσαν πάντοθεν ἀπρόσμαχον. [4] ἐπεὶ δὲ τῶν τε χωρίων ἀνωμάλων ὄντων, καὶ διὰ τὸ μῆκος τῆς παρατάξεως οὐ φυλαττούσης ἀραρότα τὸν συνασπισμόν, κατεῖδε τὴν φάλαγγα τῶν Μακεδόνων κλάσεις τε πολλὰς καὶ διασπάσματα λαμβάνουσαν, ὡς εἰκὸς ἐν μεγάλοις στρατοῖς καὶ ποικίλαις ὁρμαῖς τῶν μαχομένων, τοῖς μὲν ἐκθλιβομένην μέρεσι, τοῖς δὲ προπίπτουσαν, ἐπιὼν ὀξέως καὶ διαιρῶν τὰς σπείρας ἐκέλευεν εἰς τὰ διαλείμματα καὶ κενώματα τῆς τῶν πολεμίων τάξεως παρεμπίπτοντας καὶ συμπλεκομένους μὴ μίαν πρὸς ἅπαντας, ἀλλὰ πολλὰς καὶ μεμιγμένας κατά μέρος τὰς μάχας τίθεσθαι. [5] ταῦτα τοῦ μὲν Αἰμιλίου τοὺς ἡγεμόνας, τῶν δ᾽ ἡγεμόνων τοὺς στρατιώτας διδασκόντων, ὡς πρῶτον ὑπέδυσαν καὶ διέσχον εἴσω τῶν ὅπλων, τοῖς μὲν ἐκ πλαγίου κατὰ γυμνὰ προσφερόμενοι, τοὺς δὲ ταῖς περιδρομαῖς ἀπολαμβάνοντες, ἡ μὲν ἰσχὺς καὶ τὸ κοινὸν ἔργον εὐθὺς ἀπωλώλει τῆς φάλαγγος ἀναρρηγνυμένης, ἐν δὲ ταῖς καθ᾽ ἕνα καὶ κατ᾽ ὀλίγους συστάσεσιν οἱ Μακεδόνες μικροῖς μὲν ἐγχειριδίοις στερεοὺς καὶ ποδήρεις θυρεοὺς νύσσοντες, ἐλαφροῖς δὲ πελταρίοις πρὸς τὰς ἐκείνων μαχαίρας ὑπὸ βάρους καὶ καταφορᾶς διὰ παντὸς ὅπλου χωρούσας ἐπὶ τὰ σώματα, κακῶς ἀντέχοντες ἐτράποντο.
[XX] Poiché i Romani, venuti a contatto con la falange, non riuscivano a forzarla, Salvio a capo dei Peligni, strappata l’insegna dei suoi, la gettò in mezzo ai nemici. Dal momento in cui i Peligni si furono lanciati in corsa in quella direzione – infatti agli Italici non è consentito ed è ritenuto sacrilego abbandonare l’insegna – avvennero, da parte dell’uno e dall’altro schieramento venuto allo scontro, terribili azioni e sofferenze. Gli uni infatti tentavano di respingere le aste con i gladi, di schiacciarle con gli scudi e di deviarle afferrandole a mani nude. Gli altri invece, rafforzando la posizione di difesa con entrambe le mani e respingendo quanti si lanciavano all’attacco anche se indossavano l’armatura, perché né lo scudo né la corazza resistevano all’impatto dell’asta, rovesciarono a testa in giù i Peligni e i Marrucini che, sconsideratamente e come belve furiose, si lanciavano verso le aste protese e la certezza della morte. Caduti in questo modo i combattenti in prima fila, quelli che erano schierati dietro di loro si arrestarono, ma non ci fu una fuga, piuttosto una ritirata verso il monte chiamato Olocro, tanto che lo stesso Emilio, riferisce Posidonio [FGrH 169 F2], si stracciò la tunica, poiché questi cedevano e gli altri Romani si tenevano lontani dalla falange, che non si lasciava penetrare, ma, inespugnabile da ogni parte, avanzava con la sua massa compatta di lance simile ad una palizzata. Tuttavia, poiché il terreno presentava delle irregolarità e, a causa della sua lunghezza, lo schieramento non manteneva la linea compatta di battaglia, dopo aver osservato la falange macedone rompersi ed aprirsi in numerosi punti, come accade spesso nelle grandi armate e nei diversi modi di avanzare dei combattenti, schiacciandosi in alcune parti, in altre venendo avanti, Emilio, giungendo prontamente e suddividendo i manipoli, diede ordine che, insinuandosi fra gli intervalli e gli spazi vuoti dello schieramento nemico, implicandosi ad esso, non ingaggiassero una sola battaglia contro tutti i nemici insieme, ma molte e singole battaglie nello stesso tempo. In base agli ordini che Emilio dava agli ufficiali e gli ufficiali agli uomini, non appena si insinuarono ed aprirono un varco nello schieramento, attaccando alcuni di lato sulle parti scoperte, sorprendendo altri alle spalle, nel momento in cui la falange si aprì, venne immediatamente meno la sua forza e la sua efficienza unitaria; negli scontri corpo a corpo e in quelli a gruppi i Macedoni, poiché colpivano con piccoli pugnali scudi compatti, che coprivano il corpo fino ai piedi, e d’altra parte resistevano con difficoltà con scudi piccoli e leggeri ai gladi romani, sotto il peso e i fendenti che raggiungevano il corpo penetrando l’intera armatura, si volsero alla fuga.
[XXI] κατὰ τούτους δὲ μέγας ἦν ἀγών, ἔνθα δὴ καὶ Μᾶρκος ὁ Κάτωνος υἱός, Αἰμιλίου δὲ γαμβρός, πᾶσαν ἀλκὴν ἐπιδεικνύμενος ἀπέβαλε τὸ ξίφος, οἷα δὲ νεανίας ἐντεθραμμένος πλείστοις παιδεύμασι καὶ μεγάλῳ πατρὶ μεγάλης ἀρετῆς ἀποδείξεις ὀφείλων, οὐ βιωτὸν ἡγησάμενος εἶναι προεμένῳ σκῦλον αὑτοῦ ζῶντος τοῖς πολεμίοις ἐπέδραμε τὴν μάχην, εἴ τινά που φίλον καὶ συνήθη κατίδοι, φράζων τὸ συμπεσὸν αὐτῷ καὶ δεόμενος βοηθεῖν, [2] οἱ δὲ πολλοὶ καὶ ἀγαθοὶ γενόμενοι καὶ διασχόντες ὁρμῇ μιᾷ τοὺς ἄλλους, περὶ αὐτὸν ὑφηγούμενον ἐμβάλλουσι τοῖς ἐναντίοις, μεγάλῳ δ᾽ ἀγῶνι καὶ φόνῳ πολλῷ καὶ τραύμασιν ὤσαντες ἐκ χώρας καὶ τόπον ἔρημον καὶ γυμνὸν κατασχόντες ἐπὶ ζήτησιν ἐτράποντο τοῦ ξίφους, ὡς δὲ μόλις ἐν πολλοῖς ὅπλοις καὶ πτώμασι νεκρῶν κεκρυμμένον ἀνευρέθη, περιχαρεῖς γενόμενοι καὶ παιανίσαντες ἔτι λαμπρότερον ἐνέκειντο τοῖς συνεστῶσιν ἔτι τῶν πολεμίων, [3] καὶ τέλος οἱ τρισχίλιοι λογάδες ἐν τάξει μένοντες καὶ μαχόμενοι κατεκόπησαν ἅπαντες· τῶν δ᾽ ἄλλων φευγόντων πολὺς ἦν ὁ φόνος, ὥστε τὸ μὲν πεδίον καὶ τὴν ὑπώρειαν καταπεπλῆσθαι νεκρῶν, τοῦ δὲ Λεύκου ποταμοῦ τὸ ῥεῦμα τοὺς Ῥωμαίους τῇ μετὰ τὴν μάχην ἡμέρᾳ διελθεῖν ἔτι μεμιγμένον αἵματι. λέγονται γὰρ ὑπὲρ δισμυρίους πεντακισχιλίους ἀποθανεῖν. τῶν δὲ Ῥωμαίων ἔπεσον, ὡς μὲν Ποσειδώνιός φησιν, ἑκατόν, ὡς δὲ Νασικᾶς, ὀγδοήκοντα.
[XXI] Attorno alla falange grande era lo scontro. Là Marco, il figlio di Catone e genero di Emilio, pur mostrando tutto il suo coraggio, perse la spada. Giovane educato con insegnamenti nobilissimi e chiamato a dimostrare nei confronti di un grande padre prove di grande valore, ritenuto che fosse indegna l’esistenza per chi avesse abbandonato al nemico le spoglie delle proprie armi mentre egli stesso era ancora in vita, cominciò a correre tra i ranghi, nel caso scorgesse qualche amico o familiare, spiegando quanto gli era accaduto e cercando aiuto. Questi, uomini validi ed in gran numero, facendosi largo fra gli altri tutti insieme sotto la sua guida, si lanciarono contro gli avversari. Avendoli allontanati dal luogo del combattimento con una grande lotta e con numerose uccisioni e ferimenti, dopo aver occupato il posto abbandonato ed indifeso, si volsero alla ricerca della spada. Quando con fatica fu ritrovata, nascosta sotto cataste di armi e di corpi caduti a terra, presi dalla gioia ed intonati peana di vittoria, incalzavano con più forza quanti fra i nemici ancora resistevano compatti. Alla fine i tremila Macedoni delle truppe scelte che rimanevano nelle fila e continuavano il combattimento furono interamente decimati. E degli altri che si davano alla fuga grande fu la strage, così grande che la pianura e le pendici del monte si riempirono di cadaveri ed il giorno successivo alla battaglia i Romani attraversarono la corrente del fiume Leuco ancora tinta di sangue. Si racconta infatti che morirono oltre venticinquemila Macedoni, fra i Romani invece i caduti, come narra Posidonio [FGrH 169 F 3] furono cento, secondo Nasica [HRR I 48 = FGrH 353 F 3] ottanta.
[XXII] καὶ κρίσιν μὲν ὀξυτάτην μέγιστος ἀγὼν οὗτός ἔσχεν ἐνάτης γὰρ ὥρας ἀρξάμενοι μάχεσθαι πρὸ δεκάτης ἐνίκησαν τῷ δὲ λειπομένῳ τῆς ἡμέρας χρησάμενοι πρὸς τὴν δίωξιν καὶ μέχρι σταδίων ἑκατὸν καὶ εἴκοσι διώξαντες ἑσπέρας ἤδη βαθείας ἀπετράποντο. καὶ τοὺς μὲν ἄλλους οἱ θεράποντες ὑπὸ λαμπάδων ἀπαντῶντες μετὰ χαρᾶς καὶ βοῆς ἀπῆγον ἐπὶ τὰς σκηνάς φωτὶ λαμπομένας καὶ κεκοσμημένας κιττοῦ καὶ δάφνης στεφάνοις: αὐτὸν δὲ τὸν στρατηγὸν μέγα πένθος εἶχε. [2] δυεῖν γὰρ υἱῶν αὐτοῦ στρατευομένων ὁ νεώτερος οὐδαμοῦ φανερὸς ἦν, ὃν ἐφίλει τε μάλιστα καὶ πλεῖστον εἰς ἀρετὴν φύσει προὔχοντα τῶν ἀδελφῶν ἑώρα. θυμοειδῆ δὲ καὶ φιλότιμον ὄντα τὴν ψυχήν, ἔτι δ᾽ ἀντίπαιδα τὴν ἡλικίαν, παντάπασιν ἀπολωλέναι κατεδόξαζεν, ὑπ᾽ ἀπειρίας ἀναμιχθέντα τοῖς πολεμίοις μαχομένοις. [3] ἀπορουμένου δὲ αὐτοῦ καὶ περιπαθοῦντος ᾔσθετο πᾶν τὸ στράτευμα, καὶ μεταξὺ δειπνοῦντες ἀνεπήδων καὶ διέθεον μετὰ λαμπάδων, πολλοὶ μὲν ἐπὶ τὴν σκηνὴν τοῦ Αἰμιλίου, πολλοὶ δὲ πρὸ τοῦ χάρακος ἐν τοῖς πρώτοις νεκροῖς ζητοῦντες. κατήφεια δὲ τὸ στρατόπεδον καὶ κραυγὴ τὸ πεδίον κατεῖχεν ἀνακαλουμένων τὸν Σκηπίωνα. πᾶσι γὰρ ἀγαστὸς ἦν εὐθὺς ἐξ ἀρχῆς, πρὸς ἡγεμονίαν καὶ πολιτείαν ὡς ἄλλος οὐδεὶς τῶν συγγενῶν κεκραμένος τὸ ἦθος. [4] ὀψὲ δ᾽ οὖν ἤδη σχεδὸν ἀπεγνωσμένος ἐκ τῆς διώξεως προσῄει μετὰ δύο ἢ τριῶν ἑταίρων, αἵματος καὶ φόνου πολεμίων ἀνάπλεως, ὥσπερ σκύλαξ γενναῖος, ὑφ᾽ ἡδονῆς ἀκρατῶς τῇ νίκῃ συνεξενεχθείς. οὗτός ἐστι Σκηπίων ὁ τοῖς ἱκνουμένοις χρόνοις Καρχηδόνα καὶ Νομαντίαν κατασκάψας καὶ πολὺ πρῶτος ἀρετῇ τῶν τότε Ῥωμαίων γενόμενος καὶ δυνηθεὶς μέγιστον. Αἰμιλίῳ μὲν οὖν τὴν τοῦ κατορθώματος νέμεσιν εἰς ἕτερον ἡ τύχη καιρὸν ὑπερβαλλομένη τότε παντελῆ τὴν ἡδονὴν ἀπεδίδου τῆς νίκης.
[XXII] Ed assai rapida risoluzione ebbe questa grandissima battaglia. Iniziato il combattimento all’ora nona, riportarono la vittoria prima della decima. Dopo aver utilizzato il tempo che rimaneva della giornata per l’inseguimento dei nemici, ed avendo protratto l’inseguimento stesso fino ad una distanza di centoventi stadi, tornarono indietro a sera ormai inoltrata. I servi facendosi incontro agli altri sotto la luce delle fiaccole, li ricondussero tra grida di gioia alle tende illuminate ed adornate con corone d’alloro ed edera. Ma un grande dolore colpì proprio il generale: infatti il più giovane dei suoi due figli arruolati nell’esercito era scomparso, quello che egli amava moltissimo e che, tra i fratelli, vedeva più di tutti, per disposizione naturale, eccellere in virtù. Pieno d’ardimento ed ambizioso di suo, ma ancora poco più che un ragazzo, il padre credeva fosse morto, finito per inesperienza tra i nemici in mezzo alla battaglia. Tutto l’esercito percepiva la sua preoccupazione ed angoscia e, nel mentre cenavano, scattarono in piedi e corsero portando fiaccole, alcuni cercando verso la tenda di Emilio, altri davanti la palizzata del campo fra i primi caduti. Una tristezza piombò sull’accampamento e la pianura si riempì delle grida di quanti chiamavano ripetutamente il nome di Scipione. Era ammirato da tutti perché nel suo carattere univa, come nessun altro della sua famiglia, doti di comando e di politica. Ma dopo già molto tempo, dato ormai per perduto, si presentò di ritorno dall’inseguimento insieme a due o tre compagni, intriso di sangue e di strage nemica, come un giovane e nobile cucciolo fattosi trascinare dall’eccessiva gioia della vittoria. Questo è lo Scipione che in seguito rase al suolo Numanzia e Cartagine e per virtù primeggiò di molto fra i Romani del suo tempo e divenne potentissimo. La sorte dunque rimandando ad altra occasione lo sdegno risentito per il successo ottenuto, concesse in quel momento ad Emilio la completa gioia della vittoria.
[XXIII] Περσεὺς δὲ φυγῇ μέν ἐκ Πύδνης εἰς Πέλλαν ἀπεχώρει, τῶν ἱππέων ἐπιεικῶς πάντων ἀπὸ τῆς μάχης διασεσῳσμένων. ἐπεὶ δὲ καταλαμβάνοντες οἱ πεζοὶ τοὺς ἱππεῖς ὡς ἀνάνδρους καὶ προδεδωκότας λοιδοροῦντες ἀπὸ τῶν ἵππων ὤθουν καὶ πληγὰς ἐδίδοσαν, δείσας τὸν θόρυβον ἐκ τῆς ὁδοῦ παρέκλινε τὸν ἵππον, καὶ τὴν πορφύραν, ὡς μὴ διάσημος εἴη, περισπάσας ἔθετο πρόσθεν αὐτοῦ, καὶ τὸ διάδημα διὰ χειρῶν εἶχεν. [2] ὡς δὲ καὶ προσδιαλέγοιτο τοῖς ἑταίροις ἅμα βαδίζων, καταβὰς ἐφείλκετο τὸν ἵππον. τῶν δὲ ὁ μέν τις ὑπόδημα προσποιούμενος λελυμένον συνάπτειν, ὁ δ᾽ ἵππον ἄρδειν, ὁ δὲ ποτοῦ χρῄζειν, ὑπολειπόμενοι κατὰ μικρὸν ἀπεδίδρασκον, οὐχ οὕτω τοὺς πολεμίους, ὡς τὴν ἐκείνου χαλεπότητα δεδοικότες. κεχαραγμένος γὰρ ὑπὸ τῶν κακῶν εἰς πάντας ἐζήτει τρέπειν ἀφ᾽ αὐτοῦ τὴν αἰτίαν τῆς ἥττης. [3] ἐπεὶ δὲ νυκτὸς εἰς Πέλλαν εἰσελθὼν Εὖκτον καὶ Εὔλαιον, τοὺς ἐπὶ τοῦ νομίσματος, ἀπαντήσαντας αὐτῷ καὶ τὰ μέν ἐγκαλοῦντας περὶ τῶν γεγονότων, τὰ δὲ παρρησιαζομένους ἀκαίρως καὶ συμβουλεύοντας ὀργισθεὶς ἀπέκτεινεν, αὐτὸς τῷ ξιφιδίῳ παίων ἀμφοτέρους, οὐδεὶς παρέμεινεν αὐτῷ πάρεξ Εὐάνδρου τε τοῦ Κρητὸς καὶ Ἀρχεδάμου τοῦ Αἰτωλοῦ καὶ τοῦ Βοιωτοῦ Νέωνος. [4] τῶν δὲ στρατιωτῶν ἐπηκολούθησαν οἱ Κρῆτες, οὐ δι᾽ εὔνοιαν, ἀλλὰ τοῖς χρήμασιν, ὥσπερ κηρίοις μέλιτται, προσλιπαροῦντες. πάμπολλα γὰρ ἐπήγετο, καὶ προὔθηκεν ἐξ αὐτῶν διαρπάσαι τοῖς Κρησὶν ἐκπώματα καὶ κρατῆρας καὶ τὴν ἄλλην ἐν ἀργύρῳ καὶ χρυσῷ κατασκευὴν εἰς πεντήκοντα ταλάντων λόγον. [5] γενόμενος δ᾽ ἐν Ἀμφιπόλει πρῶτον, εἶτ᾽ ἐκεῖθεν ἐν Γαληψῷ, καὶ τοῦ φόβου μικρὸν ὑπανέντος, εἰς τὸ συγγενὲς καὶ πρεσβύτατον αὐτοῦ τῶν νοσημάτων, τὴν μικρολογίαν, αὖθις ὑπενεχθείς ὠδύρετο πρὸς τοὺς φίλους ὡς τῶν Ἀλεξάνδρου τοῦ μεγάλου χρυσωμάτων ἔνια τοῖς Κρησὶ διερριφὼς ὑπ᾽ ἀγνοίας, καὶ παρεκάλει τοὺς ἔχοντας ἀντιβολῶν καὶ δακρύων ἀμείψασθαι πρὸς νόμισμα. [6] τοὺς μέν οὖν ἐπισταμένους ἀκριβῶς αὐτὸν οὐκ ἔλαθε κρητίζων πρὸς Κρῆτας, οἱ δὲ πεισθέντες καὶ ἀποδόντες ἀπεστερήθησαν. οὐ γὰρ ἀπέδωκε τἀργύριον, ἀλλὰ τριάκοντα τάλαντα κερδάνας ἀπὸ τῶν φίλων, ἃ μικρὸν ὕστερον ἔμελλον οἱ πολέμιοι λήψεσθαι, μετ᾽ αὐτῶν διέπλευσεν εἰς Σαμοθρᾴκην καὶ διαφεύγων ἐπὶ τοὺς Διοσκούρους ἱκέτευεν.
[XXIII] Perseo intanto si allontanò fuggendo da Pidna verso Pella, rimasta praticamente intatta l’intera cavalleria. Poiché i fanti fermando gli uomini a cavallo ed insultandoli come codardi e traditori li disarcionavano e li picchiavano violentemente, egli nella paura del tumulto deviò il cavallo fuori dalla strada e, strappatosi la veste di porpora per non essere riconosciuto, se la pose innanzi e tenne la corona fra le mani. Per poter parlare con i compagni ed insieme continuare il percorso, sceso dalla cavalcatura, la trascinava per le redini. Ma fra questi, chi fingendo di stringere il sandalo sciolto, chi di abbeverare il cavallo, chi ancora di andare in cerca d’acqua, rimasti indietro mano a mano si diedero alla fuga, temendo i nemici non quanto l’asprezza del suo carattere. Segnato dalle sventure cercava infatti di stornare da sé la responsabilità della sconfitta e di farla ricadere su tutti gli altri. Quando, giunto durante la notte a Pella, Eucto ed Euleo, ministri del tesoro, che lo avevano affrontato, sia perché gli muovevano rimproveri riguardo a quanto accaduto, sia perché tentavano di dare consigli con eccessiva libertà di parola e nel momento sbagliato, li uccise in uno scatto d’ira colpendoli entrambi egli stesso con un pugnale, nessuno più gli rimase accanto, eccetto il cretese Euandro, l’etolo Archedamo ed il Beota Neone. Fra le truppe gli vennero dietro i Cretesi, non tanto per benevolenza, quanto per le sue ricchezze, come le api attorno ai favi. Difatti ne recava con sé moltissime e concesse ai Cretesi di spartirsi vasi e crateri ed il resto delle suppellettili in oro ed argento per un valore di circa cinquanta talenti. Ma arrivato prima ad Anfipoli, poi da lì a Galepso, e passata un poco la paura, tornato alla più vecchia e connaturata delle sue malattie, la spilorceria, si lamentava con gli amici di aver abbandonato per errore ai Cretesi alcune suppellettili d’oro di Alessandro il Grande, e con suppliche e lacrime implorava quelli che ne possedevano di scambiarle dietro una garanzia in denaro. Non riuscì però ad ingannare chi lo conosceva bene, facendo il cretese con i Cretesi: altri invece, lasciatisi convincere e concesso l’oro, non se lo videro più restituire. Difatti non diede in cambio il denaro, ma ottenuti trenta talenti dai compagni, somma che poco dopo sarebbe venuta in mano ai nemici, con questa salpò verso l’isola di Samotracia e fuggendo si rifugiò presso i Cabiri.
[XXIV] ἀεὶ μὲν οὖν λέγονται φιλοβασίλειοι Μακεδόνες, τότε δ᾽ ὡς ἐρείσματι κεκλασμένῳ πάντων ἅμα συμπεσόντων ἐγχειρίζοντες αὑτοὺς τῷ Αἰμιλίῳ δύο ἡμέραις ὅλης κύριον αὐτὸν κατέστησαν Μακεδονίας, καὶ δοκεῖ τοῦτο μαρτυρεῖν τοῖς εὐτυχίᾳ τινὶ τὰς πράξεις ἐκείνας γεγονέναι φάσκουσιν. ἔτι δὲ καὶ τὸ περὶ τὴν θυσίαν σύμπτωμα δαιμόνιον ἦν ἐν Ἀμφιπόλει θύοντος τοῦ Αἰμιλίου καὶ τῶν ἱερῶν ἐνηργμένων κεραυνὸς ἐνσκήψας εἰς τὸν βωμὸν ἐπέφλεξε καὶ συγκαθήγισε τὴν ἱερουργίαν. [2] ὑπερβάλλει δὲ θειότητι πάντως καὶ τύχῃ τὰ τῆς φήμης, ἦν μὲν γὰρ ἡμέρα τετάρτη νενικημένῳ Περσεῖ περὶ Πύδναν, ἐν δὲ τῇ Ῥώμῃ τοῦ δήμου θεωροῦντος ἱππικοὺς ἀγῶνας ἐξαίφνης ἐνέπεσε λόγος εἰς τὸ πρῶτον τοῦ θεάτρου μέρος ὡς Αἰμίλιος μεγάλῃ μάχῃ νενικηκὼς Περσέα καταστρέφοιτο σύμπασαν Μακεδονίαν. [3] ἐκ δὲ τούτου ταχὺ τῆς φήμης ἀναχεομένης εἰς τὸ πλῆθος ἐξέλαμψε χαρὰ μετὰ κρότου καὶ βοῆς τὴν ἡμέραν ἐκείνην κατασχοῦσα τὴν πόλιν. εἶτα, ὡς ὁ λόγος οὐκ εἶχεν εἰς ἀρχὴν ἀνελθεῖν βέβαιον, ἀλλ᾽ ἐν πᾶσιν ὁμοίως ἐφαίνετο πλανώμενος, τότε μὲν ἐσκεδάσθη καὶ διερρύη τὰ τῆς φήμης, ὀλίγαις δ᾽ ὕστερον ἡμέραις πυθόμενοι σαφῶς ἐθαύμαζον τὴν προδραμοῦσαν ἀγγελίαν, ὡς ἐν τῷ ψεύδει τὸ ἀληθὲς εἶχε.
[XXIV] Si racconta che i Macedoni siano stati sempre affezionati alla corona, ma in quel momento, venuto giù tutto insieme come per la rottura di un puntello, consegnandosi nelle mani di Emilio, in due giorni lo resero padrone dell’intera Macedonia. E questo sembra rendere testimonianza favorevole a quanti affermano che quegli eventi avvennero per la benignità della sorte. Ma anche quello che avvenne in occasione di un sacrificio ebbe del miracoloso. Infatti, mentre Emilio compiva un sacrificio ad Anfipoli ed il rituale era iniziato, un fulmine abbattutosi sull’altare lo incendiò, ed insieme ad esso bruciò anche l’offerta. Ma quanto a favore divino e della sorte il diffondersi della notizia della vittoria supera davvero ogni cosa. Era infatti il quarto giorno dopo che Perseo era stato vinto a Pidna, il popolo assisteva a delle gare ippiche, d’improvviso nel primo settore del teatro giunse la voce che Emilio, dopo aver sconfitto Perseo in una grande battaglia, aveva assoggettato l’intera Macedonia. Da qui riversandosi rapidamente la notizia tra la folla, si udirono in modo distinto grida di gioia ed applausi, riempiendo in quel giorno la città. In seguito, dato che la notizia non ebbe modo di trovare una fonte sicura, ma sembrava vagare senza distinzione da una persona ad un’altra, la fama si disperse e si smorzò. Ma dopo pochi giorni la popolazione, venuta chiaramente a conoscenza dell’episodio, si meravigliò della notizia giunta in anticipo, perché, seppur infondata, affermava la verità.
[XXV] λέγεται δὲ καὶ τῆς ἐπὶ Σάγρᾳ ποταμῷ μάχης Ἰταλιωτῶν αὐθημερὸν ἐν Πελοποννήσῳ λόγον γενέσθαι, καὶ Πλαταιᾶσι τῆς ἐν Μυκάλῃ πρὸς Μήδους. ἣν δὲ Ῥωμαῖοι Ταρκυνίους μετὰ Λατίνων ἐπιστρατεύσαντας ἐνίκησαν, αὐτάγγελοι φράζοντες ὤφθησαν ἀπὸ τοῦ στρατοῦ μικρὸν ὕστερον ἄνδρες δύο καλοὶ καὶ μεγάλοι, τούτους εἴκασαν εἶναι Διοσκούρους. [2] ὁ δ᾽ ἐντυχὼν πρῶτος αὐτοῖς κατ᾽ ἀγορὰν πρὸ τῆς κρήνης, ἀναψύχουσι τοὺς ἵππους ἱδρῶτι πολλῷ περιρρεομένους, ἐθαύμαζε τὸν περὶ τῆς νίκης λόγον. εἶθ᾽ οἱ μὲν ἐπιψαῦσαι λέγονται τῆς ὑπήνης αὐτοῦ τοῖν χεροῖν ἀτρέμα μειδιῶντες · ἡ δὲ εὐθὺς ἐκ μελαίνης τριχὸς εἰς πυρρὰν μεταβαλοῦσα τῷ μὲν λόγῳ πίστιν, τῷ δ᾽ ἀνδρὶ παρασχεῖν ἐπίκλησιν τὸν Ἀηνόβαρβον, ὅπερ ἐστὶ χαλκοπώγωνα. πᾶσι δὲ τούτοις τὸ καθ᾽ ἡμᾶς γενόμενον πίστιν παρέσχεν. [3] ὅτε γὰρ Ἀντώνιος ἀπέστη Δομετιανοῦ καὶ πολὺς πόλεμος ἀπὸ Γερμανίας προσεδοκᾶτο, τῆς Ῥώμης ταραττομένης ἄφνω καὶ αὐτομάτως ὁ δῆμος ἐξ αὑτοῦ φήμην ἀνέδωκε νίκης, καὶ τὴν Ῥώμην ἐπέδραμε λόγος αὐτόν τε τὸν Ἀντώνιον ἀνῃρῆσθαι καὶ τοῦ σὺν αὐτῷ στρατεύματος ἡττημένου μηδὲν μέρος λελεῖφθαι. τοσαύτην δὲ λαμπρότητα καὶ ῥύμην ἡ πίστις ἔσχεν ὥστε καὶ θῦσαι τῶν ἐν τέλει πολλούς, [4] ζητουμένου δὲ τοῦ πρώτου φράσαντος, ὡς οὐδεὶς ἦν, ἀλλ᾽ ο λόγος εἰς ἄλλον ἐξ ἄλλου διωκόμενος ἀνέφευγε, καὶ τέλος καταδὺς ὥσπερ εἰς πέλαγος ἀχανὲς τὸν ἄπειρον ὄχλον ἐφάνη μηδεμίαν ἀρχὴν ἔχων βέβαιον, αὕτη μὲν ἡ φήμη ταχὺ τῆς πόλεως ἐξερρύη, πορευομένῳ δὲ τῷ Δομετιανῷ μετὰ δυνάμεως ἐπὶ τὸν πόλεμον ἤδη καθ᾽ ὁδὸν ἀγγελία καὶ γράμματα φράζοντα τὴν νίκην ἀπήντησεν. ἡ δ᾽ αὐτοῦ τοῦ κατορθώματος ἡμέρα καὶ τῆς φήμης ἐγίνετο, ἐπὶ πλέον ἢ δισμυρίους σταδίους τῶν τόπων διεστώτων. ταῦτα μὲν οὐδεὶς ἀγνοεῖ τῶν καθ᾽ ἡμᾶς.
[XXV] Si racconta che anche la notizia della battaglia degli Italioti presso il fiume Sagra si diffuse nello medesimo giorno nel Peloponneso, e così a Platea quella riguardante la battaglia di Micale. E dello scontro vinto dai Romani sui Tarquini, che avevano mosso guerra insieme ai Latini, furono visti dare l’annuncio diretto dopo poco tempo due uomini imponenti e belli giunti dall’accampamento. Pensarono che questi fossero i Dioscuri. Quello che per primo li incontrò in una piazza davanti ad un fontanile, mentre rinfrescavano i cavalli grondanti copioso sudore, restò stupito alla notizia della vittoria. Si narra che quelli allora sfiorarono la sua barba con le mani, sorridendo placidamente. E la barba, mutando subito il colore dei peli da nero in rosso, diede fede al racconto, e a quell’uomo il soprannome di Enobarbo, che vuol dire “dalla barba di bronzo”. Ma a tutto ciò attribuì credibilità un episodio avvenuto durante la nostra epoca. Difatti quando Antonio si ribellò a Domiziano e ci si attendeva una grande guerra dalla Germania, nel mentre Roma era sconvolta d’improvviso il popolo diffuse da sé la notizia della vittoria e per tutta la città corse la notizia che lo stesso Antonio era stato ucciso e che nulla era rimasto del suo esercito sconfitto. La convinzione fu così evidente ed ebbe tanta forza che addirittura molti magistrati fecero sacrifici di ringraziamento. Poiché, pur cercando quello che per primo aveva diffuso la notizia, non fu trovato nessuno, ed anzi la voce, passando da uno ad un altro s’allontanava ed immergendosi tra la folla indistinta come in un mare immenso sembrò in ultimo non avere alcun fondamento sicuro, questa notizia velocemente si dileguò fuori dalla città, e tuttavia a Domiziano, che muoveva con l’esercito alla guerra, già lungo la strada pervennero annunci e lettere indicanti la vittoria. E la giornata del successo fu anche quella della notizia che lo annunciava, sebbene i luoghi siano distanti più di ventimila stadi. A nessuno dei contemporanei sono ignote queste cose.
[XXVI] Γναῖος δὲ Ὀκτάβιος ὁ ναυαρχῶν Αἰμιλίῳ προσορμισάμενος τῇ Σαμοθρᾴκῃ τὴν μὲν ἀσυλίαν παρεῖχε τῷ Περσεῖ διὰ τοὺς θεούς, ἔκπλου δὲ καὶ φυγῆς εἶργεν. οὐ μὴν ἀλλὰ λανθάνει πως ὁ Περσεὺς Ὀροάνδην τινὰ Κρῆτα λέμβον ἔχοντα συμπείσας μετὰ χρημάτων ἀναλαβεῖν αὐτόν. [2] ὁ δὲ κρητισμῷ χρησάμενος τὰ μὲν χρήματα νύκτωρ ἀνέλαβεν, ἐκεῖνον δὲ τῆς ἑτέρας νυκτὸς ἥκειν κελεύσας ἐπὶ τὸν πρὸς τῷ Δημητρίῳ λιμένα μετὰ τῶν τέκνων καὶ θεραπείας ἀναγκαίας, εὐθὺς ἀφ᾽ ἑσπέρας ἀπέπλευσεν. ὁ δὲ Περσεὺς οἰκτρὰ μὲν ἔπασχε διὰ στενῆς θυρίδος παρὰ τὸ τεῖχος ἐκμηρυόμενος αὑτὸν καὶ παιδία καὶ γυναῖκα πόνων καὶ πλάνης ἀπείρους, οἰκτρότατον δὲ στεναγμὸν ἀφῆκεν, ὥς τις αὐτῷ πλανωμένῳ παρὰ τὸν αἰγιαλὸν ἤδη πελάγιον τὸν Ὀροάνδην θέοντα κατιδὼν ἔφρασεν. [3] ὑπέλαμπε γὰρ ἡμέρα, καὶ πάσης ἐλπίδος ἔρημος ὑπεχώρει φυγῇ πρὸς τὸ τεῖχος, οὐ λαθὼν μέν, ὑποφθάσας δὲ τοὺς Ῥωμαίους, μετὰ τῆς γυναικός. τὰ δὲ παιδία συλλαβὼν αὐτοῖς Ἴων ἐνεχείρισεν, ὃς πάλαι μὲν ἐρώμενος ἦν τοῦ Περσέως, τότε δὲ προδότης γενόμενος αἰτίαν παρέσχε τὴν μάλιστα συναναγκάσασαν τὸν ἄνθρωπον, ὡς θηρίον ἁλισκομένων τῶν τέκνων, εἰς χεῖρας ἐλθεῖν καὶ παραδοῦναι τὸ σῶμα τοῖς ἐκείνων κρατοῦσιν. [4] ἐπίστευε μὲν οὖν μάλιστα τῷ Νασικᾷ, κἀκεῖνον ἐκάλει· μὴ παρόντος δὲ κατακλαύσας τὴν τύχην καὶ τὴν ἀνάγκην περισκεψάμενος ἔδωκεν αὑτὸν ὑποχείριον τῷ Γναίῳ, τότε μάλιστα ποιήσας φανερόν ὅτι τῆς φιλαργυρίας ἦν ἐν αὐτῷ τι κακὸν ἀγεννέστερον ἡ φιλοψυχία, δι᾽ ἥν, ὃ μόνον ἡ τύχη τῶν ἐπταικότων οὐκ ἀφαιρεῖται, τὸν ἔλεον, ἀπεστέρησεν ἑαυτοῦ. [5] δεηθεὶς γὰρ ἀχθῆναι πρὸς τὸν Αἰμίλιον, ὁ μὲν ὡς ἀνδρὶ μεγάλῳ πεπτωκότι πτῶμα νεμεσητὸν καὶ δυστυχὲς ἐξαναστὰς ὑπήντα μετὰ τῶν φίλων δεδακρυμένος, ὁ δ᾽, αἴσχιστον θέαμα, προβαλὼν αὑτὸν ἐπὶ στόμα καὶ γονάτων δραξάμενος ἀνεβάλλετο φωνὰς ἀγεννεῖς [6] καὶ δεήσεις, ἃς οὐχ ὑπέμεινεν οὐδ᾽ ἤκουσεν ὁ Αἰμίλιος, ἀλλὰ προσβλέψας αὑτὸν ἀλγοῦντι καὶ λελυπημένῳ τῷ προσώπῳ, ‘τί τῆς τύχης,’ εἶπεν, ‘ὦ ταλαίπωρε, τὸ μέγιστον ἀφαιρεῖς τῶν ἐγκλημάτων, ταῦτα πράττων ἀφ᾽ ὧν δόξεις οὐ παρ᾽ ἀξίαν ἀτυχεῖν, οὐδὲ τοῦ νῦν, ἀλλὰ τοῦ πάλαι δαίμονος ἀνάξιος γεγονέναι; τί δέ μου καταβάλλεις τὴν νίκην, καὶ τὸ κατόρθωμα ποιεῖς μικρόν, ἐπιδεικνύμενος ἑαυτὸν οὐ γενναῖον οὐδὲ πρέποντα Ῥωμαίων ἀνταγωνιστήν; ἀρετή τοι δυστυχοῦσι μεγάλην ἔχει μοῖραν αἰδοῦς καὶ παρὰ πολεμίοις, δειλία δὲ Ῥωμαίοις, κἂν εὐποτμῇ, πάντη ἀτιμότατον.’
[XXVI] Gneo Ottavio, comandante della flotta di Emilio, gettata l’àncora a largo di Samotracia, per rispetto degli dei lasciò che Perseo si rifugiasse nel tempio, ma gli impedì di fuggire per mare. Tuttavia Perseo in qualche modo riuscì a convincere segretamente un certo Oroande cretese, che possedeva una piccola barca, a prenderlo a bordo con i tesori. Ma costui, avendo escogitato un tranello alla maniera cretese, imbarcò durante la notte i tesori e, detto a Perseo di presentarsi la notte successiva al porto davanti al tempio di Demetra insieme ai figli ed alla servitù necessaria, salpò immediatamente quella sera stessa. Perseo soffrì dolori degni di commiserazione trascinandosi oltre le mura attraverso una stretta porticina con i figli e la moglie, ignari delle fatiche di chi va errando, ma innalzò un lamento ancor più doloroso quando un tale, mentre vagava lungo la spiaggia, gli disse di aver visto Oroande che già correva a largo con la nave. Il giorno iniziava a splendere e, rimasto privo di ogni speranza, tornò indietro verso le mura, non di nascosto, ma nell’intenzione di anticipare insieme alla moglie i Romani. Tuttavia ricevutili in custodia, Ione consegnò loro i figli, Ione che in precedenza era stato l’amante di Perseo, ma che in quel momento, divenuto un traditore, diede all’uomo, come ad una belva, catturati i figli, la motivazione che più di tutto lo spinse a consegnarsi nelle mani di quelli che li tenevano prigionieri. Si fidava soprattutto di Nasica e lo mandò a chiamare. Dato che Nasica non era presente, pianta la sua sorte e la necessità che lo stringeva, si consegnò nelle mani di Gneo, avendo rivelato in quel momento in modo assai manifesto che in lui vi era un male più indegno della spilorceria, l’attaccamento alla vita, a causa del quale, la sola cosa che la sorte non può sottrarre a chi è prostrato, la pietà, egli se ne privò. Avendo infatti richiesto di essere condotto presso Emilio, questo, alzatosi e con le lacrime agli occhi fra gli amici, gli andò incontro come si va incontro ad un grande uomo la cui caduta sia stata determinata dall’odio divino e dalla cattiva sorte, egli invece, uno spettacolo vergognoso, gettatosi bocconi a terra ed afferrate le ginocchia di Emilio, lasciò andare pianti ignobili e suppliche, che Emilio non rimase ad ascoltare, ma, guardatolo con il volto pieno di pena e di dolore, “perché – disse – sciagurato, comportandoti in questo modo privi la sorte della più grande fra le accuse così da sembrare degno di subire tali sventure, ed indegno non del presente destino, ma di quello passato? Perché abbassi la mia vittoria e sminuisci il mio successo mostrandoti avversario ignobile e non all’altezza di Roma? Di certo per chi è caduto nella sventura il valore merita una grande parte di rispetto anche presso il nemico, ma la viltà per i Romani, seppure godesse di una fortuna favorevole, resta il disonore più grande”.
