filosofo, teologo e scrittore danese, il cui pensiero è da alcuni studiosi considerato punto di avvio dell'esistenzialismo. Kierkegaard visse la quasi totalità della sua esistenza a Copenaghen, dove nacque e morì. La sua filosofia prese corpo da un doppio rifiuto, ossia il rifiuto della filosofia hegeliana e l'allontanamento dal vuoto formalismo della Chiesa danese. Kierkegaard condusse un'esistenza appartata dove la meditazione e lo studio occupavano gran parte del suo tempo.
Il filosofo della disperazione, se non ricordo male.
Ricordo che la sua vita fu costellata da una serie di ravvicinati lutti di parenti strettissimi.
Se non ricordo male... Comunque una riflessione più che profonda.
Id est proveniente ab imis.
Ab imis
La locuzione latina ab imis [fundamentis], tradotta letteralmente, significa
dalle più profonde fondamenta.
In senso figurato la locuzione è utilizzata con il significato di totalmente, in tutte le parti, come nelle frasi: riformare un istituto ab imis, rinnovare un'amministrazione ab imis.
Ab imis fundamentis: dai primi principi, dai più bassi fondamenti è usato come divisa (motto) da numerose famiglie italiane e straniere, per indicare che una cosa si deve rifare da capo a fondo. Deriva dalla Instauratio magna di Francesco Bacone da Verulamio (1561-1627), che fece precedere il motto da Instauratio facienda.
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Ab_imis
"Instauratio facienda ab imis fundamentis"
"Il rinnovamento va fatto dalle fondamenta più profonde".
Francesco Bacone
Kierkegaard nel suo Diario annotava:
“La nave è in mano al cuoco di bordo, e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani.”
Giovanni,
non ti chiamo mio, intendo bene che mai tu lo sei stato, e se una volta illusi l'anima mia con un simile pensiero, ora crudelmente son punita. Eppure ti chiamo mio; mio seduttore, mio impostore, mio nemico, mio assassino, fonte della mia sventura, tomba della mia letizia, baratro della mia felicità. Io ti chiamo mio e mi dico tua, e se queste parole lusingarono una volta il tuo orgoglio prostrato nella mia adorazione, suonino oggi come una maledizione contro di te, una maledizione per tutta l'eternità.
Non compiacerti al pensiero che sia mia intenzione di inseguirti o di armare la mia mano d'un pugnale, per meritare così il tuo scherno! Ovunque tu fuggirai, io rimarrò sempre tua. Ritirati agli estremi confini del mondo, io rimarrò sempre tua. Ama cento altre donne, io rimarrò sempre tua; sì, nell'ora della morte sarò ancora tua.
Le parole stesse che adopero contro di te, ti provino che io sono tua.
Tu hai ardito ingannare una creatura fino al punto di divenire tutto per essa, (..)
Io sono tua, tua, tua: la tua maledizione.
Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore
Immagino bene come egli sapesse menar una ragazza a tanto da esser sicuro ch'ella avrebbe per lui tutto sacrificato. Quando ciò aveva raggiunto, troncava ogni cosa. Tutto questo senza che da parte sua egli avesse mostrato di voler il più piccolo avvicinamento, senza che una parola fosse caduta sull'amore, senza neppure una dichiarazione, una promessa. Eppure tutto era accaduto; e la infelice provava nella coscienza di ciò una doppia amaritudine: poiché a nulla potevasi richiamare, e dall'uno all'altro dei più diversi stati d'animo sentivasi sbalzata come in una ridda diabolica. E or a lui faceva rimproveri, ora rimproverando sé stessa perdonava lui: e poiché nulla era veramente esistito nella realtà, doveva domandarsi se tutto non fosse stato che un frutto della sua immaginazione.
Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore
Ogni ragazza, di fronte al labirinto del suo cuore, è un'Arianna:
possiede il filo per ritrovare la strada giusta, ma non sa come usarlo.
Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore
Una giovanetta che voglia piacere con l'essere interessante vuole probabilmente piacere prima di tutto a se stessa. Ella deve bastare a se stessa, anche se ciò per cui e con cui ella basta a se stessa sia un'illusione.
Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore
Mi bacia indefinitamente, come il cielo bacia il mare, dolce e silenziosa come la rugiada sui fiori, solenne come il mare quando bacia l'immagine della luna.
Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore
Fin dall'infanzia sono preda della forza di un'orribile malinconia, la cui profondità trova la sua vera espressione nella corrispondente capacità di nasconderla sotto apparente serenità e voglia di vivere.
Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore
Perchè io sono il caos di un'anima, che attende solo una parola da te.
Søren Kierkegaard, Diario di un seduttore
Cordelia mia,
l'amore mi consuma, soltanto la voce mi rimane, una voce che, innamorata di te, ovunque ti sussurra che io t'amo. Oh! non ti stanca l'udire questa voce? Dappertutto io ti circondo; come un vago e instabile abbraccio, io depongo l'anima mia meditabonda sul tuo puro, profondo essere”.
Soren Kierkegaard, Diario del seduttore.
La mia andatura era lieve, non come il volo degli uccelli che tagliano l'aria e abbandonano la terra, ma come l'ondeggiare del vento tra le messi, come il dolce tremolio del mare e il sognante navigare delle nuvole. Il mio essere era la trasparenza degli abissi marini, della tacita e remota felicità della notte, dell'eco solinga che parla nel silenzio del meriggio.
Soren Kierkegaard, Diario del seduttore.
Maledetto caso! ti ho mai maledetto quando ti mostravi, e ora ti maledico poiché non ti mostri! (…)
Mostrami lei, mostrami una possibilità che pare un’impossibilità, mostrami lei sia pure tra le ombre degl’inferi: io vi andrò, e la porterò su.