[XXVII] οὐ μὴν ἀλλὰ τοῦτον μὲν ἀναστήσας καὶ δεξιωσάμενος Τουβέρωνι παρέδωκεν, αὐτὸς δὲ τοὺς παῖδας καὶ τοὺς γαμβροὺς καὶ τῶν ἄλλων ἡγεμονικῶν μάλιστα τοὺς νεωτέρους ἔσω τῆς σκηνῆς ἐπισπασάμενος πολὺν χρόνον ἦν πρὸς αὑτῷ σιωπῇ καθήμενος, ὥστε θαυμάζειν ἅπαντας. ὁρμήσας δὲ περὶ τῆς τύχης καὶ τῶν ἀνθρωπίνων διαλέγεσθαι πραγμάτων, ‘ἆρά γε,’ εἶπεν, ‘ἄξιον εὐπραγίας παρούσης ἄνθρωπον ὄντα θρασύνεσθαι καὶ μέγα φρονεῖν ἔθνος ἢ πόλιν ἢ βασιλείαν [2] καταστρεψάμενον, ἢ τὴν μεταβολὴν ταύτην ἡ τύχη παράδειγμα τῷ πολεμοῦντι κοινῆς ἀσθενείας προθεῖσα παιδεύει μηδὲν ὡς μόνιμον καὶ βέβαιον διανοεῖσθαι; ποῖος γὰρ ἀνθρώποις τοῦ θαρρεῖν καιρός, ὅταν τὸ κρατεῖν ἑτέρων μάλιστα δεδοικέναι τὴν τύχην ἀναγκάζῃ, καὶ τῷ χαίροντι δυσθυμίαν ἐπάγῃ τοσαύτην ὁ τῆς περιφερομένης καὶ προσισταμένης ἄλλοτ᾽ ἄλλοις εἱμαρμένης λογισμός; [3] ἢ τὴν Ἀλεξάνδρου διαδοχήν, ὃς ἐπὶ πλεῖστον ἤρθη δυνάμεως καὶ μέγιστον ἔσχε κράτος, ὥρας μιᾶς μορίῳ πεσοῦσαν ὑπὸ πόδας θέμενοι, καὶ τοὺς ἄρτι μυριάσι πεζῶν καὶ χιλιάσιν ἱππέων τοσαύταις ὁπλοφορουμένους βασιλεῖς ὁρῶντες ἐκ τῶν πολεμίων χειρῶν ἐφήμερα σιτία καὶ ποτὰ λαμβάνοντας, οἴεσθε τὰ καθ᾽ ἡμᾶς ἔχειν τινὰ βεβαιότητα τύχης διαρκῆ πρὸς τὸν χρόνον; [4] οὐ καταβαλόντες ὑμεῖς οἱ νέοι τὸ κενὸν φρύαγμα τοῦτο καὶ γαυρίαμα τῆς νίκης ταπεινοὶ καταπτήξετε πρὸς τὸ μέλλον, ἀεὶ καραδοκοῦντες εἰς ὅ τι κατασκήψει τέλος ἑκάστῳ τὴν τῆς παρούσης εὐπραγίας ὁ δαίμων νέμεσιν;’ τοιαῦτά φασι πολλὰ διαλεχθέντα τὸν Αἰμίλιον ἀποπέμψαι τοὺς νέους εὖ μάλα τὸ καύχημα καὶ τὴν ὕβριν, ὥσπερ χαλινῷ, τῷ λόγῳ κόπτοντι κεκολασμένους.
[XXVII] Ad ogni modo, dopo averlo fatto alzare e salutatolo dandogli la destra, lo affidò a Tuberone, ma chiamati dentro la tenda i figli, i generi, e fra gli altri ufficiali soprattutto i più giovani, rimase seduto per molto tempo in silenzio con sé stesso, tanto che tutti si stupirono. Iniziato allora a parlare in merito alla fortuna e alle vicende umane “forse è cosa degna – disse – che quando la fortuna è favorevole, un uomo si mostri arrogante e superbo per aver sottomesso un popolo, una città, un regno, o forse la fortuna, posto innanzi a chi combatte questo cambiamento quale esempio della comune debolezza, insegna a non considerare nulla come unico e sicuro? In quale occasione infatti gli uomini dovrebbero mostrare audacia, se, quando si pensa al dominio esercitato sugli altri, si è costretti a temere più che mai la fortuna e, quando si riflette sull’instabile volgersi della sorte, che ora tocca l’uno ora l’altro, così tanta tristezza è data a chi si rallegra? Oppure, dopo aver messo sotto i vostri piedi, crollata nello spazio di una sola ora, l’eredità di Alessandro, che fu innalzato al massimo della potenza ed ebbe un dominio grandissimo, e vedendo i re, un tempo scortati da miriadi di fanti e migliaia di cavalieri, ricevere dalle mani dei nemici il pasto quotidiano e l’acqua, credete forse che, per quanto ci riguarda, la fortuna sia sufficientemente durevole nel tempo? Deposta dunque questa vuota arroganza ed il vanto per la vittoria, non vi inchinerete umiliati dinanzi a quello che accadrà in futuro, guardando sempre con ansia a quanto il destino farà infine precipitare su ognuno vendicandosi del successo di cui ora si gode?” Dicono che, dopo aver fatto molti discorsi di tal genere, Emilio congedò i giovani, castigati in modo degno nella loro superbia ed arroganza con parole taglienti, come domati da una briglia.
[XXVIII] ἐκ τούτου τὴν μὲν στρατιὰν πρὸς ἀνάπαυσιν, αὑτὸν δὲ πρὸς θέαν τῆς Ἑλλάδος ἔτρεψε καὶ διαγωγὴν ἔνδοξον ἅμα καὶ φιλάνθρωπον. ἐπιὼν γὰρ ἀνελάμβανε τοὺς δήμους καὶ τὰ πολιτεύματα καθίστατο, καὶ δωρεὰς ἐδίδου, ταῖς μὲν σῖτον ἐκ τοῦ βασιλικοῦ, ταὶς δ᾽ ἔλαιον. τοσοῦτον γὰρ εὑρεθῆναί φασιν ἀποκείμενον ὥστε τοὺς λαμβάνοντας καὶ δεομένους ἐπιλιπεῖν πρότερον ἢ καταναλωθῆναι τὸ πλῆθος τῶν εὑρεθέντων. [2] ἐν δὲ Δελφοῖς ἰδὼν κίονα μέγαν τετράγωνον ἐκ λίθων λευκῶν συνηρμοσμένον, ἐφ᾽ οὗ Περσέως ἔμελλε χρυσοῦς ἀνδριὰς τίθεσθαι, προσέταξε τὸν αὐτοῦ τεθῆναι · τοὺς γὰρ ἡττημένους τοῖς νικῶσιν ἐξίστασθαι χώρας προσήκειν. ἐν δ᾽ Ὀλυμπίᾳ, τοῦτο δὴ τὸ πολυθρύλητον ἐκεῖνόν ἀναφθέγξασθαί φασιν, ὡς τὸν Ὁμήρου Δία Φειδίας ἀποπλάσαιτο. [3] τῶν δὲ δέκα πρέσβεων ἐκ Ῥώμης ἀφικομένων Μακεδόσι μὲν ἀπέδωκε τὴν χώραν καὶ τὰς πόλεις ἐλευθέρας οἰκεῖν καὶ αὐτονόμους, ἑκατὸν δὲ τάλαντα Ῥωμαίοις ὑποτελεῖν, οὗ πλέον ἢ διπλάσιον τοῖς βασιλεῦσιν εἰσέφερον. θέας δὲ παντοδαπῶν ἀγώνων καὶ θυσίας ἐπιτελῶν τοῖς θεοῖς ἑστιάσεις καὶ δεῖπνα προὔθετο, χορηγίᾳ [4] μὲν ἐκ τῶν βασιλικῶν ἀφθόνῳ χρώμενος, τάξιν δὲ καὶ κόσμον καὶ κατακλίσεις καὶ δεξιώσεις καὶ τὴν πρὸς ἕκαστον αὑτοῦ τῆς κατ᾽ ἀξίαν τιμῆς καὶ φιλοφροσύνης αἴσθησιν οὕτως ἀκριβῆ καὶ πεφροντισμένην ἐνδεικνύμενος ὥστε θαυμάζειν τοὺς Ἕλληνας, εἰ μηδὲ τὴν παιδιὰν ἄμοιρον ἀπολείπει σπουδῆς, ἀλλὰ τηλικαῦτα πράττων ἀνὴρ πράγματα καὶ τοῖς μικροῖς τὸ πρέπον ἀποδίδωσιν. [5] ὁ δὲ καὶ τούτοις ἔχαιρεν, ὅτι πολλῶν παρεσκευασμένων καὶ λαμπρῶν τὸ ἥδιστον αὐτὸς ἦν ἀπόλαυσμα καὶ θέαμα τοῖς παροῦσι, καὶ πρὸς τοὺς θαυμάζοντας τὴν ἐπιμέλειαν ἔλεγε τῆς αὐτῆς εἶναι ψυχῆς παρατάξεώς τε προστῆναι καλῶς καὶ συμποσίου, τῆς μὲν, ὅπως φοβερωτάτη τοῖς πολεμίοις, τοῦ δ᾽, ὡς εὐχαριστότατον ᾖ τοῖς συνοῦσιν. [6] οὐδενὸς δ᾽ ἧττον αὐτοῦ τὴν ἐλευθεριότητα καὶ τὴν μεγαλοψυχίαν ἐπῄνουν οἱ ἄνθρωποι, πολὺ μὲν ἀργύριον, πολὺ δὲ χρυσίον ἐκ τῶν βασιλικῶν ἠθροισμένον οὐδ᾽ ἰδεῖν ἐθελήσαντος, ἀλλὰ τοῖς ταμίαις εἰς τὸ δημόσιον παραδόντος. μόνα τὰ βιβλία τοῦ βασιλέως φιλογραμματοῦσι τοῖς υἱέσιν ἐπέτρεψεν ἐξελέσθαι, καὶ διανέμων ἀριστεῖα τῆς μάχης Αἰλίῳ Τουβέρωνι τῷ γαμβρῷ φιάλην ἔδωκε πέντε λιτρῶν ὁλκήν. [7] οὗτός ἐστι Τουβέρων ὃν ἔφαμεν μετὰ συγγενῶν οἰκεῖν ἑκκαιδέκατον, ἀπὸ γηδίου μικροῦ διατρεφομένων ἁπάντων. καὶ πρῶτον ἄργυρον ἐκεῖνόν φασιν εἰς τὸν Αἰλίων οἶκον εἰσελθεῖν, ὑπ᾽ ἀρετῆς καὶ τιμῆς εἰσαγόμενον, τὸν δ᾽ ἄλλον χρόνον οὔτ᾽ αὐτοὺς οὔτε τὰς γυναῖκας ἀργυρίου χρῄζειν ἢ χρυσοῦ.
[XXVIII] Successivamente mandò l’esercito a riposo e si avviò ad una visita della Grecia, un’occasione di viaggio piena di onori e allo stesso tempo di azioni filantropiche. Giungendo nel territorio infatti risollevò le popolazioni, ristabilì gli ordinamenti politici e distribuì in dono ad alcuni grano, prelevato dai magazzini reali, ad altri olio. Così tanto, dicono, se ne trovò che la fila per prenderlo e riceverlo finì prima che fosse esaurita l’intera quantità dei prodotti rinvenuti. A Delfi quando vide una grande colonna a quattro angoli connessa con pietre bianche, sopra la quale avrebbe dovuto collocarsi una effige aurea di Perseo, ordinò che vi fosse collocata la propria: chi perde doveva fare spazio a chi vince. Ad Olimpia invece dicono che pronunciò quella frase ben nota, ovvero che Fidia aveva dato forma allo Zeus di Omero. Giunti da Roma dieci ambasciatori, egli concesse ai Macedoni di abitare nel territorio e nelle città liberi e con leggi proprie, pagando però ai Romani cento talenti: ai re pagavano più del doppio, Offrendo in ringraziamento agli dei sacrifici e spettacoli con ogni sorta di gara, diede pranzi e banchetti, facendo uso delle abbondanti forniture regali, ma nel disporli, nell’ordinarli, nel ricevere, nel far sedere gli ospiti e nel dare a ciascuno quel grado di onore e di attenzione che gli era dovuta, egli mostrò una sensibilità tanto precisa ed accurata che i Greci ne restarono meravigliati, se metteva impegno persino nei divertimenti e, benché fosse un uomo dedito a questioni di così grande rilievo, attribuiva la dovuta cura anche alle cose di poco conto. Pure di questo si compiaceva, che, nonostante la ricchezza e lo splendore delle cose da lui preparate, egli fosse lo spettacolo ed il godimento più gradevole per i presenti, e a chi ne ammirava la cura rispondeva che è proprio dello stesso animo disporre in modo adeguato un esercito ed un simposio, l’uno perché sia più che mai temibile per i nemici, l’altro perché risulti più che mai gradito agli ospiti. Non di meno gli uomini lodavano la sua generosità e magnanimità, poiché non aveva voluto vedere la gran massa d’argento e d’oro raccolto dai tesori reali, ma lo aveva consegnato ai questori per le spese pubbliche. Per i soli libri della biblioteca reale concesse ai figli di scegliere, in quanto appassionati di letteratura, e, suddividendo i premi per il valore dimostrato in battaglia, diede al genero Elio Tuberone una coppa da cinque litri. Questo è il Tuberone che, dicevamo prima, abitava come sedicesimo figlio insieme agli altri familiari, tutti sostenuti dai proventi di un piccolo appezzamento di terra. Dicono che quello fu il primo oggetto in argento che entrò nella casa degli Elii, introdotto per la virtù e l’onore, in precedenza né essi né le mogli facevano uso di argento o d’oro.
[XXIX] διῳκημένων δὲ πάντων αὐτῷ καλῶς ἀσπασάμενος τοὺς Ἕλληνας, καὶ παρακαλέσας τοὺς Μακεδόνας μεμνῆσθαι τῆς δεδομένης ὑπὸ Ῥωμαίων ἐλευθερίας σῴζοντας αὐτὴν δι᾽ εὐνομίας καὶ ὁμονοίας, ἀνέζευξεν ἐπὶ τὴν Ἤπειρον, ἔχων δόγμα συγκλήτου τοὺς συμμεμαχημένους αὐτῷ τὴν πρὸς Περσέα μάχην στρατιώτας ἀπὸ τῶν ἐκεῖ πόλεων ὠφελῆσαι. [2] βουλόμενος δὲ πᾶσιν ἅμα καὶ μηδενὸς προσδοκῶντος, ἀλλ᾽ ἐξαίφνης ἐπιπεσεῖν, μετεπέμψατο τοὺς πρώτους ἐξ ἑκάστης πόλεως ἄνδρας δέκα, καὶ προσέταξεν αὐτοῖς, ὅσος ἄργυρός ἐστι καὶ χρυσὸς ἐν οἰκίαις καὶ ἱεροῖς, ἡμέρᾳ ῥητῇ καταφέρειν. ἑκάστοις δὲ συνέπεμψεν ὡς ἐπ᾽ αὐτὸ δὴ τοῦτο φρουρὰν στρατιωτῶν καὶ ταξίαρχον προσποιούμενον ζητεῖν καὶ παραλαμβάνειν τὸ χρυσίον. [3] ἐνστάσης δὲ τῆς ἡμέρας, ὑφ᾽ ἕνα καὶ τὸν αὐτὸν ἅμα καιρὸν ὁρμήσαντες ἐτράποντο πρὸς καταδρομὴν καὶ διαρπαγὴν τῶν πόλεων, ὥστε ὥρᾳ μιᾷ πεντεκαίδεκα ἀνθρώπων ἐξανδραποδισθῆναι μυριάδας, ἑβδομήκοντα δὲ πόλεις πορθηθῆναι, γενέσθαι δ᾽ ἀπὸ τοσαύτης φθορᾶς καὶ πανωλεθρίας ἑκάστῳ στρατιώτῃ τὴν δόσιν οὐ μείζον᾽ ἕνδεκα δραχμῶν, φρῖξαι δὲ πάντας ἀνθρώπους τὸ τοῦ πολέμου τέλος, εἰς μικρὸν οὕτω τὸ καθ᾽ ἕκαστον λῆμμα καὶ κέρδος ἔθνους ὅλου κατακερματισθέντος.
[XXIX] Sistemata ogni cosa in modo adeguato, salutati i Greci ed esortati i Macedoni a ricordarsi della libertà concessa dai Romani, conservandola con il buon governo e la concordia, Emilio levò il campo dirigendosi in Epiro, avendo l’ordine da parte del Senato che quanti avevano combattuto insieme a lui la battaglia contro Perseo facessero bottino depredando le città di quel territorio. Volendo attaccare tutti gli abitanti insieme senza che nessuno se lo aspettasse ma d’improvviso, mandò a chiamare da ciascuna città dieci fra i personaggi più in vista ed ordinò loro di portare nel giorno stabilito tutto l’oro e l’argento che vi fosse nelle case e nei templi. Fece accompagnare ognuno, come fosse destinata a questo compito, una scorta di soldati ed un centurione, che fingesse di cercare e prendere l’oro. Ma, al sopraggiungere del giorno prestabilito, lanciatisi tutti insieme nello stesso momento si volsero all’assalto e al saccheggio delle città, così che in una sola ora vennero fatti prigionieri centocinquantamila uomini, e settanta città vennero rase al suolo, ma da tanta strage e distruzione ad ogni soldato toccò un bottino non superiore ad undici dracme e tutti temettero la fine della guerra, ridotto a pezzi un intero popolo perché ciascuno ne ricavasse un guadagno ed un profitto così esigui.
[XXX] Αἰμίλιος μὲν οὖν τοῦτο πράξας μάλιστα παρὰ τὴν αὑτοῦ φύσιν ἐπιεικῆ καὶ χρηστὴν οὖσαν εἰς Ὠρικὸν κατέβη, κἀκεῖθεν εἰς Ἰταλίαν μετὰ τῶν δυνάμεων περαιωθείς ἀνέπλει τὸν Θύβριν ποταμὸν ἐπὶ τῆς βασιλικῆς ἑκκαιδεκήρους κατεσκευασμένης εἰς κόσμον ὅπλοις αἰχμαλώτοις καὶ φοινικίσι καὶ πορφύραις, (ὡς καὶ πανηγυρίζειν ἔξωθεν καθάπερ εἰς τινὰ θριαμβικῆς θέαν πομπῆς) καὶ προαπολαύειν τοὺς Ῥωμαίους, τῷ ῥοθίῳ σχέδην ὑπάγοντι τὴν ναῦν ἀντιπαρεξάγοντας. [2] οἱ δὲ στρατιῶται τοῖς βασιλικοῖς χρήμασιν ἐποφθαλμίσαντες, ὡς οὐχ ὅσων ἠξίουν ἔτυχον, ὠργίζοντο μὲν ἀδήλως διὰ τοῦτο καὶ χαλεπῶς εἶχον πρὸς τὸν Αἰμίλιον, αἰτιώμενοι δὲ φανερῶς ὅτι βαρὺς γένοιτο καὶ δεσποτικὸς αὐτοῖς ἄρχων, οὐ πάνυ προθύμως ἐπὶ τὴν ὑπὲρ τοῦ θριάμβου σπουδὴν ἀπήντησαν. [3] αἰσθόμενος δὲ τοῦτο Σέρβιος Γάλβας, ἐχθρὸς Αἰμιλίου, γεγονὼς δὲ τῶν ὑπ᾽ αὐτὸν χιλιάρχων, ἐθάρρησεν ἀναφανδὸν εἰπεῖν ὡς οὐ δοτέον εἴη τὸν θρίαμβον. ἐνεὶς δὲ πολλὰς τῷ στρατιωτικῷ πλήθει διαβολὰς κατὰ τοῦ στρατηγοῦ καὶ τὴν οὖσαν ὀργὴν ἔτι μᾶλλον ἐξερεθίσας ᾐτεῖτο παρὰ τῶν δημάρχων ἄλλην ἡμέραν · ἐκείνην γὰρ οὐκ ἐξαρκεῖν τῇ κατηγορίᾳ, τέσσαρας ἔτι λοιπὰς ὥρας ἔχουσαν. [4] τῶν δὲ δημάρχων λέγειν αὐτὸν, εἴ τι βούλεται, κελευόντων, ἀρξάμενος μακρῷ καὶ βλασφημίας ἔχοντι παντοδαπὰς χρῆσθαι λόγῳ τὸν χρόνον ἀνήλωσε τῆς ἡμέρας · καὶ γενομένου σκότους οἱ μὲν δήμαρχοι τὴν ἐκκλησίαν ἀφῆκαν, πρὸς δὲ τὸν Γάλβαν οἱ στρατιῶται συνέδραμον θρασύτεροι γεγονότες, καὶ συγκροτήσαντες αὑτοὺς περὶ τὸν ὄρθρον αὖθις καταλαμβάνονται τὸ Καπετώλιον · ἐκεῖ γὰρ οἱ δήμαρχοι τὴν ἐκκλησίαν ἔμελλον ἄξειν.
[XXX] Emilio dunque, dopo aver compiuto questa azione molto al di là della sua natura, che era invece mite ed equa, scese verso Orico e da lì, condotto per mare in Italia insieme all’esercito, risalì il Tevere sull’imbarcazione regale a sedici remi, adornata dall’esterno con le armi sottratte ai nemici, drappi rossi e stoffe di porpora così splendidamente e fastosamente che i Romani godettero in anticipo come di un corteo trionfale, seguendo a piedi lungo le rive il fragore dei remi sulle onde che conducevano lentamente la nave. I soldati però, messo l’occhio bramoso sulle ricchezze regali, non avendo ottenuto quanto si aspettavano, in segreto si adirarono per questo motivo e si mostravano insofferenti verso Emilio, e, accusandolo apertamente di essere un generale duro e dispotico nei loro confronti, non gli vennero incontro con molto entusiasmo nel suo interesse di celebrare il trionfo. Resosi conto di ciò Servio Galba, nemico di Emilio, anche se era stato uno dei tribuni ai suoi ordini, ebbe il coraggio di affermare pubblicamente che non andava concesso il trionfo. Insinuando tra la massa dell’esercito molte calunnie contro il generale ed accendendo ancora di più l’odio già esistente, chiese ai tribuni della plebe un altro giorno: quello infatti non era sufficiente per l’accusa, in quanto restavano ancora quattro ore. Dato che i tribuni gli ordinarono di parlare, nel caso volesse dire qualcosa, egli, iniziato un lungo discorso pieno di maldicenze di ogni sorta, spese tutto il tempo della giornata. Calata l’oscurità i tribuni sciolsero l’assemblea, ma i soldati divenuti più spavaldi si unirono a Galba e radunatisi in una fazione al mattino occuparono poi il Campidoglio: lì infatti i tribuni avrebbero convocato l’assemblea.
[XXXI] ἅμα δ᾽ ἡμέρᾳ τῆς ψήφου δοθείσης ἥ τε πρώτη φυλὴ τὸν θρίαμβον ἀπεψηφίζετο, καὶ τοῦ πράγματος αἴσθησις εἰς τὸν ἀλλον δῆμον καὶ τὴν σύγκλητον κατῄει. καὶ τὸ μὲν πλῆθος ὑπεραλγοῦν τῷ προπηλακίζεσθαι τὸν Αἰμίλιον ἐν φωναῖς ἦν ἀπράκτοις, οἱ δὲ γνωριμώτατοι τῶν ἀπὸ βουλῆς δεινὸν εἶναι τὸ γινόμενον βοῶντες ἀλλήλους παρεκάλουν ἐπιλαβέσθαι τῆς τῶν στρατιωτῶν ἀσελγείας καὶ θρασύτητος, ἐπὶ πᾶν ἀφιξομένης ἄνομον ἔργον καὶ βίαιον, εἰ μηδὲν ἐμποδὼν αὐτοῖς γένοιτο Παῦλον Αἰμίλιον ἀφελέσθαι τῶν ἐπινικίων τιμῶν. [2] ὠσάμενοι δὲ τὸν ὄχλον καὶ ἀναβάντες ἁθρόοι τοῖς δημάρχοις ἔλεγον ἐπισχεῖν τὴν ψηφοφορίαν, ἄχρι ἂν διαέλθωσιν ἃ βούλονται πρὸς τὸ πλῆθος. ἐπισχόντων δὲ πάντων καὶ γενομένης σιωπῆς ἀνελθὼν ἀνὴρ ὑπατικὸς καὶ πολεμίους εἴκοσι καὶ τρεῖς ἐκ προκλήσεως ἀνῃρηκώς, Μᾶρκος Σερβίλιος, Αἰμίλιον μὲν ἔφη Παῦλον, ἡλίκος αὐτοκράτωρ γένοιτο νῦν [3] μάλιστα γινώσκειν, ὁρῶν ὅσης ἀπειθείας γέμοντι καὶ κακίας στρατεύματι χρώμενος οὕτω καλὰς κατώρθωσε καὶ μεγάλας πράξεις· θαυμάζειν δὲ τὸν δῆμον εἰ τοῖς ἀπ᾽ Ἰλλυριῶν καὶ Λιγύων ἀγαλλόμενος θριάμβοις αὑτῷ φθονεῖ τὸν Μακεδόνων βασιλέα ζῶντα καὶ τὴν Ἀλεξάνδρου καὶ Φιλίππου δόξαν ἐπιδεῖν ὑπὸ τοῖς Ῥωμαίων ὅπλοις ἀγομένην αἰχμάλωτον. [4] ‘πῶς γὰρ οὐ δεινὸν,’ εἶπεν, ‘εἰ, φήμης περὶ νίκης ἀβεβαίου πρότερον εἰς τὴν πόλιν ἐμπεσούσης, ἐθύσατε τοῖς θεοῖς εὐχόμενοι τοῦ λόγου τούτου ταχέως ἀπολαβεῖν τὴν ὄψιν, ἥκοντος δὲ τοῦ στρατηγοῦ μετὰ τῆς ἀληθινῆς νίκης ἀφαιρεῖσθε τῶν μὲν θεῶν τὴν τιμήν, αὑτῶν δὲ τὴν χαράν, ὡς φοβούμενοι θεάσασθαι τὸ μέγεθος τῶν κατορθωμάτων ἢ φειδόμενοι τοῦ πολεμίου βασιλέως · καίτοι κρεῖττον ἦν τῷ πρὸς ἐκεῖνον ἐλέῳ, μὴ τῷ πρὸς αὐτοκράτορα φθόνῳ λυθῆναι τὸν θρίαμβον. [5] ἀλλ᾽ εἰς τοσαύτην,’ ἔφη, ‘τὸ κακόηθες ἐξουσίαν προάγεται δι᾽ ὑμῶν ὥστε περὶ στρατηγίας καὶ θριάμβου τολμᾷ λέγειν ἄνθρωπος ἄτρωτος καὶ τῷ σώματι στίλβων ὑπὸ λειότητος καὶ σκιατραφίας πρὸς ἡμᾶς τοὺς τοσούτοις τραύμασι πεπαιδευμένους ἀρετὰς καὶ κακίας κρίνειν στρατηγῶν.’ ἅμα δὲ τῆς ἐσθῆτος διασχών ἐξέφηνε κατὰ τῶν στέρνων ὠτειλὰς ἀπίστους τὸ πλῆθος. [6] εἶτα μεταστραφεὶς ἔνια τῶν οὐκ εὐπρεπῶς ἐν ὄχλῳ γυμνοῦσθαι δοκούντων τοῦ σώματος ἀνεκάλυψε, καὶ πρὸς τὸν Γάλβαν ἐπιστρέψας, ‘σὺ μὲν,’ ἔφη, ‘γελᾷς ἐπὶ τούτοις, ἐγὼ δὲ σεμνύνομαι πρὸς τοὺς πολίτας · ὑπὲρ τούτων γὰρ ἡμέραν καὶ νύκτα συνεχῶς ἱππασάμενος ταῦτ᾽ ἔσχον. ἀλλ᾽ ἄγε λαβὼν αὐτοὺς ἐπὶ τὴν ψῆφον · ἐγὼ δὲ καταβὰς παρακολουθήσω πᾶσι, καὶ γνώσομαι τοὺς κακοὺς καὶ ἀχαρίστους καὶ δημαγωγεῖσθαι μᾶλλον ἐν τοῖς πολέμοις ἢ στρατηγεῖσθαι βουλομένους.’
[XXXI] Svoltasi la votazione non appena si fece giorno, la prima tribù espresse un voto contrario al trionfo, e la notizia del fatto si diffuse tra il resto del popolo ed il Senato. E la folla pur dolendosi che Emilio venisse oltraggiato, si lamentava inutilmente, mentre i più conosciuti fra quelli che prendevano parte al consiglio, gridando che quanto accadeva era indegno, si esortavano l’un l’altro per fermare l’insolenza e l’arrogante condotta dei soldati, la quale sarebbe infine arrivata ad azioni contrarie alla legge e violente, se non si fosse impedita la loro volontà di togliere ad Emilio gli onori derivanti dalla vittoria. Respinta la folla e saliti tutti insieme sul Campidoglio, chiesero ai tribuni di interrompere le operazioni di voto, fino a che non avessero riferito al popolo quello che intendevano dire. Dato l’ordine di interrompere la votazione e calato il silenzio, salito sulla tribuna un uomo con dignità consolare, che aveva sfidato ed ucciso ventitré nemici, Marco Servilio, disse che proprio allora comprendeva la grandezza di Emilio Paolo come generale, ora che vedeva di quanta perversità e disobbedienza fosse carico l’esercito con cui Emilio aveva ottenuto così grandi e splendidi successi: e disse di meravigliarsi del popolo, se questo, esaltandosi per i trionfi sugli Illiri e sui Liguri, per invidia rinunciava ad assistere allo spettacolo del re dei Macedoni preso vivo e della gloria di Alessandro e Filippo condotta prigioniera sotto le armi romane. “Come – egli disse – non sarebbe indegno, se, diffusasi in precedenza per la città la notizia non del tutto sicura della vittoria, voi avete offerto sacrifici agli dei, pregando di vedere al più presto quanto si raccontava, ed ora invece, giunto il generale recando con sé la vera vittoria, private gli dei degli onori, e voi stessi della gioia, come se foste timorosi di contemplare la grandezza dei successi o desiderosi di risparmiare il nemico ? Eppure sarebbe meglio che il trionfo venisse annullato per pietà verso il vinto, non per odio verso il generale vittorioso. Ma – egli aggiunse – per opera vostra la malignità si è spinta ad una tale licenza che ha il coraggio di parlarci di comandi e di trionfo un uomo senza ferite, con la pelle levigata e splendente per la vita sedentaria, a noi che abbiamo imparato da ferite così profonde a distinguere il valore e la cattiva condotta dei comandanti”. E, mentre parlava, stracciatasi la veste, mostrò un numero incredibile di cicatrici sul proprio petto. Poi voltatosi svelò alcune di quelle parti del corpo che non sembra conveniente denudare tra la folla e rivolgendosi a Galba “tu ridi – disse- per questo, ma io ne vado fiero davanti ai cittadini. Per loro infatti me le sono procurate cavalcando di continuo, giorno e notte. Avanti, portali a votare ! Io sceso tra la folla, seguirò ognuno e conoscerò i malevoli e gli ingrati e quanti in guerra desiderano essere guidati da un capopopolo piuttosto che da un comandante”.
[XXXII] οὕτω φασὶν ὑπὸ τῶν λόγων τούτων ἀνακοπῆναι καὶ μεταβαλεῖν τὸ στρατιωτικόν ὥστε πάσαις ταῖς φυλαῖς ἐπικυρωθῆναι τῷ Αἰμιλίῳ τὸν θρίαμβον. πεμφθῆναι δ᾽ αὐτὸν οὕτω λέγουσιν. ὁ μὲν δῆμος ἔν τε τοῖς ἱππικοῖς θεάτροις, ἃ κίρκους καλοῦσι, περί τε τήν ἀγορὰν ἰκρία πηξάμενοι, καὶ τἆλλα τῆς πόλεως μέρη καταλαβόντες, ὡς ἕκαστα παρεῖχε τῆς πομπῆς ἔποψιν, ἐθεῶντο καθαραῖς ἐσθῆσι κεκοσμημένοι. [2] πᾶς δὲ ναὸς ἀνέῳκτο καὶ στεφάνων καὶ θυμιαμάτων ἦν πλήρης, ὑπηρέται τε πολλοὶ καὶ ῥαβδονόμοι τοὺς ἀτάκτως συρρέοντας εἰς τὸ μέσον καὶ διαθέοντας ἐξείργοντες ἀναπεπταμένας τὰς ὁδοὺς καὶ καθαρὰς παρεῖχον. τῆς δὲ πομπῆς εἰς ἡμέρας τρεῖς νενεμημένης, ἡ μὲν πρώτη μόλις ἐξαρκέσασα τοῖς αἰχμαλώτοις ἀνδριάσι καὶ γραφαῖς καὶ κολοσσοῖς ἐπὶ ζευγῶν πεντήκοντα καὶ διακοσίων κομιζομένοις τούτων ἔσχε θέαν. [3] τῇ δ᾽ ὑστεραίᾳ τὰ κάλλιστα καὶ πολυτελέστατα τῶν Μακεδονικῶν ὅπλων ἐπέμπετο πολλαῖς ἁμάξαις, αὐτά τε μαρμαίροντα χαλκῷ νεοσμήκτῳ καὶ σιδήρῳ, τήν τε θέσιν ἐκ τέχνης καὶ συναρμογῆς ὡς ἂν μάλιστα συμπεφορημένοις χύδην καὶ αὐτομάτως ἐοίκοι πεποιημένα, κράνη πρὸς ἀσπίσι καὶ θώρακες ἐπὶ κνημῖσι, [4] καὶ Κρητικαὶ πέλται καὶ Θρᾴκια γέρρα καὶ φαρέτραι μετὰ ἱππικῶν ἀναμεμιγμέναι χαλινῶν, καὶ ξίφη γυμνὰ διὰ τούτων παρανίσχοντα καὶ σάρισαι παραπεπηγυῖαι, σύμμετρον ἐχόντων χάλασμα τῶν ὅπλων, ὥστε τήν πρὸς ἄλληλα κροῦσιν ἐν τῷ διαφέρεσθαι τραχὺ καὶ φοβερὸν ὑπηχεῖν, καὶ μηδὲ νενικημένων ἄφοβον εἶναι τήν ὄψιν. [5] μετὰ δὲ τὰς ὁπλοφόρους ἁμάξας ἄνδρες ἐπἐπορεύοντο τρισχίλιοι νόμισμα φέροντες ἀργυροῦν ἐν ἀγγείοις ἑπτακοσίοις πεντήκοντα τριταλάντοις, ὧν ἕκαστον ἀνὰ τέσσαρες ἐκόμιζον ἄλλοι δὲ κρατῆρας ἀργυροῦς καὶ κέρατα καὶ φιάλας καὶ κύλικας, εὖ διακεκοσμημένα πρὸς θέαν ἕκαστα καὶ περιττὰ τῷ μεγέθει καὶ τῇ παχύτητι τῆς τορείας.
[XXXII] L’esercito, dicono, rimase colpito da queste parole e mutò opinione tanto che ad Emilio venne ratificato il trionfo con il voto di tutte le tribù. E si svolse in tal modo. Il popolo, avendo fissato dei sedili sia nei teatri ippici, che chiamano circhi, sia attorno al Foro, e occupato le restanti parti della città, a seconda di come ciascuna offriva la vista dall’alto del corteo, assistevano allo spettacolo con indosso vesti candide. Ogni tempio era stato aperto, era pieno di corone e profumava d’incenso, un gran numero di servi e di littori tenevano lontani quanti confluivano disordinatamente correndo qua e là, facevano largo e liberavano le strade. Dato che il corteo era stato suddiviso in tre giornate, nella prima, che bastò a fatica per le statue, i dipinti e i colossi, trasportati su duecentocinquanta cocchi, si assistette allo spettacolo di tutte queste cose. Il giorno successivo invece sfilarono in processione su numerosi carri le più belle e ricche armature macedoni, brillavano di bronzo appena lucidato e di ferro, ed erano disposte ad arte e con ordine, perché assomigliassero in ogni modo ad armi raccolte alla rinfusa e casualmente, elmi davanti agli scudi, corazze sopra gli schinieri, scudi cretesi e scudi ovali traci e faretre mescolate assieme alle briglie dei cavalli, e nel mezzo spade sguainate che spuntavano accanto, e sarisse piantate vicino a queste, con le armi che erano disposte ad intervalli regolari, così che, quando collidevano l’una con l’altra nel mentre venivano trasportate, risuonavano in maniera terribile ed aspra, e pure lo spettacolo dei vinti non era privo di terrore. Dietro i carri che trasportavano le armi venivano tremila uomini, che recavano monete d’argento in settecentocinquanta vasi dal peso di tre talenti, ciascuno dei quali era sostenuto da quattro uomini: altri portavano crateri d’argento, corni per bere, tazze e coppe, tutti oggetti disposti con cura alla vista, straordinari per la grandezza e per lo spessore del lavoro a sbalzo.
[XXXIII] τῆς δὲ τρίτης ἡμέρας ἕωθεν μὲν εὐθὺς ἐπορεύοντο σαλπιγκταί μέλος οὐ προσόδιον καὶ πομπικόν, ἀλλ᾽ οἵῳ μαχομένους ἐποτρύνουσιν αὑτοὺς Ῥωμαῖοι, προσεγκελευόμενοι. μετὰ δὲ τούτους ἤγοντο χρυσόκερῳ τροφίαι βοῦς ἑκατὸν εἴκοσι, μίτραις ἠσκημένοι καὶ στέμμασιν. οἱ δ᾽ ἄγοντες αὑτοὺς νεανίσκοι περιζώμασιν εὐπαρύφοις ἐσταλμένοι πρὸς ἱερουργίαν ἐχώρουν, καὶ παῖδες ἀργυρᾶ λοιβεῖα καὶ χρυσᾶ κομίζοντες, [2] εἶτα μετὰ τούτους οἱ τὸ χρυσοῦν νόμισμα φέροντες, εἰς ἀγγεῖα τριταλαντιαῖα μεμερισμένον ὁμοίως τῷ ἀργυρίῷ. τὸ δὲ πλῆθος ἦν τῶν ἀγγείων ὀγδοήκοντα τριῶν δέοντα. τούτοις ἐπέβαλλον οἵ τε τὴν ἱερὰν φιάλην ἀνέχοντες, ἦν ὁ Αἰμίλιος ἐκ χρυσοῦ δέκα ταλάντων διὰ λίθων κατεσκεύασεν, οἵ τε τὰς Ἀντιγονίδας καὶ Σελευκίδας καὶ Θηρικλείους καὶ ὅσα περὶ δεῖπνον χρυσώματα τοῦ Περσέως ἐπιδεικνύμενοι. [3] τούτοις ἐπέβαλλε τὸ ἅρμα τοῦ Περσέως καὶ τὰ ὅπλα καὶ τὸ διάδημα τοῖς ὅπλοις ἐπικείμενον. εἶτα μικροῦ διαλείμματος ὄντος ἤδη τὰ τέκνα τοῦ βασιλέως ἤγετο δοῦλα, καὶ σὺν αὐτοῖς τροφέων καὶ διδασκάλων καὶ παιδαγωγῶν δεδακρυμένων ὄχλος, αὐτῶν τε τὰς χεῖρας ὀρεγόντων εἰς τοὺς θεατάς καὶ τὰ παιδία δεῖσθαι καὶ λιτανεύειν διδασκόντων. [4] ἦν δ᾽ ἄρρενα μὲν δύο, θῆλυ δὲ ἕν, οὐ πάνυ συμφρονοῦντα τῶν κακῶν τὸ μέγεθος διὰ τὴν ἡλικίαν · ᾗ καὶ μᾶλλον ἐλεεινὰ πρὸς τὴν μεταβολὴν τῆς ἀναισθησίας ἦν, ὥστε μικροῦ τὸν Περσέα βαδίζειν παρορώμενον · οὕτως ὑπ᾽ οἴκτου τοῖς νηπίοις προσεῖχον τὰς ὄψεις οἱ Ῥωμαῖοι, καὶ δάκρυα πολλοῖς ἐκβάλλειν συνέβη, πᾶσι δὲ μεμιγμένην ἀλγηδόνι καὶ χάριτι τὴν θέαν εἶναι μέχρι οὗ τὰ παιδία παρῆλθεν.
[XXXIII] Nella terza giornata al mattino giunsero subito i trombettieri suonando non una musica di solenne processione, bensì una di quelle con cui i Romani incitano sé stessi quando combattono. Dietro di loro venivano condotti centoventi buoi d’allevamento con corna ricoperte d’oro per il sacrificio, adornati con bende e ghirlande. I giovinetti che li conducevano, abbigliati con grembiuli dall’orlo purpureo, procedevano verso il rito sacrificale, assieme a loro fanciulli recanti tazze d’oro e d’argento per le libagioni. A seguire quelli che recavano le monete d’oro, distribuite in vasi da tre talenti ciascuno, in modo simile a quelle d’argento. Il numero dei vasi era settantasette. A questi si aggiunsero sia quanti tenevano sollevata la sacra coppa che Emilio aveva fatto realizzare, ornata con pietre preziose, da dieci talenti d’oro, sia quelli che mostravano le tazze dette Antigonide, Seleucide e Teraclea, e tutti gli oggetti d’oro che Perseo utilizzava per i banchetti. Ed ancora si aggiungeva il carro di Perseo, le armi e la corona posta sopra le armi. Dopo un breve intervallo venivano infine condotti come schiavi i figli del re, ed insieme a loro una moltitudine di tutori, maestri e pedagoghi in lacrime, che stendevano essi stessi le mani verso gli spettatori ed insegnavano ai bambini a chiedere e a supplicare con preghiere. Erano i figli due maschi ed una femmina, non pienamente in grado di comprendere, per via della giovane età, la grandezza dei loro mali. E per questo suscitavano un più profondo sentimento di pietà, pensando a quando l’inconsapevolezza di quei fanciulli sarebbe cessata, tanto che Perseo, mentre avanzava, era quasi trascurato. Così per compassione i Romani volgevano lo sguardo verso di loro e a molti accadde di versare lacrime, ma a tutti di assistere ad uno spettacolo in cui si mescolavano pena e gioia, fino a che i bambini non passarono oltre.