Fa’ pure che mi odi, mi disprezzi, mi sia indifferente o ami un altro: io non ho paura.
Ma scuoti le acque, interrompi la calma! Lasciarmi morire di fame in questo modo è vergognoso da parte tua, che presumi di essere più forte di me.
— Estratto di:
Søren A. Kierkegaard. “Diario del seduttore.”
Søren Kierkegaard, Diario del seduttore.
[...]Sono innamorato, verissimo, ma non alla solita maniera; bisogna dunque andare molto cauti perché possono esservi pericolose conseguenze, e innamorati a tal punto si è solo una volta nella vita. Tuttavia il dio dell’amore è cieco, se s’è prudenti lo si può anche ingannare. Arte è, in rapporto all’emozione, l’essere quanto più possibile percettivi, sapere quale impressione si dà e quale impressione si riceve da ogni fanciulla. In tal modo si può anche essere innamorati di molte fanciulle in una volta sola, perché si può essere differentemente innamorati di ognuna di esse. Amare una sola è troppo poco, amarle tutte è superficialità. Conoscere se stessi e amarne quante più possibile, lasciare che la propria anima nasconda in sé tutte le potenze dell’amore in modo che ognuna riceva il nutrimento che le spetta, mentre pur la coscienza abbraccia tutto: questo è godimento, questo è vivere.
Søren Aabye Kierkegaard, Diario del seduttore.
I geni sono come i temporali: vanno contro vento, spaventano gli uomini, purificano l’aria.
Søren Kierkegaard, Diario, 1834/55 (postumo 1909/49)
La filosofia del salto”: Søren Kierkegaard.
Punto di partenza dell’analisi kierkegaardiana è la concezione dell’uomo:
come Johann Schmidt, meglio noto come Max Stirner, che definì l’uomo reale, contingente come l’“Unico”, così Kierkegaard definisce l’essere umano nella sua singolarità e individualità. L’essere umano particolare, quindi, non l’Uomo come concetto generico. Ciò però non deve ingannare l’uomo, poiché ognuno di noi, afferma il filosofo di Copenaghen, è sì l’Uomo, in quanto ontologicamente appartenente alla Comunità degli uomini, ma egli è e deve diventare “singolo”, esistendo al di fuori di tutti gli ordini prestabiliti, predeterminati. Essendo l’uomo un essere che ha fede, e non può non averne come direbbe James, Kierkegaard sottolinea che quella fede che l’uomo professa, e che è riconosciuta nel cristianesimo, nella fattispecie del luteranesimo, non può essere la fede così come è professata nel Nuovo Testamento: per lui quella fede rimane una pura possibilità. L’uomo kierkegaardiano è l’uomo della decisione, della scelta, è l’uomo che non ha certezze di fronte a se e per questo deve decidere sempre in ogni situazione di vita. La vita è divenire, caos, mutamento e come tale l’uomo si trova di fronte a scelte che deve fare per poter vivere: anche la sua fede è imprevedibilità, rischio, scandalo poiché essa può portarlo alla salvezza quanto alla perdizione. La fede non porta a certezze, a consolidamenti, ma aumenta l’imprevedibilità degli eventi: tutto è in mano alla scelta del singolo. C’è qui allora da precisare che mentre per Hegel lo Spirito non può tralasciare, nel suo viaggio nell’esistenza, nessuna delle sue forme essenziali (et-et è la formula che esprime questo concetto hegeliano), per Kierkegaard invece le varie realtà (etica, estetica e religiosa) sono possibilità tra le quali l’uomo deve scegliere. Deve quindi scegliere una e rifiutare l’altra: aut-aut è l’espressione che egli utilizza per designare il divenire, la scelta, il salto che l’uomo deve compiere. Il futuro è quindi per l’uomo pura possibilità e quindi puro nulla. A ciò Kierkegaard collega il sentimento dell’angoscia, che si presenta nell’uomo di fronte all’imprevedibilità dell’esistenza. L’uomo è angosciato per ciò che può derivare dalle sue scelte ed è qui allora che egli deve fare il salto decisivo: o la disperazione per la contingenza della vita umana, per l’incertezza del divenire, o la fede in Dio. Il primo atteggiamento è ciò che il cristianesimo, e di conseguenza il filosofo, condanna come sfiducia nel potere del Creatore. La fede è perciò la patria del dubbio, del paradosso, dello scandalo (Kierkegaard fa l’esempio biblico di Abramo costretto da Dio ad uccidere il figlio Isacco) che porta l’uomo al di la della razionalità e dell’epistème. Ma per l’uomo contingente e finito, il passaggio dall’oscurità alla luce, alla verità, può essere fatto solo grazie all’intervento dell’Assoluto, che aiuta l’uomo a capire il perché della sua diversità dall’Ignoto e il perché della sua non-verità, per arrivare così a possedere la salvezza. Ecco allora che la vera dialettica della vita è, nella formidabile intuizione di Kierkegaard, il divenire concreto dell’esistenza umana.
Articolo a cura di Gianmarco Canestrari
https://culturificio.org/la-filosofia-del-salto-soren-kierkegaard/
Il voler giocare a nascondersi si sconta sempre nel modo più naturale, col diventar misteriosi a se stessi.
Søren Kierkegaard
Il fatto è che la mia coscienza ha un’ottava in più. Nell’istanza intermedia, che è propriamente la sfera della vita quotidiana e della realtà, nell’istanza intermedia, dove si svolge essenzialmente la […] vita […] di quasi tutti, io impazzisco. Solo dopo una lunga deviazione ritrovo, in un senso più elevato, la sicurezza e la serenità degli altri. Proprio pazzo non sono, dal momento che me la cavo da solo, non ho bisogno di confidenti, non scarico su nessuno la mia infelicità ; né trovo impedimenti nel mio lavoro. Ma in ogni direzione la mia tristezza va a scovare il terrore. Ora mi afferra con tutto il suo orrore. Sfuggirgli non voglio, devo sostenerne il pensiero "
Sören Kierkegaard, Stadi sul cammino della vita
Un abbraccio è una battaglia?
Søren Aabye Kierkegaard
Osare è perdere momentaneamente l’equilibrio.
Non osare è perdere se stessi.
Soren Kierkegaard
La cosa importante è capire a che cosa sono destinato, scorgere ciò che la Divinità vuole che io faccia; il punto è trovare la verità che è vera per me, trovare l'idea per la quale sono pronto a vivere e morire.
Sören Kierkegaard
Per nuotare, è necessario togliersi tutti i vestiti. Al fine di aspirare alla verità, ci si deve spogliare in un senso molto più interiore, occorre spogliarsi di pensieri, pregiudizi, preconcetti, egoismo. Solo quando si diventa sufficientemente nudi interiormente, si può essere ricettivi e comprendere la realtà.
Sören Kierkegaard
“Come il medico può certamente dire che forse non esiste un solo uomo che sia completamente sano, così, se si conoscesse bene l’uomo, si dovrebbe dire che non vive un solo uomo il quale non sia alquanto disperato, non porti in sé un’inquietuun turbamento, una disarmonia, un’angoscia di qualche cosa che egli non conosce o che non osa ancora conoscere, un’angoscia della possibilità dell’esistenza o un’angoscia di se stesso, in modo che, come il medico parla di una malattia che cova nel corpo, cova anche lui una malattia, cova e porta con sé una malattia dello spirito, la quale ogni tanto, a guisa di un lampo, mediante e insieme con un angoscia incomprensibile per lui stesso, fa sentire che c’è dentro”
Sören Kierkegaard, La malattia mortale
«Succede della maggioranza dei filosofi sistematici, riguardo ai loro sistemi, come di chi si costruisse un castello e poi se ne andasse a vivere in un fienile: per conto loro essi non vivono in quell’enorme costruzione sistematica. Ma nel campo dello spirito ciò costituisce un’obiezione capitale. Qui i pensieri, i pensieri di un uomo, devono essere l’abitazione in cui egli vive: altrimenti sono guai»
Søren Kierkegaard, Diario 1840-1847
L’eccesso di ironia, cadendo nel sarcasmo, riesce ad uccidere.
Sören Kierkegaard
La fede è una corda alla quale si rimane appesi, quando non ci si impicca.
Sören Kierkegaard
Nulla di finito, nemmeno l'intero mondo, può soddisfare l'animo umano che sente il bisogno dell'eterno.
Soren Kierkegaard
Il ricordo è un traditore che ferisce alle spalle.
Soren Kierkegaard
L'essenza della donna è un abbandono sotto forma di resistenza
S.Kierkegaard
Il ricordo è un consolatore molesto
Sören Kierkegaard
Forse che io non credo?
Credo che nel più profondo del solitario silenzio della foresta, dove gli alberi si specchiano nelle acque cupe di uno stagno, nella oscura segretezza che regna anche a mezzogiorno, là vive un essere, una ninfa, una fanciulla; credo che sia più bella di ogni immaginazione; credo che di mattino intrecci corone, a mezzogiorno si bagni nelle fresche acque, e alla sera malinconicamente colga le foglie delle corone; credo che sarei felice, l'unico uomo che meriterebbe di essere chiamato così, se la potessi prendere e possedere; credo che nel mio animo alberghi una nostalgia che scruta il mondo e credo che sarei felice se questa potesse esser soddisfatta.
Søren Kierkegaard, Aut-Aut
La mia anima è così pesante che nessun pensiero è capace di portarla, nessun colpo d’ala può sollevarla verso l’etere. Se essa si muove, non riesce che a sfiorare la terra, come il volo basso degli uccelli quando minaccia l’uragano. Sulla mia anima incombe un’oppressione greve, un’angoscia che fa presentire il terremoto.
Sören Kierkegaard, Aut Aut
Se si domanda a un malinconico quale ragione egli abbia per esser così, cosa gli pesa, risponderà che non lo sa, che non lo può spiegare. In questo consiste lo sconfinato orizzonte della malinconia.
Søren Kierkegaard, Aut-Aut
Per me non c’è niente di più pericoloso del ricordare.
Appena io ricordo una cosa della vita, la cosa stessa cessa.
Si dice che la separazione aiuta a rinfrescare l’amore.
E’ verissimo, ma lo rinfresca in modo puramente poetico.
Vivere nel ricordo è il modo più perfetto di vita che si possa immaginare.
Il ricordo sazia più di qualunque realtà, e ha una sicurezza che nessuna realtà possiede.
Una situazione della vita ch’è stata ricordata è già entrata nell’eternità
e non ha più nessun interesse terreno.