[XXXIV] αὐτὸς δὲ τῶν τέκνων ὁ Περσεὺς καὶ τῆς περὶ αὐτὰ θεραπείας κατόπιν ἐπορεύετο, φαιὸν μὲν ἱμάτιον ἀμπεχόμενος καὶ κρηπῖδας ἔχων ἐπιχωρίους, ὑπὸ δὲ μεγέθους τῶν κακῶν πάντα θαμβοῦντι καὶ παραπεπληγμένῳ μάλιστα τὸν λογισμὸν ἐοικώς. καὶ τούτῳ δ᾽ εἵπετο χορὸς φίλων καὶ συνήθων, βεβαρημένων τὰ πρόσωπα πένθει, καὶ τῷ πρὸς Περσέα βλέπειν ἀεὶ καὶ δακρύειν ἔννοιαν παριστάντων τοῖς θεωμένοις ὅτι τὴν ἐκείνου τύχην ὀλοφύρονται τῶν καθ᾽ ἑαυτοὺς ἐλάχιστα φροντίζοντες. [2] καίτοι προσέπεμψε τῷ Αἰμιλίῳ δεόμενος μὴ πομπευθῆναι καὶ παραιτούμενος τὸν θρίαμβον. ὁ δὲ τῆς ἀνανδρίας αὑτοῦ καὶ φιλοψυχίας, ὡς ἔοικε, καταγελῶν, ‘ἀλλὰ τοῦτό γ᾽,’ εἶπε, ‘καὶ πρότερον ἦν ἐπ᾽ αὐτῷ καὶ νῦν ἐστιν, ἂν βούληται’ δηλῶν τὸν πρὸ αἰσχύνης θάνατον, ὃν οὐχ ὑπομείνας ὁ δείλαιος, ἀλλ᾽ ὑπ᾽ ἐλπίδων τινῶν ἀπομαλακισθείς ἐγεγόνει μέρος τῶν αὑτοῦ λαφύρων. [3] ἐφεξῆς δὲ τούτοις ἐκομίζοντο χρυσοῖ στέφανοι τετρακόσιοι τὸ πλῆθος, οὓς αἱ πόλεις ἀριστεῖα τῆς νίκης τῷ Αἰμιλίῳ μετὰ πρεσβειῶν ἔπεμψαν. εἶτ᾽ αὐτὸς ἐπέβαλλεν ἅρματι κεκοσμημένῳ διαπρεπῶς ἐπιβεβηκώς, ἀνὴρ καὶ δίχα τοσαύτης ἐξουσίας ἀξιοθέατος, ἁλουργίδα χρυσόπαστον ἀμπεχόμενος καὶ δάφνης κλῶνα τῇ δεξιᾷ προτείνων. [4] ἐδαφνηφόρει δὲ καὶ σύμπας ὁ στρατός, τῷ μὲν ἅρματι τοῦ στρατηγοῦ κατὰ λόχους καὶ τάξεις ἑπόμενος, ᾁδων δὲ τὰ μὲν ᾠδάς τινας πατρίους ἀναμεμιγμένας γέλωτι, τὰ δὲ παιᾶνας ἐπινικίους καὶ τῶν διαπεπραγμένων ἐπαίνους εἰς τὸν Αἰμίλιον περίβλεπτον ὄντα καὶ ζηλωτὸν ὑπὸ πάντων, οὐδενὶ δὲ τῶν ἀγαθῶν ἐπίφθονον πλὴν εἴ τι δαιμόνιον ἄρα τῶν μεγάλων καὶ ὑπερόγκων εἴληχεν εὐτυχιῶν ἀπαρύτειν καὶ μιγνύναι τὸν ἀνθρώπινον βίον, ὅπως μηδενὶ κακῶν ἄκρατος εἴη καὶ καθαρός, ἀλλὰ καθ᾽ Ὅμηρον ἄριστα δοκῶσι πράττειν οἷς αἱ τύχαι τροπὴν ἐπ᾽ ἀμφότερα τῶν πραγμάτων ἔχουσιν.
[XXXIV] Perseo veniva dietro ai figli e a loro seguito di servi. Avvolto in un mantello grigio e con dei calzari del suo paese ai piedi, mostrando l’aspetto, a causa dell’enorme sventura, di un uomo del tutto sbigottito e che ha perduto completamente la ragione. Lo seguiva un gruppo di amici e di familiari, col volto gravato dalla sofferenza, che davano l’impressione a chi osservava, col volgersi a guardare continuamente Perseo e a compiangerlo, di compatire la sua sorte, tenendo in pochissimo conto la loro. Eppure si era rivolto ad Emilio, chiedendo di non essere condotto in processione e scongiurando con preghiere il trionfo. Emilio, come pare, ridendo della sua codardia e del suo attaccamento alla vita “questo – disse – gli era possibile anche prima, come pure adesso, se lo desidera” indicando, piuttosto che la vergogna, la morte, non avendo, da vile, affrontato la quale, mostratosi debole in virtù di qualche speranza, era divenuto parte delle sue stesse spoglie di guerra. A seguire venivano portate quattrocento corone d’oro, che le città, assieme agli ambasciatori, avevano inviato ad Emilio come premio per la vittoria. E poi veniva Emilio stesso, sopra un carro adornato splendidamente, un uomo che meritava di essere osservato anche se non gli fosse stato concesso un potere così grande, avvolto in una veste purpurea ricamata d’oro, mentre tendeva innanzi con la mano destra un ramo d’alloro. Portava rami d’alloro anche l’intero esercito, che seguiva il carro del generale schierato in compagnie e reparti, chi intonando canti tradizionali, mescolati a battute di spirito, chi peana di vittoria e lodi delle azioni compiute rivolti ad Emilio, ammirato e visto da tutti con rispetto, ma non esposto all’invidia di alcuno, fra le persone d’animo nobile; eppure è destino che un dio tolga qualcosa, se questo eccede in misura troppo larga la grandezza dei successi, e confonda, mescolandole tra loro, le vicende umane, perché nessuno vivendo possieda un’ esistenza immune e scevra dai mali, ma come afferma Omero [Il. 24. 525-533], sembrino raggiungere la piena prosperità quelli la cui sorte inclina verso entrambe le condizioni, la gioia e il dolore.
[XXXV] ἦσαν γὰρ αὐτῷ τέσσαρες υἱοί, δύο μὲν εἰς ἑτέρας ἀπῳκισμένοι συγγενείας, ὡς ἤδη λέλεκται, Σκηπίων καὶ Φάβιος, δύο δὲ παῖδες ἔτι τὴν ἡλικίαν, οὓς ἐπὶ τῆς οἰκίας εἶχε τῆς ἑαυτοῦ γεγονότας ἐξ ἑτέρας γυναικός. [2] ὧν ὁ μὲν ἡμέραις πέντε πρὸ τοῦ θριαμβεύειν τὸν Αἰμίλιον ἐτελεύτησε τεσσαρεσκαιδεκέτης, ὁ δὲ δωδεκέτης μετὰ τρεῖς ἡμέρας θριαμβεύσαντος ἐπαπέθανεν, ὥστε μηδένα γενέσθαι Ῥωμαίων τοῦ πάθους ἀνάλγητον, ἀλλὰ φρῖξαι τὴν ὠμότητα τῆς τύχης ἅπαντας, ὡς οὐκ ᾐδέσατο πένθος τοσοῦτον εἰς οἰκίαν ζήλου καὶ χαρᾶς καὶ θυσιῶν γέμουσαν εἰσάγουσα, καὶ καταμιγνύουσα θρήνους καὶ δάκρυα παιᾶσιν ἐπινικίοις καὶ θριάμβοις.
[XXXV] Emilio aveva quattro figli, due, Scipione e Fabio, adottati in altre famiglie, come si è già detto, due ancora in giovane età, che egli teneva in casa propria, nati dalla seconda moglie. Di questi uno morì all’età di quattordici anni, cinque giorni prima che Emilio trionfasse, l’altro, di dodici anni, venne meno anch’egli tre giorni dopo il trionfo, tanto che nessun cittadino di Roma rimase insensibile al dolore per quanto accaduto, ma tutti inorridirono davanti alla crudeltà della sorte, poiché non aveva avuto riguardo ad introdurre una così grande sofferenza in una dimora dove c’era gloria, felicità e dove si celebravano sacrifici in onore degli dei, e a mescolare lamenti e lacrime a peana di vittoria e alla gioia per il trionfo.
[XXXVI] οὐ μὴν ἀλλ᾽ ὁ Αἰμίλιος ὀρθῶς λογιζόμενος ἀνδρείας καὶ θαρραλεότητος ἀνθρώποις οὐ πρὸς ὅπλα καὶ σαρίσας χρῆσιν εἶναι μόνον, ἀλλὰ πρὸς πᾶσαν ὁμαλῶς τύχης ἀντίστασιν, οὕτως ἡρμόσατο καὶ κατεκόσμησε τὴν τῶν παρόντων σύγκρασιν ὥστε τοῖς ἀγαθοῖς τὰ φαῦλα καὶ τὰ οἰκεῖα τοῖς δημοσίοις ἐναφανισθέντα μὴ ταπεινῶσαι τὸ μέγεθος μηδὲ καθυβρίσαι τὸ ἀξίωμα τῆς νίκης. [2] τὸν μέν γε πρότερον τῶν παίδων ἀποθανόντα θάψας εὐθὺς ἐθριάμβευσεν, ὡς λέλεκται· τοῦ δὲ δευτέρου μετὰ τὸν θρίαμβον τελευτήσαντος συναγαγὼν εἰς ἐκκλησίαν τὸν Ῥωμαίων δῆμον ἐχρήσατο λόγοις ἀνδρὸς οὐ δεομένου παραμυθίας, ἀλλὰ παραμυθουμένου τοὺς πολίτας δυσπαθοῦντας ἐφ᾽ οἷς ἐκεῖνος ἐδυστύχησεν. ἔφη γάρ ὅτι τῶν ἀνθρωπίνων οὐδὲν οὐδέποτε δείσας, τῶν δὲ θείων ὡς ἀπιστότατον καὶ ποικιλώτατον πρᾶγμα τὴν [3] τύχην ἀεὶ φοβηθείς, μάλιστα περὶ τοῦτον αὐτῆς τὸν πόλεμον, ὥσπερ πνεύματος λαμπροῦ, ταῖς πράξεσι παρούσης, διατελοίη μεταβολήν τινα καὶ παλίρροιαν προσδεχόμενος. ‘μιᾷ μὲν γὰρ,’ εἶπεν, ‘ἡμέρᾳ τὸν Ἰόνιον ἀπὸ Βρεντεσίου περάσας εἰς Κέρκυραν κατήχθην πεμπταῖος δ᾽ ἐκεῖθεν ἐν Δελφοῖς τῷ θεῷ θύσας, ἑτέραις αὖθις αὖ πέντε τὴν δύναμιν ἐν Μακεδονίᾳ παρέλαβον, καὶ τὸν εἰωθότα συντελέσας καθαρμὸν αὐτῆς καὶ τῶν πράξεων εὐθὺς ἐναρξάμενος ἐν ἡμέραις ἄλλαις πεντεκαίδεκα τὸ κάλλιστον ἐπέθηκα τῷ πολέμῳ τέλος. [4] ἀπιστῶν δὲ τῇ Τύχῃ διὰ τὴν εὔροιαν τῶν πραγμάτων, ὡς ἄδεια πολλὴ καὶ κίνδυνος οὐδεὶς ἦν ἀπὸ τῶν πολεμίων, μάλιστα κατὰ πλοῦν ἐδεδίειν τὴν μεταβολὴν τοῦ δαίμονος ἐπ᾽ εὐτυχίᾳ, τοσοῦτον στρατὸν νενικηκότα καὶ λάφυρα καὶ βασιλεῖς αἰχμαλώτους κομίζων. οὐ μὴν ἀλλὰ καὶ σωθεὶς πρὸς ὑμᾶς καὶ τὴν πόλιν ὁρῶν εὐφροσύνης καὶ ζήλου καὶ θυσιῶν γέμουσαν, ἔτι τὴν Τύχην δι᾽ ὑποψίας εἶχον, εἰδὼς οὐδὲν εἰλικρινὲς οὐδ᾽ ἀνεμέσητον ἀνθρώποις τῶν μεγάλων χαριζομένην. [5] καὶ τοῦτον οὐ πρότερον ἡ ψυχὴ τὸν φόβον ὠδίνουσα καὶ περισκοπουμένη τό μέλλον ὑπὲρ τῆς πόλεως ἀφῆκεν ἢ τηλικαύτῃ με προσπταῖσαι δυστυχίᾳ περὶ τὸν οἶκον, υἱῶν ἀρίστων, οὓς ἐμαυτῷ μόνους ἐλιπόμην διαδόχους, ταφὰς ἐπαλλήλους ἐν ἡμέραις ἱεραῖς μεταχειρισάμενον. [6] νῦν οὖν ἀκίνδυνός εἰμι τὰ μέγιστα καὶ θαρρῶ, καὶ νομίζω τὴν Τύχην ὑμῖν παραμενεῖν ἀβλαβῆ καὶ βέβαιον. ἱκανῶς γὰρ ἐμοὶ καὶ τοῖς ἐμοῖς κακοῖς εἰς τὴν τῶν κατωρθωμένων ἀποκέχρηται νέμεσιν, οὐκ ἀφανέστερον ἔχουσα παράδειγμα τῆς ἀνθρωπίνης ἀσθενείας τοῦ θριαμβευομένου τὸν θριαμβεύοντα πλὴν ὅτι Περσεὺς μὲν ἔχει καὶ νενικημένος τοὺς παῖδας, Αἰμίλιος δὲ τοὺς αὑτοῦ νικήσας ἀπέβαλεν.’
[XXXVI] Emilio tuttavia, pensando giustamente che il coraggio ed il valore andasse usato dagli uomini non solo contro le armi o le sarisse, ma allo stesso modo contro ogni avversità della sorte, ricompose e mise in ordine la mescolanza indistinta di quanto accadeva in quel momento, così che le cose di poco conto, annullate in quelle più degne, e le vicende domestiche, svanite negli affari pubblici, non sminuissero la grandezza e non oltraggiassero la dignità della vittoria. Difatti, dopo aver seppellito il figlio morto per primo, subito celebrò il trionfo, come è stato detto. Morto il secondo figlio dopo il trionfo, egli, raccolto il popolo romano in assemblea, usò parole di un uomo che non aveva bisogno di conforto, ma che piuttosto confortava i cittadini, addolorati per la sua sventura. Diceva che, non avendo mai temuto nulla delle realtà umane, ma, fra quelle divine, essendo stato sempre timoroso della Fortuna, come della cosa più infida e mutevole, soprattutto perché in questa guerra la sua presenza era stata simile ad un vento favorevole ed impetuoso che soffiando sospinge gli eventi, non aveva mai smesso di aspettarsi qualche mutamento e rovescio. “In una sola giornata infatti – egli disse – attraversato lo Ionio partito da Brindisi, sbarcai a Corcira. Avendo sacrificato al dio di Delfi cinque giorni dopo la partenza da lì, dopo altri cinque giorni ho assunto il comando dell’esercito in Macedonia e, dopo aver compiuto il consueto rituale purificatorio dell’esercito stesso e dato immediatamente inizio alle operazioni, in altri quindici giorni ho portato a termine la guerra nella maniera migliore. Dando poca fiducia alla Fortuna per via della facile vittoria, poiché non vi era alcun timore e pericolo dato dai nemici, temevo, soprattutto durante la traversata di ritorno, il mutamento del dio rispetto a tutti questi successi mentre riconducevo un così grande esercito vittorioso e così largo bottino e re fatti prigionieri. Nonostante tutto, anche dopo che giunsi salvo fra di voi e vedendo la città piena di gioia, di ammirazione, e che tutta offriva sacrifici agli dei, guardavo ancora con sospetto la Fortuna, consapevole che questa nulla concede di grande agli uomini che sia integro ed esente dal risentimento dei numi. E l’animo, travagliato ed intento a scrutare quello che sarebbe stato della città, non ha abbandonato tali paure prima che io cadessi in questa grande sventura abbattutasi sulla mia casa, dopo aver composto, nei giorni dedicati alla festa, le esequie ravvicinate di figli nobilissimi, che avevo lasciato come miei soli eredi. Ora dunque per me non c’è più pericolo, non ho timore, e credo che la Fortuna sarà per voi sicura ed innocua. In maniera sufficiente si è servita di me e dei miei mali per vendicare i successi, mostrando quale esempio non meno evidente dell’impotenza umana il trionfatore rispetto a chi è trascinato nel trionfo, eccetto che Perseo, anche se vinto, possiede ancora i figli, Emilio invece, dopo aver riportato la vittoria, li ha perduti”.
[XXXVII] οὕτω μὲν εὐγενεῖς καὶ μεγάλους λόγους τὸν Αἰμίλιον ἐξ ἀπλάστου καὶ ἀληθινοῦ φρονήματος ἐν τῷ δήμῳ διαλεχθῆναι λέγουσι. τῷ δὲ Περσεῖ, καίπερ οἰκτείρας τὴν μεταβολὴν καὶ μάλα βοηθῆσαι προθυμηθείς, οὐδὲν εὕρετο πλὴν μεταστάσεως ἐκ τοῦ καλουμένου κάρκερε παρ᾽ αὐτοῖς εἰς τόπον καθαρὸν καὶ φιλανθρωποτέραν δίαιταν, [2] ὅπου φρουρούμενος, ὡς μὲν οἱ πλεῖστοι γεγράφασιν, ἀπεκαρτέρησεν, ἔνιοι δὲ τῆς τελευτῆς ἴδιόν τινα καὶ παρηλλαγμένον τρόπον ἱστοροῦσι. μεμψαμένους γάρ τι καὶ θυμωθέντας αὐτῷ τοὺς περὶ τὸ σῶμα στρατιώτας, ὡς ἕτερον οὐδὲν ἠδύναντο λυπεῖν καὶ κακοῦν αὐτόν, ἐξείργειν τῶν ὕπνων, καὶ προσέχοντας ἀκριβῶς ἐνίστασθαι ταῖς καταφοραῖς καὶ συνέχειν ἐγρηγορότα πάσῃ μηχανῇ, μέχρι οὗ τοῦτον τὸν τρόπον ἐκπονηθεὶς ἐτελεύτησεν. [3] ἐτελεύτησε δὲ καὶ τῶν παιδίων τὰ δύο. τὸν δὲ τρίτον, Ἀλέξανδρον, εὐφυᾶ μὲν ἐν τῷ τορεύειν καὶ λεπτουργεῖν γενέσθαι φασίν, ἐκμαθόντα δὲ τὰ Ῥωμαϊκὰ γράμματα καὶ τὴν διάλεκτον ὑπογραμματεύειν τοῖς ἄρχουσιν, ἐπιδέξιον καὶ χαρίεντα περὶ ταύτην τὴν ὑπηρεσίαν ἐξεταζόμενον.
[XXXVII] Un così nobile discorso dicono che Emilio proferì tra il popolo da un orgoglio non artefatto, ma sincero. Eppure nei confronti di Perseo, anche se ne commiserava la fortuna mutata ed era ben disposto ad aiutarlo, non trovò altro rimedio se non il trasferimento da quello che i Romani chiamano carcer in un luogo pulito e in una dimora più umana dove, sotto sorveglianza, come per la maggior parte è stato scritto, si lascio morire d’inedia; alcuni invece danno un racconto particolare e diverso della sua fine: gli uomini che lo sorvegliavano, lamentandosi di lui per qualcosa e presi dall’ira nei suoi confronti, dato che non potevano affliggerlo e maltrattarlo in altro modo, gli impedivano il sonno, facendo particolare attenzione ad ostacolare i momenti in cui si abbandonava al riposo e a tenerlo continuamente sveglio con ogni mezzo, fintanto che stremato da questa condotta morì. Morirono anche due dei figli. Dicono che il terzo, Alessandro, fosse invece abile a lavorare a sbalzo e nell’intaglio, e che, avendo imparato a leggere e a parlare latino, ricoprì il ruolo di segretario dei magistrati, in quanto era valutato capace e bravo in questo tipo di servizio.
[XXXVIII] ταῖς δὲ Μακεδονικαῖς πράξεσι τοῦ Αἰμιλίου δημοτικωτάτην προσγράφουσι χάριν ὑπὲρ τῶν πολλῶν, ὡς τοσούτων εἰς τὸ δημόσιον τότε χρημάτων ὑπ᾽ αὐτοῦ τεθέντων ὥστε μηκέτι δεῆσαι τὸν δῆμον εἰσενεγκεῖν ἄχρι τῶν Ἱρτίου καὶ Πάνσα χρόνων, οἳ περὶ τὸν πρῶτον Ἀντωνίου καὶ Καίσαρος πόλεμον ὑπάτευσαν. [2] κἀκεῖνο δ᾽ ἴδιον καὶ περιττὸν τοῦ Αἰμιλίου, τὸ σπουδαζόμενον ὑπὸ τοῦ δήμου καὶ τιμώμενον διαφερόντως ἐπὶ τῆς ἀριστοκρατικῆς μεῖναι προαιρέσεως, καὶ μηδὲν εἰπεῖν μηδὲ πρᾶξαι χάριτι τῶν πολλῶν, ἀλλὰ τοῖς πρώτοις καὶ κρατίστοις ἀεὶ συνεξετάζεσθαι περὶ τὴν πολιτείαν. ὃ καὶ χρόνοις ὕστερον Ἄππιος ὠνείδισεν Ἀφρικανῷ Σκηπίωνι. [3] μέγιστοι γὰρ ὄντες ἐν τῇ πόλει τότε τὴν τιμητικὴν ἀρχὴν μετῄεσαν, ὁ μὲν τὴν βουλὴν ἔχων καὶ τοὺς ἀρίστους περὶ αὑτόν (αὕτη γὰρ Ἀππίοις ἡ πολιτεία πάτριος), ὁ δὲ μέγας μὲν ὢν ἐφ᾽ ἑαυτοῦ, μεγάλῃ δ᾽ ἀεὶ τῇ παρὰ τοῦ δήμου χάριτι καὶ σπουδῇ κεχρημένος. ὡς οὖν ἐμβάλλοντος εἰς ἀγορὰν τοῦ Σκηπίωνος κατεῖδε παρὰ πλευρὰν ὁ Ἄππιος ἀνθρώπους ἀγεννεῖς καὶ δεδουλευκότας, ἀγοραίους δὲ καὶ δυναμένους ὄχλον συναγαγεῖν καὶ σπουδαρχίᾳ καὶ κραυγῇ πάντα πράγματα βιάσασθαι, μέγα βοήσας [4] ‘ὦ Παῦλε,’ εἶπεν, ‘Αἰμίλιε, στέναξον ὑπὸ γῆς αἰσθόμενος ὅτι σου τὸν υἱὸν Αἰμίλιος ὁ κῆρυξ καὶ Λικίννιος Φιλόνεικος ἐπὶ τιμητείαν κατάγουσιν.’ ἀλλὰ Σκηπίων μὲν αὔξων τὰ πλεῖστα τὸν δῆμον εὔνουν εἶχεν, Αἰμίλιος δέ, καίπερ ὢν ἀριστοκρατικὸς, οὐδὲν ἧττον ὑπὸ τῶν πολλῶν ἠγαπᾶτο τοῦ μάλιστα δημαγωγεῖν καὶ πρός χάριν ὁμιλεῖν τοῖς πολλοῖς δοκοῦντος. [5] ἐδήλωσαν δὲ μετὰ τῶν ἄλλων καλῶν καὶ τιμητείας αὐτὸν ἀξιώσαντες, ἥτις ἐστὶν ἀρχὴ πασῶν ἱερωτάτη καὶ δυναμένη μέγα πρός τε τἆλλα καὶ πρός ἐξέτασιν βίων. ἐκβαλεῖν τε γὰρ ἔξεστι συγκλήτου τὸν ἀπρεπῶς ζῶντα τοῖς τιμηταῖς, καὶ προγράψαι τὸν ἄριστον, ἵππου τ᾽ ἀφαιρέσει τῶν νέων ἀτιμάσαι τὸν ἀκολασταίνοντα. καὶ τῶν οὐσιῶν οὗτοι τὰ τιμήματα καὶ τὰς ἀπογραφὰς ἐπισκοποῦσιν. [6] ἀπεγράψαντο μὲν οὖν κατ᾽ αὐτὸν μυριάδες ἀνθρώπων τριάκοντα τρεῖς, ἔτι δ᾽ ἑπτακισχίλιοι τετρακόσιοι πεντήκοντα δύο, τῆς δὲ βουλῆς προέγραψε μὲν Μᾶρκον Αἰμίλιον Λέπιδον, ἤδη τετράκις καρπούμενον ταύτην τὴν προεδρίαν, ἐξέβαλε δὲ τρεῖς συγκλητικοὺς οὐ τῶν ἐπιφανῶν, καὶ περὶ τὴν τῶν ἱππέων ἐξέτασιν ὁμοίως ἐμετρίασεν αὐτός τε καὶ Μάρκιος Φίλιππος ὁ συνάρχων αὐτοῦ.
[XXXVIII] Alle imprese Macedoni di Emilio riportano l’ampia popolarità che ebbe tra le masse, in quanto per opera sua venne allora assegnata all’erario una cifra così consistente, che il popolo non fu più necessitato a versare tributi fino al tempo di Irzio e Pansa, che furono consoli durante la prima guerra fra Antonio e Cesare Augusto [43 a.C.]. E quello rappresentava proprio la sua peculiare eccezionalità, pur essendo rispettato dal popolo ed onorato, rimanere sulla linea politica dell’aristocrazia e non dire né fare nulla per ingraziarsi le masse, ma, in merito alle azioni di governo, parteggiare sempre per i più ragguardevoli. Cosa che anche in seguito Appio rimproverò a Scipione Africano (Emiliano). Potentissimi in quei tempi a Roma, aspiravano entrambi alla censura, l’uno avendo attorno a sé il senato e i nobili (questa era infatti la politica tradizionale degli Appi), l’altro essendo potente di suo, ma contando sempre sul favore e l’appoggio del popolo. Poiché dunque Appio, mentre Scipione si dirigeva verso il Foro, vide al suo fianco uomini di basso rango e di origine servile, ma pratici della piazza e capaci di radunare la folla e di forzare violentemente ogni cosa con grida e sollecitazioni, “o Paolo Emilio – esclamò a gran voce – alza un lamento da sotto la terra, dopo aver sentito che Emilio il banditore e Licinnio Filonico conducono tuo figlio alla censura !”. Eppure, mentre Scipione ebbe dalla sua parte il popolo in quanto ne sosteneva il più possibile il potere, Emilio, anche se appartenente all’aristocrazia, era amato dalla plebe non meno di chi sembrava agire da capopopolo ed occuparsi delle folle per ottenerne i favori. E manifestarono questo affetto avendolo reso degno, insieme alle altre cariche, anche della censura, che è la magistratura più sacra fra tutte e che esercita in generale un grande potere, ma specialmente nell’esaminare la condotta dei cittadini. Ai censori infatti è consentito espellere dal Senato chi vive in modo indecoroso, designare al primo posto il migliore e revocare gli onori, con la sottrazione del titolo, a chi fra i giovani cavalieri si dimostri intemperante. Questi magistrati sono anche preposti alla valutazione delle proprietà e stilano le liste dei cittadini in base alle loro ricchezze. Durante la magistratura di Emilio vennero censiti trecentotrentasettemila e quattrocentocinquantadue uomini, ed egli designò princeps Senatus Marco Emilio Lepido, che già per la quarta volta godeva di tale privilegio, allontanò tre senatori non fra quelli illustri e, in merito all’esame dei cavalieri, conservò la moderazione, e come lui pure il suo collega Marcio Filippo.
[XXXIX] διῳκημένων δὲ τῶν πλείστων καὶ μεγίστων ἐνόσησε νόσον ἐν ἀρχῇ μὲν ἐπισφαλῆ, χρόνῳ δὲ ἀκίνδυνον, ἐργώδη δὲ καὶ δυσαπάλλακτον γενομένην. ἐπεὶ δὲ πεισθεὶς ὑπὸ τῶν ἰατρῶν ἔπλευσεν εἰς Ἐλέαν τῆς Ἰταλίας καὶ διέτριβεν αὐτόθι πλείω χρόνον ἐν παραλίοις ἀγροῖς καὶ πολλὴν ἡσυχίαν ἔχουσιν, ἐπόθησαν αὐτὸν οἱ Ῥωμαῖοι, καὶ φωνὰς πολλάκις ἐν θεάτροις οἷον εὐχόμενοι καὶ σπεύδοντες ἰδεῖν ἀφῆκαν. [2] οὔσης δέ τινος ἱερουργίας ἀναγκαίας, ἤδη δὲ καὶ δοκοῦντος ἱκανῶς ἔχειν αὐτῷ τοῦ σώματος, ἐπανῆλθεν εἰς Ῥώμην. κἀκείνην μὲν ἔθυσε μετὰ τῶν ἄλλων τὴν θυσίαν ἱερέων, ἐπιφανῶς τοῦ δήμου περικεχυμένου καὶ χαίροντος · τῇ δ᾽ ὑστεραίᾳ πάλιν ἔθυσεν αὐτὸς ὑπὲρ αὐτοῦ σωτήρια τοῖς θεοῖς. [3] καὶ συμπερανθείσης, ὡς προείρηται, τῆς θυσίας, ὑποστρέψας οἴκαδε καὶ κατακλιθείς, πρὶν αἰσθέσθαι καὶ νοῆσαι τὴν μεταβολήν, ἐν ἐκστάσει καὶ παραφορᾷ τῆς διανοίας γενόμενος τριταῖος ἐτελεύτησεν, οὐδενὸς ἐνδεὴς οὐδ᾽ ἀτελὴς τῶν πρὸς εὐδαιμονίαν νενομισμένων γενόμενος. καὶ γὰρ ἡ περὶ τὴν ἐκφορὰν πομπὴ θαυμασμὸν ἔσχε, καὶ ζῆλον ἐπικοσμοῦντα τὴν ἀρετὴν τοῦ ἀνδρὸς τοῖς ἀρίστοις καὶ μακαριωτάτοις ἐνταφίοις. [4] ταῦτα δ᾽ ἦν οὐ χρυσὸς οὐδ᾽ ἐλέφας οὐδ᾽ ἡ λοιπὴ πολυτέλεια καὶ φιλοτιμία τῆς παρασκευῆς, ἀλλ᾽ εὔνοια καὶ τιμὴ καὶ χάρις οὐ μόνον παρὰ τῶν πολιτῶν, ἀλλὰ καὶ τῶν πολεμίων. ὅσοι γοῦν κατὰ τύχην παρῆσαν Ἰβήρων καὶ Λιγύων καὶ Μακεδόνων, οἱ μὲν ἰσχυροὶ τὰ σώματα καὶ νέοι διαλαβόντες τὸ λέχος ὑπέδυσαν καὶ παρεκόμιζον, οἱ δὲ πρεσβύτεροι συνηκολούθουν ἀνακαλούμενοι τὸν Αἰμίλιον εὐεργέτην καὶ σωτῆρα τῶν πατρίδων. [5] οὐ γὰρ μόνον ἐν οἷς ἐκράτησε καιροῖς ἠπίως πᾶσι καὶ φιλανθρώπως ἀπηλλάγη χρησάμενος, ἀλλὰ καὶ παρὰ πάντα τὸν λοιπὸν βίον ἀεί τι πράττων ἀγαθὸν αὐτοῖς καὶ κηδόμενος ὥσπερ οἰκείων καὶ συγγενῶν διετέλεσε. τὴν δ᾽ οὐσίαν αὐτοῦ μόλις ἑπτὰ καὶ τριάκοντα μυριάδων γενέσθαι λέγουσιν · ἧς αὐτὸς μὲν ἀμφοτέρους τοὺς υἱοὺς ἀπέλιπε κληρονόμους, ὁ δὲ νεώτερος Σκηπίων τῷ ἀδελφῷ πᾶσαν ἔχειν συνεχώρησεν αὐτὸς εἰς οἶκον εὐπορώτερον τόν Ἀφρικανοῦ δεδομένος. τοιοῦτος μὲν ὁ Παύλου Αἰμιλίου τρόπος καὶ βίος λέγεται γενέσθαι.
[XXXIX] Sistemati il maggior numero di affari e quelli più importanti, Emilio fu colpito da una malattia inizialmente grave, ma con il tempo divenuta non troppo pericolosa, anche se molesta e di difficile guarigione. Poiché convinto dai medici s’imbarcò verso Elea in Italia e lì trascorse molto tempo nei terreni situati lungo la costa, dove si poteva trovare una grande tranquillità, i Romani sentirono la sua mancanza e spesso nei teatri lanciavano grida di preghiera con il desiderio di rivederlo. Dovendosi compiere necessariamente un sacrificio in sua presenza, e dato che il suo fisico sembrava avere la forza sufficiente, tornò a Roma. Insieme agli altri sacerdoti celebrò il sacrificio, mentre il popolo si accalcava visibilmente attorno a lui ed era pieno di gioia. Il giorno dopo egli stesso compì un nuovo sacrificio agli dei per la sua salute. Compiuto il quale così come era stato prescritto, ritiratosi nella sua casa ed adagiatosi sul letto, prima di accorgersi che le sue condizioni stessero mutando, perduta conoscenza morì dopo tre giorni, in nessun modo manchevole o privo di ciò che gli uomini pensano possa condurre alla felicità. La processione funebre difatti era accompagnata da ammirazione e da onori, che adornavano la virtù dell’uomo con le offerte più belle e ricche. E queste di certo non erano l’oro, né l’avorio né la restante sontuosità e munificenza dell’apparato, quanto la benevolenza, il rispetto e la gratitudine, non soltanto da parte dei cittadini, ma anche dei nemici. Quanti fra gli Iberi, i Liguri e i Macedoni si trovavano presenti, quelli giovani e robusti presero sulle spalle il feretro e lo accompagnarono, quelli più anziani invece lo seguivano da vicino, chiamando Emilio benefattore e salvatore della patria. Difatti egli non si limitò a trattare ognuno con mitezza ed umanità solo in occasione della sua vittoria, ma continuò anche per tutto il resto della vita a far loro sempre qualcosa di buono e ad occuparsene come persone di famiglia e congiunti. Dicono che la sua ricchezza ammontasse a mala pena a trecentosettantamila dracme. Di questa egli lasciò eredi entrambi i figli, ma Scipione, il più giovane, la mise interamente a disposizione del fratello in quanto egli era stato adottato in una famiglia molto ricca, quella dell’Africano. Tali dunque si dice siano stati il carattere e la vita di Paolo Emilio
TIMOLEONTE (411 a.C. ca – 335 a.C.)
[I] τὰ μὲν Συρακοσίων πράγματα πρὸ τῆς Τιμολέοντος εἰς Σικελίαν ἀποστολῆς οὕτως εἶχεν. ἐπεὶ Δίων μὲν ἐξελάσας Διονύσιον τὸν τύραννον εὐθὺς ἀνῃρέθη δόλῳ καὶ διέστησαν οἱ σὺν Δίωνι Συρακοσίους ἐλευθερώσαντες, ἡ δὲ πόλις ἄλλον ἐξ ἄλλου μεταβάλλουσα συνεχῶς τύραννον ὑπὸ πλήθους κακῶν μικρὸν ἀπέλειπεν ἔρημος εἶναι, τῆς δ᾽ ἄλλης Σικελίας ἡ μὲν ἀνάστατος καὶ ἄπολις [2] παντάπασιν ἤδη διὰ τοὺς πολέμους ὑπῆρχεν, αἱ δὲ πλεῖσται πόλεις ὑπὸ βαρβάρων μιγάδων καὶ στρατιωτῶν ἀμίσθων κατείχοντο, ῥᾳδίως προσιεμένων τὰς μεταβολὰς τῶν δυναστειῶν, Διονύσιος ἔτει δεκάτῳ ξένους συναγαγὼν καὶ τὸν τότε κρατοῦντα τῶν Συρακοσίων Νυσαῖον ἐξελάσας, ἀνέλαβε τὰ πράγματα πάλιν καὶ καθειστήκει τύραννος ἐξ ἀρχῆς, παραλόγως μὲν ὑπὸ μικρᾶς δυνάμεως τὴν μεγίστην τῶν πώποτε τυραννίδων ἀπολέσας, παραλογώτερον δ᾽ αὖθις ἐκ φυγάδος καὶ ταπεινοῦ τῶν ἐκβαλόντων κύριος γενόμενος. [3] οἱ μὲν οὖν ὑπομείναντες ἐν τῇ πόλει τῶν Συρακοσίων ἐδούλευον οὔτ᾽ ἄλλως ἐπιεικεῖ τυράννῳ καὶ τότε παντάπασιν ὑπὸ συμφορῶν ἀπηγριωμένῳ τὴν ψυχήν, οἱ δὲ βέλτιστοι καὶ γνωριμώτατοι πρὸς Ἱκέτην τραπέντες τὸν δυναστεύοντα τῶν Λεοντίνων ἐπέτρεψαν αὑτοὺς ἐκείνῳ καὶ στρατηγὸν εἵλοντο τοῦ πολέμου, βελτίω μὲν οὐδενὸς ὄντα τῶν ὁμολογουμένως τυράννων, ἑτέραν δ᾽ οὐκ ἔχοντες ἀποστροφὴν, καὶ πιστεύσαντες Συρακουσίῳ τὸ γένος ὄντι καὶ κεκτημένῳ δύναμιν ἀξιόμαχον πρὸς τὸν τύραννον.
[I] Le vicende dei Siracusani prima della spedizione di Timoleonte in Sicilia andavano in questo modo: dopo che Dione, cacciato il tiranno Dionisio, venne subito ucciso a tradimento e si trovarono in contrasto quelli che insieme a Dione avevano liberato i Siracusani, poco mancava che, per l’enorme quantità di mali, la città, cambiando di continuo un tiranno con un altro, rimanesse deserta; della restante Sicilia una parte era ormai devastata e distrutta a causa delle guerre, mentre moltissime città erano occupate da barbari mescolati fra loro e da soldati senza paga, che con facilità acconsentivano a rivolgimenti di signorie; nel decimo anno Dionisio avendo condotto con se dei mercenari e cacciato Niseo, che in quel momento deteneva il comando sui Siracusani, riprese in mano il potere e si insediò un’altra volta come tiranno, egli che inaspettatamente per colpa di un piccolo esercito aveva perduto la più grande fra le tirannidi di sempre, e che, in maniera ancor più inattesa, dalla condizione di esiliato e di sconfitto era tornato signore di quanti lo avevano cacciato. Quelli dunque che erano rimasti nella città dei Siracusani erano soggetti ad un tiranno crudele, reso in ogni modo feroce nel suo animo a causa delle sventure, ma i notabili e gli aristocratici, rivoltisi ad Iceta signore di Lentini, si affidarono a lui e lo scelsero come comandante in capo, anche se egli non era migliore di alcuno fra quelli riconosciuti quali tiranni, ma non avendo costoro una diversa via d’uscita ed avendo confidato nella sua origine siracusana e nel fatto che disponeva di un esercito in grado di fronteggiare il tiranno.
[II] ἐν τούτῳ δὲ Καρχηδονίων στόλῳ μεγάλῳ παραγενομένων εἰς Σικελίαν καὶ τοῖς πράγμασιν ἐπαιωρουμένων φοβηθέντες οἱ Σικελιῶται πρεσβείαν ἐβουλεύοντο πέμπειν εἰς τὴν Ἑλλάδα καὶ παρὰ Κορινθίων βοήθειαν αἰτεῖν, οὐ μόνον διὰ τὴν συγγένειαν οὐδ᾽ ἀφ᾽ ὧν ἤδη πολλάκις εὐεργέτηντο πιστεύοντες ἐκείνοις, ἀλλὰ καὶ καθόλου τὴν πόλιν ὁρῶντες φιλελεύθερον καὶ μισοτύραννον οὖσαν ἀεί, καὶ τῶν πολέμων τοὺς πλείστους καὶ μεγίστους πεπολεμηκυῖαν οὐχ ὑπὲρ ἡγεμονίας καὶ πλεονεξίας, ἀλλ᾽ ὑπὲρ τῆς τῶν Ἑλλήνων ἐλευθερίας. [2] ὁ δ᾽ Ἱκέτης, ἅτε δὴ τῆς στρατηγίας ὑπόθεσιν τὴν τυραννίδα πεποιημένος, οὐ τὴν Συρακουσίων ἐλευθερίαν, κρύφα μὲν ἤδη πρὸς τοὺς Καρχηδονίους διείλεκτο, φανερῶς δὲ τοὺς Συρακουσίους ἐπῄνει καὶ τοὺς πρέσβεις εἰς Πελοπόννησον συνεξέπεμψεν, οὐ βουλόμενος ἐλθεῖν συμμαχίαν ἐκεῖθεν, ἀλλ᾽ ἐάν, ὅπερ εἰκὸς ἦν, οἱ Κορίνθιοι διὰ τὰς Ἑλληνικὰς ταραχὰς καὶ ἀσχολίας ἀπείπωσι τὴν βοήθειαν, ἐλπίζων ῥᾷον ἐπὶ τοὺς Καρχηδονίους τὰ πράγματα μετάξειν καὶ χρήσεσθαι συμμάχοις καὶ συναγωνισταῖς ἐκείνοις ἐπὶ τοὺς Συρακουσίους ἢ κατὰ τοῦ τυράννου. ταῦτα μὲν οὖν ὀλίγον ὕστερον ἐξηλέγχθη.
[II] In questo frangente, poiché i Cartaginesi si erano presentati con un grande esercito ed assistevano a quanto avveniva, gli abitanti della Sicilia, presi dal terrore, decisero di inviare un’ambasceria in Grecia e chiedere aiuto ai Corinzi, non solo per via della comune origine o perché confidavano in quelli da cui già molte volte avevano ottenuto dei benefici, ma perché in senso più ampio vedevano nella città di Corinto una consolidata amica della libertà e una nemica dei tiranni, avendo questa sostenuto anche il maggior numero e le più dure fra le guerre non per l’egemonia o per proprio vantaggio, quanto in nome della libertà dei Greci. Tuttavia Iceta, avendo preso a pretesto l’incarico di comandante per i propri fini di dominio, e non per la libertà dei Siracusani, in segreto aveva già tenuto contatti con i Cartaginesi, anche se pubblicamente esortava i Siracusani e favorì l’invio di ambasciatori nel Peloponneso, non volendo che da lì giungessero rinforzi alleati, ma sperando, qualora i Corinzi –cosa che era possibile – per via di disordini ed impedimenti rifiutassero la richiesta di aiuto, di trasferire più facilmente la questione in mano ai Cartaginesi e di servirsene come alleati e collaboratori nella guerra contro i Siracusani oppure contro il tiranno. E questo venne dimostrato poco tempo dopo.