Sören Kierkegaard, Aut Aut
Se qualcuno deve tenere un diario per venire un po' in soccorso della sua memoria, costui dovrei essere io. Dopo un po' di tempo mi accade spesso di aver dimenticato completamente le ragioni che mi hanno spinto a questa o quella cosa, non soltanto quando si tratta d'inezie ma anche dei passi più importanti. Quando poi le ragioni mi ritornano alla memoria, mi sembrano spesso così strane ch'io non riesco a credere che fossero ragioni. Questo dubbio svanirebbe, se avessi qualcosa di scritto a cui attenermi. Una ragione è in generale una cosa strana; se io l'osservo con tutta la mia passione, essa si gonfia fino a diventare un'enorme necessita ch'è capace di muovere cielo e terra; se io sono senza passione, allora la guardo con sdegno. A lungo ho riflettuto sulla causa che m'ha spinto a rinunciare al posto d'insegnamento. Quando ci penso, capisco che quella posizione era per me qualcosa (di solido). Oggi mi è venuto un barlume di luce: la ragione è stata ch'io non mi sentivo tagliato per quel posto. Se fossi rimasto a quel posto, avrei avuto tutto da perdere e nulla da guadagnare. Per questo ho giudicato bene di rinunziare al posto e di farmi assumere in una comitiva di attori ambulanti per la ragione che, sprovvisto come sono di ogni talento artistico, ho perciò lutto da guadagnare.
Sören Kierkegaard, Aut Aut
Io non sono mai stato senza di me e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo se tutto va bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio o forse no. Però mi è venuto il dubbio e vorrei sapere se ogni tanto questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso per poter ricordare te.
Soren Kierkegaard
Io ho solo un amico, è l'eco: e perché è mio amico?
perché io amo il mio dolore e l'eco non me lo toglie.
Io ho un solo confidente, è il silenzio della notte.
E perché è il mio confidente? Perché il silenzio tace.
Sören Kierkegaard, Aut Aut
Cos'è che mi lega? Di cos'era lana la catena che teneva legato il lupo di Fenris?
Del rumore delle zampe di gatto quando toccano terra, della barba delle donne, delle radici delle rocce, dell'erba dell'orso18, del respiro dei pesci e dello spirito degli uccelli. Anch'io sono legato da una catena ch'è formata d'immaginazioni tenebrose, di sogni angosciosi, di pensieri inquieti, di presentimenti timorosi, di oscure angosce. Questa catena è «tanto sottile e morbida come un filo di seta, essa si presta alla massima tensione, ma non si spezza».
18 L'espressione si trova nella Mitologia nordica di Grundtvig presa dagli Edda:
ma si tratterebbe dì un errore poiché vi si parla dei «tendini dell'orso».
Sören Kierkegaard, Aut Aut
É proprio caratteristico di quelle che si chiamano individualità infelici di aggrapparsi tenacissimamente a se stesse, tanto che nonostante tutte le loro sofferenze, per nessuna ragione al mondo vorrebbero essere degli altri. Ciò ha il suo motivo nel fatto che queste individualità sono molto vicine alla verità e sentono l’eterno valore della personalità, non nella sua benedizione, ma nel suo tormento. Anche se devono rinunciare alla gioia, preferiscono tuttavia rimanere se stessi.
Søren Kierkegaard - Aut-Aut
Sören Kierkegaard, Aut Aut -sulle prove dell'esistenza di Dio e dell'immortalità dell'anima.
È abbastanza strano che siano sempre le stesse cose a occuparci in tutte le età della vita:non si fa un passo avanti, anzi si torna indietro.
Quando avevo 15 anni e frequentavo le scuole medie, scrivevo con molta unzione sulle prove dell'esistenza di Dio e dell'iimmortalità dell'anima, sul concetto di fede, sull'importanza del miracolo. Per l'esame di licenza19 scrissi una dissertazione sull'immortalità dell'anima che ottenne pieni voti e lode; più tardi ottenni un premio con una dissertazione sulla stessa materia.
Chi crederebbe che, dopo un inizio così solido e promettente, all'età di 25 anni io mi trovo ridotto a non essere più capace di portare una sola prova dell'immortalità dell'anima?
Ricordo specialmente della mia carriera di studente che una mia dissertazione sull'immortalità dell'anima aveva ottenuto lodi sperticate, sia per il contenuto come per la proprietà del linguaggio, dal professore che l'aveva anche letta in classe.
Ahimè, ahimè, ahimè! Io ho smarrito da molto tempo questa dissertazione.
Che disgrazia! In essa forse la mia anima dubitante avrebbe potuto essere imbrigliata, sia dallo stile come dal contenuto. Allora non mi resta che dare un consiglio ai genitori, ai superiori e ai professori, di raccomandare ai ragazzi che sono loro affidati perché conservino le dissertazioni che scrivono nel quindicesimo anno. E questo è il solo consiglio ch'io possa dare per il bene dell'umanità.
Sören Kierkegaard, Aut Aut
Preferisco tacere.
Alla conoscenza della verità ci sono forse arrivato (II Tim., 2, 4); certamente non alla beatitudine.
Che cosa debbo fare? Agire nel mondo, rispondere agli uomini?
Dovrei allora comunicare il mio dolore al mondo,
contribuire a dimostrare quanto tutto è triste e meschino,
forse scoprire una nuova macchia nella vita umana
che prima era rimasta inosservata?
Così potrei ottenere la ricompensa meravigliosa di diventar celebre,
come l'astronomo che scoprì le macchie di Giove.
Preferisco tacere.
Sören Kierkegaard, Aut Aut
Quando considero le sue varie epoche, la mia vita allora assomiglia alla parola:
«Schnur» secondo il dizionario che ha per primo significato «cordone» e per secondo «nuora».
Manca soltanto che «Schnur» abbia per terzo significato «cammello» e per quarto «spolveraccio».
Sören Kierkegaard, Aut Aut
Posso benissimo scovare i tartufi per gli altri, io stesso non ne cavo nessun piacere.