[III] τῶν δὲ πρέσβεων παραγενομένων, οἱ Κορίνθιοι, κήδεσθαι μὲν ἀεὶ τῶν ἀποικίδων πόλεων καὶ μάλιστα τῆς Συρακουσίων εἰωθότες, οὐδενὸς δ᾽ αὐτοὺς τότε τῶν Ἑλληνικῶν κατὰ τύχην παρενοχλοῦντος, ἀλλ᾽ ἐν εἰρήνῃ καὶ σχολῇ διάγοντες, ἐψηφίσαντο προθύμως βοηθεῖν. ζητουμένου δὲ στρατηγοῦ καὶ τῶν ἀρχόντων γραφόντων καὶ προβαλλομένων τοὺς εὐδοκιμεῖν ἐν τῇ πόλει σπουδάζοντας, εἷς ἐκ τῶν πολλῶν ἀναστὰς ὠνόμασε Τιμολέοντα τὸν Τιμοδήμου, μήτε προσιόντα τοῖς κοινοῖς ἔτι μήτε ἐλπίδος τοιαύτης γενόμενον ἢ προαιρέσεως, [2] ἀλλὰ θεοῦ τινος, ὡς ἔοικεν, εἷς νοῦν ἐμβαλόντος τῷ ἀνθρώπῳ· τοσαύτη καὶ περὶ τὴν αἵρεσιν εὐθὺς ἔλαμψε τύχης εὐμένεια καὶ ταῖς ἄλλαις πράξεσιν ἐπηκολούθησε χάρις ἐπικοσμοῦσα τὴν ἀρετὴν τοῦ ἀνδρός. ἦν μὲν οὖν γονέων ἐπιφανῶν ἐν τῇ πόλει, Τιμοδήμου καὶ Δημαρίστης, φιλόπατρις δὲ καὶ πρᾷος διαφερόντως, ὅσα μὴ σφόδρα μισοτύραννος εἶναι καὶ μισοπόνηρος. [3] ἐν δὲ τοῖς πολέμοις οὕτω καλῶς καὶ ὁμαλῶς ἐκέκρατο τὴν φύσιν ὥστε πολλὴν μὲν ἐν νέῳ σύνεσιν, οὐκ ἐλάττω δὲ γηρῶντος ἀνδρείαν ἐπιφαίνεσθαι ταῖς πράξεσιν. ἀδελφὸν δ᾽ εἶχε Τιμοφάνην, πρεσβύτερον, οὐδὲν αὐτῷ προσόμοιον, ἀλλ᾽ ἔμπληκτον καὶ διεφθαρμένον ἔρωτι μοναρχίας ὑπὸ φίλων φαύλων καὶ ξένων στρατιωτικῶν ἀεὶ περὶ αὐτὸν ὄντων, ἔχειν τι δοκοῦντα ῥαγδαῖον ἐν ταῖς στρατείαις καὶ φιλοκίνδυνον. [4] ᾧ καὶ τοὺς πολίτας προσαγόμενος ὡς ἀνὴρ πολεμικὸς καὶ δραστήριος ἐφ᾽ ἡγεμονιῶν ἐτάττετο. καὶ πρὸς ταῦτα Τιμολέων αὐτῷ συνήργει, τὰ μὲν ἁμαρτήματα παντάπασιν ἀποκρύπτων ἢ μικρὰ φαίνεσθαι ποιῶν, ἃ δ᾽ ἡ φύσις ἐξέφερεν ἀστεῖα συγκατακοσμῶν καὶ συναύξων.
[III] Giunti gli ambasciatori i Corinzi, abituati da sempre a preoccuparsi delle loro colonie, ed in particolar modo di Siracusa, non essendovi in quel momento in Grecia alcuno che li disturbasse, ma trovandosi in pace ed inoccupati, decisero con una votazione di portare subito soccorso. Mentre si cercava un comandante e i magistrati proponevano mettendo in lista quelli che in città s’impegnavano ad avere una buona reputazione, uno fra i tanti, alzatosi, fece il nome di Timoleonte, figlio di Timodemo, il quale non ricopriva ancora incarichi pubblici, né aveva tale speranza o proposito, ma, come sembra, una qualche divinità ispirò la mente di quell’uomo: immediatamente già in merito alla scelta con tanto splendore brillò la benevolenza della fortuna, ed il favore seguì le altre azioni, aggiungendo ornamenti alla virtù del personaggio. Timoleonte era figlio di genitori illustri in città, Timodemo e Demarete, amante della patria, ma anche assai mite, eccetto per il suo odio verso i tiranni e i malvagi. In guerra ebbe una natura così insigne ed adeguata da mostrare con i fatti molta saggezza in gioventù, e un coraggio non minore in vecchiaia. Aveva come fratello maggiore Timofane, per nulla simile a lui, ma incostante e corrotto dal desiderio di dominio personale per colpa di amici sciocchi e di mercenari che gli erano sempre attorno; tuttavia nelle spedizioni militari mostrava di possedere qualcosa di furioso e di ardito. Conquistandosi per questo la simpatia dei cittadini, come uomo valente ed esperto di guerra, venne incaricato del comando supremo e Timoleonte collaborava con lui per questo fine, nascondendone in ogni modo gli errori o facendoli apparire insignificanti, riequilibrando ed esaltando invece ciò che riusciva a tirare fuori la natura propria di un cittadino.
[IV] ἐν δὲ τῇ πρὸς Ἀργείους καὶ Κλεωναίους μάχῃ τῶν Κορινθίων ὁ μὲν Τιμολέων ἔτυχεν ἐν τοῖς ὁπλίταις τεταγμένος, τὸν δὲ Τιμοφάνην τῶν ἱππέων ἡγούμενον καταλαμβάνει κίνδυνος ὀξύς. ὁ γὰρ ἵππος αὐτὸν ἀπεσείσατο πληγῇ περιπεσὼν εἰς τοὺς πολεμίους, καὶ τῶν ἑταίρων οἱ μὲν εὐθὺς ἐσκορπίσθησαν φοβηθέντες, οἱ δὲ παραμείναντες ὀλίγοι πρὸς πολλοὺς μαχόμενοι χαλεπῶς ἀντεῖχον. [2] ὡς οὖν ὁ Τιμολέων κατεῖδε τὸ συμβεβηκός, δρόμῳ προσβοηθήσας καὶ τὴν ἀσπίδα τοῦ Τιμοφάνους κειμένου προθέμενος, καὶ πολλὰ μὲν ἀκοντίσματα, πολλὰς δὲ πληγὰς ἐκ χειρὸς ἀναδεξάμενος εἰς τὸ σῶμα καὶ τὰ ὅπλα, μόλις ἐώσατο τοὺς πολεμίους καὶ διέσωσε τὸν ἀδελφόν. ἐπεὶ δ᾽ οἱ Κορίνθιοι δεδιότες μὴ πάθοιεν οἷα καὶ πρότερον ὑπὸ τῶν συμμάχων ἀποβαλόντες τὴν πόλιν, ἐψηφίσαντο τρέφειν ξένους τετρακοσίους καὶ τούτων ἄρχοντα Τιμοφάνην κατέστησαν, [3] ὁ δὲ τῶν καλῶν καὶ δικαίων ὑπεριδὼν εὐθὺς ἐπέραινεν ἐξ ὧν ποιήσεται τὴν πόλιν ὑφ᾽ αὐτῷ, καὶ συχνοὺς ἀνελὼν ἀκρίτους τῶν πρώτων πολιτῶν ἀνέδειξεν αὐτὸς ἑαυτὸν τύραννον, βαρέως φέρων ὁ Τιμολέων, καὶ συμφορὰν ποιούμενος ἑαυτοῦ τὴν ἐκείνου κακίαν, ἐπεχείρησε μὲν αὐτῷ διαλέγεσθαι καὶ παρακαλεῖν ἀφέντα τὴν μανίαν καὶ δυστυχίαν τῆς ἐπιθυμίας ἐκείνης ζητεῖν τινα τῶν ἡμαρτημένων ἐπανόρθωσιν πρὸς τοὺς πολίτας· [4] ἀπωσαμένου δ᾽ ἐκείνου καὶ καταφρονήσαντος, οὕτω παραλαβὼν τῶν μὲν οἰκείων Αἰσχύλον, ἀδελφόν ὄντα τῆς Τιμοφάνους γυναικός, τῶν δὲ φίλων τὸν μάντιν ὃν Σάτυρον μὲν Θεόπομπος, Ἔφορος δὲ καὶ Τίμαιος Ὀρθαγόραν ὀνομάζουσι, καὶ διαλιπὼν ἡμέρας ὀλίγας αὖθις ἀνέβη πρὸς τὸν ἀδελφόν καὶ περιστάντες αὐτὸν οἱ τρεῖς καθικέτευον ἀλλὰ νῦν γε χρησάμενον λογισμῷ μεταβαλέσθαι. [5] τοῦ δὲ Τιμοφάνους πρῶτον μὲν αὐτῶν καταγελῶντος, ἔπειτα δὲ πρὸς ὀργὴν ἐκφερομένου καὶ χαλεπαίνοντος, ὁ μὲν Τιμολέων ἀποχωρήσας μικρὸν αὐτοῦ καὶ συγκαλυψάμενος εἱστήκει δακρύων, ἐκεῖνοι δὲ τὰ ξίφη σπασάμενοι ταχὺ διαφθείρουσιν αὐτόν.
[IV] Nella battaglia contro Argivi e Cleonei fra i Corinzi Timoleonte si trovava schierato in mezzo agli opliti, Timofane invece, che guidava la cavalleria, fu investito da un serio pericolo. Il suo cavallo infatti, crollato sui nemici per via di una ferita, lo disarcionò e dei compagni, alcuni si dispersero subito terrorizzati, altri, rimasti sul posto, resistevano con difficoltà combattendo in pochi contro molti. Non appena Timoleonte si accorse dell’accaduto lanciatosi in soccorso e protetto con lo scudo Timofane che giaceva a terra, sotto una pioggia di dardi e di colpi portati da vicino sul suo corpo e sull’armatura, a stento riuscì a respingere i nemici e trasse in salvo il fratello. Successivamente i Corinzi, per paura di subire quello che avevano già sofferto in precedenza a causa degli alleati abbandonata la città, deliberarono di mantenere quattrocento mercenari e vi posero a capo Timofane, il quale però, disprezzando la giustizia e l’onestà, portò subito a compimento quanto gli avrebbe permesso di tenere in suo potere la città, ed avendo eliminato senza processo molti fra i cittadini più in vista, si proclamò tiranno; ma Timoleonte, mal sopportando tutto questo e ritenendo la malvagità del fratello una disgrazia per sé stesso, provò a parlargli e ad esortarlo affinché, abbandonato quel folle e sciagurato desiderio, cercasse nei confronti dei cittadini un qualche rimedio agli errori commessi. Dopo che quello lo ebbe allontanato con disprezzo, Timoleonte prese allora con sé, fra i congiunti, Eschilo, fratello della moglie di Timofane, e, fra gli amici, l’indovino a cui Teopompo dà il nome di Satiro, mentre Eforo e Timeo chiamano Ortagora, e lasciati passare alcuni giorni, si presentò di nuovo al fratello; circondatolo i tre lo supplicarono perché almeno allora, dopo aver usato la ragione, mutasse proposito. Tuttavia, poiché Timofane all’inizio prese a deriderli e poi, trascinato dall'ira, divenne intrattabile, Timoleonte, allontanatosi un poco da lui e copertosi il volto, stette immobile in lacrime, mentre quegli altri due, sguainate le spade, lo uccidevano senza esitare.
[V] τῆς δὲ πράξεως διαβοηθείσης οἱ μὲν κράτιστοι τῶν Κορινθίων ἐπῄνουν τὴν μισοπονηρίαν καὶ μεγαλοψυχίαν τοῦ Τιμολέοντος, ὅτι χρηστὸς ὢν καὶ φιλοίκειος ὅμως τὴν πατρίδα τῆς οἰκίας καὶ τὸ καλὸν καὶ δίκαιον προετίμησε τοῦ συμφέροντος, ἀριστεύοντα μὲν ὑπὲρ τῆς πατρίδος διασώσας τὸν ἀδελφόν, ἐπιβουλεύσαντα δὲ αὐτῇ καὶ καταδουλωσάμενον ἀποκτείνας. [2] οἱ δὲ μὴ δυνάμενοι ζῆν ἐν τῇ δημοκρατίᾳ καὶ πρὸς τοὺς δυνάστας ἀποβλέπειν εἰωθότες τῷ μὲν θανάτῳ τοῦ τυράννου προσεποιοῦντο χαίρειν, τὸν δὲ Τιμολέοντα λοιδοροῦντες ὡς ἀσεβὲς ἐξειργασμένον καὶ μυσῶδες ἔργον εἰς ἀθυμίαν περιέστησαν. ἐπεὶ δὲ καὶ τὴν μητέρα δυσφορεῖν πυθόμενος καὶ φωνάς τε δεινὰς καὶ κατάρας ἐπ᾽ αὐτὸν ἀρᾶσθαι φρικώδεις ἐβάδιζε παραμυθησόμενος, ἡ δὲ προσιδεῖν [3] οὐχ ὑπέμεινε τὴν ὄψιν, ἀλλὰ τὴν οἰκίαν ἀπέκλεισε, τότε δὴ παντάπασι περίλυπος γενόμενος καὶ συνταραχθεὶς τὴν διάνοιαν ὥρμησε μὲν ὡς διαφθερῶν ἑαυτὸν ἀπέχεσθαι τροφῆς · τῶν δὲ φίλων οὐ περιϊδόντων, ἀλλὰ πᾶσαν δέησιν καὶ πᾶσαν ἀνάγκην προσενεγκαμένων ἔγνω ζῆν καθ᾽ ἑαυτὸν, ἐκ μέσου γενόμενος, καὶ πολιτείαν μὲν ἅπασαν ἀφῆκε, τοὺς δὲ πρώτους χρόνους οὐδὲ κατιὼν εἰς πόλιν, ἀλλ᾽ ἀδημονῶν καὶ πλανώμενος ἐν τοῖς ἐρημοτάτοις τῶν ἀγρῶν διέτριβεν.
[V] Diffusasi pubblicamente la notizia di quanto compiuto, i più potenti tra i Corinzi lodarono la grandezza d’animo e l’odio verso i malvagi dimostrato da Timoleonte perché, sebbene fosse d’indole mite ed avesse a cuore la famiglia, ugualmente aveva anteposto ad essa la patria, ed al proprio interesse la giustizia e l’onestà, egli che aveva salvato il fratello quando questo combatteva valorosamente per la patria, ma lo aveva fatto uccidere per aver tramato contro di essa ed averla resa schiava. Tuttavia quanti non riuscivano a vivere in un governo democratico ed erano soliti guardare con ammirazione i dominatori, finsero di rallegrarsi per la morte del tiranno, ma insultando Timoleonte in quanto artefice di un’azione empia ed odiosa, lo ridussero in uno stato di prostrazione. Quando venne a giustificarsi, saputo che la madre era sdegnata e lanciava contro di lui parole terribili e maledizioni spaventose, questa non accettò di vederlo, ma sbarrò la porta di casa, ed egli allora profondamente addolorato e con il pensiero sconvolto iniziò a rifiutare il cibo nell’intento di togliersi la vita. Ma grazie all’intervento degli amici che non lo permisero, e che anzi s’impegnarono per ogni necessità e bisogno, decise di vivere privatamente dopo essersi fatto da parte, abbandonò completamente la vita pubblica e trascorse i primi tempi nei luoghi più remoti senza scendere in città, ma andando ramingo e profondamente turbato.
[VI] οὕτως αἱ κρίσεις, ἂν μὴ βεβαιότητα καὶ ῥώμην ἐκ λόγου καὶ φιλοσοφίας προσλάβωσιν, ἐπὶ τὰς πράξεις σείονται καὶ παραφέρονται, ῥᾳδίως ὑπὸ τῶν τυχόντων ἐπαίνων καὶ ψόγων, ἐκκρουόμεναι τῶν οἰκείων λογισμῶν. δεῖ γὰρ οὐ μόνον, ὡς ἔοικε, τὴν πρᾶξιν καλὴν εἶναι καὶ δικαίαν, ἀλλὰ καὶ τὴν δόξαν, ἀφ᾽ ἧς πράττεται, [2] μόνιμον καὶ ἀμετάπτωτον, ἵνα πράττωμεν δοκιμάσαντες, μηδ᾽ ὥσπερ οἱ λίχνοι τὰ πλήσμια τῶν ἐδεσμάτων ὀξυτάτῃ διώκοντες ἐπιθυμίᾳ τάχιστα δυσχεραίνουσιν ἐμπλησθέντες, οὕτως ἡμεῖς ἐπὶ ταῖς πράξεσι συντελεσθείσαις ἀθυμῶμεν δι᾽ ἀσθένειαν ἀπομαραινομένης τῆς τοῦ καλοῦ φαντασίας. αἰσχρὸν γὰρ ἡ μετάνοια ποιεῖ καὶ τὸ καλῶς πεπραγμένον, ἡ δ᾽ ἐξ ἐπιστήμης ὡρμημένη καὶ λογισμοῦ προαίρεσις οὐδ᾽ ἂν πταίσωσιν αἱ πράξεις μεταβάλλεται. [3] διὸ Φωκίων μὲν ὁ Ἀθηναῖος τοῖς ὑπὸ Λεωσθένους πραττομένοις ἐναντιωθείς, ἐπειδὴ κατορθοῦν ἐκεῖνος ἐδόκει καὶ θύοντας ἑώρα καὶ μεγαλαυχουμένους τῇ νίκῃ τοὺς Ἀθηναίους, εἶπεν ὡς ἐβούλετο ἂν αὑτῷ ταῦτα μὲν πραχθῆναι, βεβουλεῦσθαι δ᾽ ἐκεῖνα. σφοδρότερον δ᾽ Ἀριστείδης ὁ Λοκρός, εἷς ὢν τῶν Πλάτωνος ἑταίρων, αἰτοῦντος μὲν αὐτὸν γυναῖκα Διονυσίου τοῦ πρεσβυτέρου μίαν τῶν θυγατέρων, ἥδιον ἂν ἔφη νεκρὰν [4] ἰδεῖν τὴν κόρην ἢ τυράννῳ συνοικοῦσαν· ἀποκτείναντος δὲ τοὺς παῖδας αὐτοῦ μετ᾽ ὀλίγον χρόνον τοῦ Διονυσίου καὶ πυθομένου πρὸς ὕβριν εἰ τὴν αὐτὴν ἔτι γνώμην ἔχοι περὶ τῆς ἐκδόσεως τῶν θυγατέρων, ἀπεκρίνατο τοῖς μὲν γεγενημένοις λυπεῖσθαι, τοῖς δ᾽ εἰρημένοις μὴ μεταμέλεσθαι. ταῦτα μὲν οὖν ἴσως μείζονος καὶ τελειοτέρας ἀρετῆς ἐστι.
[VI] Se le decisioni non hanno tratto forza e sicurezza dalla ragione come dalla filosofia, è dunque in questo modo che sono mosse e si traducono in azioni, in quanto facilmente sono distolte dai loro propri motivi per via delle lodi o del biasimo in cui si imbattono. È infatti necessario, come sembra, non soltanto che l'azione sia buona e giusta, ma anche che l'opinione, in virtù della quale si agisce, permanga stabile ed immutata affinché possiamo agire sulla base di un'attenta valutazione e non, come i golosi, quando con fortissimo desiderio cercano la sazietà del cibo, provano poi disgusto non appena si sono saziati, allo stesso modo noi per debolezza ci perdiamo d'animo a cose fatte, nel momento in cui si affievolisce l'immagine del bene. Il ripensamento infatti rende turpe anche ciò che è stato ben compiuto, mentre quella decisione che è partita dalla consapevolezza e dal ragionamento non muta neppure se le azioni dovessero inciampare in qualche ostacolo. Per questo motivo l'ateniese Focione, oppostosi alle azioni compiute da Leostene, quando quello sembrò aver successo, ed egli vide gli Ateniesi far sacrifici agli dei e vantarsi per la vittoria, disse che avrebbe desiderato essere egli stesso l'artefice di tali imprese, ma comunque non disconosceva quello che era stato deliberato. Con ancora più forza il locrese Aristide, uno dei compagni di Platone, quando Dionisio il Vecchio gli chiese in moglie una delle sue figlie, disse che preferiva vedere la fanciulla morta piuttosto che nella stessa casa di un tiranno. E quando Dionisio poco tempo dopo fatti uccidere i suoi figli tornò con arroganza a domandargli se fosse ancora contrario a concedere le figlie, egli rispose che era addolorato per l'accaduto, ma non si pentiva di quanto era stato detto. Questo dunque appartiene in ugual misura ad una virtù più grande e più compiuta.
[VII] τὸ δὲ Τιμολέοντος ἐπὶ τοῖς πεπραγμένοις πάθος, εἴτ᾽ οἶκτος ἦν τοῦ τεθνηκότος εἴτε τῆς μητρὸς αἰδώς, οὕτω κατέκλασε καί συνέτριψεν αὐτοῦ τὴν διάνοιαν ὥστ᾽ εἴκοσι σχεδὸν ἐτῶν διαγενομένων μηδεμιᾶς ἐπιφανοῦς μηδὲ πολιτικῆς ἅψασθαι πράξεως. [2] ἀναγορευθέντος οὖν αὐτοῦ, καί τὸν δήμου προθύμως δεξαμένου καί χειροτονήσαντος, ἀναστὰς Τηλεκλείδης ὁ τότε καί δυνάμει καί δόξῃ πρωτεύων ἐν τῇ πόλει, παρεκάλει τὸν Τιμολέοντα περὶ τὰς πράξεις ἀγαθὸν ἄνδρα εἶναι καί γενναῖον. ‘ἂν μὲν γὰρ’ ἔφη, ‘καλῶς ἀγωνίσῃ, τύραννον ἀνῃρηκέναι δόξομεν, ἂν δὲ φαύλως, ἀδελφόν.’ [3] παρασκευαζομένου δὲ τοῦ Τιμολέοντος τὸν ἔκπλουν καί στρατιώτας συνάγοντος, ἐκομίσθη γράμματα πρὸς τοὺς Κορινθίους παρ᾽ Ἱκέτου μηνύοντα τὴν μεταβολὴν αὐτοῦ καί προδοσίαν. ὡς γὰρ τάχιστα τοὺς πρέσβεις ἐξέπεμψε, τοῖς Καρχηδονίοις προσθέμενος ἀναφανδὸν ἔπραττε μετ᾽ ἐκείνων ὅπως Διονύσιον ἐκβαλὼν Συρακουσῶν αὐτὸς ἔσται τύραννος. [4] καί δεδοικώς μὴ πρότερον ἐλθούσης ἐκ Κορίνθου δυνάμεως καί στρατηγοῦ διαφύγωσιν αἱ πράξεις αὐτόν, ἔπεμψεν ἐπιστολὴν τοῖς Κορινθίοις φράζουσαν ὡς οὐδὲν δέον πράγματα καί δαπάνας ἔχειν αὐτούς πλέοντας εἰς Σικελίαν καί κινδυνεύοντας, ἄλλως τε καί Καρχηδονίων ἀπαγορευόντων καί παραφυλαττομένων ναυσὶ πολλαῖς τὸν στόλον, οὓς αὐτὸς ἀναγκασθεὶς ἐκείνων βραδυνόντων ποιήσαιτο συμμάχους ἐπὶ τὸν τύραννον. [5] τούτων δὲ τῶν γραμμάτων ἀναγνωσθέντων, εἰ καί τις ἠπίως εἶχε πρότερον τῶν Κορινθίων πρὸς τὴν στρατείαν, τότε πάντας ἡ πρὸς τὸν Ἱκέτην ὀργὴ παρώξυνεν, ὥστε συγχορηγῆσαι προθύμως τῷ Τιμολέοντι καί συμπαρασκευάσαι τὸν ἔκπλουν.
[VII] La condizione d'animo di Timoleonte per quanto era stato commesso, sia che vi fosse dolore per il morto o vergogna della madre, ne distrusse e consumò a tal punto i propositi che nel corso di venti anni egli non si interessò ad alcun fatto di rilievo o che riguardasse la città. Pronunciato dunque pubblicamente il suo nome [345 a.C.] ed avendolo il popolo accettato e votato senza indugi, alzatosi Teleclide, che in quel tempo primeggiava in città per ricchezza e fama, esortò Timoleonte ad affrontare l'impresa con valore e nobiltà. "Se tu infatti in questa situazione – egli disse – combatterai degnamente, allora noi vedremo in te l'uccisore di un tiranno, in caso contrario quello di un fratello". Mentre Timoleonte si preparava per la partenza e radunava uomini, giunse ai Corinzi da parte di Iceta una lettera che rivelava le sue mutate intenzioni ed il suo tradimento. Infatti non appena ebbe inviato in tutta fretta gli ambasciatori, passato dalla parte dei Cartaginesi cooperava apertamente con loro nella prospettiva di diventare egli stesso tiranno dopo aver cacciato Dionisio da Siracusa: e temendo che, giunti in anticipo da Corinto un esercito ed un comandante, i suoi piani gli sfuggissero di mano, inviò ai Corinzi un messaggio in cui si spiegava che non vi era necessità di affrontare da parte loro fastidi e spese, navigando verso la Sicilia ed esponendosi a dei rischi, soprattutto perché i Cartaginesi si opponevano e tenevano sotto controllo la spedizione con una flotta numerosa, Cartaginesi con i quali egli stesso seppur costretto, mentre quelli tardavano, aveva concluso un' alleanza contro il tiranno. Resa nota questa lettera, se anche qualcuno fra i Corinzi all'inizio teneva un atteggiamento moderato verso la spedizione, allora lo sdegno contro Iceta incitò gli animi di tutti così che senza esitare sostennero Timoleonte con sovvenzioni ed insieme a lui prepararono la partenza.
[VIII] γενομένων δὲ τῶν νεῶν ἑτοίμων, καὶ τοῖς στρατιώταις ὧν ἔδει πορισθέντων, αἱ μὲν ἱέρειαι τῆς Κόρης ὄναρ ἔδοξαν ἰδεῖν τὰς θεὰς πρὸς ἀποδημίαν τινὰ στελλομένας καὶ λεγούσας ὡς Τιμολέοντι μέλλουσι συμπλεῖν εἰς Σικελίαν. διὸ καὶ τριήρη κατασκευάσαντες ἱερὰν οἱ Κορίνθιοι ταῖν θεαῖν ἐπωνόμασαν. [2] αὐτὸς δ᾽ ἐκεῖνος εἰς Δελφοὺς πορευθεὶς ἔθυσε τῷ θεῷ, καὶ καταβαίνοντος εἰς τὸ μαντεῖον αὐτὸν γίνεται σημεῖον. ἐκ γὰρ τῶν κρεμαμένων ἀναθημάτων ταινία τις ἀπορρυεῖσα καὶ φερομένη, στεφάνους ἔχουσα καὶ Νίκας ἐμπεποικιλμένας, περιέπεσε τῇ κεφαλῇ τοῦ Τιμολέοντος, ὡς δοκεῖν αὐτὸν ὑπὸ τοῦ θεοῦ στεφανούμενον ἐπὶ τὰς πράξεις προπέμπεσθαι. [3] ναῦς δὲ Κορινθίας μὲν ἔχων ἑπτά. Κερκυραίας δὲ δύο, καὶ τὴν δεκάτην Λευκαδίων προσπαρασχόντων, ἀνήχθη. καὶ νυκτὸς ἐμβαλὼν εἰς τὸ πέλαγος καὶ πνεύματι καλῷ χρώμενος ἔδοξεν αἰφνιδίως ῥαγέντα τὸν οὐρανὸν ὑπὲρ τῆς νεὼς ἐκχέαι πολὺ καὶ περιφανὲς πῦρ. ἐκ δὲ τούτου λαμπὰς ἀρθεῖσα ταῖς μυστικαῖς ἐμφερὴς καὶ συμπαραθέουσα τὸν αὐτὸν δρόμον, ᾗ μάλιστα τῆς Ἰταλίας ἐπεῖχον οἱ κυβερνῆται, κατέσκηψεν. [4] οἱ δὲ μάντεις τὸ φάσμα τοῖς ὀνείρασι τῶν ἱερειῶν μαρτυρεῖν ἀπεφαίνοντο καὶ τὰς θεὰς συνεφαπτομένας τῆς στρατείας προφαίνειν ἐξ οὐρανοῦ τὸ σέλας· εἶναι γὰρ ἱερὰν τῆς Κόρης τὴν Σικελίαν, ἐπεὶ καὶ τὰ περὶ τὴν ἁρπαγὴν αὐτόθι μυθολογοῦσι γενέσθαι καὶ τὴν νῆσον ἐν τοῖς γάμοις ἀνακαλυπτήριον αὐτῇ δοθῆναι.
[VIII] Allestite le navi e procurato il necessario ai soldati, le sacerdotesse di Kore sognarono le dee che si preparavano per una spedizione e dicevano di essere pronte a salpare insieme a Timoleonte verso la Sicilia. Per questo motivo i Corinzi, avendo preparato anche una triremi, la chiamarono “sacra” in onore delle due divinità. Timoleonte stesso giunto a Delfi, sacrificò al dio, e, mentre scendeva verso l'oracolo, avvenne un segno prodigioso. Una benda, ricamata con corone e Vittorie, scivolata e trascinata giù dalle offerte che pendevano in alto, cadendo circondò la testa di Timoleonte così che questi sembrò partire per l'impresa dopo aver ricevuto dal dio la corona. Prese dunque il largo [primavera 344 a.C.] con sette navi di Corinto, due di Corcira; la decima la misero invece a disposizione gli abitanti di Leucade. Durante la notte lanciatosi in mare aperto e sfruttando un vento favorevole, gli sembrò che all'improvviso il cielo squarciatosi riversasse sopra la nave un gran fuoco visibile in tutto il suo splendore. Da questo fuoco una fiaccola, simile a quelle dei riti misterici, accostatasi alla nave e correndo insieme per lo stesso tragitto, si abbatté proprio presso quella parte dell'Italia dove i timonieri volgevano la rotta. Gli indovini rivelarono che il prodigio confermava i sogni delle sacerdotesse e che le dee unendosi alla spedizione mostravano dal cielo la fiaccola: la Sicilia era infatti sacra a Kore poiché nel mito si racconta che lì avvenne il suo rapimento ed anche che l'isola le venne donata dallo sposo in occasione delle nozze.
[IX] τὰ μὲν οὖν παρὰ τῶν θεῶν οὕτω τὸν στόλον ἐθάρρυνε· καὶ σπεύδοντες, ὡς τὸ πέλαγος διαπλέοντες, ἐκομίζοντο παρὰ τὴν Ἰταλίαν. τὰ δ᾽ ἀπὸ τῆς Σικελίας ἀγγελλόμενα πολλὴν ἀπορίαν τῷ Τιμολέοντι καὶ δυσθυμίαν τοῖς στρατιώταις παρεῖχεν. [2] ὁ γὰρ Ἱκέτης μάχῃ νενικηκὼς Διονύσιον καὶ τὰ πλεῖστα μέρη τῶν Συρακουσῶν κατειληφώς ἐκεῖνον μὲν εἰς τὴν ἀκρόπολιν καὶ τὴν καλουμένην Νῆσον συνεσταλμένον αὐτὸς συνεπολιόρκει καὶ συμπεριετείχιζε, Καρχηδονίους δὲ φροντίζειν ἐκέλευεν ὅπως οὐκ ἐπιβήσοιτο Τιμολέων Σικελίας, ἀλλ᾽ ἀπωσθέντων ἐκείνων αὐτοὶ καθ᾽ ἡσυχίαν διανεμοῦνται πρὸς ἀλλήλους τὴν νῆσον. οἱ δὲ πέμπουσιν εἴκοσι τριήρεις εἰς Ῥήγιον, ἐφ᾽ ὧν ἐπέπλεον πρεσβευταὶ παρ᾽ αὐτοῦ πρὸς Τιμολέοντα κομίζοντες λόγους τοῖς πραττομένοις ὁμοίους. [3] παραγωγαὶ γὰρ εὐπρεπεῖς καὶ προφάσεις ἦσαν ἐπὶ μοχθηροῖς βουλεύμασιν, ἀξιούντων αὐτὸν μὲν, εἰ βούλοιτο, Τιμολέοντα σύμβουλον ἥκειν παρ᾽ Ἱκέτην καὶ κοινωνὸν εὖ διαπεπραγμένων ἁπάντων, τὰς δὲ ναῦς καὶ τοὺς στρατιώτας ἀποστέλλειν εἰς Κόρινθον, ὡς τοῦ πολέμου μικρὸν ἀπολείποντος συνῃρῆσθαι, Καρχηδονίων δὲ κωλύειν τὴν διάβασιν καὶ μάχεσθαι πρὸς βιαζομένους ἑτοίμων ὄντων. [4] ὡς οὖν καταπλεύσαντες εἰς τὸ Ῥήγιον οἱ Κορίνθιοι τοῖς τε πρεσβεύμασι τούτοις ἐνέτυχον καὶ τοὺς Φοίνικας οὐ πρόσω ναυλοχοῦντας κατεῖδον, ἤχθοντο μὲν ὑβρισμένοι, καὶ παρίστατο πᾶσιν ὀργὴ πρὸς τὸν Ἱκέτην καὶ δέος ὑπὲρ Σικελιωτῶν, οὓς σαφῶς ἑώρων ἆθλα λειπομένους καὶ μισθόν Ἱκέτῃ μὲν προδοσίας, Καρχηδονίοις δὲ τυραννίδος · ἐδόκει δ᾽ ἀμήχανον ὑπερβαλέσθαι καὶ τὰς αὐτόθι τῶν βαρβάρων ναῦς διπλασίας ἐφορμούσας καὶ τὴν ἐκεῖ μεθ᾽ Ἱκέτου δύναμιν, ᾗ στρατηγήσοντες ἥκοιεν.
[IX] I segni inviati dagli dei incoraggiarono in tal modo la spedizione: ed impegnandosi ad attraversare il mare, passarono lungo le coste dell’Italia. Ma le notizie provenienti dalla Sicilia mettevano in grande difficoltà Timoleonte e davano scoramento all’esercito. Iceta infatti, dopo aver vinto Dioniso in battaglia ed aver conquistato la maggior parte di Siracusa, lo assediava e lo circondava con un muro costretto sull’acropoli chiamata “Isola”, ed esortava i Cartaginesi a preoccuparsi affinché Timoleonte non sbarcasse in Sicilia, ma, respinti i Corinzi, loro stessi con tranquillità si sarebbero spartiti scambievolmente l’isola. Quelli, i Cartaginesi, inviarono venti navi a Reggio sulle quali viaggiavano ambasciatori inviati da Iceta stesso a Timoleonte recando discorsi concordi con i fatti. Vi furono convenienti persuasioni e pretesti per dei propositi malvagi, chiedendo a Timoleonte , se lo voleva, di giungere da solo presso Iceta quale consigliere e partecipe di tutti i successi, ma che rimandasse indietro le navi e gli uomini a Corinto, visto che mancava poco alla conclusione della guerra, e i Cartaginesi impedivano l’attraversamento ed erano pronti a combattere contro chi forzava il blocco. Non appena i Corinzi furono sbarcati a Reggio e incontrarono questa ambasceria e videro i Cartaginesi che sostavano con le navi non lontano, si sdegnarono violentemente come se fosse stato fatto loro un affronto e tutti provarono ira verso Iceta e timore per i Siciliani, che vedevano chiaramente abbandonati come premio e ricompensa ad Iceta per il tradimento, ai Cartaginesi per la tirannide. Sembrava assai difficile superare le navi dei barbari che erano ormeggiate in quel luogo in numero due volte maggiore e l’esercito insieme ad Iceta là dove sarebbero giunti per partecipare alla guerra.
[X] οὐ μὴν ἀλλ᾽ ὁ Τιμολέων τοῖς πρεσβευταῖς καὶ τοῖς ἄρχουσι τῶν Καρχηδονίων ἐντυχὼν ἐπιεικῶς ἔφη πείθεσθαι μὲν οἷς κελεύουσι (τί γὰρ ἂν καὶ περαίνειν ἀπειθῶν), ἐθέλειν δὲ ταῦτα πόλεως Ἑλληνίδος καὶ φίλης κοινῆς τῆς Ῥηγίνων ἐναντίον ἀκούσας καὶ εἰπὼν ἀπαλλάττεσθαι· καὶ γὰρ αὐτῷ τοῦτο πρὸς ἀσφάλειαν διαφέρειν, κἀκείνους ἐμμενεῖν βεβαιότερον οἷς ἐπαγγέλλονται περὶ Συρακουσίων δήμῳ μάρτυρι τὰς ὁμολογίας παρακαταθεμένους. [2] ταῦτα δ᾽ ὑπέτεινεν αὐτοῖς ἀπάτην ἐπὶ τῇ διαβάσει τεχνάζων, καὶ συνετέχναζον οἱ τῶν Ῥηγίνων στρατηγοὶ, πάντες ἐπιθυμοῦντες ἐν Κορινθίοις τὰ πράγματα τῶν Σικελιωτῶν γενέσθαι, καὶ φοβούμενοι τὴν τῶν βαρβάρων γειτνίασιν. διὸ συνῆγον ἐκκλησίαν καὶ τὰς πύλας ἀπέκλειον, ὡς μὴ πρὸς ἄλλο τι τρέπεσθαι τοὺς πολίτας, καὶ παρελθόντες εἰς τὸ πλῆθος ἐχρῶντο μήκει λόγων, ἕτερος ἑτέρῳ παραδιδοὺς τὴν αὐτὴν ὑπόθεσιν πρὸς οὐδὲν τέλος, [3] ἀλλὰ διάγοντες ἄλλως τὸν χρόνον, ἕως ἀναχθῶσιν αἱ τῶν Κορινθίων τριήρεις, καὶ Καρχηδονίους ἐπὶ τῆς ἐκκλησίας κατέχοντες ἀνυπόπτως, ἅτε καὶ τοῦ Τιμολέοντος παρόντος καὶ παρέχοντος δόκησιν ὅσον οὔπω πρὸς τὸν λόγον ἀνίστασθαι καὶ δημηγορεῖν. ὡς δ᾽ ἀπήγγειλέ τις αὐτῷ κρύφα τὰς μὲν ἄλλας τριήρεις ἀνῆχθαι, μίαν δὲ τὴν ἐκείνου περιμένειν ὑπολελειμμένην, διεκδὺς τὸν ὄχλον, ἅμα τῶν περὶ τὸ βῆμα Ῥηγίνων συνεπικρυπτόντων, καὶ καταβὰς ἐπὶ τὴν θάλατταν ἐξέπλευσε διὰ ταχέων. [4] καὶ κατήχθησαν εἰς Ταυρομένιον τῆς Σικελίας, ὑποδεχομένου καὶ καλοῦντος αὐτοὺς ἔτι πάλαι προθύμως Ἀνδρομάχου τοῦ τὴν πόλιν ἔχοντος καὶ δυναστεύοντος. οὗτος ἦν πατὴρ Τιμαίου τοῦ ἱστορικοῦ, καὶ πολὺ κράτιστος τῶν τότε δυναστευόντων ἐν Σικελίᾳ, γενόμενος τῶν τε ἑαυτοῦ πολιτῶν ἡγεῖτο νομίμως καὶ δικαίως, καὶ πρὸς τοὺς τυράννους φανερὸς ἦν ἀεὶ διακείμενος ἀπεχθῶς καὶ ἀλλοτρίως. [5] διὸ καὶ Τιμολέοντι τότε τὴν πόλιν ὁρμητήριον παρέσχε, καὶ τοὺς πολίτας ἔπεισε συναγωνίζεσθαι τοῖς Κορινθίοις καὶ συνελευθεροῦν τὴν Σικελίαν.
[X] Ad ogni modo Timoleonte, incontratosi cordialmente con gli ambasciatori e i comandanti cartaginesi, disse che avrebbe obbedito a quanto ordinavano (cosa infatti poteva ottenere rifiutando?), ma sarebbe partito dopo aver ascoltato e parlato di ciò alla presenza dei Reggini, di una città greca ed amica comune: questo infatti era importante per la propria sicurezza, e loro sarebbero rimasti fedeli, con maggiori garanzie, a quanto si diceva sui Siracusani, se avessero affidato gli accordi alla testimonianza del popolo. Prometteva loro queste cose pensando in realtà ad un inganno per far attraversare le navi, e tutti i comandanti di Reggio lo sostenevano in questa macchinazione, desiderosi che gli affari siciliani andassero in mano ai Corinzi e temendo la vicinanza dei barbari. Per tale motivo radunarono il popolo in assemblea e fecero chiudere le porte, affinché i cittadini non fossero distratti da altro, e giunti presso la folla si servirono di lunghi discorsi, l’uno esprimendo all’altro il proprio argomento, senza mai giungere ad una conclusione, facendo passare il tempo fino a che non fossero salpate le triremi corinzie, e trattenendo i Cartaginesi nell’assemblea senza destare sospetti, poiché era presente anche Timoleonte e dava quasi l'impressione di volersi alzare per prendere la parola e rivolgersi al popolo. Ma non appena gli venne riferito che le altre triremi erano salpate di nascosto, e che una sola era rimasta ad aspettala, sgusciato tra la folla, mentre i Reggini attorno alla tribuna si impegnavano insieme a nasconderlo, dopo essere sceso verso il mare prese il largo in tutta fretta. Giunsero dunque a Tauromenio; ad accoglierli e ad invitarli da tempo con desiderio era Andromaco, che teneva la città e ne era il signore. Costui era il padre dello storiografo Timeo, e seppur divenuto di gran lunga il più potente fra quelli che in quel tempo detenevano una signoria in Sicilia, guidava i suoi cittadini osservando le leggi e con giustizia, ed era sempre apertamente ostile e contrario ai tiranni. Per questo offrì proprio a Timoleonte la città come base d’appoggio e convinse i cittadini a combattere insieme ai Corinzi e insieme a loro a liberare la Sicilia.
[XI] οἱ δ᾽ ἐν τῷ Ῥηγίῳ Καρχηδόνιοι, τοῦ Τιμολέοντος ἀνηγμένου καὶ τῆς ἐκκλησίας διαλυθείσης, χαλεπῶς φέροντες ἐπὶ τῷ κατεστρατηγῆσθαι, διατριβὴν τοῖς Ῥηγίνοις παρεῖχον, εἰ Φοίνικες ὄντες οὐκ ἀρέσκοιντο τοῖς δι᾽ ἀπάτης πραττομένοις. [2] πέμπουσι δ᾽ οὖν εἰς τὸ Ταυρομένιον πρεσβευτὴν ἐπὶ τριήρους, ὃς πολλὰ διαλεχθεὶς πρὸς τὸν Ἀνδρόμαχον, ἐπαχθῶς καὶ βαρβαρικῶς ἀνατεινάμενος εἰ μὴ τὴν ταχίστην ἐκβάλλει τοὺς Κορινθίους, τέλος ὑπτίαν τὴν χεῖρα δείξας, εἶτ᾽ αὖθις καταστρέψας ἠπείλησε τοιαύτην οὖσαν αὐτῷ τὴν πόλιν τοιαύτην ποιήσειν. γελάσας δ᾽ ὁ Ἀνδρόμαχος ἄλλο μὲν οὐδὲν ἀπεκρίνατο, τὴν δὲ χεῖρα νῦν μὲν ὑπτίαν, ὡς ἐκεῖνος, νῦν δὲ πρηνῆ προτείνας ἐκέλευσεν ἀποπλεῖν αὐτόν, εἰ μὴ βούλοιτο τὴν ναῦν ἀντὶ τοιαύτης γενέσθαι τοιαύτην. [3] ὁ δ᾽ Ἱκέτης πυθόμενος τὴν τοῦ Τιμολέοντος διάβασιν καὶ φοβηθείς μετεπέμψατο πολλὰς τῶν Καρχηδονίων τριήρεις. ὅτε καὶ παντάπασι συνέβη τοὺς Συρακουσίους ἀπογνῶναι τὴν σωτηρίαν, ὁρῶντας τοῦ μὲν λιμένος αὐτῶν Καρχηδονίους κρατοῦντας, τὴν δὲ πόλιν Ἱκέτην ἔχοντα, τῆς δ᾽ ἄκρας κυριεύοντα Διονύσιον, Τιμολέοντα δὲ ὥσπερ ἐκ κρασπέδου τινὸς λεπτοῦ τῆς Ταυρομενιτῶν πολίχνης τῇ Σικελίᾳ προσηρτημένον ἐπ᾽ ἐλπίδος ἀσθενοῦς καὶ βραχείας δυνάμεως· χιλίων γὰρ αὐτῷ στρατιωτῶν καὶ τροφῆς τούτοις ἀναγκαίας πλέον οὐδὲν ὑπῆρχεν. [4] οὐδ᾽ ἐπίστευον αἱ πόλεις διάπλεαι κακῶν οὖσαι καὶ πρὸς ἅπαντας ἀπηγριωμέναι τοὺς ἡγουμένους στρατοπέδων, μάλιστα διὰ τὴν Καλλίππου καὶ Φάρακος ἀπιστίαν, ὧν ὁ μὲν Ἀθηναῖος ὤν, ὁ δὲ Λακεδαιμόνιος, ἀμφότεροι δὲ φάσκοντες ὑπὲρ τῆς ἐλευθερίας ἥκειν καὶ καταλύειν τοὺς μονάρχους, χρυσὸν ἀπέδειξαν τῇ Σικελίᾳ τὰς ἐν τῇ τυραννίδι συμφοράς καὶ μακαριωτέρους δοκεῖν ἐποίησαν τοὺς καταστρέψαντας ἐν τῇ δουλείᾳ τῶν ἐπιδόντων τὴν αὐτονομίαν.