Tengo i problemi in bilico sul mio naso; ma non posso farne altro che buttarmeli dietro la testa.
Sören Kierkegaard, Aut Aut
C'è ancora una prova per l'esistenza di Dio ch'è stata finora trascurata,
essa è portata da uno dei domestici nei Cavalieri di Aristofane, vv. 32 ss.:
Demostene: Altiare? quale altare?
Dimmi, pensi tu ch'esistano dei?
Nicia: Si.
Demostene: Quali ragioni porti?
Nicia: Perché mi perseguitano ingiustamente.
Demostene: Volentieri mi trovo d'accordo con te.
Verrà il giorno in cui si vedrà che gli individui migliori in senso estetico, quelli che pongono lo scopo della vita nel differenziarsi, dispereranno di questa loro posizione eccezionale per ritrovare ciò che è semplicemente umano. Questo sarà bene anche per noi gente da poco, che a volte ci sentiamo turbati perché non abbiamo saputo nella nostra vita distinguerci. E, a dir la verità, il motivo non era solo che disdegnavamo una concezione simile di vita; ci sentivamo anche troppo insignificanti per realizzarla.
Søren Kierkegaard
Sören Kierkegaard,
Timore e tremore
Søren Aabye Kierkegaard.
L’uomo è spirito. Ma cos’è lo spirito? Lo spirito è l'io. E l'io cos’è? È un rapporto che si rapporta a se stesso oppure è, nel rapporto, il rapportarsi che il rapporto si rapporta a se stesso; l'io non è rapporto, ma il rapportarsi a se stesso, l’uomo è una sintesi d’infinito di finito, di tempo e di eternità, di possibilità e necessità, insomma una sintesi. Una sintesi è un rapporto tra due principi. Visto così, l’uomo non è ancora un io.
Nel rapporto fra due, il rapporto è il terzo e come unità negativa, e i due si rapportano al rapporto e nel rapporto si mettono in rapporto col rapporto; un rapporto a questo modo è, sotto la determinazione dell’anima, il rapporto fra anima e corpo. Se invece il rapporto si mette in rapporto con se stesso, allora questo rapporto è il terzo positivo, e questo è l'io.
Un tale rapporto che si rapporta a se stesso, un io, o deve essere posto da sé o deve essere stato posto da un altro. Se il rapporto che si mette in rapporto con se stesso è stato posto da un altro, il rapporto è certamente il terzo, ma questo rapporto, il terzo, è poi a sua volta un rapporto che si mette in rapporto con ciò che ha posto il rapporto intero.
Un tale rapporto derivato, posto, è l'io dell’uomo; un rapporto che si mette in rapporto con se stesso, si mette in rapporto con un altro.”
SØREN AABYE KIERKEGAARD (1813 – 1855) – Anti-Climacus, “ La malattia mortale “, tra. it., avvertenza e note di Cornelio Fabro, Sansoni, Firenze (I ed.,1965) 1973, ‘A‘, pp. 215 – 216.
Quando gli Eleati negarono il movimento, Diogene, come tutti sanno, si produsse per contraddirli.
Si produsse in realtà poiché, senza far parola, fece qualche passo avanti e indietro, pensando di avere così sufficientemente refutato i suoi avversari.
Siccome mi ero occupato piuttosto a lungo, o almeno a ogni occasione favorevole, di questo problema: "La ripetizione è possibile? E che significa la ripetizione? Una cosa ci guadagna o ci scapita a essere ripetuta?". Mi venne un’idea improvvisa: "Vai a Berlino, dove sei già stato una volta e vedrai se la ripetizione è possibile e che cosa vuol dire". Per conto mio, mi ero fissato su questo problema. Dite quel che volete, è un problema che avrà un giorno una parte molto importante nella filosofia moderna perché la ripetizione è quel termine decisivo che esprime quel che la reminiscenza rappresentava per i Greci. I Greci insegnavano che ogni conoscenza è un ricordarsi: allo stesso modo la filosofia dei nostri giorni proclamerà che tutta la vita è una ripetizione.
Ripetizione e rimembranza sono lo stesso movimento, ma in due sensi opposti.
Soren Kierkegaard, "La ripetizione"
Accadde in un teatro che le quinte presero fuoco. Il buffone usci per avvisare il pubblico, credettero che fosse uno scherzo e applaudirono. Egli ripeté l’avviso essi esultarono ancora di più. Così mi figuro la fine del mondo: perirà fra l’esultanza generale degli spiritosi che crederanno si tratti di uno scherzo.
Søren Kierkegaard
Le persone sono ormai talmente abituate al falso, che quando si trovano davanti alla verità non la sanno riconoscere.....
Quando Søren Kierkegaard lasciò la fidanzata senza nessuna ragione. [...]
Fa freddo a Gilleleje, borgo marinaro sulla punta nordoccidentale di Sjælland, in Danimarca. È il 12 di settembre del 1841 e qui l'autunno arriva inesorabile, una cascata di pugnali gelidi di acqua e aria contro i tetti delle case. Il ragazzo sembra preoccupatissimo. Ma non per il gelo umido che gli graffia la faccia. Piuttosto, è come se il peso di tutto il mondo gli gravasse addosso e lui rimanesse lì, sul suo scoglio, punto di raccolta dei mali del mondo. Quando si alza, la schiena leggermente curva, alto, pallido, si tiene il cappello a cilindro con la mano destra e si avvia, dinoccolato e svelto, verso il treno che deve riportarlo a Copenaghen. Sente una specie di dolore allo stomaco, come se non mangiasse da giorni, al solo pensiero di non rivederla. Ma non può fare altrimenti. Deve andare da lei, e dirglielo. Non c'è altra soluzione. Ha deciso: deve rompere il fidanzamento.
Dura da un anno e quattro giorni, ed è l'unica cosa che l'ha mai reso felice nella vita; e lei, Regine, è l'unica creatura che avrebbe potuto salvarlo e capirlo. L'unica che lui, Søren Kierkegaard, avrebbe mai potuto amare. Ma deve lasciarla. L'8 settembre dell'anno precedente si era presentato a casa del padre di lei; con una chiarezza e una schiettezza per lui inusuali, gli aveva detto semplicemente di amare, ricambiato, sua figlia. Regine Olsen. Il padre accorda il permesso a quel giovane dai modi singolari ma rispettosi. In fondo, non è la peggiore prospettiva per Regine, che sembra davvero innamorata di quel tipo; è la più giovane dei suoi sette figli e ormai, a quasi diciannove anni, è ora che si sistemi. Anche Søren è l'ultimo di sette figli. Ma quel calore domestico che percepisce a casa di Regine lui non l'ha mai conosciuto. Suo padre, Michael Pedersen, era un uomo anziano che aveva sposato in seconde nozze Ane Sørensdatter Lund, la sua dimessa domestica.
Cinque dei suoi fratelli muoiono quando Søren non ha ancora vent'anni; e lui cresce nella rigida educazione pietista del padre, il quale è convinto di essere stato maledetto: prima di diventare un mercante piuttosto benestante, aveva conosciuto la fame e, giovane pastore nella valle dello Jutland, aveva bestemmiato Dio durante una tempesta. Michael crede, da allora, di essere dannato agli occhi del Signore. Per questo i suoi figli muoiono. Ma non lui. Lui, Søren, sopravvive a se stesso.
Crescendo, diventa un tipo taciturno, meditabondo, ma anche ironico e arguto. Soprattutto, legge moltissimo e possiede un'intelligenza straordinaria, un vero e profondo talento nello studio delle Sacre Scritture e della Teologia. Ma qualcosa lo tormenta. Perché l'uomo è questa contraddizione sofferente? Come possiamo essere davvero Cristiani, se la vita stessa è assurda? Se ogni scelta implica un'infinità di mondi inaccaduti, non è, ogni scelta, una colpa irredimibile? Dunque, l'angoscia è il sentimento fondamentale dell'esistenza? La vita, se viene vissuta, la si distrugge. Lui ne è convinto al punto da non poter vivere. Al punto di credere che se lui l'amasse come vorrebbe - se con Regina si lasciasse andare, la sposasse, avessero dei figli e fossero felici - ebbene, se ciò accadesse, quella vita, proprio in quanto vissuta, sarebbe falsa, sbagliata, orrenda.
La ama troppo per accettare di vivere una singola vita con lei. Vorrebbe amarla nell'infinito. Ma l'infinito non appartiene alla creature, che riconoscono l'eternità solo nella infinita differenza qualitativa che li separa da Dio. Allora: "Aut-Aut". O distruggere, esperendola, la vita con lei; oppure lasciarla, abbandonarla per sempre, e soffrire indicibilmente. Tornato dalla sua passeggiata a Gilleleje, il ventottenne Søren Kierkegaard sceglie la seconda opzione. La lascia. Senza nessuna spiegazione. Lei tenta il suicidio. Lui è sull'orlo della follia. Poi, com'è normale, Regina si rifà una vita. Dopo sei anni sposa il suo precettore, Johan Frederik Schlegel. Kierkegaard ne è profondamente scosso. Lei, che come Arianna da Teseo non seppe mai perché venne abbandonata, lo guarda ogni giorno passeggiare per le vie di Copenaghen.
E lui la pensa, continuamente. A volte vorrebbe parlarle, tornare da lei. Poi si ricorda della sua maledizione. E si ferma. E scrive. Scrive libri geniali che cambiano per sempre la filosofia europea; ma non li firma col suo nome, quel nome di un uomo che non voleva esistere. Gli autori sono tanti, maschere di una personalità che si celava a se stessa: Victor Eremita, Johannes de Silentio, Costantine Costantius. Lui, Søren Kierkegaard, è nascosto dietro di essi. Ciò che non disse a lei - il perché lui l'abbandonava - diventa così il tema fondamentale della moderna filosofia occidentale. Poi un giorno di primavera del 1855 gli arriva la notizia: Regine lascia Copenaghen. Seguiva suo marito alle Isole Vergini, allora dominio danese. Søren la cerca invano nel centro della città per dirle addio. Ma non la trova. Poi lei sbuca improvvisamente da una via. "Volevo solo dirti che ti ho perdonato. E che non ho mai smesso di amarti. Dio ti benedica. Spero tutto il meglio per te".
Lui non riesce neanche a risponderle. Rimane impietrito, la saluta con un cenno del cappello. E la vede scomparire. Passano quattro mesi. Mentre passeggia per Copenaghen, Kierkegaard sviene. Muore per cause misteriose. Muore di dolore. Quando Regine torna dai Caraibi, nel 1860, scopre che lui le ha lasciato in eredità tutto: i suoi risparmi, i libri, la casa. Come fosse sua moglie. Come se avessero potuto viverla, la vita. Come se l'amore fosse stato più forte dell'angoscia. Alla notizia della morte del filosofo, la donna si sentì mancare il terreno. Non capiva più il mondo. Era spaesata in un modo terribile, quasi non sapesse più dove si trovasse. Una sensazione orribile, identica a quella di vent'anni prima. Quando lui, senza nessuna ragione, l'aveva lasciata.