[XI] Sfuggito Timoleonte per mare e scioltasi l’assemblea, i Cartaginesi che presidiavano Reggio, mal sopportando di essere stati vinti mediante uno stratagemma, offrirono motivo di divertimento agli abitanti, se proprio loro che erano Punici non avevano gradito un’azione frutto d’inganno. Inviano dunque a Tauromenio un ambasciatore su di una nave, il quale, dopo aver discusso con Andromaco numerose questioni, esaltato in modo odioso e barbarico, qualora egli non avesse fatto uscire al più presto i Corinzi, mostrato infine il palmo della mano e poi di nuovo capovoltolo, minacciò di ridurgli allo stesso modo la città, rovesciandola sottosopra. Andromaco, dopo una risata, non rispose altro, ma ora stendendo il palmo della mano, come aveva fatto quello, ora il dorso, lo esortò a prendere il largo, se non voleva che alla sua nave, capovolta, toccasse la medesima sorte. Iceta nel frattempo, messo al corrente della traversata di Timoleonte e preso dal timore, fece giungere numerose navi dai Cartaginesi. Accadde allora che i Siracusani abbandonarono ogni speranza di salvezza, vedendo che i Cartaginesi s’impossessavano del loro porto, che Iceta occupava la città, che Dionisio era padrone dell’acropoli, e che Timoleonte stava invece come attaccato alla Sicilia per un lembo sottile della piccola città dei Tauromeniti, con deboli speranze ed un esercito ridotto. Egli infatti aveva a disposizione non più di mille soldati ed il vitto a questi necessario. Le città poi non davano fiducia, poiché oppresse dalle sventure ed inferocite verso tutti coloro che conducevano eserciti, e questo era dovuto in massima parte alla slealtà di Callippo e Farace, dei quali il primo Ateniese, l’altro Spartano, sebbene proclamassero di essere giunti per la libertà e per abbattere i tiranni, mostrarono alla Sicilia che le sventure subite sotto le tirannidi erano oro in confronto, e fecero apparire quelli che erano morti nella schiavitù più degni di coloro che avevano visto la libertà.
[XII] οὐδὲν οὖν ἐκείνων βελτίονα τὸν Κορίνθιον ἔσεσθαι προσδοκῶντες, ἀλλὰ ταῦτα πάλιν ἥκειν πρὸς αὐτοὺς σοφίσματα καί δελεάσματα, μετ᾽ ἐλπίδων χρηστῶν καί φιλανθρώπων ὑποσχέσεων εἰς μεταβολὴν δεσπότου καινοῦ τιθασευομένους, ὑπώπτευον καί διεκρούοντο τὰς τῶν Κορινθίων προκλήσεις πλὴν Ἀδρανιτῶν · [2] οἳ πόλιν μικρὰν μέν, ἱερὰν δ᾽ οὖσαν Ἀδρανοῦ, θεοῦ τινος τιμωμένου διαφερόντως ἐν ὅλῃ Σικελίᾳ, κατοικοῦντες, ἐστασίασαν πρὸς ἀλλήλους, οἱ μὲν Ἱκέτην προσαγόμενοι καί Καρχηδονίους, οἱ δὲ πρὸς Τιμολέοντα διαπεμπόμενοι. καί πως ἀπ᾽ αὐτομάτου συνέτυχε σπευδόντων ἀμφοτέρων εἰς ἕνα καιρὸν ἀμφοτέροις γενέσθαι τὴν παρουσίαν. [3] ἀλλ᾽ Ἱκέτης μὲν ἧκε πεντακισχιλίους στρατιώτας ἔχων, Τιμολέοντι δὲ οἱ σύμπαντες ἦσαν οὐ πλείους χιλίων διακοσίων οὓς ἀναλαβὼν ἐκ τοῦ Ταυρομενίου, σταδίων πρὸς τὸ Ἀδρανὸν ὄντων τετταράκοντα καί τριακοσίων, τῇ μὲν πρώτῃ τῶν ἡμερῶν οὐ πολὺ μέρος τῆς ὁδοῦ προέλαβε καί κατηυλίσατο, τῇ δ᾽ ὑστεραίᾳ συντόνως ὁδεύσας καί χαλεπὰ χωρία διελθών ἤδη τῆς ἡμέρας καταφερομένης ἤκουσεν ἄρτι προσμιγνύναι τὸν Ἱκέτην τῷ πολιχνίῳ καί καταστρατοπεδεύειν. [4] οἱ μὲν οὖν λοχαγοὶ καί ταξίαρχοι τοὺς πρώτους ἐπέστησαν ὡς ἐμφαγοῦσι καί διαναπαυσαμένοις χρησόμενοι προθυμοτέροις, ὁ δὲ Τιμολέων ἐπιπορευόμενος ἐδεῖτο ταῦτα μὴ ποιεῖν, ἀλλ᾽ ἄγειν κατὰ τάχος καί συνάπτειν τοῖς πολεμίοις ἀσυντάκτοις οὖσιν, ὡς εἰκὸς ἄρτι παυομένους ὁδοιπορίας καί περὶ σκηνὰς καί δεῖπνον ἀσχόλους ὄντας. [5] καί λέγων ἅμα ταῦτα, τὴν ἀσπίδα λαβὼν ἡγεῖτο πρῶτος ὥσπερ ἐπὶ νίκην πρόδηλον. οἱ δ᾽ εἵποντο τεθαρρηκότες, ἔλαττον ἢ τριάκοντα σταδίους ἔτι τῶν πολεμίων ἀπέχοντες. ὡς δὲ καί τούτους διῆλθον, ἐπιπίπτουσιν αὐτοῖς ταραττομένοις καί φεύγουσιν ὡς πρῶτον ᾔσθοντο προσιόντας, ὅθεν ἀνῃρέθησαν μὲν οὐ πολλῷ πλείους τριακοσίων, ἑάλωσαν δὲ δὶς τοσοῦτοι ζῶντες, ἐλήφθη δὲ τὸ στρατόπεδον. [6] οἱ δ᾽ Ἀδρανῖται τὰς πύλας ἀνοίξαντες προσέθεντο τῷ Τιμολέοντι, μετὰ φρίκης καί θαύματος ἀπαγγέλλοντες ὡς ἐνισταμένης τῆς μάχης οἱ μὲν ἱεροὶ τοῦ νεὼ πυλῶνες αὐτόματοι διανοιχθεῖεν, ὀφθείη δὲ τοῦ θεοῦ τὸ μὲν δόρυ σειόμενον ἐκ τῆς αἰχμῆς ἄκρας, τὸ δὲ πρόσωπον ἱδρῶτι πολλῷ ῥεόμενον.
[XII] Aspettandosi dunque che il Corinzio non sarebbe stato migliore di quelli, ma che tornavano ad insidiarli le medesime abili lusinghe, resi docili al cambio del nuovo padrone con speranze generose e benevole promesse, erano sospettosi ed evitavano le proposte dei Corinzi, eccetto gli abitanti di Adrano. Questi, che abitavano una piccola città consacrata ad Adrano, un dio onorato in diverso modo nell’intera Sicilia, erano in lotta gli uni con gli altri, poiché alcuni si schieravano con Iceta e i Cartaginesi, altri invece si volgevano verso Timoleonte. E mentre entrambi s’impegnavano per giungere tempestivamente, per caso avvenne che giunsero nello stesso momento. Tuttavia Iceta arrivò con cinquemila soldati, Timoleonte invece ne contava complessivamente non più di mille e duecento. Dopo averli presi da Tauromenio [estate 344 a.C.], distando Adrano trecentoquaranta stadi, durante la prima giornata non si avvantaggiò molto nella marcia e si fermò a riposare, mentre il secondo giorno, avendo coperto rapidamente il percorso ed avendo attraversato territori impervi, verso sera venne a sapere che Iceta si era appena avvicinato alla piccolissima città e che poneva il campo. I locaghi e i tassiarchi allora fecero fermare i primi, per poterli utilizzare con più prontezza dopo che avessero mangiato in fretta e riposato per qualche tempo, ma Timoleonte, sopraggiunto , chiese di non farlo, di condurre invece l’esercito velocemente e di venire a contatto con i nemici che non erano ancora schierati, come era naturale avendo questi appena terminato la marcia ed essendo impegnati nell’allestimento delle tende e nella cena. E nel mentre diceva queste cose, raccolto lo scudo si mise al comando come verso una vittoria evidente; quelli incoraggiati lo seguirono, essendo distanti dai nemici meno di trenta stadi. Come ebbero percorso anche questa distanza, si gettano sui nemici in disordine e che si davano alla fuga, non appena compresero che quelli si stavano avvicinando. Di conseguenza ne vennero uccisi non più di trecento, e ne vennero catturati vivi il doppio, e fu conquistato anche il campo. Gli abitanti di Adrano dopo aver aperto le porte della città si unirono a Timoleonte, raccontando con paura e meraviglia che, nell’imminenza della battaglia i sacri portoni del tempio si erano aperti da soli, che si era vista la lancia del dio scuotersi dalla sommità della punta ed il suo volto grondare copioso sudore.
[XIII] ταῦτα δ᾽, ὡς ἔοικεν, οὐ τὴν τότε νίκην ἐσήμαινε μόνον, ἀλλὰ καὶ τὰς μετὰ ταῦτα πράξεις, αἷς ἐκεῖνος ὁ ἀγὼν ἀρχὴν εὐτυχῆ παρέσχε. καὶ γὰρ πόλεις εὐθὺς ἐπιπρεσβευόμεναι προσετίθεντο τῷ Τιμολέοντι, καὶ Μάμερκος ὁ Κατάνης τύραννος, πολεμιστὴς ἀνὴρ καὶ χρήμασιν ἐρρωμένος, ἔδωκεν αὑτὸν εἰς συμμαχίαν. [2] τὸ δὲ μέγιστον, αὐτὸς Διονύσιος ἀπειρηκὼς ἤδη ταῖς ἐλπίσι καὶ μικρὸν ἀπολείπων ἐκπολιορκεῖσθαι τοῦ μὲν Ἱκέτου κατεφρόνησεν αἰσχρῶς ἡττημένου, τὸν δὲ Τιμολέοντα θαυμάζων ἔπεμψεν ἐκείνῳ καὶ Κορινθίοις παραδιδοὺς αὑτὸν καὶ τὴν ἀκρόπολιν. δεξάμενος δ᾽ ὁ Τιμολέων τὴν ἀνέλπιστον εὐτυχίαν, ἀποστέλλει τοὺς περὶ Εὐκλείδην καὶ Τηλέμαχον, ἄνδρας Κορινθίους, εἰς τὴν ἀκρόπολιν, καὶ στρατιώτας τετρακοσίους, οὐχ ὁμοῦ πάντας οὐδὲ φανερῶς (ἀδύνατον γὰρ ἦν ἐφορμούντων τῶν πολεμίων) ἀλλὰ κρύφα καὶ κατ᾽ ὀλίγους παρεισπεσόντας. [3] οἱ μὲν οὖν στρατιῶται παρέλαβον τὴν ἀκρόπολιν καὶ τὰ τυραννεῖα μετὰ τῆς παρασκευῆς καὶ τῶν χρησίμων πρὸς τὸν πόλεμον · ἵπποι τε γὰρ ἐνῆσαν οὐκ ὀλίγοι καὶ πᾶσα μηχανημάτων ἰδέα καὶ βελῶν πλῆθος, ὅπλων δ᾽ ἀπέκειντο μυριάδες ἑπτὰ τεθησαυρισμένων ἐκ παλαιοῦ, στρατιῶται δὲ δισχίλιοι τῷ Διονυσίῳ παρῆσαν, οὓς ἐκεῖνος, ὡς τἆλλα, τῷ Τιμολέοντι παρέδωκεν, αὐτὸς δὲ χρήματα λαβὼν καὶ τῶν φίλων οὐ πολλοὺς ἔλαθεν ἐκπλεύσας τὸν Ἱκέτην. [4] καὶ κομισθεὶς εἰς τὸ τοῦ Τιμολέοντος στρατόπεδον, τότε πρῶτον ἰδιώτης καὶ ταπεινὸς ὀφθείς, ἐπὶ μιᾶς νεὼς καὶ χρημάτων ὀλίγων εἰς Κόρινθον ἀπεστάλη, γεννηθεὶς μὲν καὶ τραφεὶς ἐν τυραννίδι τῇ πασῶν ἐπιφανεστάτῃ καὶ μεγίστῃ, κατασχὼν δὲ ταύτην ἔτη δέκα, δώδεκα δ᾽ ἄλλα μετὰ τὴν Δίωνος στρατείαν ἐν ἀγῶσι καὶ πολέμοις διαφορηθείς, ἃ δ᾽ ἔπραξε τυραννῶν οἷς ἔπαθεν ὑπερβαλόμενος. [5] καὶ γὰρ υἱῶν ἐνηλίκων θανάτους καὶ θυγατέρων καταπορνεύσεις παρθένων ἐπεῖδε, καὶ τὴν αὐτὴν ἀδελφὴν καὶ γυναῖκα ζῶσαν μὲν εἰς τὸ σῶμα ταῖς ἀσελγεστάταις ὑπὸ τῶν πολεμίων ἡδοναῖς παρανομηθεῖσαν, βίᾳ δ᾽ ἀποθανοῦσαν μετὰ τῶν τέκνων, καταποντισθεῖσαν εἰς τὸ πέλαγος. ταῦτα μὲν οὖν ἐν τοῖς περὶ Δίωνος ἀκριβῶς γέγραπται.
[XIII] Questi prodigi, come pare, non annunciavano solamente la vittoria, ma anche le azioni successive, alle quali quello scontro aveva dato un inizio favorevole. Le città infatti, mandando subito ambascerie, si univano a Timoleonte, ed anche Mamerco, il tiranno di Catania, uomo dedito alla guerra e reso forte dalle sue ricchezze, si offrì per un’alleanza. Ma la cosa più significativa fu che lo stesso Dionisio, rinunciando ormai alla speranza e prossimo alla resa, prese a disdegnare Iceta, che era stato sconfitto, e mostrando invece ammirazione per Timoleonte, inviò un messaggio a lui e ai Corinzi consegnando se stesso e l’acropoli. Timoleonte, avendo ottenuto un successo insperato, inviò sull’acropoli quelli che erano sotto il comando di Euclide e Telemaco, uomini Corinzi, e quattrocento soldati, non tutti insieme né in modo manifesto (risultava infatti impossibile dal momento che i nemici erano appostati all’àncora), ma di nascosto e penetrando in piccoli gruppi. Conquistarono dunque l’acropoli e i palazzi del tiranno insieme all’apparato e a quello che serviva per la guerra: vi erano infatti non pochi cavalli, ogni tipo di macchine d’assedio, ed una grande quantità di proiettili. Vi erano inoltre depositati settantamila scudi accumulati da tempo antico. Con Dionisio erano duemila uomini che quello, come tutto il resto, consegnò a Timoleonte; egli però dopo aver raccolto il denaro e pochi fra gli amici, salpò di nascosto da Iceta. Condotto nell’accampamento di Timoleonte, mostrandosi per la prima volta come un uomo comune e di misera condizione, venne mandato su di una sola nave e con poco denaro a Corinto, egli che, nato e cresciuto nella più potente ed illustre tirannide, la tenne per dieci anni e rimase occupato per altri dodici in guerre e conflitti dopo la spedizione di Dione, superando con le sue sofferenze quanto aveva compiuto da tiranno. Vide infatti la morte dei figli in giovane età e la prostituzione delle figlie vergini, e la stessa sorella e moglie ancora viva oltraggiata nel corpo con i più osceni godimenti da parte dei nemici, morta con violenza insieme ai figli e gettata in mare. Questo è stato scritto dettagliatamente nella vita di Dione.
[XIV] τοῦ δὲ Διονυσίου καταπλεύσαντος εἰς Κόρινθον, οὐδεὶς ἦν Ἑλλήνων ὃς οὐχὶ θεάσασθαι καὶ προσειπεῖν ἐπόθησεν αὐτόν, ἀλλ᾽ οἵ τε χαίροντες ἐπὶ ταῖς συμφοραῖς διὰ μῖσος ἄσμενοι συνῆλθον οἷον ἐρριμμένον ὑπὸ τῆς τύχης πατήσοντες, οἵ τε πρὸς τὴν μεταβολὴν τρεπόμενοι καὶ συμπαθοῦντες ἐθεῶντο πολλὴν ἐν ἀσθενέσι τοῖς ἀνθρωπίνοις καὶ προδήλοις τὴν τῶν ἀδήλων αἰτιῶν καὶ θείων δύναμιν. [2] οὐδὲν γὰρ οὔτε φύσεως ὁ τότε καιρὸς οὔτε τέχνης ὅσον ἐκεῖνο τύχης ἔργον ἐπεδείξατο, τὸν Σικελίας ὀλίγον ἔμπροσθεν τύραννον ἐν Κορίνθῳ διατρίβοντα περὶ τὴν ὀψοπώλιον ἢ καθήμενον ἐν μυροπωλίῳ, πίνοντα κεκραμένον ἀπὸ τῶν καπηλείων καὶ διαπληκτιζόμενον ἐν μέσῳ τοῖς ἀφ᾽ ὥρας ἐργαζομένοις γυναίοις, τὰς δὲ μουσουργοὺς ἐν ταῖς ᾠδαῖς διδάσκοντα, καὶ περὶ θεατρικῶν ᾀσμάτων ἐρίζειν σπουδάζοντα πρὸς ἐκείνας καὶ περὶ μέλους καὶ ἁρμονίας. [3] ταῦτα δ᾽ οἱ μὲν ἄλλως ἀλύοντα καὶ φύσει ῥᾴθυμον ὄντα καὶ φιλακόλαστον ᾤοντο ποιεῖν τὸν Διονύσιον, οἱ δ᾽ ὑπὲρ τοῦ καταφρονεῖσθαι καὶ μὴ φοβερὸν εἶναι τοῖς Κορινθίοις, μηδ᾽ ὕποπτον ὡς βαρυνόμενον τὴν μεταβολὴν τοῦ βίου καὶ πραγμάτων ἐφιέμενον, ἐπιτηδεύειν καὶ ὑποκρίνεσθαι παρὰ φύσιν, πολλὴν ἀβελτερίαν ἐπιδεικνύμενον ἐν τῷ σχολάζειν.
[XIV] Dopo che Dionisio approdò a Corinto, non vi uno fra i Greci che non desiderasse vederlo e parlargli, anzi alcuni, rallegrandosi delle sue sventure, per odio si riunirono pieni di gioia, con l’intenzione di calpestare un uomo prostrato dalla sorte, altri invece, mutando parere e provando compassione, osservavano nelle cose umane, deboli e manifeste, la grande ed ignota potenza delle ragioni divine. Né la natura né l’arte avrebbero avuto l’occasione di mostrare quanto andava mostrando quell’opera della fortuna, quello che poco tempo prima era stato signore della Sicilia trascorrere il tempo a Corinto nel mercato del pesce, o sedere nella bottega del profumiere o bere vino temperato nelle bettole o battersi con donnine che lucravano sulla loro bellezza, dare insegnamenti a le fanciulle che studiavano musica e disputare con esse in merito a canzoni eseguite nei teatri e melodie di un carme. Alcuni credevano che Dionisio facesse queste cose perché incostante e per natura indolente ed assai incline agli adulatori, altri invece che, per non essere preso in considerazione, per non incutere timore ai Corinzi e non destare sospetti, come se afflitto accettasse il cambiamento di vita e delle vicende, lo facesse apposta e fingesse una parte con artifizio, mostrando molta ingenuità nel suo modo di divertirsi.
[XV] οὐ μὴν ἀλλὰ καί λόγοι τινὲς αὐτοῦ μνημονεύονται, δι᾽ ὧν ἐδόκει συμφέρεσθαι τοῖς παροῦσιν οὐκ ἀγεννῶς. [2] τοῦτο μὲν γὰρ εἰς Λευκάδα καταχθείς, πόλιν ἀπῳκισμένην ὑπὸ Κορινθίων ὥσπερ τὴν Συρακουσίων, ταὐτὸν ἔφη πεπονθέναι τοῖς ἐν ἁμαρτήμασι γενομένοις τῶν νεανίσκων · ὡς γὰρ ἐκεῖνοι τοῖς μὲν ἀδελφοῖς ἱλαρῶς συνδιατρίβουσι, τοὺς δὲ πατέρας αἰσχυνόμενοι φεύγουσιν, οὕτως αὐτὸς αἰδούμενος τὴν μητρόπολιν ἡδέως ἂν αὐτόθι μετ᾽ ἐκείνων κατοικεῖν. τοῦτο δ᾽ ἐν Κορίνθῳ ξένου τινὸς ἀγροικότερον εἰς τὰς μετὰ τῶν φιλοσόφων διατριβὰς, αἷς τυραννῶν ἔχαιρε, χλευάζοντος αὐτὸν, καί τέλος ἐρωτῶντος τί δὴ τῆς Πλάτωνος ἀπολαύσειε σοφίας, ‘οὐδὲν,’ ἔφη, ‘σοὶ δοκοῦμεν ὑπὸ Πλάτωνος ὠφελῆσθαι, τύχης μεταβολὴν οὕτω φέροντες;’ πρὸς δὲ τὸν μουσικὸν Ἀριστόξενον καί τινας ἄλλους πυνθανομένους ὁπόθεν αὐτῷ καί τίς [3] ἡ πρὸς Πλάτωνα γένοιτο μέμψις, πολλῶν ἔφη κακῶν τὴν τυραννίδα μεστὴν οὖσαν οὐδὲν ἔχειν τηλικοῦτον ἡλίκον τὸ μηδένα τῶν λεγομένων φίλων μετὰ παρρησίας διαλέγεσθαι· καί γὰρ αὐτὸς ὑπ᾽ ἐκείνων ἀποστερηθῆναι τῆς Πλάτωνος εὐνοίας. ἐπεὶ δὲ τῶν βουλομένων τις εὐφυῶν εἶναι σκώπτων τὸν Διονύσιον ἐξέσειε τὸ ἱμάτιον εἰσιὼν πρὸς αὐτὸν, ὡς δὴ πρὸς τύραννον, ἀντισκώπτων ἐκεῖνος ἐκέλευε τοῦτο ποιεῖν ὅταν ἐξίῃ παρ᾽ αὐτοῦ, μή τι τῶν ἔνδον ἔχων ἀπέλθῃ. [4] Φιλίππου δὲ τοῦ Μακεδόνος παρὰ πότον τινὰ λόγον μετὰ εἰρωνείας ἐμβαλόντος περὶ τῶν μελῶν καὶ τῶν τραγῳδιῶν ἃς ὁ πρεσβύτερος Διονύσιος κατέλιπε, καί προσποιουμένου διαπορεῖν ἐν τίνι χρόνῳ ταῦτα ποιεῖν ἐκεῖνος ἐσχόλαζεν, οὐ φαύλως ἀπήντησεν ὁ Διονύσιος εἰπών ‘ἐν ᾧ σὺ κἀγὼ καί πάντες οἱ μακάριοι δοκοῦντες εἶναι περὶ κώθωνα διατρίβομεν.’ [5] Πλάτων μὲν οὖν οὐκ ἐπεῖδεν ἐν Κορίνθῳ Διονύσιον, ἀλλ᾽ ἔτυχεν ἤδη τεθνηκώς, ὁ δὲ Σινωπεὺς Διογένης ἀπαντήσας αὐτῷ πρῶτον, ‘ὡς ἀναξίως,’ ἔφη, ‘Διονύσιε, ζῇς.’ ἐπιστάντος δ᾽ ἐκείνου καὶ εἰπόντος · ‘εὖ ποιεῖς, ὦ Διόγενες, συναχθόμενος ἡμῖν ἠτυχηκόσι,’ ‘τί γὰρ;’ εἶπεν ὁ Διογένης, ‘οἴει μέ σοὶ συναλγεῖν, οὐ διαγανακτεῖν ὅτι τοιοῦτον ἀνδράποδον ὤν, καί τοῖς τυραννείοις, ὥσπερ ὁ πατὴρ, ἐπιτήδειος ἐγγηράσας ἀποθανεῖν, ἐνταῦθα παίζων καί τρυφῶν διάγεις [6] μεθ᾽ ἡμῶν;’ ὥστε μοι παραβάλλοντι τούτοις τὰς Φιλίστου φωνάς, ἃς ἀφίησι περὶ τῶν Λεπτίνου θυγατέρων ὀλοφυρόμενος, ὡς ἐκ μεγάλων ἀγαθῶν τῶν τῆς τυραννίδος εἰς ταπεινὴν ἀφιγμένων δίαιταν, φαίνεσθαι θρήνους γυναικὸς ἀλαβάστους καί πορφύρας καί χρυσία ποθούσης. ταῦτα μὲν οὖν οὐκ ἀλλότρια τῆς τῶν βίων ἀναγραφῆς οὐδὲ ἄχρηστα δόξειν οἰόμεθα μὴ σπεύδουσι μηδὲ ἀσχολουμένοις ἀκροαταῖς.
[XV] Tuttavia si ricordano anche alcune sue parole, per le quali sembra che si conformasse alla situazione presente in modo non ignobile. Condotto infatti a Leucade, città fondata dai Corinzi come quella dei Siracusani, disse che egli aveva sofferto alla stessa maniera di quei giovani che hanno commesso un errore: come infatti quelli vivono felicemente con i fratelli, ma fuggono poiché hanno vergogna dei padri, così egli avendo rispetto per la madre patria, abitava piacevolmente lì insieme a loro. In un’altra occasione poiché a Corinto uno straniero lo derideva in maniera assai rozza per le frequentazioni con i filosofi, delle quali godeva quando era tiranno, e gli aveva infine domandato quale vantaggio avesse tratto da Platone, egli rispose: “se sopporto in tal modo il rovescio della fortuna, ti pare che non abbia ricavato nulla da Platone ?”. Al musico Aristosseno e a certi altri che chiedevano da dove gli venisse e quale fosse il biasimo nei confronti di Platone, rispose che la tirannide, seppure piena di molti mali, non aveva uno tanto grande: che nessuno dei cosiddetti amici parla liberamente. Egli infatti proprio a causa loro era stato privato della benevolenza di Platone. In seguito quando uno di quelli che vogliono essere arguti sbeffeggiando Dionisio scosse il mantello, rivolgendosi a lui come ad un tiranno, Dionisio, sbeffeggiandolo a sua volta, lo esortò a fare così quando se ne veniva via da lui, perché non se ne andasse con qualche oggetto di casa. E quando Filippo il Macedone durante un simposio fece cadere con ironia il discorso sui componimenti lirici e le tragedie che aveva lasciato Dionisio il Vecchio, fingendo di non comprendere in quale momento quello avesse avuto il tempo di dedicarvisi, Dionisio lo affrontò in modo non sprovveduto rispondendo: “nel momento in cui tu ed io e tutti quelli che sono ritenuti beati c’intratteniamo attorno alla coppa”. Platone non vide Dionisio a Corinto, poiché capitò che fosse già morto, ma Diogene di Sinope fattosi incontro “Dionisio – incominciò a dirgli – come vivi indegnamente”. E poiché quello alzatosi gli rispose. “Fai bene, Diogene, a dolerti per le mie sventure”, “perché mai? - disse Diogene – credi forse che io condivida il tuo dolore e non provi invece sdegno, dal momento che schiavo quale tu sei, degno di morire dopo essere invecchiato come il padre nel palazzo del tiranno, tu passi il tempo scherzando e gozzovigliando qui insieme a me?”. Cosicché quando le confronto con queste cose le parole di Filisto, che egli riferisce lamentandosi riguardo alle figlie di Leptine, poiché dal benessere della tirannide si erano venute a trovare in una misera condizione di vita, mi paiono i pianti di una donna che desidera vasetti di profumi, vesti di porpora e monili d’ oro. Noi crediamo dunque che queste cose appariranno non estranee alla descrizione delle vite né inutili per i lettori che non hanno fretta né sono occupati in altro.
[XVI] τῆς δὲ Διονυσίου δυστυχίας παραλόγου φανείσης οὐχ ἧττον ἡ Τιμολέοντος εὐτυχία τὸ θαυμαστὸν ἔσχεν. ἐπιβὰς γὰρ Σικελίας ἐν ἡμέραις πεντήκοντα τήν τ᾽ ἀκρόπολιν τῶν Συρακουσῶν παρέλαβε καὶ Διονύσιον εἰς Πελοπόννησον ἐξέπεμψεν. ὅθεν ἐπιρρωσθέντες οἱ Κορίνθιοι πέμπουσιν αὐτῷ δισχιλίους ὁπλίτας καὶ διακοσίους [2] ἱππεῖς, οἳ κομισθέντες ἄχρι Θουρίων τήν ἐκεῖθεν περαίωσιν ὑπὸ Καρχηδονίων πολλαῖς ναυσὶ κατεχομένης τῆς θαλάττης ἄπορον ὁρῶντες, ὡς ἦν ἀνάγκη καιρὸν περιμένοντας ἀτρεμεῖν αὐτόθι, πρὸς κάλλιστον ἔργον ἀπεχρήσαντο τῇ σχολῇ. Θουρίων γὰρ ἐπὶ Βρεττίους στρατευόντων τήν πόλιν παραλαβόντες ὥσπερ πατρίδα καθαρῶς καὶ πιστῶς διεφύλαξαν. [3] ὁ δ᾽ Ἱκέτης τήν μὲν ἀκρόπολιν τῶν Συρακουσῶν ἐπολιόρκει καὶ σῖτον ἐκώλυεν εἰσπλεῖν τοῖς Κορινθίοις, Τιμολέοντι δὲ δύο ξένους παρασκευάσας δολοφονήσοντας αὐτὸν ὑπέπεμψεν εἰς Ἀδρανόν, οὔτε ἄλλως περὶ τὸ σῶμα συντεταγμένην ἔχοντι φυλακήν, καὶ τότε παντάπασι διὰ τὸν θεὸν ἀνειμένως καὶ ἀνυπόπτως σχολάζοντι μετὰ τῶν Ἀδρανιτῶν. οἱ δὲ πεμφθέντες κατὰ τύχην πυθόμενοι μέλλοντα θύειν αὐτόν, ἧκον εἰς τὸ ἱερόν ὑπὸ τοῖς ἱματίοις ἐγχειρίδια κομίζοντες, καὶ τοῖς περιεστῶσι τὸν βωμὸν ἀναμιχθέντες, ἐγγυτέρω κατὰ μικρὸν ἐπεχείρουν. [4] καὶ ὅσον οὔπω παρακελευομένων ἀλλήλοις ἐνάρχεσθαι παίει τις αὐτῶν τὸν ἕτερον κατὰ τῆς κεφαλῆς ξίφει, καὶ πεσόντος οὔθ᾽ ὁ παίσας ἔμεινεν οὔδ᾽ ὁ μετὰ τοῦ πληγέντος ἥκων, ἀλλ᾽ ἐκεῖνος μὲν, ὥσπερ εἶχε τὸ ξίφος, φεύγων πρός τινα πέτραν ὑψηλὴν ἀνεπήδησεν, ἅτερος δὲ τοῦ βωμοῦ λαβόμενος ἄδειαν ᾐτεῖτο παρὰ τοῦ Τιμολέοντος ἐπὶ τῷ πάντα μηνῦσαι. καὶ λαβὼν ἐμήνυσε καθ᾽ αὑτοῦ καὶ κατὰ τοῦ τεθνηκότος ὡς πεμφθεῖεν ἐκεῖνον ἀποκτενοῦντες. [5] ἐν τούτῳ δὲ καὶ τὸν ἀπὸ τῆς πέτρας κατῆγον ἕτεροι, βοῶντα μηδὲν ἀδικεῖν, ἀλλ᾽ ἀνῃρηκέναι δικαίως τὸν ἄνθρωπον ὑπὲρ πατρὸς τεθνηκότος, ὃν ἐκεῖνος ἀπεκτονήκοι πρότερον ἐν Λεοντίνοις. καὶ μαρτυροῦντας εἶχεν ἐνίους τῶν παρόντων, θαυμάζοντας ἅμα τῆς τύχης τήν εὐμηχανίαν, ὡς δι᾽ ἑτέρων ἕτερα κινοῦσα καὶ συνάγουσα πάντα πόρρωθεν καὶ συγκαταπλέκουσα τοῖς πλεῖστον διαφέρειν δοκοῦσι καὶ μηδὲν ἔχειν πρὸς ἄλληλα κοινόν ἀεὶ τοῖς ἀλλήλων χρῆται καὶ τέλεσι καὶ ἀρχαῖς. [6] τὸν μὲν οὖν ἄνθρωπον ἐστεφάνωσαν οἱ Κορίνθιοι δέκα μναῖς, ὅτι τῷ φυλάττοντι δαίμονι τὸν Τιμολέοντα πάθος ἔχρησε δίκαιον καὶ τὸν ἐκ πολλοῦ παρόντα θυμὸν αὐτῷ πρότερον οὐ κατανάλωσεν, ἀλλὰ μετ᾽ αἰτίας ἰδίας πρὸς τήν ἐκείνου σωτηρίαν ἀπὸ τύχης διετήρησεν. ἡ δ᾽ εἰς τὸν παρόντα καιρὸν εὐτυχία καὶ πρὸς τὰ μέλλοντα ταῖς ἐλπίσιν ἐπῆρεν ὁρῶντας ὡς ἱερὸν ἄνδρα καὶ σὺν θεῷ τιμωρὸν ἥκοντα τῇ Σικελίᾳ, τὸν Τιμολέοντα σέβεσθαι καὶ φυλάττειν.
[XVI] Se la sventura di Dionisio apparve incredibile, non di meno il successo di Timoleonte ebbe dello straordinario. Difatti in cinquanta giorni dal suo sbarco in Sicilia s'impadronì sia dell'acropoli siracusana e parimenti spedì Dionisio nel Peloponneso. Incoraggiati dunque i Corinzi gli inviarono duemila opliti e duecento cavalieri i quali, giunti nei pressi di Turi, vedendo che l'attraversamento risultava difficoltoso – il mare infatti era controllato dai Cartaginesi con numerose navi – data la necessità di trattenersi in quel luogo aspettando il momento migliore, utilizzarono il tempo a loro disposizione per un'opera assai degna. Ricevuta in consegna la città, poiché gli abitanti di Turi erano impegnati in una spedizione contro i Bruzii, la difesero fedelmente e senza macchiarsi d'infamia, come fosse stata la loro patria. Intanto Iceta, mentre assediava l'acropoli di Siracusa ed impediva che i rifornimenti di grano giungessero per mare ai Corinzi, preparati due stranieri ai danni di Timoleonte, l'inviò segretamente ad Adrano con il compito di assassinarlo, non avendo questi una sorveglianza disposta attorno alla sua persona e trovandosi in quel momento, per via di una cerimonia sacra, del tutto disimpegnato, tranquillo e senza sospetti insieme agli Adraniti. I sicari, venuti casualmente a sapere che Timoleonte era in procinto di celebrare un sacrificio, giunsero al tempio, recando i pugnali sotto al mantello e, mescolatisi a quanti si trovavano attorno all'altare, si fecero man mano più vicini. Ma, mentre si esortavano l'un l'altro ad iniziare la loro opera, un tale colpì con un pugnale uno dei due alla testa; caduto a terra non rimase né chi aveva sferrato il colpo né chi era giunto assieme a quello rimasto colpito, ma l'uno, come ebbe raccolto il pugnale, fuggì verso una rupe elevata e vi balzò sopra, l'altro invece, strettosi all'altare, implorò Timoleonte di aver salva la vita, se avesse rivelato ogni cosa. Ottenuto quanto chiedeva, denunciò se stesso ed il morto dicendo che erano stati inviati per uccidere Timoleonte. Intanto altri trassero giù anche quello dalla rupe, il quale andava gridando di non essere in alcun modo colpevole, ma di aver ucciso a buon diritto l'uomo per vendicare la morte del padre, che quello aveva ucciso tempo prima a Leontini. Ed ebbe a testimoni alcuni fra i presenti i quali al contempo rimasero meravigliati dall'ingegnosità della sorte: mettendo in movimento una cosa tramite l'altra, riunendole tutte insieme seppur separate e distanti, intrecciandole con quelle che paiono assai diverse e non avere alcunché di comune fra loro, ogni volta essa fa del termine di una il principio dell'altra. I Corinzi dunque ricompensarono l'uomo con un dono di dieci mine, poiché aveva messo un giusto sentimento a disposizione di quel dio che proteggeva Timoleonte, e non aveva sprecato il primo proposito che era con lui da lungo tempo, ma insieme a motivazioni personali lo aveva conservato sotto la guida della sorte per la salvezza di Timoleonte. La buona fortuna legata alla circostanza presente diede speranza anche per quelle future ed indusse ad onorare e proteggere Timoleonte quanti scorgevano in lui come un personaggio sacro ed un vendicatore giunto in Sicilia con il favore divino.
[XVII] ὡς δὲ ταύτης διήμαρτε τῆς πείρας ὁ Ἱκέτης καὶ πρὸς Τιμολέοντα πολλοὺς ἑώρα συνισταμένους, μεμψάμενος αὐτὸς ἑαυτόν ὅτι τηλικαύτης παρούσης τῆς Καρχηδονίων δυνάμεως ὥσπερ αἰσχυνόμενος αὐτῇ κατὰ μικρὰ χρῆται καὶ λάθρα, κλέπτων καὶ παρεισάγων τὴν συμμαχίαν, μετεπέμπετο Μάγωνα τὸν στρατηγὸν αὐτῶν μετὰ τοῦ στόλου παντός. [2] ὁ δὲ εἰσέπλει φοβερός ναυσὶ πεντήκοντα καὶ ἑκατὸν καταλαμβάνων τὸν λιμένα, πεζῶν δὲ μυριάδας ἓξ ἀποβιβάζων καὶ καταστρατοπεδεύων ἐν τῇ πόλει τῶν Συρακουσίων, ὥστε πάντας οἴεσθαι τὴν πάλαι λεγομένην καὶ προσδοκωμένην ἐκβαρβάρωσιν ἥκειν ἐπὶ τὴν Σικελίαν. οὐδέποτε γὰρ Καρχηδονίοις ὑπῆρξε πρότερον μυρίους πολεμήσασι πολέμους ἐν Σικελίᾳ λαβεῖν τὰς Συρακούσας, ἀλλὰ τότε δεξαμένου τοῦ Ἱκέτου καὶ παραδόντος ἦν ὁρᾶν τὴν πόλιν στρατόπεδον βαρβάρων οὖσαν. [3] οἱ δὲ τὴν ἀκρόπολιν τῶν Κορινθίων κατέχοντες ἐπισφαλῶς καὶ χαλεπῶς ἀπήλλαττον, τροφῆς μὲν ἱκανῆς οὐκέτι παρούσης, ἀλλ᾽ ἐνδεόμενοι διὰ τὸ φρουρεῖσθαι τοὺς λιμένας, ἀεὶ δὲ ἐν ἀγῶσι καὶ μάχαις περὶ τὰ τείχη καὶ πρὸς πᾶν μηχάνημα καὶ πρὸς πᾶσαν ἰδέαν πολιορκίας μερίζοντες αὑτούς.
[XVII] Iceta, dopo aver fallito questo tentativo e visto unirsi a Timoleonte un gran numero di persone, rivolto il proprio biasimo verso sé stesso poiché, pur essendo così grande l'esercito cartaginese a disposizione, ne faceva un uso limitato e furtivo, quasi avesse dovuto vergognarsene, introducendo l'alleanza segretamente come un ladro, mandò a chiamare Magone, generale cartaginese, con l'intera armata. Questi giunse in tutta la sua terribile potenza [primavera 343 a.C.], occupando il porto con centocinquanta navi, sbarcando a terra seimila fanti e ponendo il campo nella città dei Siracusani, tanto da far pensare ad ognuno che fosse arrivato in Sicilia l'imbarbarimento di cui si parlava e si attendeva da tempo. In precedenza infatti ai Cartaginesi, che pure avevano combattuto infinite guerre in Sicilia, mai era capitato di conquistare Siracusa; ma in quel momento, dopo che Iceta li aveva accolti e gli aveva aperto le porte, la città, a quanto si poteva vedere, era un accampamento di barbari. I Corinzi che tenevano l'acropoli versavano invece in una condizione difficile e pericolosa: mancava ormai il cibo sufficiente a disposizione, ed essi si trovavano nelle difficoltà dato che i porti erano sorvegliati, e costantemente si suddividevano impegnandosi in contese e schermaglie attorno le mura contro ogni sorta di macchinario e genere d'assedio.
[XVIII] οὐ μὴν ἀλλ᾽ ὁ Τιμολέων παρεβοήθει σῖτον ἐκ Κατάνης μικραῖς ἁλιάσι καὶ λεπτοῖς ἀκατίοις ἀποστέλλων, ἃ μάλιστα χειμῶνι παρεισέπιπτε διὰ τῶν βαρβαρικῶν τριήρων ὑποπορευόμενα, πρὸς τὸν κλύδωνα καὶ τὸν σάλον ἐκείνων διϊσταμένων. ἃ δὴ συνορῶντες οἱ περὶ τὸν Μάγωνα καὶ τὸν Ἱκέτην ἐβούλοντο τὴν Κατάνην ἑλεῖν, ἐξ ἧς εἰσέπλει τὰ ἐπιτήδεια τοῖς πολιορκουμένοις καὶ λαβόντες τῆς δυνάμεως τὴν μαχιμωτάτην ἐξέπλευσαν ἐκ τῶν Συρακουσῶν. [2] ὁ δὲ Κορίνθιος Νέων οὗτος γὰρ ἦν ἄρχων τῶν πολιορκουμένων κατιδὼν ἀπὸ τῆς ἄκρας τοὺς ὑπολελειμμένους τῶν πολεμίων ἀργῶς καὶ ἀμελῶς φυλάττοντας ἐξαίφνης ἐπέπεσε διεσπαρμένοις αὐτοῖς, καὶ τοὺς μὲν ἀνελών, τοὺς δὲ τρεψάμενος, ἐκράτησε καὶ κατέσχε τὴν λεγομένην Ἀχραδινήν, ὃ κράτιστον ἐδόκει καὶ ἀθραυστότατον ὑπάρχειν τῆς Συρακουσίων μέρος πόλεως, τρόπον τινὰ συγκειμένης καὶ συνηρμοσμένης ἐκ πλειόνων πόλεων. [3] εὐπορήσας δὲ καὶ σίτου καὶ χρημάτων οὐκ ἀφῆκε τὸν τόπον, οὐδ᾽ ἀνεχώρησε πάλιν ἐπὶ τὴν ἄκραν, ἀλλὰ φραξάμενος τὸν περίβολον τῆς Ἀχραδινῆς καὶ συνάψας τοῖς ἐρύμασι πρὸς τὴν ἀκρόπολιν διεφύλαττε. τοὺς δὲ περὶ τὸν Μάγωνα καὶ τὸν Ἱκέτην ἐγγὺς ἤδη τῆς Κατάνης ὄντας ἱππεὺς ἐκ Συρακουσῶν καταλαβὼν ἀπήγγειλε τὴν ἅλωσιν τῆς Ἀχραδινῆς, καὶ συνταραχθέντες ἀνεχώρησαν διὰ ταχέων, οὔτε λαβόντες ἐφ᾽ ἣν ἐξῆλθον οὔτε φυλάξαντες ἣν εἶχον.
[XVIII] Tuttavia Timoleonte portò soccorso agli assediati, inviando grano da Catania su piccole imbarcazioni da pesca e leggeri navigli che, soprattutto con il mare agitato, penetravano furtivamente passando fra le triremi cartaginesi le quali si trovavano distanziate per via delle ondate violente. Vedendo ciò Magone e Iceta decisero di prendere Catania, da cui giungevano per mare i rifornimenti necessari per gli assediati. Così, raccolta la parte più combattiva dell'esercito, salparono da Siracusa. Ma il corinzio Neone, al comando degli assediati, dopo aver visto dall'acropoli che la sorveglianza da parte dei nemici rimasti era condotta pigramente e senza cura, piombò subito su di loro che erano sparsi per il campo; uccisi alcuni e messi in fuga altri, s'impadronì ed occupò la cosiddetta Acradina, la quale sembra essere la parte più forte ed invulnerabile di Siracusa, che in un certo modo è un complesso e una combinazione di più città unite insieme. Venuto in possesso di una grande abbondanza di grano e di altri beni, tuttavia non abbandonò la posizione né tornò indietro sulla parte alta, ma innalzato un muro attorno all'isola e collegatolo alle fortificazioni dell'acropoli lo difese sorvegliandolo. Un cavaliere proveniente da Siracusa, raggiunti Iceta e Magone, che erano già vicino a Catania, riferì della conquista di Acradina. Quelli sconvolti tornarono indietro in tutta fretta, senza aver conquistato Catania, contro la quale si erano messi in marcia, né difeso Acradina, di cui tenevano il possesso.
[XIX] ταῦτα μὲν οὖν ἔτι τῇ προνοίᾳ καὶ ἀρετῇ δίδωσί τινα πρὸς τὴν τύχην ἀμφισβήτησιν · τὸ δ᾽ ἐπὶ τούτοις γενόμενον παντάπασιν ἔοικε συμβῆναι κατ᾽ εὐτυχίαν. οἱ γὰρ ἐν τοῖς Θουρίοις διατρίβοντες στρατιῶται τῶν Κορινθίων ἅμα μὲν δεδιότες τὰς Καρχηδονίων τριήρεις, αἳ παρεφύλαττον αὐτοὺς μετὰ Ἄννωνος, ἅμα δ᾽ ἐφ᾽ ἡμέρας πολλὰς ἐξηγριωμένης ὑπὸ πνεύματος τῆς θαλάττης, πεζῇ διὰ Βρεττίων ὥρμησαν πορεύεσθαι· καὶ τὰ μὲν πείθοντες, τὰ δὲ βιαζόμενοι τοὺς βαρβάρους εἰς Ῥήγιον κατέβαινον ἔτι πολὺν χειμῶνα τοῦ πελάγους ἔχοντος. [2] ὁ δὲ τῶν Καρχηδονίων ναύαρχος, ὡς οὐ προσεδόκα τοὺς Κορινθίους καὶ μάτην ᾤετο καθῆσθαι, πείσας αὐτὸς ἑαυτὸν νενοηκέναι τι τῶν σοφῶν καὶ πανούργων πρὸς ἀπάτην, στεφανώσασθαι τοὺς ναύτας κελεύσας καὶ κοσμήσας τὰς τριήρεις ἀσπίσιν Ἑλληνικαῖς καὶ φοινικίσιν, ἔπλει πρὸς τὰς Συρακούσας. καὶ παρὰ τὴν ἀκρόπολιν χρώμενος ῥοθίῳ μετὰ κρότου καὶ γέλωτος ἐβόα τοὺς Κορινθίους ἥκειν νενικηκὼς καὶ κεχειρωμένος, ἐν τῇ θαλάττῃ λαβὼν διαπλέοντας, ὡς δή τινα δυσθυμίαν τοῖς πολιορκουμένοις παρέξων. [3] ἐκείνου δὲ ταῦτα ληροῦντος καὶ φενακίζοντος ἐκ τῶν Βρεττίων καταβεβηκότες οἱ Κορίνθιοι εἰς τὸ Ῥήγιον, ὡς οὐδεὶς παρεφύλαττε καὶ τὸ πνεῦμα κατεσβεσμένον παραλόγως ἀκύμονα τὸν πόρον ἰδεῖν καὶ λεῖον παρεῖχε, ταχὺ πληρώσαντες τὰ πορθμεῖα καὶ τὰς ἁλιάδας τὰς παρούσας ἀνήγοντο καὶ διεκομίζοντο πρὸς τὴν Σικελίαν, οὕτως ἀσφαλῶς καὶ διὰ τοσαύτης γαλήνης ὥστε τοὺς ἵππους παρὰ τὰ πλοῖα παρανηχομένους ἐκ ῥυτήρων ἐφέλκεσθαι.
[XIX] Questi episodi, per prudenza e valore, contendono ancora con l'azione della fortuna: ma quanto si verificò in seguito senza dubbio pare accaduto per una sorte favorevole. Infatti i soldati Corinzi che si trattenevano a Turi si misero in viaggio a piedi attraverso il territorio dei Bruzii, sia perché temevano le triremi cartaginesi, che li sorvegliavano insieme ad Annone, sia perché da molti giorni il mare era agitato a causa dei venti. In parte convincendo i barbari, in parte facendo loro violenza, scesero verso Reggio che il mare era ancora in gran tempesta. L'ammiraglio cartaginese, non aspettandosi l'arrivo dei Corinzi e ritenendo che fosse inutile starsene fermo, convintosi di aver escogitato qualcosa di ingegnoso e di astuto per poter trarre in inganno, dato ordine ai marinai di cingersi il capo di corone e di adornare le triremi con scudi greci e drappi rossi, salpò verso Siracusa. Per gettare nello sconforto gli assediati, col fragore dei remi, strepiti e risa passando nei pressi dell'acropoli gridò di essere giunto dopo aver sconfitto e fatto prigionieri i Corinzi, da lui sorpresi mentre attraversavano il mare. Ma, intanto che quello andava dicendo tali sciocchezze e faceva lo sbruffone, i Corinzi scesi dal territorio dei Bruzii verso Reggio, poiché non vi era alcuna sorveglianza ed il vento, calato improvvisamente, consentiva l'attraversamento del mare, calmo e piatto a vedersi, riempiti rapidamente i battelli e le piccole imbarcazioni disponibili, presero il largo e si diressero alla volta della Sicilia, con tale sicurezza e in una tale bonaccia che i cavalli, attraversando le acque a fianco delle imbarcazioni, venivano tratti per le redini.
[XX] περαιωθέντων δὲ πάντων ὁ Τιμολέων δεξάμενος αὐτοὺς τήν τε Μεσσήνην εὐθὺς εἶχε, καὶ συνταξάμενος ἐβάδιζεν ἐπὶ τὰς Συρακούσας, οἷς εὐτύχει καὶ κατώρθου μᾶλλον ἢ τῇ δυνάμει πεποιθώς· οὐ γὰρ ἦσαν οἱ σὺν αὐτῷ πλείους τετρακισχιλίων. ἀγγελλομένης δὲ τῆς ἐφόδου τῷ Μάγωνι, θορυβούμενος καὶ δεδοικὼς ἔτι μᾶλλον εἰς ὑποψίαν ἦλθεν ἐκ τοιαύτης προφάσεως. [2] ἐν τοῖς περὶ τήν πόλιν τενάγεσι, πολὺ μὲν ἐκ κρηνῶν πότιμον ὕδωρ, πολὺ δ᾽ ἐξ ἑλῶν καὶ ποταμῶν καταρρεόντων εἰς τήν θάλατταν δεχομένοις, πλῆθος ἐγχέλεων νέμεται, καὶ δαψίλεια τῆς ἄγρας τοῖς βουλομένοις ἀεὶ πάρεστι. ταύτας οἱ παρ᾽ ἀμφοτέρων μισθοῦ στρατευόμενοι σχολῆς οὔσης καὶ ἀνοχῶν συνεθήρευον. οἷα δ᾽ Ἕλληνες ὄντες καὶ πρὸς ἀλλήλους οὐκ ἔχοντες ἰδίων ἀπεχθειῶν πρόφασιν, ἐν μὲν ταῖς μάχαις διεκινδύνευον εὐρώστως, ἐν δὲ ταῖς ἀνοχαῖς προσφοιτῶντες ἀλλήλοις διελέγοντο. [3] καὶ τότε κοινὸν περὶ τήν ἁλιείαν ἔχοντες ἔργον ἐν λόγοις ἦσαν, θαυμάζοντες τῆς θαλάσσης τήν εὐφυΐαν καὶ τῶν χωρίων τήν κατασκευήν. καὶ τις εἶπε τῶν παρὰ τοῖς Κορινθίοις στρατευομένων ‘τοσαύτην μέντοι πόλιν τὸ μέγεθος καὶ τοσούτοις ἐξησκημένην καλοῖς ὑμεῖς Ἕλληνες ὄντες ἐκβαρβαρῶσαι προθυμεῖσθε, τοὺς κακίστους καὶ φονικωτάτους Καρχηδονίους ἐγγυτέρω κατοικίζοντες ἡμῶν, πρὸς οὓς ἔδει πολλὰς εὔχεσθαι Σικελίας προκεῖσθαι τῆς Ἑλλάδος. [4] ἢ δοκεῖτε τούτους στρατὸν ἀγείραντας ἀπὸ στηλῶν Ἡρακλείων καὶ τῆς Ἀτλαντικῆς ἥκειν θαλάττης δεῦρο κινδυνεύσοντας ὑπὲρ τῆς Ἱκέτου δυναστείας; ὃς εἰ λογισμὸν εἶχεν ἡγεμόνος, οὐκ ἂν ἐξέβαλλε τοὺς πατέρας οὐδ᾽ ἐπῆγε τῇ πατρίδι τοὺς πολεμίους, ἀλλὰ καὶ τιμῆς καὶ δυνάμεως ἐτύγχανεν ὅσης πρέπει, Κορινθίους καὶ Τιμολέοντα πείσας.’ τούτους τοὺς λόγους οἱ μισθοφόροι διεθρόησαν ἐν τῷ στρατοπέδῳ, καὶ παρέσχον ὑποψίαν τῷ Μάγωνι προδίδοσθαι, χρῄζοντι πάλαι προφάσεως. [5] διὸ καὶ δεομένου τοῦ Ἱκέτου παραμένειν καὶ διδάσκοντος ὅσῳ βελτίονές εἰσι τῶν πολεμίων, μᾶλλον οἰόμενος ἀρετῇ καὶ τύχῃ λείπεσθαι Τιμολέοντος ἢ πλήθει δυνάμεως ὑπερβάλλειν, ἄρας εὐθὺς ἀπέπλευσεν εἰς Λιβύην, αἰσχρῶς κατ᾽ οὐδένα λογισμὸν ἀνθρώπινον ἐκ τῶν χειρῶν ἀφεὶς Σικελίαν.
[XX] Dopo che tutti vennero trasferiti sulla sponda opposta, Timoleonte, ricevutili, prese subito Messina e, avendoli disposti in formazione insieme agli altri, si diresse verso Siracusa, confidando in ciò per cui aveva avuto fortuna e successo piuttosto che nella forza militare: difatti gli uomini ai suoi ordini non superavano le quattromila unità. Annunciato a Magone l’arrivo dei Corinzi, egli, confuso ed in preda al timore, divenne ancor più sospettoso per questo motivo: nelle paludi attorno alla città, che ricevono molta acqua dolce dalle sorgenti e molta dagli acquitrini e dai fiumi che scorrono verso il mare, si trova una gran quantità di anguille e, per chi lo desidera, vi è sempre abbondante pesca. E queste anguille pescavano insieme i mercenari di entrambi gli eserciti, quando non erano occupati ed impegnati in battaglia. Dato che erano Greci e non avevano motivi di odio personale gli uni contro gli altri, con grande coraggio affrontavano il pericolo durante gli scontri, ma nei momenti di tregua incontrandosi scambiavano alcune parole, e in quel momento, trovandosi occupati allo stesso modo nella pesca, discutevano fra loro, ammirando la buona posizione del mare e la ricchezza dei territori. Ed uno di quelli che combattevano dalla parte dei Corinzi disse: “voi, sebbene siate Greci, siete pronti ad imbarbarire una città così grande e ricca di così tante bellezze, ponendo come nostri vicini prossimi i Cartaginesi, i più sanguinari e malvagi, gente rispetto alla quale bisognerebbe pregare che vi fosse più di una Sicilia ad opporsi davanti all'Ellade. O forse credete che questi, dopo aver radunato un esercito, son giunti fin qui dalle colonne d’Eracle e dall’Oceano Atlantico a correre rischi per la signoria d’ Iceta ? E questo, se avesse avuto l’intelligenza di un comandante, non avrebbe cacciato i fondatori né avrebbe portato i nemici contro la patria, ma avrebbe ottenuto onore e potenza, quanto gli spettava, nel caso avesse convinto i Corinzi e Timoleonte”. Tali discorsi dunque i mercenari diffondevano nel campo e davano a Magone il sospetto di essere tradito, Magone che da tempo cercava un pretesto. Perciò, anche se Iceta gli chiedeva di rimanere e gli spiegava quanto più grande fosse il loro numero, quello, pensando di essere inferiore a Timoleonte per fortuna e valore piuttosto che di superarlo con l’ampiezza delle sue forze, fatte sollevare le ancore tornò immediatamente in Libia, lasciandosi cadere dalle mani la Sicilia in modo vergognoso e senza alcun motivo comprensibile per la ragione umana.
[XXI] τῇ δ᾽ ὑστεραίᾳ παρῆν ὁ Τιμολέων ἐπὶ μάχην συντεταγμένος. ὡς δὲ τὴν φυγὴν ἐπυνθάνοντο καὶ τὴν ἐρημίαν ἑώρων τῶν νεωρίων, γελᾶν αὐτοῖς ἐπῄει τὴν ἀνανδρίαν τοῦ Μάγωνος, καὶ περιϊόντες ἐκήρυττον ἐν τῇ πόλει μήνυτρα τῷ φράσαντι τὸν Καρχηδονίων στόλον ὅπῃ σφᾶς ἀποδέδρακεν. [2] οὐ μὴν ἀλλὰ τοῦ Ἱκέτου φιλομαχοῦντος ἔτι καὶ τὴν λαβὴν οὐ προϊεμένου τῆς πόλεως, ἀλλὰ ἐμπεφυκότος οἷς κατεῖχε μέρεσι καρτεροῖς οὖσι καὶ δυσπροσμάχοις, διελὼν ὁ Τιμολέων τὴν δύναμιν αὐτὸς μὲν ᾗ βιαιότατον ἦν παρὰ τὸ ῥεῖθρον τοῦ Ἀνάπου προσέβαλλεν, ἄλλους δ᾽ ἐκ τῆς Ἀχραδινῆς ἐκέλευεν ἐπιχειρεῖν, ὧν Ἰσίας ἡγεῖτο ὁ Κορίνθιος, τοὺς δὲ τρίτους ἐπῆγον ἐπὶ τὰς Ἐπιπολὰς Δείναρχος καὶ Δημάρετος, οἱ τὴν ὑστέραν ἀγαγόντες ἐκ Κορίνθου βοήθειαν. [3] ἅμα δὲ καὶ πανταχόθεν τῆς ἐφόδου γενομένης καὶ τῶν περὶ τὸν Ἱκέτην ἀνατραπέντων καὶ φευγόντων, τὸ μὲν ἁλῶναι τὴν πόλιν κατ᾽ ἄκρας καὶ γενέσθαι ταχέως ὑποχείριον ἐκπεσόντων τῶν πολεμίων δίκαιον ἀναθεῖναι τῇ τῶν μαχομένων ἀνδραγαθίᾳ καὶ τῇ δεινότητι τοῦ στρατηγοῦ, τὸ δὲ μὴ ἀποθανεῖν τινα μηδὲ τρωθῆναι τῶν Κορινθίων ἴδιον ἔργον αὑτῆς ἡ Τιμολέοντος ἐπεδείξατο τύχη, καθάπερ διαμιλλωμένη πρὸς τὴν ἀρετὴν τοῦ ἀνδρός, ἵνα τῶν ἐπαινουμένων αὐτοῦ τὰ μακαριζόμενα μᾶλλον οἱ πυνθανόμενοι θαυμάζωσιν. [4] οὐ γὰρ μόνον Σικελίαν πᾶσαν οὐδ᾽ Ἰταλίαν εὐθὺς ἡ φήμη κατέσχεν, ἀλλ᾽ ἡμερῶν ὀλίγων ᾗ Ἑλλὰς διήχει τὸ μέγεθος τοῦ κατορθώματος, ὥστε τὴν τῶν Κορινθίων πόλιν ἀπιστοῦσαν εἰ διαπέπλευκεν ὁ στόλος, ὁμοῦ καὶ σεσῳσμένους καὶ νενικηκότας ἀκούειν τοὺς ἄνδρας. οὕτως εὐρόησαν αἱ πράξεις, καὶ τοσοῦτο τῷ κάλλει τῶν ἔργων τὸ τάχος ἡ τύχη προσέθηκεν.
[XXI] Il giorno successivo si presentò Timoleonte schierato per la battaglia. Ma non appena vennero informati della fuga e videro la desolazione dell’arsenale, presero a ridere della viltà di Magone, e girando nei dintorni annunciarono in città un compenso a chi avesse spiegato in che modo l’esercito cartaginese fosse sfuggito loro. Tuttavia, poiché Iceta aveva ancora voglia di combattere e non aveva abbandonato la conquista della città, ma anzi se ne stava ben saldo nelle posizioni che egli controllava, le quali resistevano ed erano difficili da attaccare, Timoleonte, suddiviso l’esercito, attaccò là dove era più duro e difficoltoso l’accesso, lungo la corrente dell’ Anapo: ordinò poi agli altri, a capo dei quali vi era il corinzio Isia, di dare l’assalto da Acradina; Dinarco e Demareto, che avevano condotto i recenti rinforzi da Corinto, guidavano un terzo gruppo contro l’Epipole. Portato l’attacco contemporaneamente e da ogni parte, e volti in fuga gli uomini di Iceta [estate 343 a.C.], è giusto riferire al valore dei combattenti ed alla bravura del comandante il fatto che l’intera città fosse stata conquistata ed assoggettata in breve tempo, cacciati i nemici. Ma che nessuno dei Corinzi fosse morto o rimasto ferito è un’opera che la fortuna di Timoleonte mostrò come cosa propria, quasi a contendere con il valore dell’uomo, affinché chi ne viene a conoscenza ammiri maggiormente ciò che gli è riconosciuto come circostanza favorevole rispetto a quanto gli è attribuito a motivo di lode. Difatti la notizia non solo si diffuse immediatamente in tutta la Sicilia e in Italia, ma in pochi giorni la Grecia riecheggiò della grandezza del successo, così che la città dei Corinzi, in dubbio se il contingente avesse compiuto la traversata, venne a sapere, nello stesso momento, che gli uomini erano salvi e vittoriosi. In tal modo le azioni militari ebbero un esito favorevole, e tanta rapidità la fortuna aggiunse allo splendore delle imprese.
[XXII] γενόμενος δὲ τῆς ἄκρας κύριος οὐκ ἔπαθε Δίωνι ταὐτὸ πάθος, οὐδ᾽ ἐφείσατο τοῦ τόπου διὰ τὸ κάλλος καὶ τὴν πολυτέλειαν τῆς κατασκευῆς, ἀλλὰ τὴν ἐκεῖνον διαβαλοῦσαν, εἶτ᾽ ἀπολέσασαν ὑποψίαν φυλαξάμενος ἐκήρυξε τῶν Συρακοσίων τὸν βουλόμενον παρεῖναι μετὰ σιδήρου καὶ συνεφάπτεσθαι κατασκαπτομένων τῶν τυραννικῶν ἐρυμάτων. [2] ὡς δὲ πάντες ἀνέβησαν, ἀρχὴν ἐλευθερίας ποιησάμενοι βεβαιοτάτην τὸ κήρυγμα καὶ τὴν ἡμέραν ἐκείνην, οὐ μόνον τὴν ἄκραν, ἀλλὰ καὶ τὰς οἰκίας καὶ τὰ μνήματα τῶν τυράννων ἀνέτρεψαν καὶ κατέσκαψαν. εὐθὺς δὲ τὸν τόπον συνομαλύνας ἐνῳκοδόμησε τὰ δικαστήρια, χαριζόμενος τοῖς πολίταις καὶ τῆς τυραννίδος ὑπερτέραν ποιῶν τὴν δημοκρατίαν. [3] ἐπεὶ δὲ τὴν πόλιν ἑλὼν οὐκ εἶχε πολίτας, ἀλλὰ τῶν μὲν ἐν τοῖς πολέμοις καὶ ταῖς στάσεσι διαφθαρέντων, τῶν δὲ τὰς τυραννίδας φυγόντων, ἡ μὲν ἐν Συρακούσαις ἀγορὰ δι᾽ ἐρημίαν οὕτω πολλὴν καὶ βαθεῖαν ἐξέφυσεν ὕλην ὥστε τοὺς ἵππους ἐν αὐτῇ κατανέμεσθαι, τῶν ἱπποκόμων ἐν τῇ χλόῃ κατακειμένων, αἱ δὲ ἄλλαι πόλεις πλὴν παντελῶς ὀλίγων ἐλάφων ἐγένοντο μεσταὶ καὶ συῶν ἀγρίων, ἐν δὲ τοῖς προαστείοις καὶ περὶ τὰ τείχη πολλάκις οἱ σχολὴν ἄγοντες ἐκυνηγέτουν, [4] ὑπήκουε δ᾽ οὐδεὶς τῶν ἐν τοῖς ἐρύμασι καὶ φρουρίοις κατοικούντων, οὐδὲ κατέβαινον εἰς τὴν πόλιν, ἀλλὰ φρίκη καὶ μῖσος εἶχε πάντας ἀγορᾶς καὶ πολιτείας καὶ βήματος, ἐξ ὧν ἀνέφυσαν αὐτοῖς οἱ πλεῖστοι τῶν τυράννων, ἔδοξε τῷ Τιμολέοντι καὶ τοῖς Συρακουσίοις γράψαι πρὸς τοὺς Κορινθίους ὅπως πέμψωσιν οἰκήτορας εἰς τὰς Συρακούσας ἐκ τῆς Ἑλλάδος. [5] ἥ τε γὰρ χώρα σχολάζειν ἔμελλε, καὶ πολὺν πόλεμον ἐκ Λιβύης προσεδέχοντο, πυνθανόμενοι τοὺς Καρχηδονίους τοῦ μὲν Μάγωνος ἑαυτὸν ἀνελόντος ἀνεσταυρωκέναι τὸ σῶμα διὰ τὴν στρατηγίαν ὀργισθέντας, αὐτοὺς δὲ συνάγειν μεγάλην δύναμιν ὡς ἔτους ὥρᾳ διαβησομένους εἰς Σικελίαν.
[XXII] Divenuto signore dell’acropoli, non ebbe gli stessi sentimenti di Dione, né risparmiò il luogo per la bellezza e la sontuosità degli edifici, ma, evitato il sospetto che prima aveva messo in discredito Dione e poi lo aveva mandato in rovina, fece annunciare, per chi fra i Siracusani lo desiderasse, di presentarsi con attrezzi di ferro e prendere parte alla distruzione della fortezza del tiranno. Quando tutti furono saliti, poiché reputavano quell’annuncio e quella giornata il più sicuro inizio della libertà, rovesciarono e rasero al suolo non solo l’acropoli, ma anche le dimore e i monumenti dei tiranni. Avendo reso il luogo in breve tempo una spianata, ordinò che vi si costruissero i tribunali, facendo cosa gradita alla cittadinanza e rendendo la democrazia superiore alla tirannide. Tuttavia, dato che, dopo aver conquistato la città, non aveva cittadini, rimasti uccisi alcuni nelle guerre e nei dissidi interni, altri avendo fuggito la tirannide, e l’agorà di Siracusa per la desolazione aveva fatto spuntare una boscaglia talmente fitta e profonda che i cavalli vi pascolavano e gli stallieri se ne stavano distesi sull’erba, e le altre città, con pochissime eccezioni, erano divenute ricettacolo di cervi e cinghiali, e nelle periferie ed intorno alle mura chi aveva tempo libero vi andava a cacciare, e nessuno di quanti abitavano nelle fortezze e nei posti di guardia rispondeva agli appelli, né scendeva in città, ma anzi tutti tratteneva un terrore ed un odio dell’assemblea politica e della tribuna, dalle quali era per loro sorta la maggior parte dei tiranni, Timoleonte e i Siracusani decisero di scrivere ai Corinzi perché inviassero dalla Grecia coloni a Siracusa. Il territorio infatti sarebbe rimasto spopolato, e si attendeva una grande guerra provenire dalla Libia, in quanto erano venuti a sapere che i Cartaginesi, uccisosi Magone, ne avevano crocifisso il corpo, adirati per come aveva condotto la spedizione, e che stavano radunando un grande esercito, intenzionati nel giro di un anno ad attraversare il mare e a giungere in Sicilia.
[XXIII] τῶν δὲ γραμμάτων τούτων παρὰ τοῦ Τιμολέοντος κομισθέντων, καὶ πρέσβεων ἅμα παρόντων Συρακουσίων καὶ δεομένων ἐπιμεληθῆναι τῆς πόλεως καὶ γενέσθαι πάλιν ἐξ ὑπαρχῆς οἰκιστάς, οὐχ ἥρπασαν οἱ Κορίνθιοι τὴν πλεονεξίαν, οὐδὲ προσεποίησαν αὑτοῖς τὴν πόλιν, ἀλλὰ πρῶτον μὲν ἐπιόντες τοὺς ἱεροὺς ἀγῶνας ἐν τῇ Ἑλλάδι καὶ τὰς μεγίστας τῶν πανηπανηγύρεων ἀνηγόρευον ὑπὸ κηρύκων ὅτι Κορίνθιοι καταλελυκότες τὴν ἐν Συρακούσαις τυραννίδα, καὶ [2] τὸν τύραννον ἐξεληλακότες, καλοῦσι Συρακουσίους καὶ τῶν ἄλλων Σικελιωτῶν τὸν βουλόμενον οἰκεῖν τὴν πόλιν ἐλευθέρους καὶ αὐτονόμους, ἐπ᾽ ἴσοις καὶ δικαίοις τὴν χώραν διαλαχόντας · ἔπειτα διαπέμποντες ἀγγέλους εἰς τὴν Ἀσίαν καὶ τὰς νήσους, ὅπου πλείστους ἐπυνθάνοντο τῶν φυγάδων διεσπαρμένους κατοικεῖν, παρεκάλουν ἰέναι πάντας εἰς Κόρινθον, ὡς Κορινθίων ἀσφαλῆ πομπὴν καὶ πλοῖα καὶ στρατηγοὺς παρεξόντων ἰδίοις τέλεσιν εἰς Συρακούσας. [3] κηρυσσομένων δὲ τούτων ἡ μὲν πόλις τὸν δικαιότατον καὶ κάλλιστον ἀπελάμβανεν ἔπαινον καὶ ζῆλον, ἐλευθεροῦσα μὲν ἀπὸ τῶν τυράννων, σῴζουσα δ᾽ ἀπὸ τῶν βαρβάρων, ἀποδιδοῦσα δὲ τοῖς πολίταις τὴν χώραν. οἱ δὲ συνελθόντες εἰς Κόρινθον οὐκ ὄντες ἱκανοὶ τὸ πλῆθος ἐδεήθησαν ἐκ Κορίνθου καὶ τῆς ἄλλης Ἑλλάδος παραλαβεῖν συνοίκους: καὶ γενόμενοι μυρίων οὐκ ἐλάττους κατέπλευσαν εἰς Συρακούσας. [4] ἤδη δὲ καὶ τῶν ἐξ Ἰταλίας καὶ Σικελίας πολλοὶ τῷ Τιμολέοντι συνεληλύθεισαν καὶ γενομένοις αὐτοῖς ἑξακισμυρίοις τὸ πλῆθος, ὡς Ἄθανις εἴρηκε, τὴν μὲν χώραν διένειμε, τὰς δὲ οἰκίας ἀπέδοτο χιλίων ταλάντων, ἅμα μὲν ὑπολειπόμενος τοῖς ἀρχαίοις Συρακουσίοις ἐξωνεῖσθαι τὰς αὑτῶν, ἅμα δὲ χρημάτων εὐπορίαν τῷ δήμῳ μηχανώμενος οὕτως πενομένῳ καὶ πρὸς τἆλλα καὶ πρὸς τὸν πόλεμον ὥστε καὶ [5] τοὺς ἀνδριάντας ἀποδόσθαι, ψήφου διαφερομένης ὑπὲρ ἑκάστου καὶ γινομένης κατηγορίας, ὥσπερ ἀνθρώπων εὐθύνας διδόντων · ὅτε δή φασι τὸν Γέλωνος ἀνδριάντα τοῦ παλαιοῦ τυράννου διατηρῆσαι τοὺς Συρακουσίους, καταχειροτονουμένων τῶν ἄλλων, ἀγαμένους καὶ τιμῶντας τὸν ἄνδρα τῆς νίκης ἣν πρὸς Ἱμέρᾳ Καρχηδονίους ἐνίκησεν.
[XXIII] Nonostante venissero inviate da Timoleonte lettere di questo tenore, e nello stesso tempo erano presenti a Corinto ambasciatori siracusani che chiedevano di aver cura della città e di esserne di nuovo i fondatori, i Corinzi non ne approfittarono per trarre un vantaggio, né se ne appropriarono, ma per prima cosa, giungendo nelle sacre competizioni e nelle adunanze in tutta la Grecia, annunciarono pubblicamente che essi, dopo aver abbattuto la tirannide a Siracusa e cacciato il tiranno, invitavano gli esuli siracusani, e chi fra i Sicelioti lo desiderava, a stabilirsi nella città liberi e con leggi proprie, avendo suddiviso il territorio in parti uguali e secondo giustizia. Successivamente, inviando messaggeri in Asia e nelle isole, dove sapevano che abitava sparsa la maggior parte degli esuli, li esortarono a raggiungere tutti Corinto, poiché i Corinzi a proprie spese avrebbero messo a disposizione navi e comandanti ed un viaggio sicuro per Siracusa. Fatto questo annuncio, la città ottenne il più bell’elogio e la più onesta ammirazione, in quanto liberava dai tiranni, metteva al sicuro dai barbari e restituiva il territorio alla popolazione. Ad ogni modo quelli che si erano recati a Corinto, non essendo in numero sufficiente, chiesero di prendere dalla città e dal resto della Grecia dei compagni che andassero ad abitare insieme a loro. E, raggiunto un numero non inferiore a diecimila, salparono verso Siracusa. Anche dall’Italia e dalla Sicilia molti si erano uniti a Timoleonte, e a questi che erano divenuti sessantamila, come ha riferito lo storico Atani [FGrH 562 F2], Timoleonte distribuì il territorio, vendette le case al prezzo di mille talenti, consentendo agli antichi proprietari siracusani di riscattare le loro abitazioni, e, allo stesso tempo, trovando un modo per arricchire il tesoro pubblico, così impoverito per le diverse circostanze e per la guerra tanto che si era costretti a vendere anche le statue dei tiranni, con una votazione a maggioranza su ciascuna di esse, ed un’accusa, come fossero uomini chiamati a giustificare la loro condotta. Però dicono che, mentre le altre statue furono condannate per alzata di mano, i Siracusani conservarono la statua di Gelone, l’antico tiranno, poiché ammiravano e rendevano onore all’uomo della vittoria riportata sui Cartaginesi presso Imera.
[XXIV] οὕτω δὲ τῆς πόλεως ἀναζωπυρούσης καὶ πληρουμένης, ἐπιρρεόντων πανταχόθεν εἰς αὐτὴν τῶν πολιτῶν, βουλόμενος ὁ Τιμολέων καὶ τὰς ἄλλας πόλεις ἐλευθερῶσαι καὶ παντάπασιν ἐκκόψαι τῆς Σικελίας τὰς τυραννίδας, ἐπὶ τὰς χώρας αὐτῶν στρατεύων Ἱκέτην μὲν ἠνάγκασεν ἀποστάντα Καρχηδονίων ὁμολογῆσαι τὰς ἀκροπόλεις κατασκάψειν καὶ βιοτεύσειν ἰδιώτην ἐν Λεοντίνοις · [2] Λεπτίνου δὲ τοῦ τυραννοῦντος Ἀπολλωνίας καὶ συχνῶν ἄλλων πολιχνίων, ὡς ἐκινδύνευε κατὰ κράτος ἁλῶναι, παραδόντος αὑτόν φεισάμενος εἰς Κόρινθον ἀπέστειλε, καλὸν ἡγούμενος ἐν τῇ μητροπόλει τοὺς τῆς Σικελίας τυράννους ὑπὸ τῶν Ἑλλήνων ἀποθεωρεῖσθαι φυγαδικῶς καὶ ταπεινῶς ζῶντας. [3] τοὺς δὲ μισθοφόρους βουλόμενος ἐκ τῆς πολεμίας ὠφελεῖσθαι καὶ μὴ σχολάζειν, αὐτὸς μὲν εἰς τὰς Συρακούσας ἐπανῆλθε τῇ καταστάσει τῆς πολιτείας προσέξων καὶ τοῖς ἥκουσιν ἐκ Κορίνθου νομοθέταις Κεφάλῳ καὶ Διονυσίῳ τὰ κυριώτατα καὶ κάλλιστα συνδιαθήσων, [4] τοὺς δὲ περὶ Δείναρχον καὶ Δημάρετον εἰς τὴν τῶν Καρχηδονίων ἐξέπεμψεν ἐπικράτειαν, οἳ πόλεις πολλὰς ἀφιστάντες τῶν βαρβάρων οὐ μόνον αὐτοὶ διῆγον ἐν ἀφθόνοις, ἀλλὰ καὶ χρήματα παρεσκεύαζον εἰς τὸν πόλεμον ἀπὸ τῶν ἁλισκομένων.
[XXIV] Riprendendo in tal modo vita la città e tornando a riempirsi, mentre vi affluivano da ogni parte nuovi cittadini, Timoleonte, volendo liberare anche gli altri centri ed abbattere completamente le tirannidi della Sicilia, conducendo una spedizione contro i loro territori [estate 342 a.C.], convinse Iceta, abbandonata l’alleanza con i Cartaginesi, ad accettare la demolizione delle acropoli e a vivere come privato cittadino a Leontini. Dal momento che invece Leptine, il quale deteneva una signoria su Apollonia e su altre piccole città, rischiando di essere preso con la forza, si era arreso e consegnato, Timoleonte risparmiatolo lo spedì a Corinto, reputando una bella cosa che nella madrepatria i tiranni fossero osservati dai Greci mentre vivevano nella misera condizioni di esuli. Volendo inoltre che i mercenari traessero vantaggio dai territori soggetti al nemico e non restassero inoperosi, tornò a Siracusa per occuparsi dell’ordinamento politico ed aiutare i legislatori Cefalo e Dioniso, giunti da Corinto, a disporre le cose più importanti nel modo migliore, e nel mentre inviò Dinarco e Demareto coi loro uomini verso il dominio cartaginese, i quali, sottraendo ai barbari numerose città, non solo si trovarono nell’abbondanza, ma dalle città conquistate raccolsero ricchezze da impiegare per la guerra.
[XXV] ἐν τούτῳ δὲ Καρχηδόνιοι καταπλέουσιν εἰς τὸ Λιλύβαιον ἄγοντες ἑπτὰ μυριάδας στρατοῦ καὶ τριήρεις διακοσίας καὶ πλοῖα χίλια κομίζοντα μηχανὰς καὶ τέθριππα καὶ σῖτον ἄφθονον καὶ τὴν ἄλλην παρασκευήν, ὡς οὐκέτι ποιησόμενοι κατὰ μέρος τὸν πόλεμον, ἀλλ᾽ ὁμοῦ πάσης Σικελίας ἐξελάσοντες τοὺς Ἕλληνας · ἦν γὰρ ἡ δύναμις ἐπαρκοῦσα καὶ μὴ νοσοῦντας μηδὲ διεφθαρμένους ὑπ᾽ ἀλλήλων συλλαβέσθαι Σικελιώτας. [2] πυθόμενοι δὲ πορθεῖσθαι τὴν ἐπικράτειαν αὐτῶν, εὐθὺς ὀργῇ πρὸς τοὺς Κορινθίους ἐχώρουν Ἀσδρούβα τε καὶ Ἀμίλκα στρατηγούντων. τῆς δὲ ἀγγελίας ὀξέως εἰς Συρακούσας ἀφικομένης οὕτω κατεπλάγησαν οἱ Συρακούσιοι πρὸς τὸ μέγεθος τῆς δυνάμεως ὥστε μόλις τῷ Τιμολέοντι τρισχιλίους ἀπὸ τοσούτων μυριάδων ὅπλα λαβόντας τολμῆσαι συνεξελθεῖν. [3] οἱ δὲ μισθοφόροι τετρακισχίλιοι τὸ πλῆθος ἦσαν καὶ τούτων αὖθις ὅσον χίλιοι καθ᾽ ὁδὸν ἀποδειλιάσαντες ἀνεχώρησαν, ὡς οὐχ ὑγιαίνοντος τοῦ Τιμολέοντος, ἀλλὰ μαινομένου παρ᾽ ἡλικίαν, πρὸς ἑπτὰ μυριάδας πολεμίων μετὰ πεντακισχιλίων πεζῶν καὶ χιλίων ἱππέων βαδίζοντος, καὶ διαρτῶντος ὁδὸν ἡμερῶν ὀκτὼ τὴν δύναμιν ἀπὸ τῶν Συρακουσῶν, ὅθεν οὔτε σωθῆναι τοῖς φεύγουσιν οὔτε ταφῆναι τοῖς πεσοῦσιν αὐτῶν ὑπάρξει. [4] τούτους μὲν οὖν Τιμολέων κέρδος ἡγεῖτο πρὸ τῆς μάχης φανεροὺς γεγονότας, τοὺς δὲ ἄλλους ἐπιρρώσας κατὰ τάχος ἦγε πρὸς τὸν Κρίμησον ποταμόν, ὅπου καὶ τοὺς Καρχηδονίους ἤκουσε συνάπτειν.
[XXV] Difatti in quel momento i Cartaginesi navigavano verso il Lilibeo [primavera 341 a.C.], recando un esercito di settantamila uomini, duecento triremi ed un migliaio di imbarcazioni che trasportavano macchine d’assedio, tiri a quattro, grano in abbondanza ed il restante apparato bellico, intenzionati non più a far guerra contro singole città, ma a cacciare in una sola volta i Greci da tutta la Sicilia: le loro forze bastavano a conquistare gli abitanti anche se non fossero stati malridotti e reciprocamente rovinati da conflitti interni. Venuti a sapere che il loro dominio era saccheggiato, adirati si volsero immediatamente contro i Corinzi, sotto la guida di Asdrubale ed Amilcare. Giunta subito la notizia a Siracusa, i cittadini rimasero talmente colpiti dalla grandezza dell’esercito che a stento da così tante migliaia di persone tremila uomini trovarono il coraggio di prendere le armi e di unirsi a Timoleonte. I mercenari erano quattromila: e fra questi inoltre circa un migliaio, presi dalla paura durante il percorso, tornarono indietro, perché – ritenevano – Timoleonte non era in salute, ma aveva perso la ragione nonostante l’età, dal momento che marciava con cinquemila fanti e tremila cavalieri contro settantamila nemici, e separava l’esercito da Siracusa con una marcia di otto giorni, una distanza dalla quale non sarebbe stato possibile per i fuggitivi mettersi in salvo né per i caduti essere sepolti. Timoleonte ad ogni modo reputò un vantaggio il fatto che costoro si fossero rivelati prima della battaglia, gli altri invece, dopo averli incoraggiati, li condusse velocemente verso il fiume Crimiso, dove aveva sentito che si radunavano anche i Cartaginesi.