Buongiorno
Ormai troppo frequentemente ripenso a quella teoria di Kierkegaard secondo cui la libertà di scegliere dell’uomo si traduce in realtà in un sentimento di angoscia, perché l’uomo prende coscienza dell’infinità di possibilità che l’esistenza ha da offrirgli e questo confronto con l’assoluto non è per esso fonte di consolazione, ma è anzi deprimente, perché si traduce nella consapevolezza di tutte le cose che l’uomo non sa fare e quindi non farà, nella sua incapacità.
Solo che per Kierkegaard c’era Dio a risolvere questo sentimento.
Per me, come per Sartre, c’è solo la nausea che mi viene dalla vertigine.
http://unpenny.tumblr.com/post/60168733399/buongiorno
Ormai troppo frequentemente ripenso a quella teoria di Kierkegaard secondo cui la libertà di scegliere dell’uomo si traduce in realtà in un sentimento di angoscia, perché l’uomo prende coscienza dell’infinità di possibilità che l’esistenza ha da offrirgli e questo confronto con l’assoluto non è per esso fonte di consolazione, ma è anzi deprimente, perché si traduce nella consapevolezza di tutte le cose che l’uomo non sa fare e quindi non farà, nella sua incapacità.
Solo che per Kierkegaard c’era Dio a risolvere questo sentimento.
Per me, come per Sartre, c’è solo la nausea che mi viene dalla vertigine.
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La verità si chiama Kierkegaard.
《Realizzare qualche cosa coincide dunque col compiere la propria opera. Immagina un uomo intimamente e profondamente commosso: non gli verrà mai in mente di pensare se deve realizzare qualche cosa o meno; solo l'idea vuol con tutta la sua potenza uscire da lui. Immagina che sia un parlatore, un prete, quello che vuoi. Egli non parla alla massa per giungere a qualche conclusione: ma il carillon in lui deve risuonare, solo così si sente felice. Credi che egli concluda meno di quello che va tronfio per l'idea di quello che vuole compiere, che si entusiasma solo al pensiero del suo successo? Immagina uno scrittore; non gli verrà mai in mente di pensare se avrà un lettore, o se riuscirà a ottenere qualche risultato coi suoi scritti; egli vuol soltanto afferrare il vero, solo questo cerca. Credi tu che questo scrittore concluda meno di quello la cui penna è sotto la sorveglianza e la guida del pensiero di quello che egli intende concludere?》
A mio parere Kierkegaard ha riassunto, in questo passo, non solo una verità universale (d'altra parte egli stesso riteneva che l'uomo dovesse conciliare in sé il particolare e l'universale), ma anche l'ideale a cui la vita di ogni uomo che desideri diventare scrittore deve conformarsi.
In questo senso, egli deve vivere come un uomo etico, e cioè come colui che diventa ciò che diventa. Non deve sottostare al casuale e al particolare, nel quale la vita si rinchiude e si avvilisce, si disperde e si fiacca; bensì deve adempiere al proprio compito e volerlo infinitamente. Solo nell'assoluto egli è l'assoluto. E allora che cosa importa se egli avrà dei lettori o se egli non ne avrà?
È libero, e la sua libertà è assoluta. “Egli vuol soltanto afferrare il vero”. Ma qual è questo vero?
“Il vero è l'intiero”, come diceva Hegel? L'uomo deve ricercare il vero necessariamente?
Deve obbedire ad una necessità? No. Egli deve volerlo. E dalla sua volontà e dalla sua potenza fuoriesce la sua idea. “Una verità è vera solo quando è una verità per me.”
Non importa che egli non realizzi nulla, giacché cosa importa, dato che egli realizza se stesso?
È vero anche che lo scrittore deve comunicare qualcosa al pubblico, e che il pubblico deve sentirsi parte integrante delle intenzioni dello scrittore; ma egli non può lasciarsi guidare dal pubblico, per non dire dirigere, o, in senso ancor più negativo, manipolare, poiché in quel caso porrebbe il senso del suo essere al di fuori di se stesso, e cioè nel momento.
L'immediatezza non può soddisfare il desiderio più profondo di un uomo.
Tale desiderio è, infatti, l'immortalità, ed essa è inconciliabile con l'immediatezza.
Kierkegaard è il filosofo dell'angoscia e della disperazione, eppure è, più di tutti, il filosofo della speranza. E qual è questa speranza, a cui il pensatore danese ha dedicato in concreto tutta la propria esistenza? È quella che ognuno comprenda quale sia il proprio compito e lo porti gradualmente a compimento mediante la propria lotta “per il pane quotidiano”.
Kierkegaard afferma infatti che anche l'uomo più comune e più insignificante può diventare straordinario. È questa, forse, l'unica vera gloria della razza umana, l'unica fortuna di cui valga la pena gloriarsi. In conclusione, posso dire che, se qualcuno leggerà questo commento, la cosa susciterà in me un certo orgoglio; ma lo stesso accadrà se nessuno dovesse leggerlo.
https://federicagentileonblr.tumblr.com/post/94155898736/la-verit%C3%A0-si-chiama-kierkegaard
IL 5 MAGGIO 1813, NACQUE IL FILOSOFO SOREN KIERKEGAARD.
Søren Aabye Kierkegaard (Copenaghen, 5 maggio 1813 – Copenaghen, 11 novembre 1855) fu un filosofo, teologo e scrittore danese, considerato da alcuni studiosi il padre dell'esistenzialismo. Kierkegaard inizia nel 1830 gli studi universitari di teologia, laureandosi dopo undici anni. In questi anni ha modo di ricoprire il ruolo di presidente della lega degli studenti, attaccando soprattutto le idee liberal-borghesi di rinnovamento democratico. La sua posizione non era molto dissimile da quella dell'ultimo Schelling, che si illudeva di poter superare l'hegelismo accentuando l'importanza della religione. Kierkegaard possiede un temperamento scontroso, poco socievole, e conduce un'esistenza appartata. Gli unici fatti rilevanti della sua vita sono gli attacchi mossi dal giornale satirico "Il corsaro" (Kierkegaard appare più volte ritratto in caricature maligne), e la polemica contro l'opportunismo e il conformismo religioso che Kierkegaard avrebbe condotto nell'ultimo anno della sua vita, in una serie di articoli pubblicati nel periodico "Il momento": Kierkegaard accusava la Chiesa danese di essere mondana e di aver tradito gli insegnamenti originari di Cristo. Nel 1843 Kierkegaard pubblica "Enten-Eller", la sua opera più significativa che fu anche quella che gli darà maggior successo. Enten-Eller è diviso in due parti e contiene la sintesi del pensiero estetico, religioso e fenomenologico del giovane Kierkegaard. Vi sono inclusi il "Diario del seduttore" (scritto per respingere Regina), i "Diapsalmata" (una serie di aforismi autobiografici), "Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno", in cui Kierkegaard contesta il valore dell'associazionismo della sua epoca, anteponendogli quello dell'individualità isolata, tormentata, che si sacrifica per il bene dell'ideale. Nel 1844 pubblica "Briciole di filosofia" in cui traduce sul piano filosofico le riflessioni maturate sui piani psicologico e religioso. Kierkegaard rifiuta il concetto di "divenire storico" in quanto la storia ha tradito Cristo. Alle Briciole seguirà nel 1846 la monumentale "Postilla conclusiva non scientifica". A partire da questo volume (che secondo Kierkegaard doveva essere un'antitesi alla Logica di Hegel), Kierkegaard si lamenta di non avere più un interlocutore. Riuscirà a vendere solo 50 copie della Postilla, ma l'intenzione di Kierkegaard era proprio quella di concludere la sua attività di scrittore. Viene indotto a terminare l'attività anche dalla polemica con la rivista "Il corsaro", che lo avrebbe prese in giro per diversi mesi, facendo colpo sul pubblico. Il giornale sarà poi chiuso dal governo e il direttore espulso dal paese per "indegnità morale". Ad ogni modo nella Postilla il disprezzo per la socialità raggiunge forme di particolare conservatorismo filo-monarchico, dalla quali appare chiaro quanto Kierkegaard tema le idee liberali, democratiche e socialiste. In estrema sintesi il pensiero del filosofo danese identifica tre fondamentali stadi nel cammino della vita: lo stadio estetico, quello etico e quello religioso. Dopo un'intera vita passata quasi esclusivamente nella sua città, Soren Kierkegaard muore il giorno 11 novembre 1855, colto da una paralisi.
La vita non è un problema da risolvere. È un mistero da vivere. Non c'è nulla che spaventi di più l'uomo che prendere coscienza, dell'immensità di cosa è capace di fare e di diventare
Soren Kierkegaard
La vita può essere capita solo all'indietro,
ma va vissuta in avanti
Soren Kierkegaard
Un uomo può compiere imprese stupefacenti e assimilare una grande quantità di conoscenze, eppure non avere alcuna comprensione di sé. Ma la sofferenza spinge un uomo a guardarsi dentro. Se vi riesce, ecco che là, dentro di lui, comincia il suo apprendimento.
Søren Kierkegaard.
non tutti sanno guardarsi dentro....preferiscono guardare gli altri, attribuire a loro la colpa dei propri mali.......perdendosi sempre più!
La nostra vita è sempre l’espressione e il risultato dei nostri pensieri dominanti. Conoscere i nostri pensieri dominanti significa conoscere il destino che ci stiamo preparando
Søren Aabye Kierkegaard
La verità è una verità, solo quando è una verità per me
Soren Kierkegaard
Le idee fisse sono come dei crampi, per esempio ad un piede:
il rimedio migliore e camminarci su
Soren Kierkegaard
Non appena mi etichetti, mi annulli
Soren Kierkegaard
Gli uomini sono davvero incoerenti: reclamano le libertà che non hanno e non approfittano di quelle che già possiedono
Sören Kierkegaard
Difficilmente l'uomo fa uso delle libertà che lui ha, per esempio la libertà di pensiero; in compenso insiste a richiedere la libertà di parola.
Soren Kierkegaard
Soren Kierkegaard
La gente esige la libertà di parola per compensare la libertà di pensiero, che invece rifugge.
Sören Kierkegaard
Paradossale è la condizione umana.
Sören Kierkegaard
Paradossale è la condizione umana.
Esistere significa "poter scegliere"; anzi, essere possibilità.
Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensí la miseria dell'uomo.
La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti egli si trova sempre di fronte all'alternativa di una "possibilità che sí" e di una "possibilità che no" senza possedere alcun criterio di scelta. E brancola nel buio, in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell'altro.
Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensí la miseria dell'uomo.
La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti egli si trova sempre di fronte all'alternativa di una "possibilità che sí" e di una "possibilità che no" senza possedere alcun criterio di scelta. E brancola nel buio, in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell'altro.
Sören Kierkegaard, Aut- Aut
il "poter scegliere" non è un dramma come diceva il filosofo-teologo, bensì l'inizio dello sviscerare della vita...
chi vive la scelta come dramma non la assume totalmente, ma la subisce, per la parte più grande. La libertà sta tutta in quella capacità di distacco che permette di avvertire ogni scelta come scelta piena, non come perdita di ogni altra scelta possibile.
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