[XXVI] ἀναβαίνοντι δὲ αὐτῷ πρὸς λόφον, ὃν ὑπερβαλόντες ἔμελλον κατόψεσθαι τὸ στράτευμα καὶ τὴν δύναμιν τῶν πολεμίων, ἐμβάλλουσιν ἡμίονοι σέλινα κομίζοντες: καὶ τοῖς στρατιώταις εἰσῆλθε πονηρὸν εἶναι τὸ σημεῖον, ὅτι τὰ μνήματα τῶν νεκρῶν εἰώθαμεν ἐπιεικῶς στεφανοῦν σελίνοις · καὶ παροιμία τις ἐκ τούτου γέγονε, τὸν ἐπισφαλῶς νοσοῦντα δεῖσθαι σελίνου. [2] βουλόμενος οὖν αὐτοὺς ἀπαλλάξαι τῆς δεισιδαιμονίας καὶ τὴν δυσελπιστίαν ἀφελεῖν ὁ Τιμολέων, ἐπιστήσας τὴν πορείαν ἄλλα τε πρέποντα τῷ καιρῷ διελέχθη, καὶ τὸν στέφανον αὐτοῖς ἔφη πρὸ τῆς νίκης κομιζόμενον αὐτομάτως εἰς τὰς χεῖρας ἥκειν, ᾧ Κορίνθιοι στεφανοῦσι τοὺς Ἴσθμια νικῶντας, ἱερὸν καὶ πάτριον τὸ στέμμα τοῦ σελίνου νομίζοντες. ἔτι γὰρ τότε τῶν Ἰσθμίων, ὥσπερ νῦν τῶν Νεμείων, τὸ σέλινον ἦν στέφανος, οὐ πάλαι δὲ ἡ πίτυς γέγονεν. [3] ἐντυχὼν οὖν ὁ Τιμολέων, ὥσπερ εἴρηται, τοῖς στρατιώταις καὶ λαβὼν τῶν σελίνων κατεστέψατο πρῶτος αὐτός, εἶτα οἱ περὶ αὐτὸν ἡγεμόνες καὶ τὸ πλῆθος. οἱ δὲ μάντεις κατιδόντες ἀετοὺς δύο προσφερομένους, ὧν ὁ μὲν δράκοντα τοῖς ὄνυξιν ἔφερε διαπεπαρμένον, ὁ δὲ ἵπτατο κεκλαγὼς μέγα καὶ θαρραλέον, ἐπεδείκνυον τοῖς στρατιώταις, καὶ πρὸς εὐχὰς θεῶν καὶ ἀνακλήσεις ἐτράποντο πάντες.
[XXVI] Mentre risaliva la cresta, superata la quale avrebbe osservato l’esercito e la potenza del nemico, gli si fecero incontro dei muli che trasportavano apio, e a i soldati venne l’idea che fosse un segno cattivo, perché noi solitamente abbiamo l’abitudine di incoronare con l’apio le tombe dei morti: e ne è derivato un proverbio, che chi è gravemente ammalato ha bisogno dell’apio. Volendoli dunque liberare dalla superstizione e rimuovere la sfiducia, Timoleonte, fatta fermare la marcia, prese a parlare di diverse cose adatte alla circostanza, e disse che, condotta prima ancora della vittoria, era giunta spontaneamente nelle loro mani la corona con cui i Corinzi cingono i vincitori ai giochi Istmici, in quanto ritengono la corona d’apio un ornamento sacro e di antica tradizione. Anche allora infatti la corona dei giochi istmici era di apio, come oggi quella dei giochi Nemei, e non da molto tempo vi è quella di pino. Dopo aver dunque, come si è detto, conversato con i soldati, preso dell’apio si cinse egli per primo, poi i comandanti insieme a lui e l’esercito tutto. Gli indovini inoltre, avendo scorto due aquile che si avvicinavano, di cui una stringeva fra gli artigli una serpe trafitta, e l’altra volava con grandi strida ed audacia, le indicarono agli uomini, e tutti si volsero a pregare e ad invocare gli dei.
[XXVII] τὸ μὲν οὖν ἔτος ἱσταμένου θέρους εἶχεν ὥραν, καὶ λήγοντι μηνὶ Θαργηλιῶνι πρὸς τὰς τροπὰς ἤδη συνῆπτε τὸν καιρόν · ὁμίχλην δὲ τοῦ ποταμοῦ πολλὴν ἀναδιδόντος πρῶτον μὲν ἀπεκρύπτετο ζόφῳ τὸ πεδίον, καὶ σύνοπτον οὐδὲν ἦν ἀπὸ τῶν πολεμίων, πλὴν ἠχή τις ἄκριτος καὶ συμμιγὴς ἄνω πρὸς τὸν λόφον ἐχώρει πρόσωθεν ἀνισταμένης στρατιᾶς τοσαύτης. [2] ὡς δ᾽ ἀναβάντες ἐπὶ τὸν λόφον ἔστησαν οἱ Κορίνθιοι καὶ θέμενοι τὰς ἀσπίδας διανεπαύοντο, τοῦ ἡλίου περιφερομένου καὶ μετεωρίζοντος τὴν ἀναθυμίασιν, ὁ μὲν θολερὸς ἀὴρ ἀθροιζόμενος πρὸς τὰ ὑψηλὰ καὶ συνιστάμενος κατενέφωσε τὰς ἀκρωρείας, τῶν δὲ ὑπὸ πόδας τόπων ἀνακαθαιρομένων ὅ τε Κρίμησος ἐξεφάνη καὶ διαβαίνοντες αὑτὸν ὤφθησαν οἱ πολέμιοι, πρώτοις μὲν τοῖς τεθρίπποις ἐκπληκτικῶς πρὸς ἀγῶνα κατεσκευασμένοις, κατόπιν δὲ τούτων μυρίοις ὁπλίταις λευκάσπισι. [3] τούτους ἐτεκμαίροντο Καρχηδονίους εἶναι τῇ λαμπρότητι τῆς σκευῆς καὶ τῇ βραδυτῆτι καὶ τάξει τῆς πορείας, μετὰ δὲ τούτους τῶν λοιπῶν ἐθνῶν ἐπιρρεόντων καὶ τὴν διάβασιν μετ᾽ ὠθισμοῦ καὶ ταραχῆς ποιουμένων, συνιδὼν ὁ Τιμολέων τὸν ποταμὸν αὐτοῖς ταμιεύοντα τοῦ πλήθους τῶν πολεμίων ἀπολαβεῖν ὅσοις ἐθέλοιεν αὐτοὶ μάχεσθαι, καὶ τοὺς στρατιώτας καθορᾶν κελεύσας τὴν φάλαγγα τῷ ῥείθρῳ διαλελυμένην καὶ τοὺς [4] μὲν ἤδη διαβεβηκότας, τοὺς δὲ μέλλοντας, προσέταξε Δημαρέτῳ λαβόντι τοὺς ἱππεῖς ἐμβαλεῖν εἰς τοὺς Καρχηδονίους καὶ συνταράξαι τὸν διάκοσμον αὐτῶν τῆς παρατάξεως οὔπω καθεστώσης. αὐτὸς δὲ καταβὰς εἰς τὸ πεδίον τὰ μὲν κέρατα τοῖς ἄλλοις Σικελιώταις ἀπέδωκεν, ἀναμίξας ἑκατέρῳ τῶν ξένων οὐ πολλούς, ἐν μέσῳ δὲ περὶ αὑτὸν λαβὼν τοὺς Συρακουσίους καὶ τὸ μαχιμώτατον τῶν μισθοφόρων, βραχὺν μὲν χρόνον ἐπέσχε, [5] τὸ τῶν ἱππέων ἀποθεωρῶν ἔργον · ὡς δὲ ἐκείνους εἶδεν ὑπὸ τῶν ἁρμάτων πρὸ τῆς τάξεως διαθεόντων εἰς χεῖρας ἐλθεῖν τοῖς Καρχηδονίοις οὐ δυναμένους, ἀλλ᾽ ὅπως μὴ συνταραχθεῖεν ἀναγκαζομένους ἐξελίττειν συνεχῶς καὶ πυκνὰς ἐξ ἐπιστροφῆς ποιεῖσθαι τὰς ἐπελάσεις, ἀναλαβὼν τὴν ἀσπίδα καὶ βοήσας ἕπεσθαι καὶ θαρρεῖν τοῖς πεζοῖς ἔδοξεν ὑπερφυεῖ φωνῇ καὶ μείζονι κεχρῆσθαι τῆς συνήθους, εἴτε τῷ πάθει παρὰ τὸν ἀγῶνα καὶ τὸν ἐνθουσιασμὸν οὕτω διατεινάμενος, εἴτε δαιμονίου τινός, ὡς τοῖς πολλοῖς τότε παρέστη, συνεπιφθεγξαμένου. [6] ταχὺ δὲ τὴν κραυγὴν ἀνταποδόντων, καὶ παρεγγυώντων ἄγειν καὶ μὴ μέλλειν, τοῖς μὲν ἱππόταις ἐσήμανεν ἔξω παρὰ τὴν τάξιν τῶν ἁρμάτων παρελάσαι καὶ κατὰ κέρας προσφέρεσθαι τοῖς πολεμίοις, αὐτὸς δὲ τοὺς προμάχους πυκνώσας τῷ συνασπισμῷ, καὶ τὴν σάλπιγγα κελεύσας ἐπιφθέγξασθαι, προσέβαλε τοῖς Καρχηδονίοις.
[XXVII] Era l’inizio dell’estate, sul finire del mese di Targelione l’anno già s’appressava al solstizio: poiché il fiume esalava una densa foschia, la pianura inizialmente era avvolta nella nebbia e nulla era visibile dalla parte del nemico, se non che un rumore indistinto e vario saliva da lontano su verso la cresta, data la grandezza dell’esercito mobilitato. Mentre i Corinzi, risaliti sulla cresta, si erano fermati e si riposavano dopo aver deposto gli scudi, uscendo fuori il sole e sollevando il vapore, l’aria addensatasi, concentrandosi attorno alle parti più alte, ricoprì le vette, e, poiché nei luoghi sottostanti si diradava la nebbia, apparve il fiume Crimiso e si videro i nemici che lo stavano attraversando, per primi i tiri a quattro, pronti allo scontro e spaventosi, poi dietro di loro diecimila opliti dallo scudo bianco. Lo splendore dell’armamento, la lentezza e l’ordine della marcia faceva supporre che fossero Cartaginesi. E mentre al loro seguito si riversavano le truppe di altri popoli, attraversando la corrente con spinte e in disordine, Timoleonte, accortosi che il fiume in loro favore riceveva la massa dei nemici regolandone la quantità contro la quale volevano combattere, ed avendo fatto osservare ai suoi uomini che la falange era separata dalla corrente e che alcuni già l’avevano attraversata, mentre altri erano in procinto di farlo, ordinò a Demareto, che aveva con sé i cavalieri, di piombare sui Cartaginesi e di scombinare la loro linea di combattimento non ancora disposta. Egli, sceso nella pianura, lasciò le ali dello schieramento agli altri Sicelioti, avendovi inserito non molte milizie straniere, ma, presi al centro con lui i Siracusani e i più combattivi dei mercenari, si trattenne per breve tempo ad osservare l’azione della cavalleria. Come vide che questa a causa dei carri lanciati davanti alla prima linea non riusciva a venire alo scontro con i Cartaginesi, ma, per non perdere la sua disposizione, era costretta a girare continuamente in cerchio e a rendere frequenti le cariche dopo aver ripiegato, sollevato lo scudo ed avendo gridato alla fanteria di seguirlo con coraggio, parve tirar fuori una voce incredibile e più forte di quella solita, sia che fosse così teso da quello che sentiva in sé per via dello scontro e l’eccitazione, sia che, come molti pensarono in quel momento, una divinità avesse gridato insieme a lui. Risposto subito gli uomini al grido ed avendolo esortato a condurli all’attacco senza aspettare, diede alla cavalleria il segnale di allontanarsi, oltrepassando la linea dei carri, e di portarsi sul fianco nemico, ed egli, compattata la prima linea facendo serrare gli scudi, ordinato al trombettiere di suonare la carica, si lanciò contro i Cartaginesi.
[XXVIII] οἱ δὲ τὴν μὲν πρώτην ἐπιδρομὴν ὑπέστησαν ἐρρωμένως, καὶ τῷ καταπεφράχθαι τὰ σώματα σιδηροῖς θώραξι καὶ χαλκοῖς κράνεσιν ἀσπίδας τε μεγάλας προβεβλῆσθαι διεκρούοντο τὸν δορατισμόν. ἐπεὶ δὲ εἰς ξίφη συνῆλθεν ὁ ἀγών καί τέχνης οὐχ ἧττον ἢ ῥώμης ἐγεγόνει τὸ ἔργον, ἐξαίφνης ἀπὸ τῶν ὀρῶν βρονταί τε φοβεραὶ κατερρήγνυντο καὶ πυρώδεις ἀστραπαὶ συνεξέπιπτον. [2] εἶτα ὁ περὶ τοὺς λόφους καὶ τὰς ἀκρωρείας ζόφος ἐπὶ τὴν μάχην κατιών, ὄμβρῳ καὶ πνεύματι καὶ χαλάζῃ συμμεμιγμένος, τοῖς μὲν Ἕλλησιν ἐξόπισθεν καὶ κατὰ νώτου περιεχεῖτο, τῶν δὲ βαρβάρων ἔτυπτε τὰ πρόσωπα καὶ κατήστραπτε τὰς ὄψεις, ἅμα λαίλαπος ὑγρᾶς καὶ φλογὸς συνεχοῦς ἐκ τῶν νεφῶν φερομένης. ἐν οἷς πολλὰ μὲν ἦν τὰ λυποῦντα, καὶ μάλιστα τοὺς ἀπείρους, οὐχ ἥκιστα δὲ βλάψαι δοκοῦσιν αἱ βρονταί καὶ τῶν ὅπλων ὁ πάταγος κοπτομένων ὕδατι ῥαγδαίῳ καὶ χαλάζῃ, κωλύων ἀκούεσθαι τὰ προστάγματα τῶν ἡγεμόνων. [3] τοῖς δὲ Καρχηδονίοις οὐκ οὖσιν εὐζώνοις τὸν ὁπλισμόν, ἀλλ᾽, ὥσπερ εἴρηται, καταπεφραγμένοις, ὅ τε πηλὸς ἐμπόδιος ἦν οἵ τε κόλποι πληρούμενοι τῶν χιτώνων ὕδατος, ὥσθ᾽ αὑτοῖς μὲν εἰς τὸν ἀγῶνα χρῆσθαι βαρεῖς ἦσαν καὶ δύσεργοι, ῥᾴδιοι δὲ τοῖς Ἕλλησι περιτρέπεσθαι, καὶ πεσόντες ἀμήχανοι πάλιν ἐκ πηλοῦ μετὰ τῶν ὅπλων ἀναστῆναι. [4] καὶ γὰρ ὁ Κρίμησος ὑπὸ τῶν διαβαινόντων ἐκλύσθη μέγας ἤδη τοῖς ὄμβροις ηὐξημένος, καὶ τὸ πεδίον τὸ περὶ αὐτόν ὑπὸ πολλὰς συναγκείας καὶ φάραγγας ὑποκείμενον ἐπίμπλατο ῥευμάτων οὐ κατὰ πόρον φερομένων, οἷς οἱ Καρχηδόνιοι καλινδούμενοι χαλεπῶς ἀπήλλαττον. τέλος δὲ τοῦ τε χειμῶνος ἐπικειμένου, καὶ τῶν Ἑλλήνων τὴν πρώτην τάξιν αὐτῶν, ἄνδρας τετρακοσίους, καταβαλόντων, ἐτράπη τὸ πλῆθος εἰς φυγήν. [5] καὶ πολλοὶ μὲν ἐν τῷ πεδίῳ καταλαμβανόμενοι διεφθείροντο, πολλοὺς δὲ ὁ ποταμὸς τοῖς ἔτι περαιουμένοις συμπίπτοντας ἐμβάλλων καὶ παραφέρων ἀπώλλυε, πλείστους δὲ τῶν λόφων ἐφιεμένους ἐπιθέοντες οἱ ψιλοὶ κατειργάσαντο. λέγονται γοῦν ἐν μυρίοις νεκροῖς τρισχίλιοι Καρχηδονίων γενέσθαι, μέγα τῇ πόλει πένθος, [6] οὔτε γὰρ γένεσιν οὔτε πλούτοις οὔτε δόξαις ἕτεροι βελτίονες ἦσαν ἐκείνων, οὔτε ἀποθανόντας ποτὲ μιᾷ μάχῃ πρότερον ἐξ αὐτῶν Καρχηδονίων τοσούτους μνημονεύουσιν, ἀλλὰ Λίβυσι τὰ πολλὰ καὶ Ἴβηρσι καὶ Νομάσι χρώμενοι πρὸς τὰς μάχας ἀλλοτρίαις βλάβαις ἀνεδέχοντο τὰς ἥττας.
[XXVIII] Ma quelli resistettero con forza al primo assalto e, dato che i corpi erano protetti da corazze di ferro ed elmi bronzei ed erano stati posti innanzi gli scudi, respinsero l’urto delle aste. Quando però si giunse ad incrociare le spade e l’azione richiese abilità in misura non minore della forza, d’improvviso dalle montagne scoppiarono tuoni terribili e nello stesso tempo saette fiammeggianti si abbatterono al suolo. In seguito la nebbia che avvolgeva le creste e le vette scendendo sopra la battaglia, mescolata a pioggia, vento e grandine, circondava i Greci da dietro e alle spalle, mentre colpiva i barbari sul volto e ne abbagliava gli occhi, in quanto nello stesso momento dalle nuvole scendeva giù una bufera carica d’acqua ed un continuo balenare di fulmini. In tale circostanza vi erano molte cose che davano fastidio, soprattutto agli inesperti, e non in piccola misura sembrano arrecare danno i tuoni ed il fragore delle armature, quando vengono colpite dalla pioggia scrosciante e dalla grandine, poiché il fragore impedisce che vengano uditi gli ordini dei comandanti. Per i Cartaginesi, che non avevano un armamento leggero, ma, come si è detto, erano ricoperti di metallo, il fango costituiva un ostacolo, e i lembi delle tuniche riempitisi d’acqua erano pesanti e davano loro impaccio nel combattere, eppure risultavano utili ai Greci per gettarli facilmente a terra, e, una volta caduti, erano impossibilitati a rialzarsi dal fango indossando l’armatura. Il Crimiso poi, già gonfiato dalle piogge, esondò a causa del gran numero di quelli che lo attraversavano, e la pianura intorno, posta sotto a convalli e dirupi, si riempì di torrenti che scorrevano fuori dal percorso dell’alveo, torrenti nel cui mezzo ritrovandosi i Cartaginesi difficilmente se ne tiravano fuori. Alla fine, poiché la tempesta incombeva e i Greci avevano abbattuto la prima linea di quattrocento uomini, la maggior parte si volse in fuga e molti, catturati nella pianura, vennero uccisi, molti altri scontrandosi con quelli che ancora stavano attraversando la corrente, li uccise il fiume travolgendoli e trascinandoli via, moltissimi, che cercavano scampo sopra le creste li massacrarono le truppe leggere inseguendoli. Si racconta che nel numero di diecimila morti tremila fossero Cartaginesi, un grande lutto per la città: infatti non vi erano altri uomini migliori di quelli per nascita, ricchezza e fama, né ricordano in precedenza, fra gli stessi Cartaginesi, mai così tanti morti in una sola battaglia, anzi, servendosi in guerra per la maggior parte di contingenti militari libici, iberici e numidi, subivano sconfitte con detrimento altrui.
[XXIX] ἐγνώσθη δὲ τοῖς Ἕλλησιν ἡ δόξα τῶν πεσόντων ἀπὸ τῶν λαφύρων. ἐλάχιστος γὰρ ἦν χαλκῶν καὶ σιδηρῶν τοῖς σκυλεύουσι λόγος · οὕτως ἄφθονος μὲν ἦν ἄργυρος, ἄφθονος δὲ χρυσός. καὶ γὰρ τὸ στρατόπεδον μετὰ τῶν ὑποζυγίων διαβάντες ἔλαβον. τῶν δ᾽ αἰχμαλώτων οἱ μὲν πολλοὶ διεκλάπησαν ὑπὸ τῶν στρατιωτῶν, εἰς δὲ κοινὸν ἀπεδείχθησαν πεντακισχίλιοι τὸ πλῆθος · ἥλω δὲ καὶ διακόσια τῶν τεθρίππων. [2] καλλίστην δὲ καὶ μεγαλοπρεπεστάτην ὄψιν ἡ Τιμολέοντος ἐπεδείκνυτο σκηνή περισωρευθεῖσα παντοδαποῖς λαφύροις, ἐν οἷς χίλιοι μὲν θώρακες ἐργασίᾳ, καὶ κάλλει διαφέροντες, μύριαι δὲ ἀσπίδες προετέθησαν. ὀλίγοι δὲ πολλοὺς σκυλεύοντες καὶ μεγάλαις ἐντυγχάνοντες ὠφελείαις τρίτῃ μόλις ἡμέρᾳ μετὰ τὴν μάχην ἔστησαν τρόπαιον. [3] ἀνθρώποις ζηλωτὴν εἶναι, θεωμένοις ἐν ἐκείνῃ μόνῃ τῶν Ἑλληνικῶν πόλεων τοὺς ἐπιφανεστάτους ναοὺς οὐχ Ἑλληνικοῖς κεκοσμημένους λαφύροις οὐδ᾽ ἀπὸ συγγενῶν φόνου καὶ ὁμοφύλων ἀναθημάτων μνήμας ἀτερπεῖς ἔχοντας, ἀλλὰ βαρβαρικὰ σκῦλα καλλίσταις ἐπιγραφαῖς δηλοῦντα μετὰ τῆς ἀνδρείας τῶν νενικηκότων τὴν δικαιοσύνην, ὅτι Κορίνθιοι καὶ Τιμολέων ὁ στρατηγός ἐλευθερώσαντες τοὺς Σικελίαν οἰκοῦντας Ἕλληνας ἀπὸ Καρχηδονίων χαριστήρια θεοῖς ἀνέθηκαν.
[XXIX] L’alta condizione dei caduti fu scoperta dai Greci per via delle spoglie di guerra. Chi le raccoglieva infatti non faceva conto degli oggetti in ferro e in bronzo: così abbondanti erano quelli in argento, così abbonanti quelli in oro. Attraversato il fiume conquistarono anche il campo insieme alle salmerie. Fra i prigionieri molti furono presi dai soldati, ma cinquemila vennero posti nel bottino comune. Furono prese anche duecento quadrighe. Tuttavia lo spettacolo in assoluto più bello e conforme ad una figura eccezionale lo offriva la tenda di Timoleonte, con attorno accumulate spoglie di ogni tipo, fra cui erano state riposte mille corazze, che si distinguevano per lavorazione e bellezza, e diecimila scudi. Poiché erano in pochi a spogliare un gran numero di cadaveri e ad imbattersi in una larga quantità di bottino, a fatica il terzo giorno dopo la battaglia riuscirono ad innalzare il trofeo. Insieme alla notizia della vittoria Timoleonte inviò a Corinto le più belle fra le armature conquistate, con il desiderio che la sua patria fosse ammirata da tutti gli uomini, i quali osservavano in quella sola fra le città greche i templi più maestosi adornati non di spoglie sottratte agli Elleni, né con tristi offerte derivanti dalla strage di consanguinei ed appartenenti alla medesima stirpe: piuttosto le spoglie dei barbari, indicanti con le più belle epigrafi, oltre al valore dei vincitori, anche la loro giustizia, recando scritto: “i Corinzi e Timoleonte, dopo aver liberato dai Cartaginesi i Greci che abitano la Sicilia, posero come offerta di ringraziamento agli dei”.
[XXX] ἐκ τούτου καταλιπὼν ἐν τῇ πολεμίᾳ τοὺς μισθοφόρους ἄγοντας καὶ φέροντας τὴν τῶν Καρχηδονίων ἐπικράτειαν, αὐτὸς ἧκεν εἰς Συρακούσας, καὶ τοὺς χιλίους μισθοφόρους ἐκείνους, ὑφ᾽ ὧν ἐγκατελείφθη πρὸ τῆς μάχης, ἐξεκήρυξε τῆς Σικελίας, καὶ πρὶν ἢ δῦναι τὸν ἥλιον ἠνάγκασεν ἐκ Συρακουσῶν ἀπελθεῖν. [2] οὗτοι μὲν οὖν διαπλεύσαντες εἰς Ἰταλίαν ἀπώλοντο παρασπονδηθέντες ὑπὸ Βρεττίων, καὶ δίκην ταύτην τὸ δαιμόνιον αὐτοῖς τῆς προδοσίας ἐπέθηκε. τῶν δὲ περὶ τὸν Μάμερκον, τὸν Κατάνης τύραννον, καὶ Ἱκέτην, εἴτε φθόνῳ τῶν κατορθουμένων ὑπὸ Τιμολέοντος, εἴτε φοβουμένων αὐτὸν ὡς ἄπιστον καὶ ἄσπονδον πρὸς τοὺς τυράννους, συμμαχίαν ποιησαμένων πρὸς τοὺς Καρχηδονίους καὶ κελευσάντων πέμπειν δύναμιν καὶ στρατηγόν, εἰ μὴ παντάπασι βούλονται Σικελίας ἐκπεσεῖν, [3] ἔπλευσε Γέσκων ναῦς μὲν ἔχων ἑβδομήκοντα, μισθοφόρους δὲ προσλαβὼν Ἕλληνας, οὔπω πρότερον Ἕλλησι χρησαμένων Καρχηδονίων, ἀλλὰ τότε θαυμασάντων ὡς ἀνυποστάτους καὶ μαχιμωτάτους ἀνθρώπων ἁπάντων. συστάντες δὲ κοινῇ μετ᾽ ἀλλήλων ἅπαντες ἐν τῇ Μεσσηνίᾳ τετρακοσίους τῶν παρὰ Τιμολέοντος ξένων ἐπικούρους πεμφθέντας ἀπέκτειναν, ἐν δὲ τῇ Καρχηδονίων ἐπικρατείᾳ περὶ τὰς καλουμένας Ἱερὰς ἐνεδρεύσαντες τοὺς μετ᾽ Εὐθύμου τοῦ Λευκαδίου μισθοφόρους διέφθειραν. [4] ἐξ ὧν καὶ μάλιστα τὴν Τιμολέοντος εὐτυχίαν συνέβη γενέσθαι διώνυμον. ἦσαν μὲν γὰρ οὗτοι τῶν μετὰ Φιλομήλου τοῦ Φωκέως καὶ Ὀνομάρχου Δελφοὺς καταλαβόντων καὶ μετασχόντων ἐκείνοις τῆς ἱεροσυλίας. μισούντων δὲ πάντων αὐτοὺς καὶ φυλαττομένων ἐπαράτους γεγονότας, πλανώμενοι περὶ τὴν Πελοπόννησον ὑπὸ Τιμολέοντος ἐλήφθησαν ἑτέρων στρατιωτῶν οὐκ εὐποροῦντος. [5] ἀφικόμενοι δὲ εἰς Σικελίαν ὅσας μὲν ἐκείνῳ συνηγωνίσαντο μάχας πάσας ἐνίκων, τῶν δὲ πλείστων καὶ μεγίστων ἀγώνων τέλος ἐχόντων ἐκπεμπόμενοι πρὸς ἑτέρας ὑπ᾽ αὐτοῦ βοηθείας ἀπώλοντο καὶ καταναλώθησαν, οὐχ ὁμοῦ πάντες, ἀλλὰ κατὰ μέρος, τῆς δίκης αὐτοῖς ἀπολογουμένης τῇ Τιμολέοντος εὐτυχίᾳ ἐπιτιθεμένης ὅπως μηδεμία τοῖς ἀγαθοῖς ἀπὸ τῆς τῶν κακῶν κολάσεως βλάβη γένηται. τὴν μὲν οὖν πρὸς Τιμολέοντα τῶν θεῶν εὐμένειαν οὐχ ἧττον ἐν αἷς προσέκρουσε πράξεσιν ἢ περὶ ἃς κατώρθου θαυμάζεσθαι συνέβαινεν.
[XXX] In seguito, lasciati nel territorio nemico i mercenari, che depredavano il dominio cartaginese, egli ritornò a Siracusa e bandì dalla Sicilia quei mille dai quali era stato abbandonato in precedenza della battaglia, e li costrinse ad uscire dalla città prima del tramonto. Questi, dopo aver navigato verso l’Italia, ingannati nei patti vennero uccisi dai Bruzi, ed il dio in tal modo li punì per il loro tradimento. Tuttavia, dato che Mamerco tiranno di Catania ed Iceta, sia per invidia verso i successi di Timoleonte, sia perché temevano che egli non prestasse vera fiducia ai tiranni e non stringesse patti con loro, stipulata un’alleanza con i Cartaginesi e chiesto di inviare un esercito ed un comandante, se non volevano essere ricacciati del tutto dalla Sicilia, giunse dal mare Gescone, con settanta navi, ed avendo preso in aggiunta mercenari Greci, sebbene i Cartaginesi in precedenza non avessero mai fatto ancora ricorso ai Greci, ma del resto in quell’occasione li avevano ammirati come i più irresistibili e combattivi fra tutti gli uomini. Preso contatto [estate 340 a. C.] , nel territorio di Messina uccisero quattrocento dei mercenari stranieri inviati in soccorso da Timoleonte, mentre nel dominio cartaginese nei pressi del luogo chiamato Ierai massacrarono in un’imboscata i mercenari assieme ad Eutimo di Leucade. Eppure, proprio in conseguenza di tali fatti, la fortuna di Timoleonte ottenne una larga fama: costoro infatti erano fra quanti insieme a Filomelo focese ed Onomarco avevano occupato Delfi ed avevano preso parte alla profanazione del santuario. Dato che tutti li avevano in odio e se ne guardavano in quanto erano stati maledetti, mentre vagavano per il Peloponneso vennero raccolti da Timoleonte, che non aveva a disposizione altri uomini. Giunti in Sicilia, quante battaglie combatterono ai suoi ordini, le vinsero tutte, ma, terminata la maggior parte degli scontri e quelli più rilevanti, quando vennero inviati da lui a recare soccorso in altri luoghi, perirono e vennero meno, non tutti insieme, ma uno alla volta così che la vendetta a loro riservata si unisse alla buona fortuna di Timoleonte, perché dalla punizione dei malvagi non venisse alcun danno per i giusti. Accadeva così che la benevolenza degli dei verso il corinzio venisse ammirata nei suoi fallimenti non meno che nei suoi successi.
[XXXI] οἱ δὲ πολλοὶ τῶν Συρακουσίων ἐχαλέπαινον ὑπὸ τῶν τυράννων προπηλακιζόμενοι. καὶ γὰρ ὁ Μάμερκος ἐπὶ τῷ ποιήματα γράφειν καὶ τραγῳδίας μέγα φρονῶν ἐκόμπαζε νικήσας τοὺς μισθοφόρους, καὶ τὰς ἀσπίδας ἀναθεὶς τοῖς θεοῖς ἐλεγεῖον ὑβριστικὸν ἐπέγραψε ·
τάσδ᾽ ὀστρειογραφεῖς καὶ χρυσελεφαντηλέκτρους
ἀσπίδας ἀσπιδίοις εἵλομεν εὐτελέσι.
[2] γενομένων δὲ τούτων καὶ τοῦ Τιμολέοντος εἰς Καλαυρίαν στρατεύσαντος, ὁ Ἱκέτης ἐμβαλὼν εἰς τὴν Συρακουσίαν λείαν τε συχνὴν ἔλαβε καὶ πολλὰ λυμηνάμενος καὶ καθυβρίσας ἀπηλλάττετο παρ᾽ αὐτὴν τὴν Καλαυρίαν, καταφρονῶν τοῦ Τιμολέοντος ὀλίγους στρατιώτας ἔχοντος. ἐκεῖνος δὲ προλαβεῖν ἐάσας ἐδίωκεν ἱππεῖς ἔχων καὶ ψιλούς · αἰσθόμενος δὲ ὁ Ἱκέτης τὸν Δαμυρίαν διαβεβηκώς ὑπέστη παρὰ τὸν ποταμὸν ὡς ἀμυνούμενος · καὶ γὰρ αὐτῷ θάρσος ἥ τε τοῦ πόρου χαλεπότης καὶ τὸ κρημνῶδες τῆς ἑκατέρωθεν ὄχθης παρεῖχε. [3] τοῖς δὲ μετὰ τοῦ Τιμολέοντος ἰλάρχαις ἔρις ἐμπεσοῦσα θαυμαστὴ καὶ φιλονεικία διατριβὴν ἐποίει τῆς μάχης, οὐδεὶς γὰρ ἦν ὁ βουλόμενος ἑτέρου διαβαίνειν ὕστερος ἐπὶ τοὺς πολεμίους, ἀλλ᾽ αὐτὸς ἕκαστος ἠξίου πρωταγωνιστεῖν, καὶ κόσμον οὐκ εἶχεν ἡ διάβασις ἐξωθούντων καὶ παρατρεχόντων ἀλλήλους. βουλόμενος οὖν ὁ Τιμολέων κληρῶσαι τοὺς ἡγεμόνας ἔλαβε παρ᾽ ἑκάστου δακτύλιον · ἐμβαλὼν δὲ πάντας εἰς τὴν ἑαυτοῦ χλαμύδα καὶ μίξας ἔδειξε τὸν πρῶτον κατὰ τύχην γλυφὴν ἔχοντα τῆς σφραγῖδος τρόπαιον. [4] ὡς δὲ τοῦτον εἶδον οἱ νεανίσκοι, μετὰ χαρᾶς ἀνακραγόντες οὐκέτι τὸν ἄλλον ὑπέμειναν κλῆρον, ἀλλ᾽ ὡς ἕκαστος τάχους εἶχε τὸν ποταμὸν διεξελάσαντες ἐν χερσὶν ἦσαν τοῖς πολεμίοις. οἱ δὲ οὐκ ἐδέξαντο τὴν βίαν αὐτῶν, ἀλλὰ φεύγοντες τῶν μὲν ὅπλων ἅπαντες ὁμαλῶς ἐστερήθησαν, χιλίους δὲ ἀπέβαλον πεσόντας.
[XXXI] La maggior parte dei Siracusani mal sopportava di venir oltraggiata dai tiranni. Ed infatti Mamerco, che era pieno di sé per la composizione di poemi e tragedie, si vantava della vittoria sui mercenari e, consacrati gli scudi agli dei, vi fece incidere un distico pieno di arroganza [115 Preger]:
questi scudi dipinti di porpora, d’avorio ornati, d’oro e d’elettro
con scudi più piccoli noi prendemmo e più modesti.
Avvenuti tali fatti e mossosi Timoleonte contro Galaria, Iceta, piombato sul territorio di Siracusa, s’impadronì di un largo bottino e, dopo aver portato ampia distruzione ed aver commesso azioni oltraggiose nei confronti del popolo, tornò indietro superando Galaria, senza preoccuparsi di Timoleonte, che aveva a disposizione un numero esiguo di uomini. Quello però, avendo lasciato che Iceta lo superasse, lo inseguì con la cavalleria e le truppe leggere. Accortosi di questo, Iceta, che era già sull’altra sponda del Damiria, si fermò oltre il fiume in posizione di difesa: confidava infatti nella difficoltà dell’attraversamento e nella ripidità delle sponde da una parte e dall’altra. Fra gli ufficiali della cavalleria di Timoleonte scoppiò allora un’incredibile contesa e la rivalità allungò i tempi della battaglia. Nessuno infatti per gettarsi sui nemici voleva attraversare il fiume dietro agli altri, ma ciascuno pretendeva di combattere per primo, e l’attraversamento del fiume avveniva in modo disordinato, poiché si spingevano e si superavano gli uni con gli altri. Timoleonte dunque, volendo sorteggiare i comandanti, prese da ognuno un anello: gettati tutti gli anelli all’interno della sua clamide e mescolatili, mostrò il primo estratto, che casualmente portava inciso nel sigillo l’immagine di un trofeo. I giovani, non appena lo video, gridando di gioia non attesero un altro sorteggio, ma, attraversato il fiume alla velocità di cui ciascuno era in grado, vennero allo scontro con i nemici. Quelli non sostennero il loro attacco, ma fuggendo vennero tutti privati delle armi, e lasciarono sul campo mille caduti.
[XXXII] οὐ πολλῷ δὲ ὕστερον εἰς τὴν Λεοντίνων στρατεύσας ὁ Τιμολέων λαμβάνει τὸν Ἱκέτην ζῶντα καὶ τὸν υἱὸν Εὐπόλεμον καὶ τὸν ἱππάρχην Εὔθυμον, ὑπὸ τῶν στρατιωτῶν συνδεθέντας καὶ κομισθέντας πρὸς αὐτόν. ὁ μὲν οὖν Ἱκέτης καὶ τὸ μειράκιον ὡς τύραννοι καὶ προδόται κολασθέντες ἀπέθνῃσκον, ὁ δ᾽ Εὔθυμος, ἀνὴρ ἀγαθὸς ὢν πρὸς τοὺς ἀγῶνας καὶ τόλμῃ διαφέρων, οὐκ ἔτυχεν οἴκτου διὰ βλασφημίαν τινὰ πρὸς τοὺς Κορινθίους κατηγορηθεῖσαν αὐτοῦ. [2] λέγεται γὰρ ὅτι τῶν Κορινθίων ἐκστρατευσαμένων ἐπ᾽ αὐτούς δημηγορῶν ἐν τοῖς Λεοντίνοις οὐδὲν ἔφη γεγονέναι φοβερὸν οὐδὲ δεινόν, εἰ
Κορίνθιαι γυναῖκες ἐξῆλθον δόμων.
οὕτως ὑπὸ λόγων μᾶλλον ἢ πράξεων πονηρῶν ἀνιᾶσθαι πεφύκασιν οἱ πολλοί · χαλεπώτερον γὰρ ὕβριν ἢ βλάβην φέρουσι. καὶ τὸ μὲν ἀμύνεσθαι δι᾽ ἔργων ὡς ἀναγκαῖον δέδοται τοῖς πολεμοῦσιν, αἱ δὲ βλασφημίαι περιουσίᾳ μίσους ἢ κακίας γίνεσθαι δοκοῦσιν.
[XXXII] Non molto tempo dopo Timoleonte, avendo guidato una spedizione a Leontini, prese vivo Iceta ed il figlio Eupolemo, ed il capo della cavalleria Eutimo, condotti in vincoli dai soldati. Iceta ed il giovane figlio morirono puniti come tiranni e traditori, Eutimo, pur essendo un bravo combattente e distinguendosi per il suo coraggio, non ottenne pietà a causa di un’irriverenza nei confronti dei Corinzi della quale era stato accusato. Si racconta infatti che quando i Corinzi erano partiti in guerra contro di loro, questi, parlando in assemblea, affermò che non era per nulla terribile e spaventoso se
“le donne corinzie erano uscite di casa” [ Eur. Med. 216].
In questo modo molti per natura sono portati a dolersi più delle parole che delle azioni malvagie. Ed infatti sopportano con più difficoltà un’ingiuria piuttosto che un danno; ma per chi combatte è dato come necessario difendersi con le proprie azioni, le ingiurie invece sembrano derivare da un eccesso di odio e malvagità.
[XXXIII] ἐπανελθόντος δὲ τοῦ Τιμολέοντος οἱ Συρακούσιοι τὰς γυναῖκας τῶν περὶ τὸν Ἱκέτην καὶ τὰς θυγατέρας ἐν ἐκκλησίᾳ καταστήσαντες εἰς κρίσιν ἀπέκτειναν. καὶ δοκεῖ τοῦτο τῶν Τιμολέοντος ἔργων ἀχαριστότατον γενέσθαι · μὴ γὰρ ἂν ἐκείνου κωλύοντος οὕτως τὰς ἀνθρώπους ἀποθανεῖν. [2] δοκεῖ δὲ αὐτὰς ὑπεριδεῖν καὶ προέσθαι τῷ θυμῷ τῶν πολιτῶν δίκην λαμβανόντων ὑπὲρ Δίωνος τοῦ Διονύσιον ἐκβαλόντος. Ἱκέτης γάρ ἐστιν ὁ τὴν γυναῖκα τοῦ Δίωνος Ἀρετὴν καὶ τὴν ἀδελφὴν Ἀριστομάχην καὶ τὸν υἱὸν ἔτι παῖδα καταποντίσας ζῶντας, περὶ ὧν ἐν τῷ Δίωνος γέγραπται βίῳ.
[XXXIII] Tornato Timoleonte, i Siracusani dopo averle presentate in assemblea giustiziarono le mogli e le figlie di Iceta. E pare che questa fra le azioni di Timoleonte sia stata quella più spiacevole. Se infatti egli lo avesse impedito, non sarebbero morte in questo modo. Sembra invece che non si interessò a loro e le lasciò all’ira animosa dei cittadini, che su queste vendicarono Dione, colui che aveva cacciato Dionisio. Iceta infatti era quello che fece gettare in mare vivi la moglie di Dione, Arete, e la sorella Aristomache ed il figlio ancora fanciullo, episodi sui quali è stato scritto nella vita di Dione.
[XXXIV] μετὰ δὲ ταῦτα στρατεύσας ἐπὶ Μάμερκον εἰς Κατάνην καὶ περὶ τὸ ῥεῦμα τὴν Ἄβολον ἐκ παρατάξεως ὑποστάντα νικήσας καὶ τρεψάμενος ὑπὲρ δισχιλίους ἀνεῖλεν, ὧν μέρος οὐκ ὀλίγον ἦσαν οἱ πεμφθέντες ὑπὸ Γέσκωνος ἐπίκουροι Φοίνικες. ἐκ δὲ τούτου Καρχηδόνιοι μέν εἰρήνην ἐποιήσαντο πρὸς αὐτὸν δεηθέντες, ὥστε τὴν ἐντὸς τοῦ Λύκου χώραν ἔχειν, καὶ τοῖς βουλομένοις ἐξ αὐτῆς μετοικεῖν πρὸς Συρακουσίους χρήματα καὶ γενεὰς ἀποδιδόντες, καὶ τοῖς τυράννοις ἀπειπάμενοι τὴν συμμαχίαν. [2] Μάμερκος δὲ δυσθυμῶν ταῖς ἐλπίσιν ἔπλει μέν εἰς Ἰταλίαν ὡς Λευκανοὺς ἐπάξων Τιμολέοντι καὶ Συρακουσίοις· ἐπεὶ δὲ ἀποστρέψαντες οἱ σὺν αὐτῷ τὰς τριήρεις καὶ πλεύσαντες εἰς Σικελίαν τῷ Τιμολέοντι τὴν Κατάνην παρέδωκαν, ἀναγκασθεὶς καὶ αὐτὸς εἰς Μεσσήνην κατέφυγε πρός Ἵππωνα τὸν τυραννοῦντα τῆς πόλεως. [3] ἐπελθόντος δὲ τοῦ Τιμολέοντος αὐτοῖς καὶ πολιορκοῦντος ἔκ τε γῆς καὶ θαλάττης, ὁ μέν Ἵππων ἀποδιδράσκων ἐπὶ νεὼς ἥλω, καὶ παραλαβόντες αὐτὸν οἱ Μεσσήνιοι, καὶ τοὺς παῖδας ἐκ τῶν διδασκαλείων ὡς ἐπὶ θέαμα κάλλιστον τὴν τοῦ τυράννου τιμωρίαν ἀγαγόντες εἰς θέατρον, ᾐκίσαντο καὶ διέφθειραν · ὁ δὲ Μάμερκος ἑαυτὸν Τιμολέοντι παρέδωκεν ἐπὶ τῷ δίκην ὑποσχεῖν ἐν Συρακουσίοις μὴ κατηγοροῦντος Τιμολέοντος. [4] ἀχθεὶς δὲ εἰς τὰς Συρακούσας, παρελθὼν εἰς τὸν δῆμον ἐπεχείρει μέν τινα συγκείμενον ἐκ παλαιοῦ λόγον ὑπ᾽ αὐτοῦ διεξιέναι, θορύβοις δὲ περιπίπτων καὶ τὴν ἐκκλησίαν ὁρῶν ἀπαραίτητον, ἔθει ῥίψας τὸ ἱμάτιον διὰ μέσου τοῦ θεάτρου, καὶ πρός τι τῶν βάθρων δρόμῳ φερόμενος συνέρρηξε τὴν κεφαλὴν ὡς ἀποθανούμενος. οὐ μὴν ἔτυχέ γε ταύτης τῆς τελευτῆς, ἀλλ᾽ ἔτι ζῶν ἀπαχθεὶς ἥνπερ οἱ λῃσταὶ δίκην ἔδωκε.
[XXXIV] Dopo di ciò Timoleonte, rivoltosi verso Catania contro Mamerco, il quale si era schierato lungo il torrente Abolo, dopo averlo sconfitto e messo in fuga, uccise più di duemila nemici, di cui una parte non esigua era costituita da mercenari cartaginesi inviati in soccorso da Gescone. In seguito a questa sconfitta [339 a.C.] i Cartaginesi, dopo averne fatto richiesta, stipularono la pace con Timoleonte, così da mantenere i territori fino al fiume Lico, ma concedendo a chi lo voleva di trasferirsi da lì a Siracusa insieme ai beni e alle famiglie, ed inoltre rifiutando l’alleanza con i tiranni. Tuttavia Mamerco, deluso nelle sue speranze, prese il mare verso l’Italia, nell’intenzione di condurre i Lucani contro Timoleonte e Siracusa. Ma dopo che i suoi compagni, voltata la prua e fatto invece rotta verso la Sicilia, consegnarono Catania a Timoleonte, anch’egli costretto si rifugiò a Messina da Ippone, tiranno della città. Dato che Timoleonte li aveva attaccati, ed aveva posto l’assedio dalla terra e dal mare, Ippone fuggendo su una nave venne fatto prigioniero, e i Messinesi, catturatolo e condotti i loro figli dalle scuole nel teatro come per assistere ad uno spettacolo meraviglioso, la punizione del tiranno, lo torturarono ed infine lo uccisero. Mamerco invece si consegnò a Timoleonte per affrontare il giudizio a Siracusa, senza però che vi fosse Timoleonte come accusatore. Condotto in città e presentatosi al popolo, provò a pronunciare un discorso composto da lui in precedenza, ma, trovando la folla in tumulto e vedendo che l’assemblea non si lasciava commuovere, prese a correre nel mezzo del teatro, dopo aver gettato il mantello, e lanciandosi con una corsa verso uno dei gradini si fracassò la testa intenzionato a morire. Tuttavia non gli toccò questa fine, ma, portato via ancora vivo, venne giustiziato allo stesso modo dei ladri.
[XXXV] τὰς μὲν οὖν τυραννίδας ὁ Τιμολέων τοῦτον τὸν τρόπον ἐξέκοψε καὶ τοὺς πολέμους ἔλυσε· τὴν δὲ ὅλην νῆσον ἐξηγριωμένην ὑπὸ κακῶν καὶ διαμεμισημένην ὑπὸ τῶν οἰκητόρων παραλαβών οὕτως ἐξημέρωσε καὶ ποθεινὴν ἐποίησε πᾶσιν ὥστε πλεῖν οἰκήσοντας ἑτέρους ὅθεν οἱ πολῖται πρότερον ἀπεδίδρασκον. [2] καὶ γὰρ Ἀκράγαντα καὶ Γέλαν, πόλεις μεγάλας μετὰ τὸν Ἀττικὸν πόλεμον ὑπὸ Καρχηδονίων ἀναστάτους γεγενημένας, τότε κατῴκισαν, τὴν μὲν οἱ περὶ Μέγελλον καὶ Φέριστον ἐξ Ἐλέας, τὴν δὲ οἱ περὶ Γόργον ἐκ Κέω πλεύσαντες καὶ συναγαγόντες τοὺς ἀρχαίους πολίτας · οἷς οὐ μόνον ἀσφάλειαν ἐκ πολέμου τοσούτου καὶ γαλήνην ἱδρυομένοις παρασχών, ἀλλὰ καὶ τἆλλα παρασκευάσας καὶ συμπροθυμηθείς ὥσπερ οἰκιστὴς ἠγαπᾶτο. [3] καὶ τῶν ἄλλων δὲ διακειμένων ὁμοίως ἁπάντων πρὸς αὐτόν, οὐ πολέμου τις λύσις, οὐ νόμων θέσις, οὐ χώρας κατοικισμός, οὐ πολιτείας διάταξις ἐδόκει καλῶς ἔχειν, ἧς ἐκεῖνος μὴ προσάψαιτο μηδὲ κατακοσμήσειεν, ὥσπερ ἔργῳ συντελουμένῳ δημιουργὸς ἐπιθείς τινα χάριν θεοφιλῆ καὶ πρέπουσαν.
[XXXV] In questo modo dunque abbatté le tirannidi e pose fine alle guerre: avendo ricevuto l’intera isola decaduta per i suoi mali in una condizione di selvatico abbandono ed odiata da chi vi abitava, la riportò ad uno stato di civiltà e la rese per tutti amabile al punto che altri salparono per venire ad abitare là da dove in precedenza i cittadini erano fuggiti. Infatti Agrigento e Gela, grandi città distrutte dai Cartaginesi dopo la guerra attica, le ripopolarono, una Megillo e Feristo da Elea, l’altra Gorgo da Ceo, dopo aver attraversato il mare e condotto assieme a loro gli antichi abitanti. Avendo offerto a questi non soltanto sicurezza da una guerra così terribile e tranquillità per chi si stanziava in quei luoghi, ma avendo anche approntato e partecipato con interesse a tutto il resto, venne amato come un fondatore. E dato che anche tutti gli altri avevano la medesima disposizione d’animo nei suoi confronti, nessuna conclusione di guerra, promulgazione di leggi, insediamento in un territorio, costituzione di uno stato pareva che andassero bene, se Timoleonte non vi avesse posto mano e dato ordine come un artigiano che ad un’opera finita dà una qualche grazia rispettosa del divino e conveniente per gli uomini.
[XXXVI] πολλῶν γοῦν κατ᾽ αὐτὸν Ἑλλήνων μεγάλων γενομένων καὶ μεγάλα κατεργασαμένων, ὧν καὶ Τιμόθεος ἦν καὶ Ἀγησίλαος καὶ Πελοπίδας καὶ ὁ μάλιστα ζηλωθεὶς ὑπὸ Τιμολέοντος Ἐπαμεινώνδας, αἱ μὲν ἐκείνων πράξεις βίᾳ τινὶ καὶ πόνῳ τὸ λαμπρὸν ἐξενηνόχασι μεμιγμένον, ὥστε καὶ μέμψιν ἐνίαις ἐπιγίνεσθαι καὶ μετάνοιαν, τῶν δὲ Τιμολέοντος ἔργων, ἔξω λόγου θεμένοις τὴν περὶ τὸν ἀδελφὸν ἀνάγκην, οὐδέν ἐστιν ᾧ μὴ τὰ τοῦ Σοφοκλέους, ὥς φησι Τίμαιος, ἐπιφωνεῖν ἔπρεπεν
ὦ θεοί, τίς ἆρα Κύπρις ἢ τίς Ἵμερος
τοῦδε ξυνήψατο;
[2] καθάπερ γὰρ ἡ μὲν Ἀντιμάχου ποίησις καὶ τὰ Διονυσίου ζῳγραφήματα, τῶν Κολοφωνίων, ἰσχὺν ἔχοντα καὶ τόνον, ἐκβεβιασμένοις καὶ καταπόνοις ἔοικε, ταῖς δὲ Νικομάχου γραφαῖς καὶ τοῖς Ὁμήρου στίχοις μετὰ τῆς ἄλλης δυνάμεως καὶ χάριτος πρόσεστι τὸ δοκεῖν εὐχερῶς καὶ ῥᾳδίως ἀπειργάσθαι, οὕτως παρὰ τὴν Ἐπαμεινώνδου στρατηγίαν καὶ τὴν Ἀγησιλάου, πολυπόνους γενομένας καὶ δυσάγωνας, ἡ Τιμολέοντος ἀντεξεταζομένη, καὶ μετὰ τοῦ καλοῦ πολὺ τὸ ῥᾴδιον ἔχουσα, φαίνεται τοῖς εὖ καὶ δικαίως λογιζομένοις οὐ τύχης ἔργον, ἀλλ᾽ ἀρετῆς εὐτυχούσης. [3] καίτοι πάντα γ᾽ ἐκεῖνος εἰς τὴν τύχην ἀνῆπτε τὰ καταρθούμενα: καὶ γὰρ γράφων τοῖς οἴκοι φίλοις καὶ δημηγορῶν πρὸς τοὺς Συρακουσίους πολλάκις ἔφη τῷ θεῷ χάριν ἔχειν ὅτι βουλόμενος σῶσαι Σικελίαν ἐπεγράψατο τὴν αὐτοῦ προσηγορίαν. ἐπὶ δὲ τῆς οἰκίας ἱερὸν ἱδρυσάμενος Αὐτοματίας ἔθυεν, αὐτὴν δὲ τὴν οἰκίαν Ἱερῷ δαίμονι καθιέρωσεν. [4] ᾤκει δὲ οἰκίαν ἣν ἐξεῖλον αὐτῷ στρατηγίας ἀριστεῖον οἱ Συρακούσιοι, καὶ τῶν ἀγρῶν τὸν ἥδιστον καὶ κάλλιστον ἐν ᾧ καὶ τὸ πλεῖστον τοῦ χρόνου κατεσχόλαζε, μεταπεμψάμενος οἴκοθεν τὴν γυναῖκα καὶ τοὺς παῖδας. οὐ γὰρ ἐπανῆλθεν εἰς Κόρινθον, οὐδὲ κατέμιξε τοῖς Ἑλληνικοῖς θορύβοις ἑαυτὸν οὐδὲ τῷ πολιτικῷ φθόνῳ παρέδωκεν, εἰς ὃν οἱ πλεῖστοι τῶν στρατηγῶν ἀπληστίᾳ τιμῶν καὶ δυνάμεως ἐξοκέλλουσιν, ἀλλ᾽ ἐκεῖ κατέμεινε τοῖς ὑφ᾽ ἑαυτοῦ μεμηχανημένοις ἀγαθοῖς χρώμενος · ὧν μέγιστον ἦν τὸ πόλεις τοσαύτας καὶ μυριάδας ἀνθρώπων δι᾽ ἑαυτὸν ἐφορᾶν εὐδαιμονούσας.
[XXXVI] Pur essendo stati molti in quello stesso periodo i Greci che raggiunsero la gloria e realizzarono grandi cose, fra i quali vi era Timoteo, Agesilao, Pelopida e quello più ammirato da Timoleonte, Epaminonda, tuttavia le loro imprese procurarono uno splendore di fama viziato da qualche violenza e fatica, tanto che ad alcune seguì perfino biasimo e pentimento. Fra le imprese di Timoleonte invece, se si pone fuori del discorso la necessità che lo costrinse ad agire in merito al fratello, non ve ne è una per la quale non convenga citare, come afferma Timeo, i versi di Sofocle [fr. 790 N.² ]:
“o dei, quale Cipride o Desiderio d’amore
s’accostò a quest'opera ?”
Come infatti la poesia di Antimaco e i dipinti di Dionisio, entrambi di Colofone, pur avendo forza ed intensità, assomigliano a qualcosa di forzato frutto di faticosa elaborazione, mentre ai disegni di Nicomaco e ai versi di Omero, insieme a tutta la forza e la grazia, appartiene un’idea di semplicità e di facile composizione, allo stesso modo messa a confronto con le imprese militari di Epaminonda e di Agesilao, difficoltose e piene di fatica, l’impresa di Timoleonte, possedendo oltre alla gloria anche notevole facilità, sembra, per coloro che ragionano bene e giustamente, non opera della fortuna, bensì di un valore accompagnato da buona fortuna. Ed infatti quando scriveva agli amici in patria o parlava pubblicamente ai Siracusani spesso faceva ringraziamenti al dio perché, volendo salvare la Sicilia, lo aveva scelto per nome quale protettore. Innalzato un piccolo tempio al Caso, vi offrì sacrifici e dedicò l’abitazione stessa al Sacro Demone. Abitava in una dimora che i Siracusani gli riservarono come premio per la sua condotta in guerra e , fra i terreni, quello più confortevole e bello: qui passava in tranquillità la maggior parte del tempo libero, avendo fatto venire dalla patria la moglie e i figli. Difatti non tornò più a Corinto, né si intromise nei disordini in Grecia, e neppure si offrì all’invidia interna alle città, nella quale per desiderio di onore e di potere s’incagliò la maggior parte dei comandanti, bensì restò a Siracusa, a godere di quei beni procurati dalla sua stessa opera: tra questi il più notevole era vedere così tante città e decine di migliaia di uomini felici per merito suo.
[XXXVII] ἐπεὶ δὲ χρῆν, ὡς ἔοικεν, οὐ μόνον πᾶσι κορυδαλλοῖς λόφον ἐγγίγνεσθαι, κατὰ Σιμωνίδην, ἀλλὰ καὶ πάσῃ δημοκρατίᾳ συκοφάντην, ἐπεχείρησαν καὶ Τιμολέοντι δύο τῶν δημαγωγῶν, Λαφύστιος καὶ Δημαίνετος. ὧν Λαφυστίου μὲν αὑτὸν πρός τινα δίκην κατεγγυῶντος οὐκ εἴα [2] θορυβεῖν οὐδὲ κωλύειν τοὺς πολίτας · ἑκὼν γὰρ αὐτὸς ὑπομεῖναι τοσούτους πόνους καὶ κινδύνους ὑπὲρ τοῦ τοῖς νόμοις χρῆσθαι τὸν βουλόμενον Συρακουσίων · τοῦ δὲ Δημαινέτου πολλὰ κατηγορήσαντος ἐν ἐκκλησίᾳ τῆς στρατηγίας, πρός ἐκεῖνον μὲν οὐδὲν ἀντεῖπε, τοῖς δὲ θεοῖς ἔφη χάριν ὀφείλειν, οἷς εὔξατο Συρακουσίους ἐπιδεῖν τῆς παρρησίας κυρίους γενομένους. [3] μέγιστα δ᾽ οὖν καὶ κάλλιστα τῶν καθ᾽ αὑτὸν Ἑλλήνων ὁμολογουμένως διαπραξάμενος ἔργα, καὶ μόνος, ἐφ᾽ ἃς οἱ σοφισταὶ διὰ τῶν λόγων τῶν πανηγυρικῶν ἀεὶ παρεκάλουν πράξεις τοὺς Ἕλληνας, ἐν ταύταις ἀριστεύσας, καὶ τῶν μὲν αὐτόθι κακῶν, ἃ τὴν ἀρχαίαν Ἑλλάδα κατέσχεν, ὑπὸ τῆς τύχης προεκκομισθεὶς ἀναίμακτος καὶ καθαρός, [4] ἐπιδειξάμενος δὲ δεινότητα μὲν καὶ ἀνδρείαν τοῖς βαρβάροις καὶ τοῖς τυράννοις, δικαιοσύνην δὲ καὶ πρᾳότητα τοῖς Ἕλλησι καὶ τοῖς φίλοις, τὰ δὲ πλεῖστα τρόπαια τῶν ἀγώνων ἀδάκρυτα καὶ ἀπενθῆ τοῖς πολίταις καταστήσας, καθαρὰν δὲ τὴν Σικελίαν ἐν οὐδ᾽ ὅλοις ἔτεσιν ὀκτὼ τῶν ἀϊδίων καὶ συνοίκων κακῶν καὶ νοσημάτων παραδοὺς τοῖς κατοικοῦσιν, [5] ἤδη πρεσβύτερος ὢν ἀπημβλύνθη τὴν ὄψιν, εἶτα τελέως ἐπηρώθη μετ᾽ ὀλίγον, οὔτε αὐτὸς ἑαυτῷ πρόφασιν παρασχών οὔτε παροινηθεὶς ὑπὸ τῆς τύχης, ἀλλὰ συγγενικῆς τινος, ὡς ἔοικεν, αἰτίας καὶ καταβολῆς ἅμα τῷ χρόνῳ συνεπιθεμένης · λέγονται γὰρ οὐκ ὀλίγοι τῶν κατὰ γένος αὐτῷ προσηκόντων ὁμοίως ἀποβαλεῖν τὴν ὄψιν ὑπὸ γήρως ἀπομαρανθεῖσαν. [6] ὁ δὲ Ἄθανις ἔτι συνεστῶτος τοῦ πρός Ἵππωνα πολέμου καὶ Μάμερκον, ἐν Μυλαῖς ἐπὶ στρατοπέδου φησὶν ἀπογλαυκωθῆναι τὴν ὄψιν αὐτοῦ, καὶ πᾶσι φανερὰν γενέσθαι τὴν πήρωσιν, οὐ μὴν ἀποστῆναι διὰ τοῦτο τῆς πολιορκίας, ἀλλ᾽ ἐμμείναντα τῷ πολέμῳ λαβεῖν τοὺς τυράννους · ὡς δὲ ἐπανῆλθεν εἰς Συρακούσας, εὐθὺς ἀποθέσθαι τὴν μοναρχίαν καὶ παραιτεῖσθαι τοὺς πολίτας, τῶν πραγμάτων εἰς τὸ κάλλιστον ἡκόντων τέλος.
[XXXVII] Eppure, poiché, come sembra, non solo ogni allodola deve avere la cresta, secondo quanto afferma Simonide [fr. 3 Diehl], ma anche ogni democrazia un accusatore, due demagoghi, Lafistio e Demeneto, attaccarono pure Timoleonte. Sebbene, fra costoro, Lafistio lo costringeva a dare garanzia ad un processo per il pagamento di un’ammenda, Timoleonte non permise che il popolo rumoreggiasse e facesse opposizione: egli infatti aveva affrontato volontariamente così tanti pericoli e fatiche perché, tra i Siracusani, chi lo desiderava potesse ricorrere alla legge. Quando invece Demeneto in assemblea gli mosse numerose accuse in merito alla condotta della guerra, non gli rispose nulla, ma disse di essere debitore verso gli dei, che aveva pregato tanto da poter vedere i Siracusani divenuti padroni della libertà di parola. Avendo dunque compiuto per unanime consenso le imprese più grandi e degne fra i Greci dell’epoca, ed avendo mostrato egli solo valore in quelle azioni per le quali i retori hanno sempre esortato con panegirici gli Elleni, puro e senza essersi macchiato di sangue condotto ad opera della fortuna via dai mali di quel tempo, che avevano oppresso l’antica Grecia, mostrata capacità militare e coraggio ai barbari quanto ai tiranni, ma giustizia e mitezza nei confronti dei Greci e dei compagni, dopo aver dato ai cittadini vittorie in maggior parte prive di lacrime e di lutti, avendo restituito in meno di otto anni a chi vi abitava la Sicilia libera dai mali e dalle afflizioni che da lungo tempo vi dimoravano come una malattia, ormai molto vecchio iniziò a perdere la vista, e successivamente restò del tutto invalido, senza che potesse darsi una spiegazione, né perché maltrattato dalla fortuna, ma piuttosto da una causa, come sembra, congenita e da un difetto rivelatosi con il tempo. Si dice infatti che non pochi fra quanti avevano rapporti di parentela con lui allo stesso modo persero la vista, indebolitasi per la vecchiaia. Lo storico Atani invece [FGrH 562 F3] riferisce che, mentre si combatteva ancora la guerra contro Ippone e Mamerco a Mile, la sua vista soffrì per un glaucoma, ed a tutti risultò evidente la menomazione, eppure non rinunciò per questo motivo all’assedio, ma, continuata la guerra, catturò i tiranni. Come tornò a Siracusa, depose subito i poteri assoluti e chiese ai cittadini di esonerarlo dalla carica di comandante assoluto, dato che gli eventi erano terminati nel modo migliore possibile.
[XXXVIII] ἐκεῖνον μὲν οὖν αὐτὸν ὑπομείναντα τὴν συμφορὰν ἀλύπως ἧττον ἄν τις θαυμάσειε · τῶν δὲ Συρακουσίων ἄξιον ἄγασθαι τὴν πρὸς τὸν ἄνδρα τιμὴν καὶ χάριν ἣν ἐπεδείξαντο πεπηρωμένῳ, φοιτῶντες ἐπὶ θύρας αὐτοὶ καὶ τῶν ξένων τοὺς παρεπιδημοῦντας ἄγοντες εἰς τὴν οἰκίαν καὶ τὸ χωρίον, ὅπως θεάσαιντο τὸν εὐεργέτην αὑτῶν, ἀγαλλόμενοι καὶ μέγα φρονοῦντες ὅτι παρ᾽ αὐτοῖς εἵλετο καταζῆσαι τὸν βίον, οὕτω λαμπρᾶς ἐπανόδου τῆς εἰς τὴν Ἑλλάδα παρεσκευασμένης αὐτῷ διὰ τῶν εὐτυχημάτων καταφρονήσας. [2] πολλῶν δὲ καὶ μεγάλων εἰς τὴν ἐκείνου τιμὴν γραφομένων καὶ πραττομένων οὐδενὸς ἧττον ἦν τὸ ψηφίσασθαι τὸν τῶν Συρακουσίων δῆμον, ὁσάκις συμπέσοι πόλεμος αὐτοῖς πρὸς ἀλλοφύλους, Κορινθίῳ χρῆσθαι στρατηγῷ. καλὴν δὲ καὶ τὸ περὶ τὰς ἐκκλησίας γινόμενον ὄψιν εἰς τιμὴν αὐτοῦ παρεῖχε · τὰ γὰρ ἄλλα δι᾽ αὑτῶν κρίνοντες ἐπὶ τὰς μείζονας διασκέψεις ἐκεῖνον ἐκάλουν. [3] ὁ δὲ κομιζόμενος δι᾽ ἀγορᾶς ἐπὶ ζεύγους πρὸς τὸ θέατρον ἐπορεύετο, καὶ τῆς ἀπήνης, ἐϕ’ ἧσπερ ἐτύγχανε καθήμενος, εἰσαγομένης, ὁ μὲν δῆμος ἠσπάζετο μιᾷ φωνῇ προσαγορεύων αὐτόν, ὁ δ᾽ ἀντασπασάμενος καὶ χρόνον τινὰ δοὺς ταῖς εὐφημίαις καὶ τοῖς ἐπαίνοις, εἶτα διακούσας τὸ ζητούμενον, ἀπεφαίνετο γνώμην. ἐπιχειροτονηθείσης δὲ ταύτης οἱ μὲν ὑπηρέται πάλιν ἀπῆγον διὰ τοῦ θεάτρου τὸ ζεῦγος, οἱ δὲ πολῖται βοῇ καὶ κρότῳ προπέμψαντες ἐκεῖνον ἤδη τὰ λοιπὰ τῶν δημοσίων καθ᾽ αὑτοὺς ἐχρημάτιζον.
[XXXVIII] E non sarebbe certo incredibile il fatto che egli affrontò la sventura senza addolorarsi. Ma è invece degno di ammirazione il rispetto dei Siracusani verso quest’uomo e la gratitudine che gli mostrarono quando ormai era invalido, recandosi essi stessi alla sua porta ed accompagnando in casa o nel terreno quanti fra gli stranieri passavano nel loro paese, perché vedessero il loro benefattore, vantandosi e riempiendosi d’orgoglio, dal momento che aveva scelto di vivere presso di loro, dopo aver rifiutato quel così splendido ritorno in Grecia preparatogli in virtù dei suoi successi. Fra le numerose e notevoli proposte realizzate in suo onore nessuna superava la delibera de popolo siracusano, secondo la quale ogni volta che fosse scoppiata una guerra tra loro e popoli di diversa origine, sarebbero ricorsi ad un generale corinzio. Un bello spettacolo ad onore della sua persona veniva offerto anche da quanto accadeva nelle assemblee: infatti mentre giudicavano fra loro in merito a diverse questioni, lo chiamavano per le discussioni di maggiore importanza. Egli, condotto attraverso l’agorà su di un carro, veniva portato nel teatro e, quando veniva fatto avanzare il cocchio trainato da muli, sul quale si trovava a sedere, il popolo lo salutava ad una voce chiamandolo per nome, quello, risposto al saluto, e concesso un certo tempo alle benedizioni e alle lodi, dopo aver ascoltato quanto veniva richiesto, esprimeva il suo parere. Votato questo parere per alzata di mano, i servi conducevano di nuovo il carro attraverso il teatro e i cittadini, accompagnatolo con grida ed applausi, tornavano a discutere il resto degli affari pubblici tra di loro.
[XXXIX] ἐν τοιαύτῃ δὲ γηροτροφούμενος τιμῇ μετ᾽ εὐνοίας, ὥσπερ πατὴρ κοινός, ἐκ μικρᾶς προφάσεως τῷ χρόνῳ συνεφαψαμένης ἐτελεύτησεν. ἡμερῶν δὲ δοθεισῶν τοῖς μὲν Συρακουσίοις εἰς τὸ παρασκευάσαι τὰ περὶ τὴν ταφήν, τοῖς δὲ περιοίκοις καὶ ξένοις εἰς τὸ συνελθεῖν, τά τ᾽ ἄλλα λαμπρᾶς χορηγίας ἔτυχε, καὶ τὸ λέχος οἱ ψήφῳ τῶν νεανίσκων προκριθέντες ἔφερον κεκοσμημένον διὰ τῶν Διονυσίου τυραννείων τότε κατεσκαμμένων. [2] προὔπεμπον δὲ πολλαὶ μυριάδες ἀνδρῶν καὶ γυναικῶν, ὧν ὄψις μὲν ἦν ἑορτῇ πρέπουσα, πάντων ἐστεφανωμένων καὶ καθαρὰς ἐσθῆτας φορούντων, φωναὶ δὲ καὶ δάκρυα, συγκεκραμένα τῷ μακαρισμῷ τοῦ τεθνηκότος, οὐ τιμῆς ἀφοσίωσιν οὐδὲ λειτουργίαν ἐκ προβουλεύματος, ἀλλὰ πόθον δίκαιον ἐπεδείκνυντο καὶ χάριν ἀληθινῆς εὐνοίας. [3] τέλος δὲ τῆς κλίνης ἐπὶ τὴν πυρὰν τεθείσης Δημήτριος, ὃς ἦν μεγαλοφωνότατος τῶν τότε κηρύκων, γεγραμμένον ἀνεῖπε κήρυγμα τοιοῦτον·
[4] ὁ δῆμος ὁ Συρακουσίων Τιμολέοντα Τιμοδήμου
Κορίνθιον τόνδε θάπτει μὲν ἀπὸ διακοσίων
μνῶν, ἐτίμησε δ᾽ εἰς τὸν ἅπαντα χρόνον
ἀγῶσι μουσικοῖς, ἱππικοῖς, γυμνικοῖς, ὅτι
τοὺς τυράννους καταλύσας καὶ τοὺς βαρβάρους
καταπολεμήσας καὶ τὰς μεγίστας τῶν
ἀναστάτων πόλεων οἰκίσας ἀπέδωκε τοὺς
νόμους τοῖς Σικελιώταις.
[5] ἐποιήσαντο δὲ τὴν ταφὴν τοῦ σώματος ἐν ἀγορᾷ, καὶ στοὰς ὕστερον περιβαλόντες καὶ παλαίστρας ἐνοικοδομήσαντες γυμνάσιον τοῖς νέοις ἀνῆκαν καὶ Τιμολεόντειον προσηγόρευσαν. αὐτοὶ δὲ χρώμενοι πολιτείᾳ καὶ νόμοις οὓς ἐκεῖνος κατέστησεν, ἐπὶ πολὺν χρόνον εὐδαιμονοῦντες διετέλεσαν.
[XXXIX] Pur mantenuto durante la sua vecchiaia in un tale onore con benevolenza come un padre comune, morì per un banale motivo unitosi alla sua età. Concessi dei giorni, ai Siracusani per allestire le esequie, ai vicini e agli stranieri per giungere a Siracusa, ottenne, fra le altre cose, uno splendido cerimoniale, e dei giovani, prescelti tramite votazione, condussero il feretro adornato per i luoghi in cui si trovava la dimora di Dionisio, in quel tempo ormai rasa al suolo. Molte migliaia di uomini e di donne lo accompagnarono, il cui spettacolo era simile ad una festa, poiché tutti avevano cinto il capo con corone ed indossavano vesti bianche; parole e lacrime, assieme all’esaltazione del defunto, mostrarono non un rispetto legato esclusivamente alla forma, né un rito concordato in precedenza da una delibera pubblica, ma un amore sincero ed una gratitudine data da vera benevolenza. Alla fine, deposto il letto funebre sul rogo, Demetrio, che fra gli araldi era quello con la voce più potente, pronunciò questo proclama scritto: “il popolo dei Siracusani seppellisce Timoleonte corinzio, figlio di Timodemo, con una spesa di duecento mine, lo onora per il tempo che verrà con gare musicali, ginniche ed ippiche, poiché, dopo aver abbattuto i tiranni, combattuto i barbari e rifondato le più grandi fra le città distrutte in precedenza, ha restituito le leggi ai Sicelioti”.Il luogo della sepoltura fu nell’agorà, ed in seguito, circondato dalla costruzione di porticati e palestre, lo dedicarono ai giovani come ginnasio e lo chiamarono Timoleonteion. I Siracusani, facendo uso dell’ordinamento politico e delle leggi che quello aveva stabilito, vissero nella prosperità per lungo tempo.
CONFRONTO TRA EMILIO PAOLO E TIMOLEONTE
[XL] (I) τοιούτων δὲ τῶν κατὰ τὴν ἱστορίαν ὄντων, δῆλον ὡς οὐκ ἔχει πολλὰς διαφορὰς οὐδὲ ἀνομοιότητας ἡ σύγκρισις. οἵ τε γὰρ πόλεμοι πρὸς ἐνδόξους γεγόνασιν ἀμφοτέροις ἀνταγωνιστάς, τῷ μὲν Μακεδόνας, τῷ δὲ Καρχηδονίους, αἵ τε νῖκαι περιβόητοι, τοῦ μὲν ἑλόντος Μακεδονίαν καὶ τὴν ἀπ᾽ Ἀντιγόνου διαδοχὴν ἐν ἑβδόμῳ βασιλεῖ καταπαύσαντος, τοῦ δὲ τὰς τυραννίδας πάσας ἀνελόντος ἐκ Σικελίας καὶ τὴν νῆσον ἐλευθερώσαντος · εἰ μὴ νὴ Δία βούλοιτό τις παρεγχειρεῖν ὡς Αἰμίλιος μὲν ἐρρωμένῳ Περσεῖ [2] καὶ Ῥωμαίους νενικηκότι, Τιμολέων δὲ Διονυσίῳ παντάπασιν ἀπειρηκότι καὶ κατατετριμμένῳ συνέπεσε, καὶ πάλιν ὑπὲρ Τιμολέοντος, ὅτι πολλοὺς μὲν τυράννους, μεγάλην δὲ τὴν Καρχηδονίων δύναμιν ἀπὸ τῆς τυχούσης στρατιᾶς ἐνίκησεν, οὐχ ὥσπερ Αἰμίλιος ἀνδράσιν ἐμπειροπολέμοις καὶ μεμαθηκόσιν ἄρχεσθαι χρώμενος, ἀλλὰ μισθοφόροις οὖσι καὶ στρατιώταις ἀτάκτοις, πρὸς ἡδονὴν εἰθισμένοις στρατεύεσθαι. τὰ γὰρ ἀπ᾽ οὐκ ἴσης παρασκευῆς ἴσα κατορθώματα τῷ στρατηγῷ τὴν αἰτίαν περιτίθησι.
[XL] (I) Poiché tali sono gli eventi ricordati dalla storia, è chiaro che il paragone non presenta numerose differenze e discrepanze. Entrambi infatti sostennero guerre contro avversari rinomati, l’uno contro i Macedoni, l’altro contro i Cartaginesi, ed anche le loro vittorie ebbero larga risonanza, in quanto uno conquistò il regno di Macedonia e pose fine con il settimo sovrano alla successione iniziata a partire da Antigono, mentre l’altro eliminò dalla Sicilia tutte le tirannidi e restituì all’isola la libertà: a meno che, per Zeus, non si voglia muovere l’obiezione secondo cui Emilio venne a scontrarsi con Perseo nel pieno della sua forza ed in seguito alle vittorie riportate sui Romani, ed invece Timoleonte affrontò Dionisio ormai completamente privo di speranze e logorato: oppure, a difesa di Timoleonte, che questi vinse numerosi tiranni, e la grande potenza cartaginese, con l’esercito che la fortuna gli aveva messo a disposizione, non potendo contare, allo stesso modo di Emilio, su uomini addestrati alla guerra e preparati a ricevere ordini, bensì su mercenari e soldati senza disciplina, abituati a combattere in guerra secondo il proprio interesse. Quando infatti si ottengono uguali successi, pur non disponendo di uguali mezzi, il merito è certo del comandante.
[XLI] (2) καθαρῶν οὖν καὶ δικαίων ἐν τοῖς πράγμασιν ἀμφοτέρων γεγονότων, Αἰμίλιος μὲν ὑπὸ τῶν νόμων καὶ τῆς πατρίδος οὕτως ἔοικεν εὐθὺς ἀφικέσθαι παρεσκευασμένος, Τιμολέων δὲ τοιοῦτον αὐτὸς ἑαυτὸν παρέσχε. τούτου τεκμήριον, ὅτι Ῥωμαῖοι μὲν ὁμαλῶς ἐν τῷ τότε χρόνῳ πάντες ἦσαν εὔτακτοι καὶ ὑποχείριοι τοῖς ἐθισμοῖς καὶ τοὺς νόμους δεδιότες καὶ τοὺς πολίτας, Ἑλλήνων δὲ οὐδεὶς ἡγεμών ἐστιν οὐδὲ στρατηγός ὃς οὐ διεφθάρη τότε Σικελίας ἁψάμενος ἔξω Δίωνος. [2] καίτοι καὶ Δίωνα πολλοὶ μοναρχίας ὀρέγεσθαι καὶ βασιλείαν τινὰ Λακωνικὴν ὀνειροπολεῖν ὑπενόουν. Τίμαιος δὲ καὶ Γύλιππον ἀκλεῶς φησι καὶ ἀτίμως ἀποπέμψαι Συρακουσίους, φιλοπλουτίαν αὑτοῦ καὶ ἀπληστίαν ἐν τῇ στρατηγίᾳ κατεγνωκότας. ἃ δὲ Φάραξ ὁ Σπαρτιάτης καὶ Κάλλιππος ὁ Ἀθηναῖος ἐλπίσαντες ἄρξειν Σικελίας παρενόμησαν καὶ παρεσπόνδησαν, ὑπὸ πολλῶν ἀναγέγραπται. [3] καίτοι τίνες ἢ πηλίκων κύριοι πραγμάτων ὄντες οὗτοι τοιαῦτα ἤλπισαν; ὧν ὁ μὲν ἐκπεπτωκότα Συρακουσῶν ἐθεράπευε Διονύσιον, Κάλλιππος δὲ εἷς ἦν τῶν περὶ Δίωνα ξεναγῶν. ἀλλὰ Τιμολέων αἰτησαμένοις καὶ δεηθεῖσιν αὐτοκράτωρ πεμφθεὶς Συρακουσίοις, καὶ δύναμιν οὐ ζητεῖν ἀλλ᾽ ἔχειν ὀφείλων ἣν ἔλαβε βουλομένων καὶ διδόντων, πέρας ἐποιήσατο τῆς αὑτοῦ στρατηγίας καὶ ἀρχῆς τὴν τῶν παρανόμων ἀρχόντων κατάλυσιν. [4] ἐκεῖνο μέντοι τοῦ Αἰμιλίου θαυμαστόν, ὅτι τηλικαύτην βασιλείαν καταστρεψάμενος οὐδὲ δραχμῇ μείζονα τὴν οὐσίαν ἐποίησεν, οὐδὲ εἶδεν οὐδὲ ἥψατο τῶν χρημάτων, καίτοι πολλὰ δοὺς ἑτέροις καὶ δωρησάμενος. οὐ λέγω δὲ ὅτι Τιμολέων μεμπτός ἐστιν οἰκίαν τε καλὴν λαβὼν καὶ χωρίον · οὐ γὰρ τὸ λαβεῖν ἐκ τοιούτων αἰσχρόν, ἀλλὰ τὸ μὴ λαβεῖν κρεῖττον, καὶ περιουσία τῆς ἀρετῆς ἐν οἷς ἔξεστιν ἐπιδεικνυμένης τὸ μὴ δεόμενον. [5] ἐπεὶ δέ, ὡς σώματος ῥῖγος ἢ θάλπος φέρειν δυναμένου τὸ πρὸς ἀμφοτέρας εὖ πεφυκὸς ὁμοῦ τὰς μεταβολὰς ῥωμαλεώτερον, οὕτω ψυχῆς ἄκρατος εὐρωστία καὶ ἰσχύς, ἣν οὔτε τὸ εὐτυχεῖν ὕβρει θρύπτει καὶ ἀνίησιν οὔτε συμφοραὶ ταπεινοῦσι, φαίνεται τελειότερος ὁ Αἰμίλιος, ἐν χαλεπῇ τύχῃ καὶ πάθει μεγάλῳ τῷ περὶ τοὺς παῖδας οὐδέν τι μικρότερος οὐδὲ ἀσεμνότερος ἢ διὰ τῶν εὐτυχημάτων ὁραθείς. [6] Τιμολέων δὲ γενναῖα πράξας περὶ τὸν ἀδελφὸν οὐκ ἀντέσχε τῷ λογισμῷ πρὸς τὸ πάθος, ἀλλὰ μετανοίᾳ καὶ λύπῃ ταπεινωθεὶς ἐτῶν εἴκοσι τὸ βῆμα καὶ τὴν ἀγορὰν ἰδεῖν οὐχ ὑπέμεινε. δεῖ δὲ τὰ αἰσχρὰ φεύγειν καὶ αἰδεῖσθαι · τὸ δὲ πρὸς πᾶσαν ἀδοξίαν εὐλαβὲς ἐπιεικοῦς μὲν ἤθους καὶ ἁπαλοῦ, μέγεθος δὲ οὐκ ἔχοντος.
[XLI] (2) Sebbene entrambi mostrarono onestà e giustizia nelle loro azioni, Emilio sembra aver raggiunto fin da subito questa condizione, in quanto preparato dalle leggi della patria, Timoleonte invece si rivelò tale da sé stesso. E la prova di ciò consiste nel fatto che i Romani in maniera uniforme nel corso del tempo furono tutti disciplinati e soggetti alle consuetudini, temendo le leggi e chi li governava, mentre fra i Greci, all’infuori di Dione, non vi fu né un condottiero né un generale che si mantenne integro appena mise piede in quel tempo in Sicilia; e nonostante tutto molti sospettavano che anche Dione aspirasse al potere personale e sognasse un tipo di regno come a Sparta. Timeo racconta [FGrH 566 F 100 c] che i Siracusani allontanarono con infamia e disonore pure Gilippo, avendolo accusato di avidità e brama di ricchezze durante la gestione della guerra. Ciò che commisero in spregio della legalità e tradendo le alleanze lo Spartano Farace e l’ateniese Callippo, i quali avevano nutrito la speranza di dominare la Sicilia, è riportato nelle opere di numerosi autori. Ma chi erano costoro ? E in virtù di quale potere ebbero tali speranze ? Di questi uno ebbe cura di Dionisio dopo che venne cacciato da Siracusa, mentre Callippo era un capo dei mercenari al comando di Dione. Timoleonte invece, inviato in qualità di comandante con pieni poteri a sostegno dei Siracusani, che ne avevano necessità e lo avevano richiesto, tenuto non a cercare un esercito, ma a mantenere quello che aveva preso per loro volontà e concessione, ritenne che il proprio comando e la sua carica terminassero con l’abbattimento di quanti governavano contrariamente alle leggi. Quello che va invece ammirato di Emilio risiede nel fatto che, pur avendo rovesciato un regno di tale grandezza, non aumentò i suoi beni di una sola dracma, né vide né toccò il denaro, offrendone anzi in dono una larga quantità agli altri. Non voglio dire che Timoleonte vada biasimato perché si prese una dimora ed un terreno: non era una vergogna prenderli dai Siracusani in tali circostanze, ma il non prendere è cosa migliore, e la virtù sovrabbonda quando mostra di non aver bisogno pure là dove è consentito prendere. E poiché, come rispetto ad un corpo capace di sopportare il freddo o il caldo è più resistente quello ben disposto per natura verso entrambe le variazioni, così puro è il vigore e la forza d’un animo che né la buona fortuna può far rammollire e rilassare nella superbia, né le sventure possono abbattere, appare più completo Emilio, perché in una penosa disgrazia e in un grande dolore, quello per la perdita dei figli, non si mostrò inferiore e meno dignitoso di quando era nel pieno del successo. Timoleonte invece, pur avendo agito con nobiltà riguardo al fratello, non riuscì ad opporsi razionalmente al dolore, ma prostrato dal pentimento e dalla sofferenza, per vent’anni non ebbe il coraggio di guardare la tribuna degli oratori e l’agorà. È necessario fuggire e provare vergogna per ciò che è turpe; eppure l’eccessiva cautela verso ogni disonore è certo conforme ad un carattere gentile e delicato, ma privo di grandezza.
http://scriptamaneant.blogspot.com/2013/12/plutarco-vite-di-emilio-paolo-e.html
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